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19.

Oltre la vetrata del locale che dava sulla strada osservavo il cielo scuro e pieno di nuvoloni grigi che si addensavano nascondendo il sole alla vista.

Una pioggerellina leggera ma costante aveva preso a scendere indisturbata senza accennare minimamente a smettere e con l’andare del tempo, anzi, si era andata intensificando sempre più fino a diventare un temporale in piena regola. Quel tempo aveva reso la mia giornata lavorativa particolarmente caotica, nel locale c’era più gente da servire di quanta non ce ne fosse stata di solito e non avevo avuto un solo attimo per riprendere fiato.

Oltre agli abituali avventori del locale si erano aggiunte molte altre persone che cercavano riparo dall’incessante maltempo.

Ovunque posassi il mio sguardo vedevo tavoli occupati da servire e quel giorno eravamo solo in due di turno, io e il figlio del Signor Reyes, quindi ci era toccato un bel tour de force.

Il pomeriggio era trascorso senza che me ne fossi resa conto dato il gran daffare che avevo, ormai mi muovevo come un automa: leggevo l’ordinazione e preparavo quello che c’era scritto. Non c’era nemmeno più bisogno che dessi l’impulso al movimento da fare o che mettessi minimamente in moto il cervello, talmente il lavoro era stato frenetico.

*

In un raro momento di tranquillità mi ritrovai a girovagare con il pensiero facendo strani giri mentali, niente in particolare aveva rapito il mio interesse erano solo vaghe e superficiali riflessioni su questo o quell’argomento.

Mi rifiutavo categoricamente di mettermi a riflettere sulle affermazioni di Chase, non volevo credere alle parole che erano uscite dalla sua bocca. Suonavano talmente false e costruire che mi sembrava inutile perdere del tempo a pensarci anche su, ma c’era una piccolissima parte di me che non riusciva a scrollarsele di dosso. Mi aveva ferita anche se sapevo per certo che sicuramente le sue intenzioni non erano state quelle.

Come ormai mi capitava spesso di fare scacciai quel pensiero relegandolo in un angolino della mia testa, facendo finta che non fosse mai esistito.

«Chiedono di te al tavolo cinque dicono di essere tuoi amici, qui finisco di servire io tu vai pure da loro...» mi informò con tranquillità Javier cogliendomi totalmente di sorpresa, talmente ero presa dalle mie divagazioni mentali che non mi ero accorta della sua presenza.

Quasi saltai per lo spavento facendo tintinnare le due tazze che avevo tra le mani, rischiando di far cadere a terra il liquido bollente che contenevano e frantumarle in tanti pezzi.

Posai sul bancone davanti ai due clienti che avevo di fronte le tazze di caffè ancora fumante, nonostante avessi persi tempo nelle mie banali riflessioni.

Mi pulii le mani sul grembiule che tenevo legato stretto sui fianchi e guardai confusa Javier come a chiedere spiegazioni. Chi poteva cercare di me mentre stavo lavorando? Mai nessuno dei miei amici era venuto a cercarmi mentre ero al lavoro, quindi mi domandai chi potesse essere. Forse Beth aveva fatto una delle sue solite improvvisate nel momento meno adatto.

«Ma chi sono?» provai a chiedere incuriosita con ovvi risultati. Lui per tutta risposta allargò le braccia con aria di chi non sa cosa dover rispondere, mi indicò il tavolo in questione dove intorno c’erano seduti tre ragazzi e se ne andò nel retro.

Decisi di scoprire chi fosse andando a vedere.

Avvicinandomi abbastanza riuscii a riconoscere Tyler con la sua solita espressione sorridente e nel ragazzo di fianco a lui mi sembrò di riconoscere Tim, insieme a loro c’era qualcun altro ma era seduto di spalle rispetto a me, quindi non riuscivo a vederlo in viso.

A meno di un metro di distanza da loro mi bastò poco per capire di chi si trattava e appena si girò verso di me ebbi la conferma che proprio lui, Brian. Con quel suo sguardo blu oceano che mi metteva sempre in imbarazzo e che troppo spesso mi aveva fatta arrossire, quei suoi capelli scomposti ad arte e quel suo sorriso strafottente sulle labbra che non lo abbandonava mai.

Non appena mi vide si alzò in piedi e il gesto che fece subito dopo mi lasciò interdetta, mi abbracciò stringendomi forte a se e in un momento di slancio mi schioccò anche un sonoro bacio sulla guancia.

Non mi sarei mai aspettata una reazione tale proprio da lui, sembrava così genuina e spontanea che non riuscivo ad associare un gesto del genere a uno come lui.

Era da molto tempo che non ci vedevamo e anche io ero veramente contenta di averlo lì, ormai eravamo quasi “amici”, ci sopportavamo abbastanza ma una reazione del genere da lui non me la sarei mai neanche sognata.

Arrossii cercando di nascondere la mia reazione alla sua vicinanza, la sensazione di averlo lì finalmente vicino era piacevole.

Potevo distintamente sentire il suo profumo che avevo imparato a distinguere e lo avrei riconosciuto fra mille. Quell’odore di menta misto a qualcos'altro che non riuscivo ancora a capire era inconfondibile ormai per me.

Le sue braccia intorno a me mi diedero ancora una volta quella sensazione di inattesa protezione che mai nessuno mi aveva fatto provare.

Se avessi potuto non mi sarei staccata tanto presto dal quell’abbraccio, ma ero in un luogo pubblico e la gente mi guardava soprattutto il mio amico.

«Anche io sono contenta di vederti...» sussurrai sorridendo nel suo orecchio mentre ero ancora stretta a lui, in modo da non farmi sentire da altri. Appena potei mi staccai, seppur malvolentieri, da quell’abbraccio recuperando un po’ di distanza tra noi.

Non riuscii a distogliere un attimo il suo sguardo da me anche quando mi allontanai da lui per salutare Tyler e Tim.

«Mi dispiace per quello che ti è successo l’altra sera, sai alla festa...Hunter è stato un vero cretino!» affermò con convinzione Tim, per me quella ormai era una storia chiusa a cui non avrei più voluto pensare. La sua solidarietà mi fece piacere ma preferì sorvolare per quello che mi fu possibile.

«In fondo è andato a finire tutto bene, nessuno si è fatto troppo male e a me va bene così...» affermai con una tranquillità che celava un fastidio al solo pensiero di quella odiosa e viziata ragazza.

«Comunque amico devo proprio dirtelo, gran bella scelta!» disse di punto in bianco ignorando completamente le mie parole e rivolgendosi a Brian.

Di che tipo di scelta stavano parlando? Pensai che me lo sarei fatto spiegare in un secondo momento da Tyler, lui magari avrebbe saputo dirmi l’argomento di cui stavano trattando.

Lo vidi ridacchiare di nascosto e lo guardai con espressione confusa come a voler domandare il motivo di quella inattesa ilarità.

«Non hai capito nulla come al solito, vero?» domandò tranquillamente senza darmi alcuna spiegazione al riguardo.

«No, c’è qualcosa in particolare che dovrei capire?» domandai sempre più confusa non capendo assolutamente niente di quello che stava succedendo.

«Lascia stare lo capirai anche tu prima o poi...» mi consigliò il mio amico ridacchiando e io lasciai correre senza badare troppo alle sue parole che per me non avevano alcun senso.

«Allora cosa vi posso portare?» chiesi con gentilezza cambiando argomento dato che il mio compito lì era proprio quello. Ovvero prendere ordinazioni, non di chiacchierare allegramente anche se mi faceva davvero piacere che fossero lì.

«Potresti prenderti una pausa e sederti qualche minuto qui con noi...» cercò di convincermi Tyler ma scossi energicamente la testa in segno negativo, proprio non potevo accontentare la sua richiesta.

«Non posso prendermi una pausa oggi siamo solo in due...» cercai di scusarmi indicando Javy dietro al bancone, anche se sapevo che non ce n’era bisogno.

«Non puoi neanche per cinque minuti?» mi incalzò Brian, voleva davvero così tanto la mia compagnia? Mi sembrava di essere finita in un universo parallelo, in cui tutto andava al contrario di come era in realtà.

«Dovrai accontentarti del tempo che ti dedico per prendere le ordinazioni, non posso neanche per due minuti davvero...» dissi con rassegnazione nella voce, avrei davvero voluto accontentarlo.

«Dovrai farti perdonare, lo sai?» disse facendo affiorare quel suo sorriso sfrontato alle labbra, gli sorrisi di rimando. Non riuscivo a restare seria con lui che nonostante i suoi modi di fare arroganti, mi prendeva sempre nel modo giusto. Distolsi il mio sguardo dal suo prima di arrossire per l’ennesima volta in sua presenza e presi ad ossevarmi con falso interesse le mie mani.

«Tesoro ho una gran fame, mi porteresti un sandwich con tutto quello che puoi farci mettere dentro e una Coca gigante?» ringraziai mentalmente Tyler per avermi tolto da quella situazione imbarazzante.

Annotai quello che mi aveva chiesto sul palmare che tenevo stretto in mano e restai in attesa che anche gli altri due seguissero il suo esempio per potermi allontanare.

«Avete la torta di mele?» mi chiese Tim e io annuii. «Allora portamene una fetta, anzi facciamo due e un frappè al cioccolato per favore» in maniera diligente annotai tutto prima di dimenticarmene, quei ragazzi mangiavano cibo in quantità assurde. Ma dove lo mettevano poi, restava un mistero che non sarei mai riuscita a svelare.

«Te?» domandai a Brian dopo un po’ cercando in ogni modo possibile di non arrossire di nuovo, di quel passo avrebbe pensato che avessi qualcosa che non andava.

«Il menù è tutto qui?» domandò con aria sfrontata come a voler palesare la sua insoddisfazione al riguardo.

«Si» risposi confusa. Il menù era formato da almeno cinque o sei pagine stampate avanti e retro, mi sembravano sufficienti per trovare qualcosa che si adattasse a qualsiasi tipo di gusto.

«Non avete quello che piace a me però...» affermò infine con malizia nello sguardo.

«E sentiamo cos’è che ti piace che non è previsto dal menù?» chiesi curiosa di capire dove volesse arrivare.

«Te...» lo disse guardandomi con quei suoi occhi così magnetici e le mie guance presero fuoco in un secondo.

«Smettila Brian!» sussurrai cercando di nascondere il mio crescente imbarazzo e di non farmi sentire dagli altri due seduti poco distanti.

In realtà ero sicura che mi avessero sentita ugualmente, dato che già sghignazzavano cercando di nascondersi dietro ai fogli del menù.

Mise le sue mani sui miei fianchi e mi avvicinò a lui, il rossore si estese e ringraziai di avere i capelli sciolti che aiutavano anche se poco a nascondere il colorito acceso delle mie guance.

Tyler pareva compiaciuto da quell’assurda situazione che si erano andata a creare, quasi soddisfatto. «Sul serio cosa ti porto?» chiesi togliendo le sue mani da me e ristabilendo le giuste distanze. Non capivo perché si comportasse in quel modo, sembrava prendere sempre tutto come un gioco. Non dava mai peso ai suoi comportamenti, a volte mi sorgevano dubbi su di lui che questi suoi modi di fare li alimentavano particolarmente.

«Va bene faccio il serio solo per questa volta, ma lo ero anche prima...» affermò mentre ancora divertito ridacchiava tranquillamente, lo avrei preso a schiaffi molto volentieri. «Vorrei due sandwich con formaggio grigliato, uno con bacon, insalata e pomodoro e un altro con tonno e insalata e poi anche un paio con burro d’arachidi e marmellata...» fece una pausa come a riflettere se quella gran quantità di cibo fosse sufficiente a sfamarlo. «Aggiungi anche una bottiglia d’acqua e due milk shake al gusto che preferisci tu...» ordinò ancora forse non del tutto soddisfatto, sembrava dovesse sfamare un orso appena uscito da mesi e mesi di letargo.

«Hai tutta questa fame amico?» mi precedette Tim, facendo la stessa domanda che avrei voluto porgli io, anche se in toni differenti il succo della questione restava identico.

«Ho programmi per questa sera, mi anticipo solo un po’...» disse tagliando di netto il discorso sul nascere. «Puoi mettere il cibo dentro ad un sacchetto Elle? Porto via tutto...» strizzò l’occhio nella mia direzione, ma io non compresi il significato di quel gesto.

Forse aveva solo in programma una serata di studio a casa con Josh o con qualche suo altro compagno di corso. Sperai con tutta me stessa che tutto quello non fosse indirizzato a qualcuna delle sue solite amichette molto espansive.

Solo qualche istante dopo mi resi conto che mi aveva chiamata con il mio nome, era abbastanza singolare che lo avesse usato per una volta. Mi sentii strana a non sentirlo chiamarmi come al suo solito con il nomignolo che ormai mi aveva affibbiato, fu come se qualcosa mancasse. Ad essere onesta e sincera ci rimasi quasi male, lo vidi come un modo carino per allontanarmi.

«Torno tra poco con le vostre ordinazioni...» dissi tornando seria mentre digitavo sullo schermo del piccolo palmare le ultime cose che aveva detto e mandai l’ultima parte dell’ordine in cucina.

Prima che potessi anche solo voltarmi arrivò Javier con il sandwich e la bibita di Ty e la torta per Tim, depositando il tutto davanti a loro.

«Prenditi una pausa, è da oggi che corri da un tavolo all’altro. Ormai la situazione nel locale è tranquilla e posso fare da solo per un po’...» mi disse Javy.

«Ma io sono qui per lavorare, non per...» provai a dire ma non mi lasciò neanche finire di formulare la frase.

«Sono il tuo capo e sono convinto che dieci minuti di pausa non faranno male a nessuno...» mi interruppe a metà della mia frase e prima che potessi obiettare una qualsiasi cosa mi precedette. «Dico sul serio, non c’è problema!» affermò con convinzione.

«Ma sei sicuro? Non voglio approfittare...» iniziai a dire ma non riuscii a finire la mia frase neanche quella volta.

«Sicurissimo, riposati un attimo!» mi esortò.

L’unico posto libero che mi restava di occupare era quello accanto a Brian, dato che Ty e Tim erano seduti l’uno accanto all'altro da un lato del tavolo.

Presi posto a fianco a lui e stargli vicino mi metteva a disagio il più delle volte, notai che era sceso un silenzio davvero imbarazzante e difficile da sostenere. Giocherellavo nervosamente con una ciocca dei miei capelli, cercando di incrociare lo sguardo del mio amico che era totalmente preso dal suo sandwich piuttosto che prestare attenzione a me.

Quel non chiamarmi con il solito nomignolo come fqceva sempre mi pareva un chiaro segnale da parte di Brian e l’avrei dovuto cogliere. Mi portava a pensare che avrei dovuto tirarmi fuori da quella situazione finché ero in tempo per farlo.

Avevo ingenuamente pensato di essere qualcosa di più per lui che una semplice estranea. Un’amica, una confidente, una persona con cui poter parlare liberamente ed aprirsi, invece avevo fatto lo sbaglio più grande che avessi potuto fare. Mi ero illusa, avevo fatto tutto da sola, perché un ragazzo come lui non poteva cambiare in maniera così radicale e interessarsi a me.

Quando riemersi dai miei sproloqui mentali mi accorsi che i ragazzi parlavano tranquillamente fra loro, di football ovviamente.

Notai Tyler poco interessato alla conversazione e molto più preso dal guardare Brian, visto l’interesse con cui lo studiava.

Girandomi nella stessa direzione che fissava Ty mi accorsi di come lo sguardo di Brian fosse fisso su di me e non lo distolse per un secondo neanche quando me ne accorsi. Era profondo come sempre e ogni volta mi faceva sentire nuda ai suoi occhi, come se potesse guardarmi dentro e leggere i miei più intimi pensieri.

Inarcai un sopracciglio con aria confusa e la più totale convinzione che non avrei mai compreso fino in fondo quel ragazzo.

Brian era contraddittorio in ogni sua singola sfaccettatura, non riuscivo a capire la natura del mio interesse nei suoi confronti. Era strafottente, pieno di se e di ragazze pronte a tutto pur di passare il loro tempo con lui. Eppure nel tempo che avevamo trascorso insieme e che ci aveva permesso di conoscerci sembrava cambiato, diverso in qualche modo. Ma non volevo illudermi che questo mio pensiero potesse essere vero, non volevo farmi del male come sapevo sarebbe potuto succedere.

«Hey amico non dirmi che ti ha mangiato la lingua il gatto...» domandò sfrontato Tim a Brian ridendo sguaiatamente, senza un reale motivo. Sembrava averlo colto mentre mi guardava tenendo il suo sguardo fisso su di me e prenderlo in giro per questo. Anche Tim pensava che non ero abbastanza?

«No, non ti preoccupare è tutto ok!» affermò Brian con troppa convinzione nella voce, strizzando un occhio nella direzione di Tim. Davanti ai suoi amici sembrava mostrarsi sempre con una maschera o forse la usava con me, facendomi credere che fosse diverso da come era in realtà. «Pensa agli affari tuoi Tim!» ringhiò Brian come se fosse stato detto qualcosa che non sarebbe dovuto venire fuori e che pareva infastidirlo parecchio. Perché si comportava così quando un attimo prima sembrava felice di vedermi?

«Calmati amico, ho forse detto qualcosa che non dovevo?» sghignazzò in maniera vistosa come a prenderlo in giro pesantemente e con intenzione.

Iniziai a pensare che forse tutto quello scherzare in maniera derisoria doveva avere qualcosa a che fare con me.

Tyler intervenne a quietare gli animi e a mettere finalmente fine a quella schermaglia, ma restò in me ancora viva quella sensazione di essere l’argomento in questione. Brian era arrostito, apparentemente pareva a disagio e non sapeva cosa rispondere, sembrava proprio che si vergognasse. Una domanda mi girava in testa, ero forse io il motivo del suo imbarazzo?

I ragazzi presero a parlare tra loro come se non fosse successo nulla, la mia presenza era quasi praticamente inutile e non capivo l’insistenza con cui mi avevano chiesto di sedermi qualche minuto con loro.

Capì ben presto di non essere poi molto gradita anche se non me ne spiegavo il motivo, nonostante tutto mi impegnai a non far andare a picco il mio umore già abbastanza traballante. Dovevo trovare il più in fretta una scusa che mi avrebbe permesso di allontanarmi da lì, da quei due e dal loro silenzioso prendermi in giro.

«Scusate, ma non posso più trattenermi...» con quella banale scusa tornai al mio lavoro dietro al bancone, senza ascoltare minimamente il mio amico che mi chiedeva di restare un altro po’. Per un attimo nello sguardo di Brian colsi qualcosa di diverso da quello che avevo visto fino a un minuto prima, non riuscii a decifrare cosa fosse e non ci badai.

La calca dei clienti si era andata diradando man mano che il cielo si era andato rischiarando e i raggi del sole erano tornati a splendere, la situazione era tornata calma come al solito.

Qualche minuto dopo essermi alzata dal loro tavolo se ne erano andati tutti e tre insieme dopo aver ricevuto lo strano ordine di Brian.

Solo Tyler era passato a salutarmi lasciandomi un bacio sulla guancia, mentre gli altri due avevano accennato un cenno sbrigativo da lontano. Avrei preferito un comportamento differente almeno da uno dei due, ma non avrei dovuto aspettarmi nulla data tutta la situazione tra noi.

Mancavo poco alla fine del mio turno e non vedevo l'ora di tornarmene a casa mia per stendermi finalmente sul mio morbido letto, a cercare finalmente di dimenticare per quanto mi era possibile, quella giornata così pesante sotto tanti versi.

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