Capitolo 36 guardarsi
"Potrai sentire nausea e stanchezza.
Stai tranquilla, è normale."
Emma annuisce, mentre l'infermiera finisce di infilarle l'ago nel braccio.
Segue con lo sguardo il tubicino che pompa nella vena, che sale fino ad arrivare a un bottiglione mesao a testa in giuro.
Il punto che più attira lo sguardo, è un piccolo contenitore in cui il liquido scende goccia goccia, che poi scivola nel tubicino.
Tornando così al suo braccio.
In quelle gocce che cadono controllate e misurate, c'è la salvezza per Emma.
Una chemio particolare specifica per il suo caso.
Ipotesi e prescrizione del dottor Connor, oncologo di fama internazionale, con cui Emma e la madre hanno avuto uno strano colloquio circa tre giorni fa.
Emma ha avuto una gran fortuna, poiché tra tanti casi particolari il dottore ha notato proprio lei.
Si, e stato puro caso il loro incontro.
Poiché il dottor Connor si trovava qui per una visita di cortesia.
E quando ha chiesto al direttore se ci fosse qualche caso particolare oncologico, e proprio il nome di Emma ad essere uscito fuori.
Che fortuna.
Se non fosse che Emma non crede di avere raccomandazioni così divine.
E mentre Caterina guardava quel dottore con camicie bianco come se fosse un supereroe.
Emma riservava per se i mille dubbi su quello strano incontro.
Per non parlare di come aveva risposto il dottore quando Caterina gli ha detto di non avere le risorse economiche.
" Stia tranquilla signora.
La mia équipe si occupa spesso di casi economici simili.
Perciò non si preoccupi delle spese, ce ne occuperemo noi.
Sarà per noi come un pareggiare per il karma."
Questa risposta è stata tanto assurda, quanto il resto della storia.
E mentre Caterina si beveva queste cazzate, spinta dall'unica speranza di poter salvare la figlia.
Ad Emma aumentavano i dubbi.
Ma poi è inutili fare i moralisti del cazzo.
Per quanto quel giovane dottore, dall'aspetto un po stravagante, la convincesse poco.
Si limitò a chiedere quando potesse iniziare, non volendo rinunciare all'unica cura al suo male.
Quando la madre venne allontanata per firmare documenti e risolvere problemi burocratici, Emma e il dottore rimasero da soli.
E mentre lui si muoveva tranquillo nell'ufficio, cercava di non dare peso allo sguardo pesante di lei su di sé.
Continuando ad interpretare alla perfezione la sua parte.
"Chiunque mi stia aiutando.
Voglio che sappia che lo ringrazio si cuore.
Mi sta salvando la vita."
Connor si ritrovò a sospirare, un po' deluso di non aver recitato così bene.
Girandosi verso di lei, perdendo completamente la facciata di dottore pieno di sé.
"Glielo farò sapere."
Era inutile mentire, Connor fin da subito ha capito i dubbi della ragazza.
Ma anche la voglia di continuare quella scenetta, forse per rincuorare un po' la madre.
Quello è stato l'unico incontro, Emma è tornata a casa in fase di riposo prima di iniziare la cura.
Mentre il dottor Connor ha deciso di trasferirsi momentaneamente a Santa Barbara, per studiare da vicino il caso.
E anche per capire cosa abbia spinto Ivan Johnson ha dare una cosa del genere, anche se il breve incontro con la piccola Lopez gli ha già dato molte risposte.
"Ei Lopez.
Pronta a recuperare le lezioni perse?"
I suoi pensieri vengono interrotti dall'arrivo del ragazzo, che le stata vicino per tutto questo tempo.
"Sarà divertente scambiare i ruoli per una volta.
Oggi sarò io il tuo tutor."
Gli sorride Oliver, spostando un piccolo tavolo davanti alla poltrona, dove Emma è seduta da quando le hanno messo la flebo.
Che durerà parecchie ore.
"Bene.
Allora io farò la testarda che dice di non capirci nulla.
Per poi sorprenderti con i risultati."
Da quando Emma si è svegliata, Oliver è stata una presenza costante nelle sue giornate.
E riuscita a liberarsi di lui durante le ore scolastiche, solo con la scusa di prendere appunti per lei.
E lui ci ha provato ha prendere degli appunti decenti.
E Emma ha finto che fossero perfetti, mentre si fa passare sotto banco gli appunti da Sofia.
A parte questo, non si capisce cosa si sia creato tra loro.
In questi quattro giorni si sono limitati a parlare del più e del meno.
Delle lezioni, degli l'allenamenti, delle coppie che nascono e di quelle che si spezzano.
Come il troppo pomiciare di Rayan e Sofia, o i continui sguardi confusi tra Luca e Isa, che Emma sa si stia sentendo con Marco.
Del trasferimento di Scarlett nel loro istituto mentre gli altri tra qualche giorno torneranno nel loro istituto.
E del prossimo incontro che Oliver affronterà tra qualche giorno.
Nient'altro.
E come se si fossero chiusi in una bolla di normalità, perché la realtà fa troppo paura.
Emma non gli ha raccontato della notti insonne.
Della sua paura di come andrà questa cura e di cosa succederà quando tutti sapranno della sua malattia.
Non gli ha detto quanta paura ha di affrontare quegli sguardi di finta compassione.
Di come sarà la sua vita quando uscirà da questa bolla.
Ma anche lui non è stato sincero.
Anche lui ha mentito dicendo che sta bene, quando dentro di sé a gli stessi timori e dubbi sul futuro.
"Oggi non andrai con tuo padre in azienda?"
Gli chiede lei, mentre lo osserva tirare fuori con cura libri e quaderni.
In realtà non l'ha mai visto così dedito allo studio come negli ultimi giorni.
E deve ammettere che è bello vederlo tranquillo e impegnato in qualcosa che non sia fare a pugni o essere scorbutico e lunatico.
"No.
Mi ha detto che non mi obbligherà ad andare.
Che potrò farlo quando mi sentirò pronto."
Questo è uno dei pochi discorsi seri che hanno affrontato.
Il legame che si sta ricreando tra padre e figlio.
Oliver è ancora frastornato dal cambiamento totale del padre.
Da stronzo senza cuore a padre anche troppo presente.
Sempre presente quando Oliver torna a casa la sera, e anche stavolta sia a cena che a pranzo, come non lo era da anni.
Per non parlare del disagio vissuto durante il pranzo della domenica e le continue domande del padre sulla sua vita sentimentale.
Soprattutto su come stesse la Lopez.
L'unica cosa positiva in tutto questo disagio, è il ritorno di Camilla in villa Johnson.
Comoda e autonoma nel piccolo appartamento al fianco della villa, mantenendo Caterina come sua infermiera personale, con uno stipendio più generoso.
"Sai come la penso.
Dovresti dargli una possibilità."
Una cosa non è cambiata nel trambusto degli ultimi avvenimenti.
Il caratteraccio di Oliver, che stranamente è stato dormiente fino ad ora.
"Tu non sai cosa vuol dire non avere un padre.
Non sai come vivere senza un suo abbraccio o una parola di conforto.
Per poi non riuscire a credere che sia tornato dopo averlo perso."
E nonostante il gelo nella sua voce, lei rimane immobile e sorridente.
Ormai autoimmune alla sua testardaggine.
"Non ho passato ciò che hai passato tu.
Ma anche io ho perso mio padre e al contrario tuo non ho certezza che torni.
Per questo spero che tu ci prova almeno a goderti ciò che forse io ho perduto."
Ed è inutile tutto contro di lei.
Nonostante sia seduta su una poltrona consumata.
Con il viso luminoso, quasi a nascondere quel tubo che le porta la cura in vena.
E sospira Oliver, dandosi mentalmente del cretino per aver reagito così.
Eppure se l'era ripromesso di non farla innervosire.
"Mi dispiace.
Io..."
La mano di lei afferra l'ansia, richiamando il suo sguardo, finora posato sul tavolo.
"Non farlo, non tu ti prego.
Non trattenermi tuoi pensieri per paura di farmi del male.
Sono stanca di persone che fingono che vada tutto bene, solo per paura di farmi stare male.
È soffocante."
La bolla è ufficialmente esplosa.
La vede crollare tra gli oscuri occhi di lei, da cui non si può scappare.
"Non muoio mica per una discussione.
Non sono così fragile e non mi piace essere guardata così.
Non da te."
Come ci sono caduti in questa catena di sguardi?
Quando si è posata la mano di lui sulla guancia di lei?
Quando ha iniziato a maledire questo piccolo tavolo che li tiene lontani.
"Da me?"
Oliver è ormai diventato scemo, il suo cervello è fuso, incapace di in pensiero di senso compiuto.
Incapace di nascondere un sorriso quando lei annuisce.
Le mani che tremano e le guance più rosse, mentre il cuore batte forte nel petto di lei.
Tanto da vederlo sobbalzare nel petto.
"Io...
Io..."
Un nodo le se forma in gola.
Sono tanti i sentimenti che vorrebbe spiegargli.
Tanti i motivi per cui apprezza la sua presenza.
Tante le cose da dirgli.
Ma lui gli sfiora le labbra con le sue dita, fermando qualsiasi cosa stesse per dire.
Creando ancora una volta quel momento solo loro.
"Qualsiasi cosa sia può aspettare.
E so che odi che io ti guardi così.
Ma solo così si può guardare un bene prezioso che si ha paura di perdere."
Le dita si spostano di nuovo sulla guancia, senza sapere quanto bene faccia questo tocco al suo cuore.
"E so che odi sentirti fragile, ma la verità è che lo sei.
E qualsiasi cosa dirai non smetterò di tentare di proteggerti.
E guardarti."
Con entrambe le mani sul viso, glielo alza, costringendola ancora una volta ad affogare nel grigio di un fumo vizioso.
Perché è questo che è diventato per lei, un vizio che porta dipendenza.
"E non con compassione.
Ma con la voglia di farlo ogni giorno, perdendomi e macchiandomi di te.
Finché tu non distoglierai lo sguardo."
E come potrebbe Emma ora che i loro visi sono così vicini.
Ora che le loro labbra sono così vicini da condividere il respiro.
"Scusate il disturbo."
Una voce femminile ferma sulla porta, lo spingendo colpo a formare ai loro posti.
Con sguardo impacciato davanti al sorriso dell'infermeria, che è felice di vedere un po' di romanticismo in questo cupo reparto.
"Devo solo controllare la bottiglia.
Poi ci lascerò ai vostri studi."
Gli fa l'occhiolino, notando i libri ancora chiusi sul tavolo
Una volta di nuovo soli, sorridono ripensando a quante volte sono stati interrotti anche in passato.
"Bene.
Sarà meglio iniziare con filosofia."
Distoglie l'attenzione Oliver, cercando di capirci qualcosa nei suoi stessi appunti.
Rubando una piccola risata a Emma nel vederlo confuso come se stesse leggendo latino antico.
"Che ne pensi se ti dico cosa ho capito io e tu mi dici se è giusto?"
Lo salva lei, in modo elegante, mostrando quanto in realtà le cose non sono cambiate.
Come il caratteraccio di lui, la capacità di tutor in lei.
E soprattutto questo strano legame ormai impossibile da nascondere.
Almeno non agli occhi dell'infermeria, che li spia da dietro la porta.
Facendo il tifo per loro.
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E ormai sera quando finalmente Emma torna a casa.
Con lo stomaco chiuso a causa dell'acido che le sale in gola, va direttamente in camera sua.
Chiedendo scusa alla madre e a Thomas, con una bugia bianca di sentirsi poco bene quando il fratello gli chiede cosa.
Si è promessa di spiegargli al fratello cosa sta succedendo.
Ma deve ancora trovare i modi e le parole giuste.
Come si spiega questa malattia a un bambino.
In realtà non si dovrebbe spiegare, non ci dovrebbe essere motivo di spiegarlo.
Ma è inutile rimuginarci, non cambierà ciò che ha dentro.
Non cambierà la guerra che ha appena iniziato.
Si sdraia sul letto, con l'affanno che si prova dopo ore di maratone, mentre lei ha solo salito una rampa di pochi scalini.
E purtroppo non è l'ultimo giro di chemio che dovrà fare.
Ma solo il primo di tanti.
Dovrà fare un tre bottiglie di soluzione una volta a settimana.
Ciò vuol dire stare dall'una alle 20 seduta su quella sedia, con un amaro in gola e un liquido pesante che scorre in vena.
Questo i primi due mese, da oggi.
Dopodiché saranno due giorni a settimana con una sola bottiglia di chemio più concentrata.
Per un mese completo, che porterà all'operazione di esportazione della massa tumorale.
Sdraiata sul letto, fissa il soffitto vuoto.
Al contrario della sua mente anche troppo piena di pensieri.
Tra qualche giorno torneranno scuola, e non sa proprio cosa accadrà.
Come affronterà lo stress non solo dello studio, ma di tutti gli sguardi che si ritroverà adosso.
Un pensiero che può sembrare legger.
Ma a cui Emma si aggrappa, non volendo pensare al percorso che sta per iniziare.
A quanto la sua vita sia appesa a un filo.
L'occhio le cade sulla foto posata sul comodino.
Una foto di famiglia scattata poche settimane prima della partenza del padre.
Si mette seduta, stringendola tra le dita, sfiorando il vetro opaco sposa il viso di suo padre.
Negli ultimi giorni la pensato molto, forse anche per la storia che sta vivendo con Oliver.
"Dove sei papà?"
Gli manca, ora più che mai.
Perché lui ce sempre stato, anche se lontano, anche se attraverso lettere e chiamate.
Forse se sapesse cosa sta passando, tornerebbe subito a casa.
Come quando ha avuto un piccolo incidente sa piccola, rompendosi il braccio.
Lui era lontano, eppure è arrivato il giorno dopo in ospedale direttamente dall'aereoporto militare.
Nonostante la sua mancanza fisica, Emma sapeva che lui c'era sempre per lei.
Anche solo per dirgli qualche parola di conforto.
Una lacrima scivola segnadole il viso.
Perché ora non c'è, e mai come ora vorrebbe anche solo sentire la sua voce.
E stringe i pugni, perché non è giusto.
Non è giusto non avere un padre vicino, non quando ci si sente il mondo crollare sotto i piedi.
E lui dovrebbe esseri li, a stringerla forte a se, a dirle che tutto andrà bene.
Invece non c'è, ed è una assenza che crea una pietra pesante sul petto.
Se fosse sicura della sua morte, con il tempo se ne farebbe una ragione, avrebbe una lapide su sui riversare queste lacrime infami.
E invece gli hanno negato anche questo, condanandola alla attesa di aspettarlo.
Nella speranza di aprire la porta si casa e di trovarlo li.
E non è giusto.
Non è giusta la guerra e non è giusto che strappo via in padre a una figlia.
Non è giusto dover affrontare tutto questo senza le sue larghe spalle a cui appoggiarsi.
E gli avrebbe stretto la mano, l'avrebbe rassicurata e accompagnta as ogni ciclo di chemio.
Avrebbe impedito a chiunque di darle del male.
E sorride immaginandolo come faceva da bambina, quando quella divisa era un vestito da supereroe.
Quando da bambina gridava chè il padre era meglio di Superman.
E invece ora quella maledetta divisa è criptonite che lo tiene lontano da lei.
Da queste mani che ora possono solo stringere una fredda cornice di legno.
E lo guarda, per paura di dimenticarlo, volendo imprimere questa immagine se sarà l'ultima che vedrà.
E lì con la sua solita posa rigida, con in braccio sulle spalle di Caterina.
Con l'altro dietro la schiena di Thomas vicino ad Emma.
Ciò che non mostra la foto e che dietro la schiena di Thomas la mano di lui stringeva quella di lei.
"Me l'avevi giurato papà.
Mi avevi detto che saresti tornato."
E invece sono passati mesi di attesa e altri di paura che lui sia davvero morto.
Di speranza che lui sia ancora vivo.
Trattiene le lacrime, mente l'acido le sale in gola, questa volta senza che lei lo possa fermare.
E la foto finisce a terra, mentre lei si trova in ginocchio davanti alla razza del bagno.
Vomitando il vuoto nello stomaco, l'amaro nel cuore, le lacrime che trattiene nell'anima.
Riversa nel water il veleno che ingoia da giorni, buttando nel cesso la forza mostrata fino ad oggi.
E si passa le mani tra i capelli, guardando di sfuggita la foto finita a terra, proprio dove si sente lei se non qualche metro più sotto.
Si lava la bocca sperando che il dentifricio alla menta cancelli lo schifo che sente in bocca.
Guardandosi allo specchio, vedendo una se piu stanca, più pallida.
Vedendo due occhi castani scuri, troppo scuri, troppo tristi.
Poi all'improvviso quancosa sbatte alla sua finestra, richiamandolo fuori dal bagno.
Ancora un altro tic, come una pietra che ai scontra con il vetro.
Mette la foto al suo posto prima di affacciarsi alla finestra.
E finalmente sorridere sollevata.
La apre alzandola verso l'alto.
"Siete fuori di testa."
Sorride alle tre amiche, appostate sotto casa sua.
"Per fortuna ho beccato la finestra giusta.
Sennò sbagliavo ci sarebbe arrivata una secchiata d'acqua."
Sofia mette via la terza pietra che stava per lanciare.
Mentre Isa alza in aria una bottiglia di vodka.
"Noi ci ubriachiamo e tu ridi per le figuracce che faremo.
Ci stai?"
Ed è una cosa talmente stupida, da fare scoppiare a ridere Emma come ormai non faceva da tanto.
Fa scendere con un po' di fatica la scala antincendio, per poi rientrare dentro, aspettando che arrivino.
Si avvicina al bagno per spegnere la luce rimasta accesa, incrociando per sbaglio il suo riflesso.
La sua immagine non è variata, ha ancora l'aria stanca.
Ma sa di non essere sola, di avere troppe cose a cui rinunciare e persone da perdere.
"Bene ragazze, il gioco è semplice.
Bere finché il mondo non ci sembrerà migliore.
O finché Emma non ci buttera fiori per la vergogna."
Sanno bene che l'amica non può bere.
Ma l'idea di vederla ridere, anche se per la loro dignità persa, suona favoloso.
Così si siedono tutte in cerchio, passandosi la bottiglia.
"Tu no Emma, abbiamo bisogno che qualcuno ci eviti di vomitarci adosso.
Perciò da brava mammina non farci video imbarazzanti."
Sdrammatizza Sofia, convinta di fottore la paura.
Volendo solo guardare l'amica ridere, sollevarla per poco tempo da questo peso opprimente
E Emma ride, ringraziando segretamente dio per le persone stupende che gli ha messo sulla strada.
Per la forza che gli stanno donando per sconfiggere questa maledetta guerra.
E guarda ancora una volta la foto di suo padre.
"Vinci la tua guerra papà.
Quando tornerai festeggeremo per entrambi."
Ed è una malattia che fa paura, che distrugge il corpo ma anche la mente.
Che distrugge chi ne soffre e chi gli sta vicino.
Ma mai bisogna cedere la Speranza a questo male.
Mai, finché essa non vince si può ancora pareggiare e sconfiggerla.
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