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Epilogo

"Finalmente vittoriosi della loro ultima battaglia."

Scrivo lentamente le ultime parole, pronta a dare una fine a questa lunga storia.

Sto per scrivere la parola the end, quando due forti braccia mi stringono a sé.
Facendomi chiudere di istintivo lo schermo del PC.

"Quanto ancora dovrò aspettare per sapere cosa stai scrivendo questa volta?"

Sorrido, mentre il mio sguardo scivola sullo scaffale pieno di libri.
Tra cui ci sono quelli che ho scritto io.

Prendo con dolcezza le mani tatuate dell'uomo che amo, portandole alle labbra.
Baciandole con l'amore che negli anni è cresciuto a dismisura.

"Lo sai come la penso Oliver.
Lo leggerai quando lo finirò, e poi questa è una storia speciale."

Le braccia abbandonano il mio corpo, lasciandomi illudere che si sia arreso.
Invece le sue mani si posano sulla poltrona, girandomi verso di sé.

Nonostante siano passati sette anni, quello sguardo di fumo mi fa ancora sussultare il cuore.
Esattamente come la prima volta.

"Potrei corromperti con i miei metodi di seduzione."

Con una scintilla di malizia negli occhi, abbassa il capo verso di me.
Baciandomi fino a rubarmi il respiro.

Senza lasciare la sua bocca, mi alzo in piedi, perdendo le dita tra i suoi capelli morditi e ribelli.
Mentre lui mi stringe i fianchi, ansimando in questo bacio lussurioso.

Sto per cedere alla sua seduzione.
Quando il baby monitor inizia a suonare e ha fare da amplificato ad un pianto disperato.

Oliver si stacca dalla mia bocca, senza però lasciare il mio corpo.
Posando la fronte sulla mia.
.
"E ora della pappa.
Inizio a pensare che nostra figlia non voglia un fratellino."

Scoppiò a ridere, dandogli un piccolo bacio sulle labbra.
Guardandolo con uno sguardo limpido e pieno di desiderio.
Che promette che appena saremo liberi, sarò sua.

Non serve parlare, tra noi non è mai servito.
E ingoiando un gemito di frustrazione, si allontana da me per correre da nostra figlia.
Lasciandomi così il tempo di mandare il manoscritto concluso all'editore.

"Inviato."

Finalmente faccio un lungo respiro di sollievo.
Ci è voluto un anno per scriverlo, molto più di quanto ho impiegato con gli altri.
Ma ne è valsa la pena.
Per la nostra storia, ne è valsa la pena.

Esco dal mio studio, osservando come faccio ogni giorno, la nostra casa.
Un piccola villetta con giardino che abbiamo comprato appena il nostro stupendio ci ha permesso di farci un mutuo.

Camilla e Ivan hanno detto più volte che volevano aiutarci.
Ma noi non abbiamo voluto, preferendo sudare un po' di più, per avere casa nostra.

Una volta in soggiorno, mi trovo ad osservare le centinaia di foto che ricoprono il soggiorno.

Una foto della nostra comitiva, tutti insieme, la prima settimana di settembre dell'anno che mi sono operata.
L'ultima foto prima che tutti prendessimo la strada verso l'università.

Oliver, ha superato il provino ed è entrato in poche settimane in una delle squadre più prestigiose della California.

Luca è stato via sei mesi per l'addestramento militare, lasciando a noi ragazze il compito di sopportare Isa e i suoi scleri sulla mancanza del suo ragazzo.
Per fortuna poi diminuiti dal fatto che era molto impegnata in università.
Ed ora sono finalmente insieme è felici.
Luca come poliziotto nel distretto della zona in cui abitano, insieme.
E Isa come logopedista nell'istituto.

Dove tra poco andrà a lavorare anche il piccolo Thomas.
Ormai non così piccolo dato che ha sedici anni.
Ma, a parte il fisico, rimasto lo stesso ragazzo pieno di sogni.

Rayan ha anche lui seguito il suo.
E in questo momento sta completando la specializzazione in oncologia.
Con la promessa del dottor Connor di perderlo poi come suo apprendista.
Convive ormai da anni con Sofia, anche lei stagista in una grande casa di moda.
Dove finalmente il suo aspetto non è più strano, ma originale e apprezzato.

Poco lontano da casa loro, qualche mese fa, Owen ha finalmente aperto una sua officina.
Dopo aver passato anni sotto padrone, e diventato titolare del suo sogno.

E mentre lui si sporca le mani di nero, sua moglie Scarlett le ha sempre sporche di pittura.
Ma non c'è da meravigliarsi dato che lavora, a tutti gli effetti da un anno, in un laboratorio di restauro per quadri antichi.

Sposto lo sguardo su una foto mia e di Oliver dopo la sua prima partita ufficiale.
Come ho già detto, anche lui ha conquistato il suo sogno.
Sicuro che quando la sua carriera sarà finita, diventerà un allenatore di football, per aiutare un'altro ragazzo come lui a vivere il suo stesso sogno.

Ed io?
Be, non posso lamentarmi.
Sono insegnante di letteratura e filosofia nel mio vecchio istituto.
Mentre nel tempo libero ho pubblicato anche qualche libro, di tutti i generi.

Del mio secondo traguardo devo ringraziare Camilla, che ha rubato una mia bozza per darla a un suo amico editore.
La fatto sapendo bene che io non l'avrei mai fatto, e di questo gliene sono grata.

Sfioro un'altra foto.
Questa l'abbiamo fatta io e Sofia una settimana dopo l'operazione.
E dall'ora sono passati sette anni, ancora non ci credo.

La ripresa non è stata facile, tanto che ho dovuto iniziare l'università dopo un anno.
E anche una volta ripresa la mia vita, sono dovuti passare cinque anni per tirare un sospiro di sollievo.

Cinque anni di paura, di visite con il cuore in gola sperando che il dottor Connor mi dicesse che andava tutto bene.
Poiché la massa se voleva poteva ricrearsi ed io avrei dovuto iniziare tutto daccapo.

Ma, per fortuna, ogni visita è andata bene.
Ed oggi finalmente mi sento sana e salva.

La prossima foto che sfioro e quella del mio matrimonio.
E chi può dimenticarlo quel giorno.

Oliver me l'ha chiesto al secondo anniversario, e un anno dopo siamo andati all'altare.
Non so davvero se ero più emozionata io, le mie amiche o mia madre.
Ma forse quello nervoso era mio padre, che mi ha stretto a sé fino all'altare, fino a darmi nelle mani di mio marito.

Anche i miei genitori stanno bene.
Mia madre continua a essere l'infermiera di Camilla.
Mentre mio padre ha preferito abbandonare la carriera militare per diventare istruttore di reclute.
Decisione che tutta la famiglia ha apprezzato.

"Qualcuno oggi non ha voglia di mangiare.
Provaci tu, a me non mi ascolta.
Come sempre."

Scoppiò a ridere, vedendo Oliver con la maglia tutta sporca di pappina.
E nonostante mi guardi in modo minaccioso, non riesco a smettere.

Alla fine mi passa la piccola Camilla, per poi andarsene in bagno a cambiarsi.
Inconscio delle risatine della figlia.

"Ti diverti a fare arrabbiare il tuo papà e?"

Entro in cucina, riempiendola di baci su tutto il viso.
Facendola ridere ancora di più.

La poso sul seggiolino, preparando una nuova pappina.
Dato che quella che ha preparato Oliver è finita su pavimento e tavolo.

Mentre aspetto che il latte si riscaldi, osservo mia figlia che gioca con un pupazzetto per i denti.

Ha gia sei mesi, eppure a me sembra ieri che l'ho stretta tra le mie braccia per la prima volta.

Anche il suo arrivo non è stato facile.
Nonostante parlavamo da anni di avere una bambina, abbiamo dovuto aspettare l'ok del dottore.
Onde evitare che le schifezze che avevo ancora addosso andassero a fare del male a lei.

Quando finalmente abbiamo avuto via libera.
Ci abbiano provato già la sera stessa, per poi continuare a provarci ogni giorno.

Ricordo quel giorno, sei mesi dopo quella visita.
Avevo un ritardo di dieci giorni, ma poteva essere normale dato il mio passato medico.
Come anche le nausee.

Eppure Sofia è arrivata a casa mia con 10 test di gravidanza.
Spingendomi verso il bagno per testarli tutti.

E dopo mezz'ora e aver bevuto non so quanti litri d'acqua.
I dieci test erano tutti davanti a me.
E tutti e dieci positivi.

Quando Oliver è tornato due giorni dopo da una trasferta.
Gli ho subito dato in mano un pacchetto.

E quando lo ha aperto, lo visto piangere come poche volte in vita sua.
Mentre stringeva tra le mani un body con scritto "io amo il mio papà."

Quella sera non abbiamo mangiato passandola invece a fare l'amore e a sognare il viso di nostro figlio.

La gravidanza non è stata facile, con molti mesi di riposo forzato.
E le continue visite delle mie amiche con le mani sempre piene di vestitini e oggetti vari.
Soprattutto quando abbiamo scoperto che era una femminuccia.

Poi la notte di sei mesi fa.
Un dolore lancinante sul ventre e l'impressione di essermi fatta la pipì addosso.

Appena ho capito che mi si erano rotte le acque, in una contrazione ho urlato il nome di Oliver.
Che per poco non è caduto dal letto.

Ricordo la corsa in ospedale, le contrazioni sempre più vicine e Oliver che mi diceva che era lì con me.
Che presto avremo abbracciato la piccola Camilla.

Quando la bisnonna della mia piccola ha scoperto che si sarebbe chiamata come lei.
Ha fatto i salti di gioia, nonostante la sua età non più così giovane.

Ricordo le mie urla, la mia mano stretta in quella di Oliver.
La presenza di tutta la mia numerosa famiglia in sala d'attesa.

Ricordo le spinte, il dolore, la voglia di vederla.

Finché un pianto non ha distrutto ogni cosa, creando solo amore e lacrime.

Dopo 10 ore di travaglio, avevo dimenticato il dolore.
Stringendo tra le braccia la nostra piccola Camilla.

"Pa.
Pa."

Ed ora la guardo, mentre inizia a verseggiare le sue prime parole.
Ammirandola in tutta la sua bellezza.

Mi metto davanti a lei, riuscendo a farla mangiare solo grazie al trucco dell'aereo.
Mentre la guardo, in ogni piccolo dettaglio.

Assomiglia a me, la carnagione più chiara di quella del padre.
La bocca a forma di rosa.
E i capelli scuri e ribelli come i miei.

Il dettaglio più bello, l'ha preso dal padre.
Due occhi grigi più intensi del fumo di un camino.
Motivo di grande orgoglio del padre quando li ha aperto la prima volta.

Un po' di meno quando, pochi mesi dopo, ha capito che la bellezza di sua figlia avrebbe attratto molti sguardi di sesso maschile.
E quando gli ho ricordato che anche lui è stato ragazzo, ho solo peggiorato la situazione.

Penso che stia creando una campana di vetro, dove rinchiudere la figlia quando sarà adolescente.

"Come tu faccia a farla stare buona, rimarrà sempre un mistero."

Si lamenta mio marito, sedendosi vicino a me.
Ora con un maglia pulita e uno sguardo offeso verso la figlia.

"Vuole più bene a te.
Lo so."

Si imbroncia stringendo le braccia al petto.

Questa è da sempre la sua unica insicurezza.
La paura che sua figlia non gli voglia bene.

E le mie continue parole sono servite a ben poco.
So che questa paura lo accompagnerà sempre.

Ma oggi non sono io a dargli parole di conforto.
Ma sua figlia, che apre le mani verso di lui sorridendo.

"Papà."

Oliver spalanca gli occhi.
E anche io dato che è la sua prima parola.

"Ripetilo amore."

Si emoziona il padre, ancora di più quando la piccola lo ripete più volte.

Finché non la prende in braccio, rischiando per un pelo di buttarmi addosso la pappina.

Le bacia tutto il viso, e il pancino scoperto a causa di come la tiene in aria.
Facendo ridere la piccola che continua a ripetere "papà".

Ed io li guardo sorridendo e sbuffando.
Le cambio quasi sempre io il pannolino, mi alzo la maggior parte delle volte la notte, riesco per miracolo a farla mangiare.
E poi la prima parola che dice è papà.
E giustizia questa?

Ma alla fine sorrido, avvicinandomi e abbracciando gli altri.
Sentendo solo amore verso la mia famiglia.

Senza più pensare a quale parola abbia detto per prima.
Ma solo a quanto questo renda felice Oliver, e quindi anche me.

(●'3)♡(ε'●)(●'3)♡(ε'●)

Finalmente arriva la notte.
Oliver mette nella culla la bambina, nella camera a fianco la nostra.

Mentre io, seduta sul letto, sistemo il lavoro che dovrò portare in classe domani.

"La piccola di papà si è addormentata come un angelo."

È tutto il giorno che la chiama così.
E si vanterà per molto tempo ancora, lo so.

Si siede vicino a me, sfilandomi dalle mani il PC.

"Ei.
Non avevo ancora finito."

Ma lui mi fa segno di tacere, appoggiandolo sul comodino lontano da me.

"Ora basta lavorare.
Non so per quanto ancora quel diavoletto dormirà.
E voglia mia moglie tutta per me."

Sorrido, lasciandomi andare sul suo petto.
Il mio pezzo di paradiso.

"Allora, ora che l'hai inviato devi dirmi come si chiama il tuo ultimo libro.
E di cosa parla."

Sapevo che me l'avrebbe chiesto.
La sua curiosità non gli dà tregua, perciò non ne da ne meno a me.

"Macchiami di te."

Sussurro, sfiorando con le dita il tatuaggio che porta sul petto.
Lo stesso che ho io ho sulla vecchia cicatrice del push.

Lui il mio vero nome.
Ed io il suo.

"E di cosa parla?"

Sospira, lasciandosi andare alle mie carezze.
Nonostante gli anni, il mio tocco gli provoca ancora i brividi.
E per me è lo stesso.

"Di noi.
È la nostra storia."

Lui spalanca gli occhi sorpreso.
Perché in passato gli ho sempre detto che non volevo raccontare la nostra storia.
Poiché oltre che per gelosia, perché la volevo solo mia.

Ma quando ho scoperto di essere incinta di Camilla.
Ho deciso di farlo, in modo che possa essere la sua favola della buona notte.

Alzo lo sguardo verso di lui, trovandolo sempre più bello.
Migliorato con gli anni come il vino più pregiato.

Sfioro i suoi capelli ora più corti e ordinati, ma sempre morbidi.
I suoi lineamenti più marcati.
E le labbra sottili e virili come le ha sempre avute.

Guardo i suoi occhi, e anche loro non sono cambiati.
Hanno sempre quel dannato colore che mi ha macchiato l'anima da quando l'ho visto la prima volta.

Eppure oggi non ci leggo più rabbia e guerra.
Ma amore.
Verso la sua famiglia, gli amici, i colleghi di lavoro, sua figlia e verso di me.

"Ti amo come ti ho amato il primo istante che ti ho visto."

E lui sorride, sfiorano i miei lineamenti sempre uguali.
Se non più maturi.

"Ed io ti amo più di ieri e meno di domani."

E mi bacia, per poi trascinarmi nella passione che ci ha condannato dal primo istante.

E mentre facciamo l'amore, ripercorro tra gli ansimi i passi del nostro amore.

Il nostro primo incontro in quell'ufficio.
La tua postura sicura e il tuo sguardo arrogante.
Che con prepotenza ha iniziato a macchiarmi di te.

La prima volta che il mio nome ha sfiorato la tua bocca.
Facedomela odiare, perché era già come se ti apparteneva.

E litigare, sputarsi addosso rabbia.
Stare lontani, volere stare distanti, e spiarci di sfuggita.

La curiosità di sbirciare nella tua vita e di mostrarti la mia.

Il primo B-, lasciarsi trascinare dalla tua felicità.
Per poi trovarsi a distanza di un respiro.
Sentire il richiamo del primo bacio.
E scappare via, stare male e avere paura di non poter mai più provare un' emozione così bella.

I tuoi passi leggeri nella mia vita, ritrovarti nel pub, e poi al mio fianco pronto a difendermi.
E riuscire solo a fuggire ancora .

Cercando di mettere più distanza possibile tra noi.
Perché eri pericoloso per me, perché mi macchiavi di una passione che non dovevo provare.

Ma a cosa è servito stare lontani.
Se poi ogni scusa era buona per guardarci e desiderare il tuo tocco.

Poi ancora i litigi, è la cosa che sapevamo fare meglio, ferirci.

Vederti sul ring, tremare con te e lottare con te.
Curandoti i lividi, sospirando per quel tocco innocente sulla tua pelle.
E la voglia di salvarti.

E stare ancora lontani, solo per poi ritrovarsi ancora una volta abbracciati.
In mezzo a migliaia di libri, mentre io guardavo solo le tue labbra troppo vicine alla mie.

E riuscire a scappare ancora, a maledirti per quanto mi facevi male, per quanto mi facevi bene.

Ma poi il bacio è arrivato, con una naturalezza disarmante.
Macchiandoci le labbra di passione, nonostante fossimo in una oscura palestra.
Facendoti entrare un po' di più nella mia vita.

Ma il nostro lieto fine era ancora lontano.
Ed io non ero tua, ma del mio peggior incubo.

Che mi consumava ogni giorno che passava.
Mentre tu mi guardavi, mi baciavi con rabbia.
Ed io desideravo solo non provare nulla.

E perdere un battito ogni volta che ti guardavo.
Respirare il tuo mondo delle meraviglie, custodendo un pezzo di te.
E donandoti un pezzo di me.

I segreti a tenerci distanti, mentre i nostri occhi supplicavano di stringerci.
Mentre tu conoscevi pezzi di me attraverso l'inchiostro sulla mia pelle.

Essere due estranei, che provano il bisogno di stare vicini.
Ed io ti stavo vicina, in un angolo del ring.
Mentre tu lottavi per la tua libertà e per me.

Il ringraziamento, la consapevolezza che ormai facevi parte della mia vita.
E quel bacio la notte di Natale, sotto quei giochi d'artificio che cercavamo di imitare.
Giurando che era l'ultima volta.

Quante volte ci siamo baciati come se fosse l'ultima volta?
Giurandoci che era solo il tempo di un fuoco d'artificio, solo per una sera, solo per un istante.

E poi la tua gelosia, la mia rabbia.
Andare al ballo con il ragazzo sbagliato, e poi scappare con te sui sedili di una limousine.

E poi, stare male, pensare che fosse la fine.
Stesa su un pavimento polveroso con solo il tuo nome macchiato in gola.
Nella mente.

Ma tu mi hai solleva, mi hai stretto a te.
Mi hai salvata.

Hai idea di quante volte mi hai salvata?
No, non lo sa.
Perché l'hai fatto ogni volta che mi guardavi.
Ti bastava uno sguardo per tenermi a galla.

Rivederlo ora senza segreti, e dire semplicemente ciao.
Quanto può essere stupido un semplice ciao?
Eppure ogni volta che avevamo troppo da dire, dicevamo solo ciao.
Come se in quella parola sospirata, potevamo leggere tutti i nostri pensieri.

E lottare insieme le nostre battaglie.
Fingersi amici, amandoci e macchiandoci sempre più di noi.

Fare l'amore, sentire il mio vero nome sulla tua bocca.
E amarlo attraverso l'amore con cui tu lo pronunciavi.

Lottare insieme, anche se distanti, respirare lo stesso sospiro e sorridere.
Felici di avercela fatta, di essere finalmente liberi.

Liberi di macchiarsi di questo amore , che ci ha condannati già al primo sguardo.

Ed io lo guardo, baciandolo ancora, sussurandogli le parole che ho pensato quando lo incontrato la prima volta.

"Macchiami di te."

The end...

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