1.
Gli occhi non ne volevano sapere di chiudersi un altro po'. La sveglia poggiata sul comodino segnava le sette del mattino, era ancora troppo presto e non avrebbe suonato prima di un'ora e mezza. La mia prima lezione era alle nove quindi restai accoccolata sotto le coperte a fissare il soffitto, con la trapunta tirata fin sotto il mento.
Ero troppo agitata. La chiamata di mio padre il giorno prima, era riuscita a scombussolarmi come succedeva sempre. Per lui ogni motivo era buono per creare discussioni, purtroppo era il suo modo di fare da qualche tempo.
La sua missione sembrava quella di riportarmi a casa usando qualsiasi mezzo, sia con le buone che con le cattive.
Ormai ero maggiorenne, poteva fare poco al riguardo e poi dopo aver avuto un assaggio di libertà non ci avrei più rinunciato. Nonostante i sacrifici fossero molti e a volte anche faticosi, li avrei accettati tutti di buon grado.
Frequentavo il secondo anno di università, ma mio padre non si arrendeva all'idea di avermi lontano o molto più probabilmente voleva precludermi l'occasione di imparare a camminare con le mie gambe. A volte pensavo che avrei dovuto essere una figlia migliore, restandogli accanto senza desiderare altro è aiutandolo per quanto mi era possibile.
Lui era stato presente per me quando avevo avuto più bisogno di lui? Quando mai si era comportato da bravo padre con me? A voler essere sinceri, quando mai si era comportato da padre? Mai una volta da quando io potevo ricordare si era preoccupato di ascoltarmi, di capirmi. Mi mortificai di avere un'opinione così bassa di lui, era pur sempre una parte dell'unica famiglia che mi restava. Ma non parlavo per rabbia, purtroppo era la dura verità, per anni avevo trovato mille scusanti per i suoi comportamenti nei miei confronti, a lungo andare però mi ero stancata di farlo. Volevo un padre normale, nella media, esattamente come quello delle mie compagne di scuola: amorevole, affettuoso, che a volte giocava con loro, che più semplicemente mi rimboccasse le coperte quando andavo a dormire, oppure che mi leggesse una semplice storia.
All'età di cinque anni, sapevo già leggere come una bambina di sette e mi piaceva farlo. Mio fratello Thommy, che aveva cinque anni più di me, a volte mi leggeva delle favole per farmi addormentare ed era la cosa che preferivo in assoluto, oltre a quando era la mia mamma a farlo. A nove avevo smesso di credere nel lieto fine delle favole, anche se mi confortavano nei giorni più tristi. A tredici leggevo libri impensabili da comprendere per la mia età, trovandoli davvero interessanti.
Leggere era per me l'unico modo in cui distrarmi da una realtà troppo dolorosa, per essere accettata in quel momento. Per riuscire ad estraniarmi dal mondo che mi circondava, per credere ancora che la mia vita non era cambiata così repentinamente come invece era successo.
Le storie per me erano un modo per viaggiare con la fantasia, per estraniarmi dal presente; tutte cose inusuali per una bambina di quell'età.
Volevo un padre su cui poter contare, da avere come punto di riferimento, come esempio, da considerare il mio eroe personale. Che fosse la mia roccia, il mio punto d'appoggio sicuro, invece era troppo preso dalle sue cose per badare ad una bambina che cresceva e lo faceva senza di lui, senza il suo affetto.
I miei fratelli per anni avevano colmato le sue mancanze e lo avevano fatto al meglio delle loro possibilità, tenendo sempre conto che erano dei bambini anche loro, benché avessero qualche anno in più di me. Io gliene sarei stata riconoscente per sempre, se non ero una persona arrabbiata col mondo, se non avevo perso la gioia di vivere, la stima e la fiducia nelle persone dovevo dire grazie a loro.
Dopo l'ultimo anno di liceo, mi ero presa del tempo per riflettere e per decidere cosa fare del mio futuro, chi essere davvero senza limitarmi. La decisione finale era stata quella di andarmene.
Volevo allontanarmi il più possibile da quella casa dove ero rimasta sola dopo la partenza dei miei fratelli.
Volevo le opportunità che avevo sempre sognato per me: ricominciare una vita nuova. Scegliere da sola, giusta o sbagliata che fosse la mia decisione, nessuno avrebbe più scelto per me, solo io avrei potuto farlo. Avrei ascoltato i consigli altrui, certo, ma la scelta sarebbe stata sempre e solo la mia. Volevo l'opportunità di scegliere chi essere senza badare al giudizio della gente, non volevo più vedere la compassione negli occhi delle persone che mi circondavano, mi irritava. L'opportunità che volevo per me, era quella di allontanarmi il più possibile da quella che non era più casa mia. Allontanarmi dai brutti ricordi del passato.
La mia decisione era stata irremovibile e i miei fratelli mi avevano sostenuta a spada tratta, non era stato facile arginare mio padre, ma mai una volta avevano tentennato.
Thomas e Travis erano davvero dei fratelli fantastici e anche il mio rapporto con loro lo era. In particolar modo con Trav, visto che avevamo solo un paio d'anni di differenza. Non eravamo solo fratello e sorella, eravamo anime affini, complementari fra loro.
Nonostante alle volte da bambino fosse stato dispettoso, o anche da grande quando era stato troppo protettivo nei miei confronti, non ci aveva mai diviso un litigio, mai niente avrebbe scalfito il nostro legame.
Controllando l'orologio, notai che avevo passato mezz'ora nelle mie divagazioni mentali e il sonno non era tornato. Era meglio alzarsi e fare una doccia calda e rilassante.
*
Lasciai che l'acqua mi cullasse con il suo piacevole tepore, portando via con se buona parte dei miei pensieri negativi. Era così calda e deliziosa che sarei potuta restare lì sotto per sempre.
Uscii solo quando la sentii intiepidirsi sulla pelle.
Dedicai molto tempo ad asciugarmi i capelli, impegnandomi più del solito creai morbide onde, facendo in modo che ricadessero composte sulla mia schiena.
Una volta asciutta, indossai una gonna blu svasata, sopra alla mia camicetta preferita. Era bianca di un tessuto talmente morbido e fino da non sentirlo quasi addosso.
Mentre lavavo i denti, mi guardai nello specchio sopra il lavandino e rimasi a osservai a lungo.
Sin da piccola mi ero sempre vestita come le bambole con cui giocavo, forse perché erano state l'unico riferimento femminile a mia disposizione.
Non avevo ancora deciso se fosse un bene o un male a dire la verità.
Mi truccai appena, giusto un filo di gloss trasparente sulle labbra e del mascara sulle ciglia.
Prima di uscire dalla stanza, infilai un paio di ballerine ai piedi e recuperai un cardigan, dato che l'aria della mattina era sempre fresca. Afferrai anche la borsa poggiata in fondo al letto e scesi al piano di sotto.
La casa era ancora immersa nel silenzio più totale, segno che ero l'unica ad essere già sveglia. Cercai di fare meno rumore possibile quando richiusi la porta di casa dietro di me uscendo.
*
La caffetteria vicino al campus, non era poi tanto grande ma molto accogliente, con i muri di color avorio, inframmezzati da stampe in bianco e nero che ricordavano una Parigi d'altri tempi. Con la parete dietro il bancone rivestita da un motivo damascato dal gusto un po' retrò. Il suo colore rosso dava un tono sofisticato al locale, insieme ai suoi tavoli di legno scuro con le poltroncine di pelle imbottite al posto delle classiche sedie.
Aveva tutta l'aria di un classico ed elegante bistrot francese.
Entrando nella caffetteria mi misi in fila dietro al bancone, non c'era ancora molta gente all'interno data l'ora. Solo alcune persone in fila davanti a me che aspettavano di essere servite e un unico tavolo in fondo alla sala era occupato. Aspettai con pazienza il mio turno, buttando spesso un occhio alla commessa dietro al bancone, la ragazza davanti a me ordinò un cappuccino con fragole, crema e doppia panna. Solo il pensiero di un abbinamento del genere, di prima mattina mi faceva rabbrividire da capo a piedi. Non tanto per le eccessive calorie che conteneva, mi chiesi come si potevano bere certe cose a colazione?
Io ordinai il mio solito espresso macchiato, con latte alla vaniglia da asporto. Dopo aver pagato, mi avviai verso l'uscita e senza accorgermene andai a sbattere contro qualcosa, pensai di aver sbattuto contro un muro ma era troppo soffice per esserlo e poi non c'erano muri in mezzo al locale.
Quando sollevai lo sguardo vidi due occhi fissi nei miei, erano di una sfumatura di blu talmente intenso da assomigliare allo stesso identico blu dell'oceano ed io in quell'oceano mi persi, come un naufrago alla deriva in mezzo a una tempesta.
Non avevo mai visto un colore d'occhi del genere e ne restai ammaliata, sembravano due zaffiri splendenti. Il suo sguardo sfrontato, sembrava potermi guardare dentro e leggere i miei pensieri più intimi.
Le sue labbra si incurvarono in un sorriso spavaldo e dannatamente sexy. Avevo davvero definito sexy il suo sorriso? Ma cosa andavo a pensare. Arrossii per i miei pensieri audaci.
Eravamo molto vicini, troppo, sentivo il suo alito fresco sfiorarmi la pelle del viso e non mi faceva ragionare in maniera lucida. Percepivo un buonissimo odore di menta e anche di qualcos'altro che non riuscii ad afferrare in quel momento. Avevo il volto sulla sua maglia che sapeva di pulito e di buono, mi diedi della ridicola, mi ero appena scontrata con uno sconosciuto e la sola cosa che riuscivo a fare era arrossire.
La quintessenza della goffaggine, si era appena materializzata in me.
«Non preoccuparti Occhioni verdi, faccio sempre questo effetto. Sai, sono abituato alle ragazze che mi cadono tra le braccia...» mi rassicurò spavaldo, tenendomi saldamente per i fianchi e impedendomi per fortuna di cadere.
La sua voce così roca e profonda, mi provocò una serie di piacevoli brividi lungo la schiena, le ginocchia divennero molli e se non mi avesse tenuta, mi sarei sciolta a terra.
Cercai di riprendere il controllo di me stessa, ma aveva davvero detto una cosa del genere? Suonava troppo maschilista e troppo sicuro di sé. Anche se avevo la piena certezza che potesse permettersi di farlo, mi infastidii non poco.
Sentii qualcosa inumidirmi la camicetta e mi scostai da lui, mi ero completamente dimenticata di avere in mano il mio espresso e inavvertitamente l'avevo rovesciato bagnando entrambi. Il latte alla vaniglia, man mano che si asciugava, aderiva come un guanto alla mia pelle e diventava appiccicoso. Scostai la camicia, ormai praticamente trasparente tornando a rivolgere la mia attenzione su di lui, che mi osservava con un sorrisetto soddisfatto.
Gli lanciai uno sguardo che avrebbe potuto incenerirlo, ma non si scompose.
«Posso aiutarti se vuoi, penso proprio che tu abbia un buon sapore...» sussurrò con voce provocante avvicinandosi al mio orecchio. Aveva davvero alluso alla possibilità di leccarmi? Mi sentii invadere da un insolito calore, le mie guance tornarono ad arrossire più di prima.
Avvicinò la sua mano alla mia camicetta ormai completamente zuppa, ma la scostai con un movimento rapido della mano. Sghignazzò della mia brusca reazione, forse abituato a ben altro, ne ero certa.
«Ma fai così con tutte?» chiesi senza neanche voler sentire la sua risposta.
La mia mattina di sicuro non era cominciata nel migliore dei modi, sperai solo che la mia sfortuna per quel giorno almeno si fosse esaurita. Ero furiosa.
Diedi un'altra occhiata alla mia camicia, sarei dovuta tornare a casa a cambiarmi e avrei solo perso tempo. Sbuffai.
«Non scaldarti tanto Occhioni verdi, dovresti farti perdonare...» disse guardando la sua maglia appena sporca. Cercò di trattenere una risata ma con evidenti scarsi risultati.
«Smettila di chiamarmi così...» lo rimproverai rossa in volto cercando di mantenere la calma, in fondo lo sapevo che era colpa della mia goffaggine, se mi trovavo in questa situazione assurda.
«Allora dimmi il tuo nome Occhioni verdi, così posso smetterla di chiamarti così...» non mi curai di rispondergli. Non volevo perdere altro tempo in una conversazione senza senso, così lo oltrepassai e prima di uscire dalla caffetteria, mi girai verso quell'insopportabile ragazzo.
«So che ti piacerebbe saperlo...» gli dissi abbozzando un sorriso ma nella mia voce c'era un che di provocatorio e sfrontato. Non sapevo perché gli avessi risposto in quel modo invece di scusarmi per l'accaduto, mi ero comportata come una ragazzina arrogante. Ma che mi prendeva? Mi ero adeguata a lui e al suo modo di fare, ecco cosa mi prendeva.
Solitamente avevo un carattere tranquillo e questo modo di fare, non mi rispecchiava, ma quel ragazzo tirava fuori una parte di me sconosciuta. Per certo sapevo che non mi apparteneva.
Prima di andarmene notai che le sue labbra si stavano di nuovo incurvando in un sorriso, talmente bello da togliere il fiato ma distolsi lo sguardo e uscii.
*
Entrai in aula qualche secondo prima dell'inizio della lezione, accaldata e trafelata.
Se fossi tornata a casa a cambiarmi di sicuro non avrei fatto in tempo, così ero entrata nel primo negozio vicino al campus e avevo comprato un'altra camicetta per sostituire la mia.
Sperai di riuscire a smacchiarla in qualche modo, anche se non ero così fiduciosa.
Mi ero accontentata della prima che avevo trovato, non avevo avuto tempo per scegliere. Era leggera e quasi trasparente, un po' troppo audace per i miei canoni ma d'altra parte stava bene con quello che indossavo, quindi me l'ero fatta andare bene senza pensarci troppo. Per fortuna avevo indossato un cardigan che copriva gran parte della pelle in vista.
Presi posto in una delle file centrali. Solitamente il mio posto era in prima fila, vicino a Madison e Tyler ma quella mattina avevo fatto troppo tardi.
Maddy l'avevo conosciuta al primo anno in segreteria eravamo tutte e due in fila per l'orario delle lezioni. Lei parlava al cellulare, cercando di tenere il più basso possibile il tono di voce. Era molto bella con lunghi e lisci capelli color cioccolato, che si sposavano benissimo con la sua carnagione dorata. I suoi occhi erano di un grigio chiarissimo, con delle pagliuzze azzurre vicino l'iride.
Discuteva in modo acceso con qualcuno, una volta chiusa la chiamata, c'era stato uno scambio di sguardi tra di noi. Le avevo fatto un sorriso incoraggiante e anche se ravamo due perfette sconosciute le avevo offerto lo stesso di prendere un caffè insieme. Mi era sembrato che avesse un gran bisogno di parlare.
Anche io avevo avuto la mia dose di pene d'amore, quindi capii cosa le fosse successo. Il suo ragazzobl'aveva appena lasciata e io avevo riconosciuto gli evidenti segnali.
Sapevo anche che avrebbe pianto tanto, ci sarebbe stata male, ma ad un certo punto l'avrebbe in qualche modo accettato e superato. Forse un giorno, avrebbe addirittura ripensato ai bei momenti passati insieme.
Così mentre la aiutavo a riprendersi, eravamo diventate amiche.
Tyler, invece, l'avevo conosciuto mentre visitavo il campus per la prima volta. Era di una solarità e di una spigliatezza da fare invidia mentre io, al contrario, ero sempre stata riservata e timida.
Durante la visita guidata lui aveva conosciuto tutti, mentre io ero rimasta in disparte. Mi aveva avvicinato con naturalezza, presentandosi senza troppi fronzoli e mi aveva assicurato che saremmo diventati amici.
Non avevo mai realmente capito il perché si fosse comportato in quel modo. Era davvero un bel ragazzo, con un fisico atletico e perfetto, un sorriso contagioso e dei capelli scompigliati ad arte, come se si fosse appena alzato dal letto. Ma quello che più mi aveva colpito di lui e mi aveva convinta a credergli, erano stati i suoi occhi sinceri e puliti, come quelli di un bambino.
Mai una volta si era comportato in maniera maliziosa o ambigua. Arrivai così alla conclusione che mi vedeva semplicemente come una sorella più piccola da proteggere e aiutare, era molto simile a mio fratello Trav per molti versi e a me stava bene.
Concentrarsi sulla lezione, mi sembrò un'impresa titanica, la mia testa era presa da altro. Vedevo le labbra del professor Wilson muoversi mentre parlava, ma non sentii niente di ciò che disse.
Non riuscivo a non pensare a lui benché non sapessi neanche il suo nome, era decisamente la persona più irritante sulla faccia della Terra. Rivedevo i suoi capelli dello stesso colore dei miei, erano caramello con riflessi dorati, per sentire se erano così morbidi come sembravano. Era molto più alto di me, anche se non ci voleva poi molto a superare il mio modesto metro e sessantacinque.
La sua maglia leggera metteva in bella mostra il suo addome scolpito, avrei voluto appoggiarci di nuovo la mia guancia per sentire di nuovo il suo piacevole calore. La sua presa salda mi aveva evitato di cadere e mi aveva fatta sentire protetta e al sicuro, come mai mi era capitato prima. Stavo forse impazzendo? Non potevo aver pensato cose del genere. Dovevo smettere di farlo, la mia mattina era stata troppo pesante e questi pensieri ne erano solo una fastidiosa e inopportuna conseguenza.
I suoi occhi così straordinari erano ormai marchiati a fuoco nella mia mente, avrei faticato non poco per dimenticarli. Mi tormentavano. Qualcosa in loro mi era familiare, come se li avessi già visti ma era praticamente impossibile. Era come se avessi avuto di fronte a me la soluzione, ma non riuscissi a vederla. Qualcosa continuava sempre a sfuggirmi, era una strana sensazione mi sentii inerme e frustrata. Ogni volta che cercavo di acchiapparlo, si offuscava sempre di più nella mia memoria. Sbiadiva, ed era sempre più difficile da ricordare, così decisi di lasciar stare, sperando di non incontrare più quel ragazzo così impertinente.
Annotai in tutto forse solo un paio di cose di tutta la lezione, a cui non sapevo neanche come dare un senso logico. Avrei dovuto chiedere gli appunti a Maddy più tardi, dato che la scrittura di Tyler era ancora del tutto sconosciuta al genere umano. Il suo modo di scrivere erano solo un mucchio di tratti incomprensibili, sembrava avere una scrittura tutta sua e io a volte lo prendevo scherzosamente in giro per questo.
Al termine della lezione, corsi fuori dall'aula salutando i miei amici, purtroppo non avevo tempo per restare a chiacchierare insieme a loro e lo sapevano. Avevo poco tempo per raggiungere la mia lezione successiva e volevo arrivare in tempo, dovevo sbrigarmi e correre. Mi incamminai in maniera frettolosa, rivolgendogli un cenno della mano.
*
L'aria della mensa era carica di odori invitanti, che solleticavano il mio appetito. Quello che avevo davanti era il primo pasto che facevo dalla sera prima, la colazione l'avevo versata sulla mia camicia e non avevo avuto tempo di prendere nient'altro. Ero corsa per tutto il tempo da una lezione all'altra, senza riprendere fiato.
Guardavo la mia insalata di spinaci con bacon croccante e petto di pollo grigliato, come se fosse il piatto più prelibato del mondo. Il mio stomaco gradiva almeno quanto lo facevo io. Era davvero buona e gustosa, anche se con la fame che mi ritrovavo avrei mangiato davvero di tutto.
Il vociare caotico, costringeva ad alzare di un paio di toni la voce. Risultava difficile comunicare senza sembrare di essere sordi, per ascoltare Tyler seduto di fronte a me, dovevo concentrarmi sulle sue labbra e cercare di leggerne il labiale. A volte avevo dovuto persino chiedergli se poteva ripetere.
«Tesoro tutto bene?» mi chiese Ty cogliendomi alla sprovvista. Dovevo avere davvero un'espressione strana in volto perché lui se ne accorgesse. Inarcai un sopracciglio, con aria confusa e mi chiesi il perché di quella domanda, andava tutto bene e glielo dissi. Non mi andava particolarmente di parlare di mio padre, era la solita storia di sempre. Mi sarebbe passata, come succedeva ogni volta quindi annuii con la testa, dato che avevo ancora la bocca piena.
«Hai un'aria strana sta mattina, sembri molto pensierosa...» ammise riflettendoci, un sorriso si allargò tra le sue labbra come di chi la sapeva lunga. «Ma non sembrano del tutto brutti i tuoi pensieri, anzi...» ammise alla fine.
Mi faceva sentire a disagio, il fatto di pensare così tanto a quel ragazzo sconosciuto e ancora di più doverne parlare con qualcuno. Mentivo anche a me stessa, cercando di ignorare la natura dei miei pensieri. Sì, lo stavo pensando e sì, era una cosa davvero stupida da fare, ma non mi riusciva di smettere.
«Ehm...» balbettai incespicando sulle parole, senza sapere bene come proseguire. Ero ancora indecisa se raccontagli cos'era successo quella mattina e come erano andate le cose.
«Sputa il rospo!» m'incalzò Tyler, dando sfogo alla sua indole curiosa.
«Questa mattina ero in caffetteria a prendere il mio solito espresso e mentre uscivo ero talmente soprappensiero da non essermi accorta che avevo un ragazzo di fronte e ci sono andata a sbattere addosso» ammisi.
«Com'era questo qualcuno?» mi domandò subito Maddy. Le piaceva particolarmente spettegolare, a volte rasentava davvero l'impertinenza. Bisognava intervenire prima che superasse un certo limite.
«Mah...» ci pensai un attimo su. Per essere bello era davvero bello, ma si poteva essere più impertinenti? Forse no. «Carino, ma niente di particolarmente speciale e poi era un vero cafone! Il caffè che avevo in mano ci si è rovesciato addosso e lui faceva delle battute davvero di cattivo gusto...» avevo mentito? No, avevo solo aggiustato un po' la verità. Mi infastidii a ripensare a tutte le battute a doppio senso che mi aveva rivolto. Ma per chi mi aveva presa? Pensava fossi la classica ragazza facile? Che bastava dirle due carinerie e farla sentire importante per invitarla in camera? Si era sbagliato di grosso e non sapeva neanche lui quanto. Lo odiavo davvero. Poteva anche essere bello, era sotto gli occhi di tutti, non si poteva dire il contrario ma sicuramente non era tutto questo granché e di certo questo non scusava il suo comportamento tremendo.
«Ma lo conosciamo? Come hai detto che si chiama?» Maddy si sforzò invano di ricordarlo ma era impossibile che ci riuscisse, dato che non l'avevo detto. Ad essere onesti non lo sapevo neanche io e non me ne importava.
«Non so il suo nome, penso di non averlo nemmeno mai visto prima...» ammisi con noncuranza.
«Lasciala in pace Maddy!» la ammonì con fare giocoso Ty, venendo in mio soccorso «La soffochi con le tue domande. Ha solo incontrato un ragazzo scortese. Se ci riprova Elle vieni subito da me, mi raccomando. Ok, tesoro!?» mi scompigliò i capelli proprio come aveva sempre fatto mio fratello Thommy, era rassicurante per me quel gesto. Annuii con la testa, tornando a concentrarmi sul pranzo davanti a me.
Infilzai qualche foglia di spinaci, per cambiare argomento chiesi a Maddy gli appunti della lezione di quella mattina dato che i miei erano praticamente inesistenti. Lei senza fare troppe storie me li passò, li avrei copiati trovando un po' di tempo libero e poi glieli avrei restituiti.
Continuammo a chiacchierare del più e del meno, finché finimmo di pranzare. Madison scappò via quasi subito, per andare ad una lezione pomeridiana mentre io invece avevo finito per quel giorno, così mi avviai alla mia macchina passeggiando in compagnia di Tyler.
Quando ci salutammo, entrai in auto e andai dritta al lavoro.
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