18.
La lezione era iniziata da poco ma a me sembrava già passata un'eternità da quando il professore aveva iniziato a spiegare, ad essere sincera non sapevo neanche quale fosse l'argomento trattato. Se avessi dovuto dire dove si trovava la mia testa, in quale dimensione parallela fosse, non avrei saputo dirlo perché il caos regnava sovrano tra i miei pensieri.
Alla mia attenzione bastava poco o niente per svanire nel nulla e non c'era verso di applicarmi su una qualsiasi cosa, anche la più banale e meno impegnativa che fosse stata. Sembrava come se la mia testa avesse avuto qualcosa che non andava, come se funzionasse solo in un'unica direzione che io cercavo costantemente di deviare, intrattenendola con qualsiasi cosa non si riferiva a quella sera passata insieme.
Il problema era che non c'era verso di prestare attenzione a niente altro, quindi sentivo la testa piena di cose ma era come se fosse stata vuota.
Spesso, forse anche troppo, controllavo il cellulare sperando in un suo messaggio.
Nei giorni passati a volte ci eravamo scritti ma ormai avevamo perso quell'audacia e quella spensieratezza, i nostri messaggi erano innocui più un accertarsi l'un l'altra che tutto andava bene. Forse da una parte era meglio così, avevo bisogno di conoscerlo meglio e raffreddare un po' l'atmosfera che c'era stata tra noi mi avrebbe dato modo di farlo senza correre o affrettare troppo le cose.
Ad un certo punto mentre ero immersa nei miei pensieri, non so come ma la mia attenzione si concentrò sulle parole del professore.
«Elinor, la figlia maggiore, il cui parere era così efficace, possedeva una capacità di comprensione e una freddezza di giudizio che la qualificavano, anche se a soli diciannove anni, a dare consigli alla madre, è le davano la facoltà di contrapporsi, con vantaggio per tutti, all'avventatezza di Mrs. Dashwood che conduceva generalmente all'imprudenza. Aveva un cuore eccellente, e i suoi sentimenti erano forti, ma lei sapeva governarli, una qualità che la madre doveva ancora imparare, è che una delle sue sorelle era risoluta a non imparare mai.»
Riconobbi subito a cosa appartenevano quelle parole, era un romanzo che avevo letto molto volte sempre con un vivo interesse e mi riscossero da quello stato di torpore in cui ero piombata.
La voce bassa e cavernosa del professor Wilson era in contrasto con la dolcezza di quelle parole, ma destavano comunque in me quella stessa sensazione della prima volta che le avevo lette. Ogni altra cosa scomparve ai miei occhi, come se non ci fosse mai stato altro a turbare i miei pensieri e ogni singola molecola del mio corpo era protesa all'ascolto.
Cercavo di capire di cosa si stesse parlando in particolar modo, dato che non avevo ascoltato neanche metà di quella che era stata la lezione e mio malgrado in un secondo momento avrei comunque dovuto recuperare.
Dal quel poco che riuscivo a capirne il largo discorso del professore trattava della tematica portante dell'intero romanzo. Quell'argomento rispecchiava in tutto la mia situazione e mi faceva sentire presa in causa in prima persona. Il contrasto tra la razionalità di Elinor e l'emotività di Marianne era la perfetta rappresentazione della "guerra" che mi imperversava dentro, rendendo confuso e scuotendo il mio animo.
«Il romanzo è un chiaro tentativo di esaminare con cura di particolari e in maniera approfondita le due sorelle, ma ad un certo punto succede qualcosa che fa traballare tutto. La scrittrice non è più certa chi deve far prevalere tra la ragione e il sentimento» fece una pausa. Scrutò ogni singolo centimetro dell'aula come a verificare che tutti gli stessero prestando il giusto ascolto. «Chi sa descrivermi la figura di Marianne? Dovreste saper rispondere tutti dato che ve ne avevo assegnata la lettura tempo fa...»
«Era generosa, amabile e interessante; era tutto, eccetto che prudente» le parole mi uscirono da sole senza che io potessi fermarle e appena le pronunciai me ne pentii subito. Gli occhi di tutti i presenti erano puntati su di me, non ero solita partecipare in maniera così attiva interloquendo con il professore ma ormai era fatta e non potevo tornare indietro. Anche lo stesso signor Wilson parve particolarmente stupito della cosa e non se lo fece ripetere due volte dal continuare ad interagire con me, approfondendo meglio l'argomento.
«Scelta interessante la sua signorina Martin, ha scelto di usare le esatte parole della Austen» fece una pausa ad effetto come per riflettere su come continuare. «Mi motivi le sue ragioni...» non appena finì di pronunciare quelle parole avevo già in mente la risposta giusta da dargli.
«Quelli che non sanno cosa sia soffrire possono essere orgogliosi e indipendenti, possono resistere agli oltraggi o ricambiare le mortificazioni. Io non posso. Io devo soffrire, mi devo disperare, e che tutti quelli che vogliono godere di questo siano i benvenuti» quelle parole rispecchiavano in pieno la natura di Marianne e il professore parve compiacersi della mia scelta. «Marianne trae conforto dal suo dolore e sembra addirittura alimentarlo, una persona razionale non avrebbe reagito in questa maniera anzi avrebbe fatto tesoro dell'insegnamento ricevuto e sarebbe andata avanti, invece a lei crogiolarsi nel dolore e immolarsi a donzella ferita piace molto» continuai a spiegare questa volta però con parole mie senza scomodare la Austen. Farlo mi veniva semplice dato che anche io avevo fatto lo stesso, trincerandomi dietro un muro di silenzio per non non mostrare a nessuno i miei malesseri e avevo continuato ad alimentarlo finché non avevo deciso di dover andare oltre. Anche io ero stata come lei in parte, mi augurai solo di non essere sembrata troppo melodrammatica.
«Mi parli di Elinor...» mi spronò a continuare in quello che ormai sembrava essere diventato un interrogatorio e io l'accusata che cercava di difendersi con i pochi mezzi che aveva.
«Sempre rassegnazione e sopportazione, sempre prudenza e onore, e dovere. Elinor dov'è il tuo cuore?» mi comparve un mezzo sorriso sulle labbra, le parole che avevo scelto in parte sembravano celare un filo d'ironia. Pareva la descrizione perfetta di una persona assai noiosa ma Elinor era interessante a modo suo, proprio come me. Non ero sempre frizzante e non ero il ritratto della solarità ma le persone a me care e vicine mi apprezzavano per quella che ero, senza avvertire il bisogno di cambiarmi.
Rivedevo molto di me in quelle due personalità così opposte ma alla fine anche così simili, erano le due facce della stessa medaglia e senza l'una non poteva esistere l'altra. Ero completamente divisa e sentirmi così non mi piaceva, la testa la pensava in un modo mentre il cuore in un altro, chi dei due avrei dovuto ascoltare? A chi dei due avrei dovuto dare maggiore credito?
«È l'amore un capriccio od un sentimento?» mi domandò a bruciapelo il professor Wilson, interrompendo ancora una volta il flusso libero e vivace dei miei pensieri. Rimasi confusa non comprendendo subito appieno il senso di quelle parole, forse voleva solo sapere cosa ne pensavo al riguardo. Poi ricordai come se avessi appena aperto gli occhi e mi tornò alla mente quella frase, faceva parte del romanzo e quindi non era una vera e propria domanda.
«No, è immortale come la verità incorrotta. Non è un fiore che si sfoglia quando la gioventù cade dal gambo della vita poiché crescerà persino in regioni aride dove non scorre acqua né un raggio di speranza inganna le tenebre» mi affrettai a rispondere e dissi tutto in un solo fiato per paura di dimenticarmene. Appena pronunciai quella frase ne capii il significato, avevo sempre avuto la soluzione al mio dilemma davanti a me e non l'avevo mai afferrata davvero.
L'amore era più forte di tutto e non perdeva il suo valore o la sua bellezza con il solo scorrere del tempo e si espandeva ovunque, anche nei luoghi più inaspettati dove non riusciresti mai a credere di poterlo trovare. Soprattutto nelle persone che credevo in un modo ed erano invece in un altro, che usavano una maschera per nascondere le proprie debolezze.
Non volendo il professore con la sua insistenza mi aveva aiutata a trovare le risposte che tanto avevo agognato di trovare. Avrei dovuto usare la razionalità aspettando con pazienza di capire cosa aveva in serbo il futuro per me e solo dopo avrei potuto lasciarmi trasportare dal cuore e dai sentimenti che nascondevo al sicuro dentro di me.
«Molto bene signorina Martin, grazie della partecipazione inaspettata» pensai che avrei dovuto ringraziarlo io per le risposte che mi aveva aiutato a trovare, anche se era beatamente inconsapevole di questo fatto.
La spiegazione durò ancora parecchio ma questa volta con maggiore tranquillità interiore ascoltai ogni cosa per filo e per segno con rinnovato interesse, non più schiacciata dai miei pensieri. Sentivo una piacevole sensazione di leggerezza anche se la mia testa era ancora sintonizzata a quella sera passata insieme, avrei voluto proprio sapere quale peso attribuiva lui a tutto quello che era successo tra noi, ma forse era meglio restarne all'oscuro per non restarne delusi.
*
Come al solito dopo aver seguito le lezioni del mercoledì mi aspettava il turno pomeridiano al lavoro, non avevo particolare fretta di andarmene perché avevo ancora un'abbondante ora libera prima di dover andare. Mentre mangiavo in mensa insieme a Beth e Maddy lo avevo cercato inutilmente con lo sguardo sperando di incrociarlo ma di lui non avevo visto neanche l'ombra, alla fine non aveva più senso che continuassi a sperare di vederlo.
Iniziavo a sospettare che cercasse di proposito di evitarmi, non riuscivo a trovare un altro motivo plausibile per questa sua scomparsa. Magari aveva solo trovato qualcuna più interessante con cui fare "amicizia" e mi riproposi di non lasciargli l'opportunità di farmi del male. Con il suo comportamento a volte talmente dolce era facile affezionarmi e il legame che sentivo con lui non aiutava affatto ad allontanarlo come avrei fatto meglio a fare.
In cuor mio sapevo bene che prima o poi uno dei suoi comportamenti mi avrebbe ferita, cos'altro si poteva pretendere da un tipo come lui? Il problema reale ero io che come una sadica continuavo a sentirlo, ad avvicinarlo a me sempre di più. Facevo tutto questo perché sapevo che anche impegnandomi molto non ci sarei riuscita ad allontanarlo da me, almeno finché non avrebbe fatto qualcosa di irrecuperabile.
Mi dirigevo a passo spedito verso la mia macchina completamente sovrappensiero persa nei miei monologhi mentali, quando mi parve di sentire qualcuno chiamare il mio nome. Quella voce aveva un che di familiare così mi fermai all'istante per accertarmi che non fosse solo la mia fervida immaginazione.
All'improvviso sentii una mano stringermi con delicatezza una spalla da dietro, ma come cercai di girarmi mi ritrovai gli occhi coperti da due mani forti. Inizialmente pensai che potesse essere Brian o forse più semplicemente lo speravo e basta, mi era mancato molto anche se non l'avrei mai ammesso davanti a lui.
Quello che sentii però non fu il suo profumo che ormai avevo imparato a riconoscere e le mani sul mio viso non mi trasmettevano quella solita scarica come facevano di solito.
«Chi sei?» domandai a quel punto incuriosita di capire chi fosse, di sicuro lo conoscevo per prendersi tutta quella confidenza.
«Allora? Non mi riconosci?» mi chiese quella voce e dal tono sembrava stesse sorridendo «Non ti sarai già dimenticata di me...» mi rimproverò con voce canzonatoria e venne da sorridere anche a me, quella situazione era davvero assurda.
Toccai le mani cercando di riconoscerle erano grandi, lisce al tatto ma avvertivo anche dei calli, purtroppo per quanto mi sforzassi non mi dicevano proprio nulla.
Non esercitavano molta pressione sul mio volto così le sposati delicatamente e finalmente mi voltai indietro, di fronte a me c'era un sorridente Chase con le sue solite fossette a fare capolino.
«Scusami, non volevo spaventarti...» aveva un'espressione così dolce e tenera che non mi sarei potuta arrabbiare con lui vedendolo così.
«Tranquillo, non preoccuparti non mi hai spaventata...» riuscii solo a dire arrossendo, il suo sguardo su di me era così intenso che abbassai il mio in evidente difficoltà. Con dolcezza mi sollevò il viso sfiorandomi piano il mento e i miei occhi tornarono a guardare di nuovo nei suoi.
«Hey!» disse in tono suadente avvicinandosi sempre di più a me, tanto che potevo sentire il suo respiro sulla mia pelle e mi parve di cogliere dell'agitazione in lui ma non avrei potuto dirlo con assoluta certezza.
Tremavo al pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se avesse deciso di colmare quella poca distanza che era rimasta tra noi a dividerci. Mi allontanai con delicatezza per non ferirlo facendo semplicemente qualche passo indietro, ristabilendo tra noi la giusta distanza.
«Hey...» fu l'unica cosa che riuscii a dire tanto ero in imbarazzo.
«È un sacco di tempo che non ci vediamo io e te...» sapevo che aveva ragione e annuii con la testa in risposta, l'ultima volta che l'avevo visto era stato a quella stupida festa dove avevo rischiato di annegare. «Sai io e te abbiamo ancora quel caffè in sospeso, ricordi?» domandò distogliendomi dai miei pensieri e cogliendomi completamente di sorpresa. Mi sentivo in obbligo con lui per come ero scappata via senza dare nessuna spiegazione quando avevo visto Brian insieme a Victoria, scacciai dalla mente quel ricordo scomodo da accettare, in fondo non era quello il momento giusto per rifletterci.
Passare del tempo in compagnia di Chase era abbastanza piacevole da poter essere replicata, i suoi modi di fare sempre gentili e accorti mi piacevano molto.
«Hai un po' di tempo per me ora?» propose, avevo abbastanza tempo per prendere un caffè in sua compagnia in quel momento, quindi gli sorrisi annuendo in maniera affermativa.
*
Già da un po' eravamo seduti ad un tavolo della caffetteria del campus chiacchierando in tutta tranquillità del più e del meno, davanti a me avevo una tazza di caffè fumante con cui giocherellavo spesso quando i suoi sguardi diventavano più insistenti e mi facevano arrossire.
«Sei molto bella sai...» esordì di punto in bianco mentre stava parlando dell'ultima partita di football a cui ero andata e io lo ascoltavo distrattamente. «Trovo adorabile il tuo modo di perderti in un mondo tutto tuo, potrei guardarti per ore senza stancarmi mai. Hai un'espressione così serena e dolce, mi piace vederti in questo modo...» arrosii violentemente più di quanto non avevo già fatto fino a quel momento. Aveva ragione, ad un certo punto mentre parlava avevo perso del tutto il filo del discorso smettendo completamente di ascoltarlo.
«Scusami tanto non volevo essere così maleducata, non l'ho fatto apposta...» cercai di giustificarmi come meglio potei ma non avevo nessuna scusa per essermi comportata in quel modo talmente villano.
«Scusami tu, sono stato troppo diretto ma era già un po' che ti guardavo e non sono riuscito a trattenermi» era stato davvero premuroso da parte sua non farmi sentire in colpa, mi sfiorò una guancia con una carezza e lo lasciai fare. «Sei perdonata...» gli fui grata per la sua comprensione.
Guardandolo da fuori avrei pensato che fosse stato più simile a un tipo come Logan, anche se meno intraprendente di lui, però mi ero sbagliata ancora una volta a trarre le mie conclusioni. Invece era stata attento anche al minimo particolare e aveva quel sorriso sempre sulle labbra, sarebbe stato il ragazzo perfetto se non avessi avuto la testa presa da altro. Era diverso dagli altri ragazzi che avevo conosciuto per quel poco che avevo potuto vedere, ma non avrei mai pensato fino a quel punto e non mi sarei aspettata quelle parole così dolci da lui.
Sembrava avermi osservata parecchio senza che io me ne accorgessi minimamente, dovevo ammettere però che le sue attenzioni mi facevano piacere, qualsiasi altra ragazza le avrebbe di certo apprezzate. Per quel che ne sapevo potevano anche essercene delle altre a cui si rivolgeva in quello stesso modo, non potevo saperlo e di sicuro anche se fosse stato così, lui non me lo avrebbe detto di certo.
Per me non era così importante saperlo, il mio interesse non era forte a tal punto e non mi rendeva curiosa da volerlo scoprire.
Beth di sicuro mi avrebbe dato della pazza a non assecondarlo ma io avevo paura in qualche modo di restare nuovamente ferita e quindi mi tenevo a distanza costruendo un muro intorno a me. Per di più che non lo ricambiavo alla sua stessa maniera.
Quella situazione che si era venuta a creare mi metteva in imbarazzo, ma potevo fare poco o niente per togliermi dall'impaccio e non riuscivo neanche a trovare una cosa da dire.
«Sono un vero cretino scusami, ti ho messa in imbarazzo perché non sono riuscito a stare zitto...» era evidente quanto fosse dispiaciuto ma io proprio non sapevo cosa dire per uscire da questa situazione. Tolse la mano che fino a quel momento aveva accarezzato la mia guancia e mi dispiacque molto quando lo fece, pareva frustrato dalla mia assenza di una reazione. «Ogni volta che ti ho vista eri sempre insieme a Brian e mi da fastidio che lui possa avere tutto ciò che vuole nonostante i suoi comportamenti» quelle sue parole mi resero confusa, cosa c'entrava Brian in quel frangente? Era solo una sfida a chi mi sarei concessa, la loro? In cuor mio speravo davvero che non fosse così, ma questo mi spinse a parlare. Volevo che mi chiarisse meglio quello che aveva detto appena pochi secondi prima.
«Sono solo un trofeo da esibire?» chiesi indignata.
«Scusa non fraintendere le mie parole, volevo solo dire che Brian non ti merita perché lui usa sempre tutte e non voglio che lo faccia anche con te...» tirai un sospiro di sollievo, le sue spiegazioni mi calmarono abbastanza da tornare a ragionare in maniera lucida. «Io vorrei solo avere un'occasione con te, vorrei che fossi mia e non sua...» mia? Sua? Ma cosa credeva in quella sua testa che fossi un oggetto con cui poter giocare? Questo mi faceva arrabbiare ancora più di quello che aveva detto in precedenza, non capivo per chi mi avesse presa.
«Tua? Sua? Scherzi vero? Come puoi dire una cosa del genere!» ero davvero incredula per quello che avevo dovuto ascoltare.
«Scusa! Più parlo e più faccio peggio non riesco a esprimermi come vorrei...» gli feci cenno di continuare, dandogli modo di spiegarsi. «Volevo solo dire che lui non mi sembra il tipo giusto per te, sei così dolce e tenera e mi viene d'istinto proteggerti. Sento di doverti avvertire non per interesse personale o almeno non solo» abbozzò un sorriso per sdrammatizzare, sembrava sincero e messa così era tutta un'altra cosa rispetto a quel ragionamento pessimo di poco prima.
Gli sorrisi in maniera incoraggiante ma quelle sue parole mi fecero scattare qualcosa dentro, come un campanello d'allarme. Perché si comportava in quella maniera se non per screditare Brian ai miei occhi? Non mi era mai piaciuto chi usava questi mezzucci e volli concedergli il beneficio del dubbio, almeno finché non avrei constatato le cose con i miei occhi.
«Non preoccuparti, facciamo finta che queste incomprensioni non ci siano mai state» dissi per toglierlo una volta per tutte da quella situazione.
«Si scusa! Te ne sarai accorta anche da sola di come si comporta con le ragazze, le usa finché non se ne stanca e poi passa ad un'altra, te per lui saresti uno sfizio e gli fai molta gola con questo tuo modo di fare. Sei così ingenua e quando lo respingi lo attrai ancora di più, non lo dico per sminuirti solo per metterti in guardia su di lui...» annuii volendo credere nella sua buona fede ma era davvero dura farlo, non mi importava di chi stesse parlando ma odiavo a priori questo modo di fare.
«Non preoccuparti» lo rassicurai cercando di passare sopra alle sue parole.
«Non dovrei essere io a dirtelo, ma penso sia giusto che te lo sappia...» ancora una volta cercava di insinuare in me il dubbio, perché? Era meglio andare in fondo a questa questione mi sarei schiarita le idee, non su Brian che fin'ora mi aveva dato modo di fidarmi di lui, ma su Chase che pareva voler screditare il suo amico fino in fondo.
«Ti ascolto...» gli dissi in maniera cordiale senza perdere il mio buonumore.
«Brian e Victoria hanno un legame particolare, lei gli permette di divertirsi un po' in giro perché tanto è sicura che lui ritornerà sempre. Non la lascerà mai per niente al mondo, l'ha detto lui stesso qualche giorno fa...» ogni mia convinzione svanì e lo guardai confusa e spaesata, mi sforzai di restare lucida e non dargli la soddisfazione di vedermi crollare. Non volevo credergli e scacciai subito via i pensieri che si andavano pian piano formando dentro la mia testa.
«Non capisco perché mi dai tutte queste spiegazioni che non mi interessano affatto, io e Brian siamo solo amici e lui può fare quello che vuole per quanto mi riguarda» dissi cercando di ostentare una tranquillità e una sincerità che in quel momento non mi appartenevano.
«Dimmi una cosa e rispondi con sincerità per favore» mi colse di sorpresa, non sapevo più cosa aspettarmi che dicesse e questo mi rendeva particolarmente nervosa. Gli feci cenno di continuare con quello che aveva da dire. «La sera che sei scappata dalla festa e non volevi spiegare a nessuno quello che ti era successo, hai visto loro due insieme vero?» mi prese in contropiede, mai mi sarei aspettata che tirasse fuori questa storia di cui ormai tutti parevano essersene dimenticati. Ricordavo anche fin troppo bene quella sera ma non mi ero confidata con nessuno, quindi mi chiesi come lui poteva saperlo. «Il tuo silenzio è inutile, lo sai vero? Non mentirmi, ti ho chiesto sincerità. Io lo so perché li ho visti uscire insieme da una stanza e te eri andata a cercare il bagno e poi ti ho trovata sconvolta, ho solo dovuto collegare le due cose e ho trovato la soluzione» spiegò con calma.
«Io non...» balbettai senza riuscire a finire il concetto, non sapevo come giustificarmi e tirarmi fuori da questa storia. Non volevo che qualcuno sapesse, meno che mai Chase. Lui era sempre così gentile e non volevo che mi guardasse con occhi diversi per quel motivo, non volevo che qualcuno mi guardasse con pietà e mi compatisse. Stavo quasi per crollare davanti a lui mettendomi a piangere, ma con la poca forza di volontà che mi rimaneva le ricacciai indietro con convinzione.
«È proprio questo che volevo evitare, so quanto Brian possa essere convincente ma la sua è solo una tattica che usa con tutte. Non voglio ferirti dicendoti queste cose, solo metterti in guardia perché a te ci tengo davvero...» quelle parole le disse in un modo che mi sembrò realmente preoccupato, così sincero e genuino che mi risultò impossibile non credergli senza riserve.
In cuor mio avrei voluto non credere alle sue parole, la mia testa però mi diceva che poteva avere ragione e tirarmi indietro ora mi avrebbe risparmiato una sofferenza inutile. Mi sentii divisa in due, avrei dovuto ascoltare quello che mi diceva la testa e allontanarmi da lui finché ero in tempo, in fondo avevo sempre nutrito dei dubbi su Brian. Ma quel muscolo che batteva in mezzo al mio petto mi diceva altre cose che la ragione non poteva controllare e che non poteva cancellare, mi impediva di dimenticarlo.
«Forse dovresti sapere cosa si sono detti quella sera, lo dico per il tuo bene così potrai aprire gli occhi su di lui e prendere la decisione giusta...» mi offrì l'opportunità di sapere, ma non era giusto che succedesse in questo modo.
«Perché dovrei ascoltare quello che dici e prenderlo per vero? Conosco te come conosco lui, ne più ne meno e sono abituata a capirlo da sola come sono fatte le persone, non mi baso sul giudizio altrui» non sapevo dove avevo trovato il coraggio di contraddirlo, io volevo valutare da sola anche sbagliando e prendendomene poi le conseguenze.
Iniziavo a stancarmi della sua insistenza, comprendevo i buoni propositi e le buone intenzioni con cui venivano dette queste cose ma non ne potevo più e sentivo il bisogno impellente di allontanarmi da lì, tanto più che dovevo andare a lavorare. «Ti ringrazio per quello che cerchi di fare, davvero. È molto dolce da parte tua cercare di proteggermi, ma ti assicuro che so farlo anche da sola» dissi tutto d'un fiato abbozzando un sorriso per nascondere la mia crescente irritazione, sinceramente non capivo per quale motivo Chase si fosse comportato in quel modo.
Mi scusai con lui in maniera educata ma si era proprio fatto tardi e io avrei dovuto andarmene, cercò si trattenermi ma non potevo proprio restare. Non potevo permettermi di saltare il lavoro ne per lui ne per nessun altro e rischiare di perderlo era impensabile per me.
Uscimmo dalla caffetteria che tra noi regnava un silenzio davvero imbarazzante e la distanza tra noi sia fisica che mentale era più che tangibile, chiunque se ne sarebbe accorto. Percorsi la strada fino alla mia macchina con gli occhi bassi a guardare per terra, mi imbarazzava la sua presenza ma dirgli di lasciarmi sola mi era sembrata una cosa inopportuna.
Davanti allo sportello della mia auto iniziai a giocherellare con le chiavi per prendere tempo, non sapevo come comportarmi con lui.
Ero indecisa se salutarlo in maniera sbrigativa e togliermi da ogni imbarazzo il più in fretta possibile o se cercare di chiarire in qualche modo la situazione che si era venuta a creare. Chiunque avrebbe cercato di chiudere quella storia il prima possibile, ma io non ero come gli altri e volevo dargli l'opportunità di spiegarsi. Non volevo credere che l'avesse fatto per interesse personale, sperai che l'avesse fatto davvero perché voleva il mio bene in fondo si conoscevano meglio di quanto potessi conoscerli io. Erano amici e non volevo saperne di pensare che avesse detto quelle brutte cose motivato solo dai suoi interessi. Se fosse voluto risultare il migliore ai miei occhi non era quello il modo per farlo, avrei preferito di gran lunga che mi parlasse di se facendo uscire i suoi lati migliori e anche quelli peggiori. Non gli serviva parlare male alle spalle di una persona, per far si che diventassi sua amica.
«Io...»
«Scusa...»
Parlammo nello stesso esatto momento facendo accavallare le nostre voci l'una sull'altra e così vidi il suo viso cupo aprirsi in un bel sorriso, il ghiaccio tra noi era rotto torto e si era creata la situazione giusta per potersi chiarire.
«Parla prima te, scusami...» mi offrì la parola ma volevo prima sapere cosa aveva lui da dirmi, magari mi avrebbe spiegato il motivo di quella sua infelice uscita.
«No, parla prima te. Vorrei sapere cosa hai da dirmi...» lo incoraggiai a parlare.
«Volevo solo chiederti scusa per il mio comportamento di prima e soprattutto per le cose che ti ho detto, non spettava a me dirltele. Avrei dovuto lasciare che le capissi da sola con il tempo e che valutassi da te invece di immischiarmi senza motivo. Ora non vorrai nemmeno più saperne di me, mi sono comportato da vero cretino...» ammise cauto e mi fece piacere questa sua ammissione, in quel momento riconobbi il ragazzo che ricordavo di aver conosciuto e che avevo trovato molto piacevole. Mi venne da sorridere ma non di lui solo dei suoi modi da uomo delle caverne, mi faceva piacere che si fosse impegnato tanto per farmi credere che lui fosse il meglio per me ma non il modo in cui l'aveva fatto.
«Io volevo solo dirti che non c'era bisogno di tutto questo per fare colpo su di me, mi piaci di più quando sei te stesso...» gli rivelai con un filo di voce e le mie guance si tinsero del solito colorito rosa acceso.
«Quindi magari potrei invitarti a cena un giorno di questi?» domandò speranzoso e insieme al suo sorriso comparvero anche quelle belle fossette che tanto mi piacevano.
«Puoi chiedermelo Chase ma andiamo piano per favore, io quasi non ti conosco...» non volevo dargli false speranze ma neanche negargli nulla, ancora non avevo chiaro cosa potesse essere per me Chase e non volevo scoprirlo in quel momento.
«Grazie» mi disse avvicinandosi pericolosamente al mio viso e iniziai a preoccuparmi che non avesse capito bene le mie parole, invece mi abbracciò soltanto lasciandomi un morbido bacio su una guancia. Questo suo modo di fare sempre rispettoso mi piaceva molto e non capivo cosa ci fosse in lui che mi frenasse, il tempo avrebbe chiarito ogni cosa quindi non me ne preoccupai più di tanto.
«Però sai se non mi lasci il tuo numero dovrò aspettarti nel parcheggio del campus sperando di incontrarti, ma se vuoi così per me va bene...» non avevo proprio pensato a questo dettaglio e aveva ragione, come mi avrebbe trovata se non sapeva neanche dove abitavo?
Recuperai una penna dalla mia borsa e gli scrissi il mio numero di cellulare sul palmo della mano per fare prima, lo salutai mentre mi allontanavo con la macchina e frettolosamente corsi al lavoro che mi stava aspettando.
#AngoloAutrice
Volevo scusarmi per l'enorme ritardo nella pubblicazione, pubblicherò nel meno tempo possibile il prossimo capitolo per farmi perdonare.
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