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20.


Passai dal retro a prendere la mia borsa e prima di uscire dal locale salutai Javier come facevo ogni giorno prima di andarmene via.

In strada non c’era quasi nessuno e non mi guardai troppo intorno a osservare i passanti, mi avviai a passo spedito verso casa.

Pochi metri più avanti un ragazzo se ne stava appoggiato alla portiera di un vecchio pick up nero, aveva il cappuccio della felpa tirato fin quasi sugli occhi. Sembrava in attesa come se stesse aspettando qualcuno, io tirai dritta non dando importanza alla cosa e presi a cercare il mio cellulare all’interno della borsa.

Non feci in tempo ad estrarlo che iniziò a vibrare e suonare tra le mie mani, lessi il nome che lampeggiava sullo schermo e dopo aver appurato chi fosse lo lasciai scivolare di nuovo sul fondo della borsa. Lo squillo insistente era molto fastidioso ma non avrei risposto neanche se il rumore mi avesse procurato seri e irreparabili danni all’apparato uditivo.

La determinazione a non rispondere non mi mancava, soprattutto dopo quella lunga giornata. Proseguii per la mia strada ignorandolo completamente, come se non proveniente dalla mia borsa tutto quel fracasso fastidioso.

«Hey!» sentii qualcuno chiamare, ma ero quasi sicura che non fosse indirizzato a me. Alzai per precauzione lo sguardo per vedere chi fosse stato, d’altronde in strada c’eravamo solo io e quel ragazzo. Quindi mi voltai verso di lui e trovai due profonde pozze blu oceano a scontrarsi con i miei occhi, quello non era uno sconosciuto qualunque purtroppo per me. Quello era l’ultima persona che avrei voluto incontrare in quell’esatto momento, era Brian Anderson.

«Hey!» risposi di rimando senza troppa enfasi. «Cosa fai qui tutto solo soletto?» chiesi per cortesia senza voler in realtà sapere cosa avrebbe risposto. La curiosità mi aveva abbandonata, ero delusa, demoralizzata e priva ormai di qualsiasi possibile illusione. Il mio essere sognatrice stava lentamente ma inesorabilmente svanendo, man mano che continuavo a stargli accanto vedevo le speranze che avevo nutrito dentro di me farsi sempre più labili e sfuggirmi tra le dita ferendomi un poco di più ogni volta.

«Aspettavo una persona...» sembrava voler fare conversazione ma il piacere al riguardo era solo ed esclusivamente il suo. Il mio era svanito quando avevo intuito la voglia di liberarsi di me seduta a quel tavolo, quando non si era preoccupato di spendere una buona parola nei miei confronti. Aveva lasciato libero spazio a Tim e alle sue frecciatine, volte solo a prendermi in giro. Dava l’idea di vergognarsi di me e io non volevo essere un peso per nessuno, ognuno era libero di non dover sopportare la mia presenza.

«Ah allora io vado, in bocca al lupo! Spero che arrivi presto la persona che aspetti...» gli augurai con sincerità nonostante i suoi modi scostanti verso di me, non riuscivo a trattarlo come avrebbe meritato. Fino all'ultimo avevo sperato invano che le sue parole fossero ben altre ma non era stato così.

Con un cenno della mano lo salutai e sorpassandolo passai oltre, diretta nel mio posto sicuro a casa mia.

«Dove vai?» chiese in un tono strano, un mix di emozioni che non riuscii a decifrare.

Iniziò a passarmi per la testa che forse le parole di Chase non erano state così senza senso, forse c’era un fondo di verità in quel suo straparlare. La delusione era tale che non mi faceva neanche desiderare di capire fino in fondo cosa fosse vero e cosa no, ero totalmente insensibile al riguardo.

«A casa, dove dovrei andare? E poi a te che ti importa di quello che faccio io?» non potei fare a meno di rispondere con tono acido e pensare che fino a quel momento mi ero sforzata di apparire serena e tranquilla. La mia messinscena era andata irreparabilmente in fumo, anche un ceco avrebbe notato il mio fastidio nei suoi confronti e io odiavo che lo notasse.

«Io aspettavo te...» a quelle parole inattese mi bloccai e mi voltai di scatto per la sorpresa che si univa alla più totale confusione. Ero sicura di aver avuto quelle sensazioni dipinte sul volto e probabilmente anche lui se ne doveva essere accorto

«Pensavo aspettassi...» mi bloccai a metà della mia frase non sapendo bene cosa dire, continuando avrei ammesso in qualche modo il mio essere gelosa nei suoi confronti. Non volevo dargli questa soddisfazione, lo avrebbe reso ancor più sicuro di sé e lo era già fin troppo.

«Solo te e mi hai fatto anche aspettare parecchio...» sulle sue labbra si dipinse un sorriso così dolce che non gli avevo visto molte altre volte. Ero senza parole, la sua imprevedibilità mi confondeva parecchio e ultimamente anche fin troppo spesso.

Cosa passasse all’interno di quella sua testa era qualcosa di incomprensibile da capire. «Ti va di venire in un posto con me?» quella domanda mi spiazzò completamente, come poteva anche solo pensare che avrei accettato la sua proposta? Solo poche ore prima, davanti al suo amico, si era comportato in una maniera terribile. Sperava ancora in una mia risposta positiva, davvero? Aveva davvero troppa stima di sé, se la pensava in quel modo si sbagliava alla grande.

«In un posto con te?» domandai incredula con un filo di sarcasmo nella voce.

«Si hai capito bene, ti va?»

«Forse non hai afferrato il tono sarcastico racchiuso nella mia frase...» cercai di spiegargli come avrei fatto con un bambino piccolo, ma senza la stessa cortesia. «Ora vuoi portarmi in un posto? Come mai nessuna delle tue amichette espansive” approvata da te e dal tuo amico Tim era disponibile oggi?» domandai sfrontata senza badare a educazione e cortesia, non la meritava per come si era comportato.

«Hai ragione, meriti delle scuse!» ammise infilandosi le mani in tasca a capo chino.

Non avrei dovuto ammorbidirmi sentendo quel suo tono afflitto, purtroppo però non resistetti e ritrassi un po’ le unghie. Avrei dovuto continuare con il pugno duro, ma l’espressione dipinta sul suo viso non me lo permise.

«Nessuna delle tue sciacquet...ehm scusa amichette era libera?» domandai senza più quella veemenza nella voce ma non lo avrei perdonato presto, quello era sicuro.

«Non voglio nessuna che non sia te! Mi sono comportato da stupido, scusami...» la sua voce era poco più alta di un sussurro e quella sua espressione da cucciolo mi intenerirono, non avrei lasciato correre però.

Se voleva che accettassi le sue scuse avrebbe dovuto spiegarmi cosa era successo, volevo cercare di capire. Non poteva sempre fare il bello e il cattivo tempo a suo piacimento, non era il centro del mondo e tanto meno del mio.

«Spiegami perché ti sei comportato in quella maniera, io non ti fatto nulla per meritarlo...» me la doveva una spiegazione e lo sapeva anche lui, lo vidi annuire semplicemente con il capo.

«Vieni con me e ti spiegherò tutto» mi assicurò.

«Non mi dai modo di fidarmi ciecamente di te, dimmi prima dove vuoi portarmi»

«Fidati di me e non mi rovinare la sorpresa...» mi guardò con sguardo supplichevole, quei suoi occhi erano una rovina per me e non avrei saputo dire di no soprattutto se mi guardava in quel modo.

Aprì la portiera del lato passeggero e aspettò con pazienza che salissi, quando lo feci vidi il suo volto aprirsi in un sorriso.

«Non la passerai così liscia questa volta, dovrai spiegarmi cosa ti è successo lo sai questo?» lo avvertii sistemandomi meglio sul sedile e lisciando l’orlo del vestito.

Aspettai che salisse dal lato opposto per poter partire, ma una volta dentro mi sorprese sfilando il foulard che fuoriusciva in parte dalla mia borsa aperta.

«Posso?» domandò avvicinandolo al mio viso chiedendo il consenso a bendarmi. Non capivo tutto quell’adoperarsi a cosa ci avrebbe portato, non ero mai sicura di nulla in sua compagnia.

«Perché?» domandai titubante. Fino alla fine non avrei visto nulla, avrei solo potuto affidarmi ai miei sensi per capire cosa stava succedendo. La mia fiducia in lui non aveva un senso, non avrei saputo spiegarla con semplici parole ma c’era ed era smisurata.

«Non sono pratico di queste cose, quindi per favore lasciami fare...» fissò i suoi occhi dannatamente magnetici nei miei e io non potei fare altro che annuire in silenzio, dato che non mi uscivano le parole.

Quando mi sfiorò il volto con le sue mani sembrò come se mi stesse accarezzando e fece subito ardere le mie guance.

Sperai che facesse in fretta così almeno in parte avrebbe coperto quel rossore, invece per mia sfortuna sembrò metterci una vita. Sistemò per bene il foulard in modo che non vedessi nulla, in realtà qualcosa vedevo essendo il tessuto molto leggero. Erano solo ombre sfocate quelle che riuscivo a distinguere, così mi concentrai meglio sui suoni che avvertivo.

La radio era spenta, quindi non ostacolava il mio rudimentale tentativo di capire dove fossimo diretti.

*

Il lento ma progressivo rallentare del pick up sotto di me mi annunciò che eravamo finalmente arrivati, qualsiasi posto esso fosse.

Il motore pian piano perde vigore spegnendosi, avvertii il rumore secco del freno a mano che veniva tirato.

Orientarmi e capire i movimenti che venivano fatti intorno a me utilizzando l’udito anziché la vista mi piaceva, ma iniziavo a stancarmi di quella situazione. Il non sapere cosa aspettarmi mi rendeva particolarmente irrequieta e aspettavo con ansia il momento in cui avrei riaperto gli occhi.

«Siamo arrivati?» chiesi speranzosa con un filo di voce. Durante l’intero viaggio nessuno dei due aveva parlato, neanche una parola era uscita dalla bocca di Brian anche solo per rompere il ghiaccio.

Mi sembrava di avvertire tensione nell’aria attorno a me, ma non potevo credere che proprio lui potesse essere in difficoltà.

L’unica risposta che ricevetti fu il suono di una portiera che si apriva e poco dopo si richiudeva. Dedussi quindi che era sceso dal pick up lasciandomi chiusa nell’abitacolo, restai in attesa di poter scendere anche io.

La portiera si aprì in una maniera talmente improvvisa che quasi mi spaventai di quel rumore e sobbalzai sul sedile aggrappandomici forte. Le sue braccia si insinuarono sotto le mie cosce e mi sollevarono come se pesassi quanto una piuma, sembrava non fare il minimo sforzo. Sentii i piedi poggiarsi finalmente a terra e le sue solide braccia allontanarsi da me, facendomi provare una sensazione di mancanza.

Nonostante tutto non ero ancora pronta a sotterrare l’ascia di guerra, volevo delle spiegazioni e pensavo anche di meritarle.

«Non fare quella faccia o mi rovinerai la sorpresa...» di sicuro l’espressione del mio volto rendeva lo stato d’animo che mi si agitava dentro.

«Ci hai già pensato te e non avresti potuto fare di meglio, te lo posso assicurare» lo rassicurai con sarcasmo, non avevo alcuna intenzione di cedere ai suoi modi. Doveva spiegarmi cosa era successo in quella sua testa, tanto da vergognarsi di me.

«Dobbiamo parlarne proprio ora?» domandò sbuffando infastidito. Non sempre le cose potevano andare come voleva lui e forse per la prima volta nella sua vita stava sperimentando questa sensazione.

«Sì dobbiamo farlo proprio in questo momento, anche se non posso vederti posso ascoltarti. Parla avanti...» potevo avvertire il suo disagio, ma la cosa non mi creava problemi dato che lui non lo aveva fatto nei miei riguardi. Incrociai le braccia davanti al petto e restai paziente in attesa delle sue parole.

«Vedi tu...» la frase restò a metà e buttò fuori l’aria. Sbirciai per qualche secondo da sotto il tessuto e lo vidi passarsi con evidente frustrazione le mani tra i capelli, sembrava agitato sulle parole da scegliere. Forse era consapevole che se avesse usato quelle sbagliate, le cose non sarebbero andate nel verso che aveva sperato. «Tu sei diversa dalle altre...» disse tutto d’un fiato come se fosse la cosa più difficile da dire.

«Quali altre?» stavo per caso facendo troppo la stronza? Sì, forse un pochino, ma non lo avrei facilitato in alcun modo.

«Le ragazze che frequento di solito» disse a mo di spiegazione, come se quella frase avrebbe dovuto spiegare ogni cosa.

«E perché sarei diversa?» lo chiesi forse più a me stessa che a lui, talmente pronunciai piano quelle parole. Furono un sussurro appena udibile.

«Perché loro sono...» pareva cercare invano un termine per poterle descrivere, io ne avrei potuti suggerire alcuni che mi passavano per la mente ma non volevo risultare sgarbata. «Loro sono molto belle ma altrettanto stupide, parlarci poi è come parlare con se stessi allo specchio ti danno sempre ragione senza motivo. La cosa peggiore è che fanno sempre tutto quello che voglio e...» ogni parola faceva sempre più male, sarei voluta scappare da lì e il peggio era che non si accorgeva di ferirmi. Parlava di quelle cose come se a farle fosse stato un’altro e non lui.

«Sì, deve proprio essere una brutta cosa. Vorresti dirmi che questo non è il sogno di ogni studente universitario…?» chiesi con un filo di sdegno nella voce, quelle sue abitudini mi disgustavano e ripensai alla sera della festa quando lo avevo visto in compagnia di Victoria. Cercai di ricordarmi come mi ero sentita quella sera, per trovare la forza di allontanarlo definitivamente da me.

«Se mi interrompi in questo modo non riuscirò mai ad arrivare ad una conclusione...» lo disse senza curarsi di quello che avevo detto, come se non avessi proprio aperto bocca. Come se le mie parole non avessero avuto significato alcuno, come se io non contassi nulla per lui e mi convinsi che così doveva essere.

«Continua per favore, non ti interromperò più...» mi rammaricai di avergli detto quelle cose, non era da me reagire in quel modo, ero sinceramente dispiaciuta. Non volevo ammettere che forse in me c’era un po’ di gelosia nei suoi confronti, mentre lui non se ne curava affatto di me.

«Te sei diversa perché sei intelligente, solare con chi lo merita, dai tutto di te sempre senza risparmiarti e sei gentile con chiunque anche con chi non lo merita...» quei complimenti erano vani, non cambiavano nulla per me. Avrebbe potuto dire qualsiasi cosa ma la delusione restava lì al suo posto, proprio dove l’avevo lasciata.

«Hai ragione, infatti sono qui a parlare con te...» lo dissi senza pensarci e mi pentii subito delle mie parole, d’istinto le mie mani scattarono sulle mie labbra. La mia bocca aveva parlato troppo ancora una volta e anche se non potevo vederlo arrossii per quella mia impertinenza.

«Vedi i miei amici sono abituati a vedermi in un certo modo, con un certo tipo di ragazze. Di solito le frequento per un paio di volte, sai ci divertiamo un po’ e poi passo ad altro...» ero allibita che mi stesse dando davvero spiegazioni delle sue abitudini sessuali e che quindi sarebbero dovute restare private. Era una di quelle situazioni da morire dal ridere, se non fosse stato per la sconvenienza dell’argomento probabilmente l’avrei fatto.

«Continuo a non capire cosa c’entro io con il mio essere diversa in tutto questo però...» se dovevo subire ancora la sua presenza, speravo almeno che si sbrigasse ad arrivare al punto.

«Pensano che io non sia più il play boy di una prima, dicono che mi sto rammollendo a frequentare te che sei così...» più parlava, più avrei voluto farlo tacere.

«Perché non sono una ragazza che la svende come se non fosse sua? Perché non mi basta un complimento per concedermi a chiunque?» iniziavo a pensare che quel foulard che mi offuscata la vista, mi stesse dando quell’impertinenza e quel coraggio che non avevo mai avuto.

«Perché non smetti semplicemente di frequentarmi allora? Perché non mi lasci in pace se non sono alla “vostra altezza”?» la delusione stava prendendo il sopravvento su di me, mi sentivo offesa. In quel preciso istante se avessi saputo esattamente dove mi trovavo me ne sarei andata persino a piedi. Non riuscivo a credere che si vergognava di me.

«Sono stato una stupido a non dirgli quello che penso in realtà, ho sbagliato! È da giorni che negli spogliatoi vanno avanti con battute e prese in giro» fece una pausa, ora anche lui pareva pentirsi delle sue parole non dette. «Accetta le mie scuse, per favore te lo chiedo. Io ho sbagliato troppo con te ma ho capito che non mi importa di quello che dicono gli altri se posso starti accanto. Capirò se non ti va di restare qui con me, posso riportarti a casa se vuoi...» aveva fatto tanti sbagli con me quello era solo l’ultimo dei tanti, ma anche io ne avevo fatti con lui e non me la sentivo di allontanarmi.

Le domande che dovevo pormi erano molte, potevo passare sopra a tutte le cose che aveva detto e fatto? Potevo mettere da parte la delusione che sentivo? Potevo ignorare i modi di fare che usava con ogni ragazza? Sapevo come era e se avesse usato anche me? Forse ormai era troppo tardi per pensare di non averlo vicino, per pensare di non sentirlo più, di non vederlo più. Avrebbe dovuto trovare il modo di farsi perdonare da me, ma lo avrebbe fatto avendomi accanto.

«Puoi fare una cosa per me?» domandai senza pensare troppo a quello che stavo per fare.

«Tutto quello che vuoi...» promise senza neanche sapere cosa stavo per chiedere.

«Abbracciami!» forse lo colsi di sorpresa perché non udii un solo movimento da parte sua. Feci un passo in avanti e quando toccai il suo braccio capii che stavo andando nella giusta direzione.

Per una volta ero io che prendevo l’iniziativa con lui, le sue mani erano sulle mie e le guidarono ai suoi fianchi. Lo strinsi a me mentre lui faceva lo stesso con me, il mio orecchio era poggiato sul suo petto e potevo sentire il suo cuore battere fortissimo. Forse anche lui poteva sentire il mio battito accelerato, ma il mio reagiva sempre così in sua presenza.

Le sue mani mi rilasirono su per la mia schiena lasciando piacevoli brividi al loro passaggio, si insinuarono tra i miei capelli e li accarezzarono con dolcezza. Le mie guance presero fuoco in pochi secondi e nascosi il mio viso ancora di più insinuandolo sul suo petto.

Restammo così per un tempo infinito e avrei voluto non staccarmi più da quell’abbraccio. C’eravamo solo noi e il rumore dei nostri respiri.

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