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capitolo 34 figli

Ed è strano ritrovarsi di nuovo qui.
In un ospedale, davanti a un vetro ad attendere che Emma si risvegli.

Sofia l'ultima volta che è successo, si era ripromessa che non l'avrebbe più permesso.

E invece si ritrova di nuovo qui, con lo sguardo in lacrime da ore, a guardare la sua amica stesa su un letto.

Per fortuna il tubo le è stato tolto dalla gola.
Ma rimane comunque una visione angosciante.

La sua pelle bianca come perla, macchiata sulla guancia di viola livido, il battito che risuona nella stanza grazie alla macchinetta.
I suoi occhi chiusi in un sonno troppo tranquillo.

"Avrei dovuta fermarla.
Allontanarla da lui."

Il senso di colpa la sta divorando.
Continuando a chiedersi se avrebbe potuto cambiare le cose.
Se avrebbe potuto fermarla o fermare lui.

Sospira, posando la fronte sul vetro freddo che la divide da lei.
Consapevole che con i "se", non risolverà nulla.
Nonostante essi pesano sulla sua coscienza.

Poco lontano da lei, a sua insaputa, è arrivato Al con Diana.
Avvisati da poche ore da Caterina.

Anche per loro non è una novità o una sorpresa.
Da sempre a conoscenza della malattia della ragazza

Ma sapere non da nessuna consolazione.
Non dà pace a un cuore che soffre per una ragazza, che per loro è molto di più.

Le famiglie che erano presenti al ringraziamento, a parte naturalmente la famiglia di Oliver, si conoscono da prima che nascessero i ragazzi.

Al, più degli altri, prova un sentimento quasi paterno verso Emma e Thomas.
Soprattutto da quando il padre è scomparso.

La coppia, Al e Diana, non ha figli propri.
Troppo segnati dalle immagini viste in guerra, da quei bambini soldati caduti in una guerra tra adulti.
Troppo macchiati di quelle morti per mettere al mondo una vita.

Una scelta decisa di comune accordo, di non averli, ancora prima di sposarsi.
Con la promessa di mantenerla finché non supereranno questo blocco.

Questa scelta non ha mai pensato sulla loro vita, ma li ha sempre spinti a un senso protettivo verso i più piccoli della famiglia.

Un sentimento che ora sbriciola il loro cuore, davanti a una dei loro ragazzi, ridotta in quello stato.

"Vado a vedere Caterina.
Magari riesco a convincerla di andare a casa e di darle il cambio."

Lo avvisa la moglie, per poi scappare dalla amica.
Della coppia lei è sempre stata quella capace di consolare, mentre Al ha sempre preferito difendere con i fatti.

Come quando Emma, appena una bambina, era arrivata da lui in lacrime, poiché un bambino le faceva i dispetti a scuola.
Il padre era in missione perciò era stato compito di Al andare dal padre del bulletto, e convincerlo ad intervenire prima che lo facesse lui.

Oppure quando ha avuto la sua prima cotta ed era corsa da lui per chiedere consiglio.
Ricevendo pero purtroppo io nome di un buon negozio di armi.

Jack, il padre di Emma, è sempre stato in buon padre.
Presente quando c'era.
Il problema è proprio questo, quando c'era.
Poiché il suo lavoro lo teneva lontano 9 mesi all'anno, se non si più.

Così, Al è sempre stato felice di prendere la figura dello zio moderno, e l'amico l'ha sempre ringraziato per questo.

Tra Emma e Al c'è sempre stato un rapporto bellissimo, tanto che la ragazza gli ha presentato ogni suo fidanzatino, e gli ha sempre chiesto consiglio sia nelle cose importanti che nelle sciocchezze.

Era così, almeno fino a un anno fa.
Poco dopo la partenza del padre e della scoperta della malattia.

Emma si è ritrovata addosso tutte quelle responsabilità che l'hanno fatta diventare adulta.
La malattia, la scuola, la scomparsa del padre, il bisogno di Thomas di frequentare l'istituto per sordi-muti.

Il tutto senza mai lamentarsi.
Senza parlarne mai.

E la guarda Al, guarda come quelle cose non dette l'hanno ridotta.
Come sia crollata, senza che nessuno di loro se ne sia accorto.

Ed è devastante sentirsi così impotenti.
Così inutili davanti a un figlio che sta in quello stato.
Che naufraga in un mare di guai, senza potergli lanciare un salvaggente.

Si mette poco lontano da Sofia.
Troppo presa a sospirare e trattenere le lacrime per accorgersene di lui.

"Devo fermarla prima.
Dovevo allontanarla da lui."

Sospira ancora una volta, questa volta però udibile alle orecchio di Al.
Che subito si mette in allerta, assordito dal suono di allarme nella sua testa.

"Che intendi dire Sofia."

La ragazza sobbalza, sorpresa della presenza dell'uomo.
Per poi mordersi il labbro nervosa, capendo di non aver solo pensato.

"Chi la ridotta così Sofi?
Chi dovevi allontanare?"

Sofia ingoia a vuoto a causa del tono duro e severo di lui.
E abbassa lo sguardo, troppo codarda per affrontare il suo sguardo di fuoco.

L'afferra dalle spalle, cercando di avere queste maledette risposte.
Sentendo improvvisamente il fuoco scorrergli in vena.

Perché fino ad ora ha pensato che Emma fosse crollata solo per  lo stress.
Non ha notato i lividi, non sa che ha dura costole inclinate, non conosceva i fatti che l'hanno portata davvero a crollare.

Ma, le parole sussurate di Sofia, hanno acceso mille pensieri in Al.
Tutti brutti e concentrati su chi ha ridotto così una delle sue bambine.

"È stato Andreas.
E lui ad averla ridotta così."

È Caterina a parlare, con mano tremante sul petto, oppresso dal senso di colpa.

Perché sa che è anche colpa di sua madre, se Emma è ridotta cosi.

Quella sera, quando è arrivata quella maledetta lettera, lei sapeva che Emma avrebbe fatto qualcosa per il fratello.
Si sarebbe legata ad Andreas per aiutare la famiglia.

"Ma non pensavo che sarebbe arrivato a tanto."

Sussura ancora, sentendo le gambe tremare.
Con il cuore a pezzi da quando sua figlia è stata ricoverata.

Non dorme da più di un giorno e anche lo stomaco vacilla.
E le forze di affrontare tutto non ci sono più.

Prima che possa cadere, Al l'afferra al volo.
Mente Diana le rimane vicino, guardando la sua amica con angoscia.

"Se avessi saputo come stavano le cose, l'avrei fermata.
Te lo giuro Al, l'avrei fermata."

Si aggrappa alla giacca del suo caro amico, aggrappandosi alla poche cose ancora in piedi nella sua vita.

Ringraziando che Thomas sia con la madre di Sofia.
Poiché non avrebbe saputo come spiegare al piccola cosa sta succedendo.

"Ora andiamo a prenderci un caffè e ci spieghi ogni cosa."

La sostiene l'amica, accarezzandole la schiena.
Sperando che questa carezza gli dia un po' di consolazione.

Ma sa bene che la donna non avrà pace finché non vedrà gli occhi di nuovo luminosi della figlia.

Ma li segue, sedendosi sulla sedia scomoda della sala d'attesa.
Con le mani sul viso, ad asciugarsi le troppe lacrime.

Dopo che Diana le ha fatto bere un po' d'acqua, finalmente si sfoga raccontando ogni cosa.

Del fatto che Andreas sia il figlio del direttore dell'istituto per sordi-ciechi.
Il cui consiglio ha rifiutato la domanda si iscrizione di Thomas.
Togliendosi così al più piccoli di casa, di crearsi un modo per affrontare il futuro, nonostante la sua invalidità.

"La sera che è arrivata la lettera di rifiuto, Emma era tornata a casa raggiate come non la vedevo da tempo.
Ma quando le ho detto della lettera è diventata seria di colpo.
Ed è salita in camera, dicendomi solo che ci avrebbe pensato lei."

Ricorda bene gli occhi di sua figlia diventare bui di colpo.
Quel castano caldo come castagne arrostite, diventare marroni come foglie secche.

Il sorriso luminoso, diventare una riga spessa e dolorosa.
E la consapevolezza dell'inizio del declino.

"Quando il giorno dopo Andreas è venuta a prenderla, ho capito.
Lei mi ha detto che avevano deciso di rivedersi, ma io sapevo che lei lo faceva solo per il fratello."

Perché Emma è sempre stata così, soprattutto da quando si è ammalato il fratello.
Sempre pronta a sacrificarsi per l'ometto di cui è innamorata, anche se ha solo otto anni e ancora non comprende le cose che fa per lui.

"Ed io lo lasciata fare.
Non ho voluto vedere le lacrime che versava, di come ingoia pillole come se fossero caramelle.
Ma i debiti continuavano a salire e senza quell'istituto avremmo dovuto mandare Thomas in un centro.
Troppo costoso, e ci saremo indebitati, e saremo finiti in mezzo a una strada.
E..."

Parla in fretta, respirando a pena, fino a scoppiare in lacrime.
Con le mani sul viso, e le lacrime a soffocare le parole.

"Sono una madre orribile.
Orribile.
Come ho potuto essere così cieca, così egoista."

Non pensava che quel ragazzo avrebbe ridotto così sua figlia, non pensava che sarebbe arrivato a tanto.

Ma non importa, ciò non cambia la codardia che sente dentro di sé Caterina.
La delusione verso se stessa, l'amaro che sente in gola.

Era più semplice così, lasciando che sua figlia si sacrificasse ancora una volta.

"Tutti noi facciamo degli sbagli, questo non ti rende una mamma orribile."

Diana si inginocchia davanti a lei.
Prendendole il viso tra le mani.

"Io ti conosco da più di vent'anni Cate.
E so che eri spaventata e ti sentivo sola.
Ma ora ci siamo noi e risolveremo ogni cosa."

Continua a parlarle con dolcezza, per poi stringerla tra le sue braccia.
E mentre Caterina si nasconde tra le chiome bionde della amica, Diana scambia uno sguardo di intesa con il marito.

Decisi a risolvere questa situazione.

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"Ivan non capisco perché mi hai fatto chiamare con così tanta fretta.
Qualcuno in famiglia sta male?"

Nell'ufficio di casa casa Johnson, Natali serve il caffè al padrone di casa e al suo ospite.
Il dottore Wright Parker direttore di una delle migliori strutture sanitarie dell'intera California.
Nonché capo della miglior equipe di specialisti.

"Mi serve il miglior oncologo che conosci."

Finito il suo caffè, Ivan  gli passa una cartella gialla.
La cartella di Emma Lopez, aggiornata poche ore prima, recuperata questa mattina grazie alle sue conoscenze.

Il dottore non si chiede come l'amico abbia queste informazioni.
Ormai sa bene che è un uomo dalle mille capacità.

Così, si limita a leggere le informazioni che solo tra dottori si comprendono.
Scritte in una strana lingue, traducibile solo con un dottorato.

"Un caso complesso.
Chi è la ragazza?"

Chiede continuando a studiare il caso.
Uno dei più complessi nei suoi ultimi anni di sala operatoria.

"Non ne ho idea."

Con questa ultima affermazione, Ivan richiama su di sé lo sguardo del dottore.
Al quanto confuso di come Ivan si stia muovendo per aiutare una ragazza che non conosce.

"Ma chiunque sia, è molto importante per Oliver.
Tanto da farlo stare male come non lo mai visto prima."

La sua specializzazione in psichiatria, prende il sopravvento.
Facendo ciò che l'amico odia, cioè psicoanalizzarlo.

"Non è mai crollato così, ne meno quando la madre è scomparsa.
O forse sono stato troppo cieco io da non capire mio figlio."

Si lascia andare Ivan, mostrandosi fragile davanti a uno dei pochi amici che ha.
Fregandosene una volta per tutte della bella facciata da mostrare.

"Sono stato un padre deludente.
Che davanti al dolore, a semplicemente finto che nulla esistesse.
Buttandosi nel lavoro e buttando nel cestino il rapporto con mio figlio."

Parker si limita ad ascoltare, sorpreso che finalmente Ivan abbia riacquistato la ragione.

Lui c'era quando l'amico era felice.
Un buon marito e in buon padre.
C'era quando quella donna se ne andata, lasciando un vuoto incolmabile nei due uomini.

C'era quando Ivan è diventato lo squalo, il migliore nel suo lavoro, ma lontano da casa e dai sentimenti verso la sua famiglia.

"Ho preso pezzi importanti della sua vita.
Spingendolo nel mio mondo, volendo che diventasse come me.
Ma ora sono odioso anche a me stesso."

Forse voleva che il figlio prendesse il suo modo di affrontare il dolore.
Che smettesse di combinare guai, che si sfogasse tramite il lavoro.

Che preferisse la freddezza della finanza alle risse da bar.
Ma è davvero più giusto il suo sfogo che quello del figlio?

"Ognuno cerca di sopravvivere come può.
Tu hai deciso di sopprimere i sentimenti, in modo di non affogare nel proprio dolore."

Ivan sbuffa, come sempre quando l'amico gli fa da psicologo.
Si alza dalla sedia, avvicinandosi alla finestra che si affaccia sul cortile.
Notando una piccola palla di pelo che salta e scalpita, cercando di uscire dalla recensioni molto grande per il cucciolo.

Si chiede quando sia arrivato quel cane, come e chi l'abbia portato.
Rispondendosi che è l'ennesima prova della sua essenza.

"Questo non mi giustifica.
Avrei dovuto aiutare mio figlio, stargli vicino.
E non estraniarmi dalla sua vita."

Torna a sedersi davanti all'amico.
Sperando di concludere presto questa seduta terapeutica.

"Questa ragazza è importante per lui.
E stata sostegno dove io non c'ero.
Ed io sento di doverlo a mio figlio.
Sento che è il primo passo verso di lui."

Parker capisce che la discussione non andrà avanti.
Anzi si è già prolungata più del dovuto.

Così torna a studiare la cartella, leggendo ogni analisi fatta, ogni cura provata.
Ogni ricovero fatto.

"Il caso non è per nulla facile, anzi.
Te la farò a parole facili."

Mette via la cartella, cercando una spiegazione semplice e conclusiva.

"Si tratta di un tumore sviluppato.
E la salute della ragazza è compromessa dai medicinali che ha usato.
L'intero sistema nervoso è compromesso.
È come se il tumore fosse un polipo, che si sta allungando all'interno del suo corpo."

Ivan si stringe con due dita la base del naso, cercando di assemblare con cure tutte le informazioni.
Oliver gli aveva detto che era grave, ma non pensava così tanto.

"Dimmi che si può fare qualcosa.
Qualsiasi cosa a qualsiasi prezzo."

Se quella ragazza è importante per il figlio, è disposto a qualsiasi cosa.

Parker sospira, rifugiandosi nella lettura.
Come un avvocato che cerca una clausola una scappatoia a questa maledetta malattia.

"La porterò alla mia equipe, Connor è il miglior oncologo che conosco.
Se c'è una possibilità, lui la troverà."

Si alza dalla sedia, mettendo nella ventiquattr'ore la preziosa cartella.
Per poi stringere in saluto l'amico ritrovato.

"Ti farò sapere entro oggi pomeriggio.
Mi metterò subito al servizio della famiglia Lopez."

Lo saluta così, per poi lasciarlo solo nell'ufficio.
Senza che sappia che la famiglia Lopez non sa ancora nulla.
Ma non crede che rifiuteranno di aver salva la vita di loro figlia.

Una volta sistemato il suo ufficio, scende al piano di sotto.
Dove trova Oliver, girare intorno, cercare qualcosa con ansia.

"Tutto bene?"

Gli chiede, rimanendo fermo sulla porta della cucina.
Ricevendo risposta dal figlio, senza che quest'ultimo lo guardi.

"Mi ha chiamato Sofia.
Dice che Emma sta per risvegliarsi.
Ed io devo andare, ma non trovo le chiavi della macchina cazzo."

Continua a girare nervoso, buttando tutto alla rinfusa, alla ricerca di quella maledetta chiave.

È stato svegliato circa mezz'ora  fa dallo squillo del telefono, cadendo pesantemente dal divano.
Ma la notizia che avrebbero svegliato Emma, ha cancellato stanchezza e il dolore ai muscoli dovuti ad aver dormito scomodo.

Si è buttato sotto la doccia e vestito con le prime cose che ha trovato.
Per poi perdere dieci minuti buoni a cercare le chiavi della macchina.

Ivan recupera dal cassetto le chiavi della propria macchina e si avvicina al figlio.

"Tieni, prendi la mia."

Oliver accetta titubante, poiché mai suo padre gli ha fatto usare la sua Mercedes.
Ma le accetta, come una fonte per correre da lei.

Non crede si abituerà preSto a questo nuovo padre.
Anzi, pensava che al risveglio sarebbe tornato tutto normale.
Invece il padre lo guarda con compressione, indicandogli di andare.

No, non si abituerà tanto presto.
Ma prima di uscire di casa lo guarda ancora una volta.
Spinto forse dal cicloni di emozioni che si porta dentro.

"Grazie."

È appena un sussurro, prima di andare via.
Un sussurro che arriva forte nel petto del padre.

Ora ancora più convinto che così facendo non salverà solo la ragazza.
Ma anche suo figlio.

Quando sta per ordinare il casino creatosi in cucina, il telefono si casa squilla.
Facendogli abbandonare la stanza per raggiungere il divano, dove il cordless è stato abbandonato.

"Pronto?"

Si siede sul divano, iniziando a sentire il peso di una notte passata in bianco.

"Sono Camilla.
Oliver è in casa?"

La sua stessa madre risponde con freddezza.
Ma in fondo se lo merita, lui la trattata forse peggio.

"No, è corso in ospedale da Emma."

Si stropiccia gli occhi, sentendo la madre nervosa dall'altra parte della cornetta.

"Ho sentito poco fa Caterina e mi ha spiegato ogni cosa.
Credo che quella donna abbia raggiunto il limite massimo, altrimenti non mi avrebbe detto nulla.
Oliver come sta?"

È comprensibile.
Ha visto il dolore negli occhi del figlio.
Può solo immaginare cosa stia provando la madre di Emma.

"A pezzi, sconvolto, come non lo mai visto prima.
Ma è un Johnson, sono sicuro che saprà affrontare la situazione."

Meglio si come ha fatto il padre vorrebbe aggiungere.
Ma preferisce godersi la prima chiacchierata vera con sua madre.

"Si, siamo duri a cadere e troviamo sempre un modo per rialzarci.
Anche se a volte perdiamo noi stessi in attesa di tornare in piedi."

E Camilla ci ha sempre conosciuto la verità nel cuore del figlio.
La sempre difeso proprio per questo, nonostante tutto gli andasse contro.

"Già, sbagliamo e perdiamo di vista le cose importanti.
Preferiamo rimanere vuoti per paura che ciò che amiamo ci venga strappato via."

Camilla nasconde le lacrime, il peso che le si toglie dal petto nel sentire finalmente suo figlio.

La stessa che sente lui nel sentire quel dolce legame con la madre ricostruirsi.

"Potrai mai perdonarmi mamma?
Potrai perdonare questo figlio che ti ha abbandonato?"

E si lascia andare Camilla, facendo uscire la sua parte più fragile.
Quella parte di sé che solo un figlio può spezzare e ricostruire.

"Sei mio figlio.
Avrai sempre il mio perdono e io mio amore.
È una promessa che ho fatto alla tua nascita."

Perché non importa quanti litigi ci possano essere tra figli e genitori.
Quanti sbagli si possano fare e quante bugie dire.

Quel legame, quel filo che li lega a cordone ombelicale, rimarrà sempre.

"Ritorna a casa mamma.
Torniamo a casa."

E nonostante l'età, si è sempre figli e si è sempre genitori.
L'importante è capirlo, ritrovarsi quando ci si perde, parlare quando ci sono incomprensioni.

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