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Capitolo Undici

Nella Radura ero diventata una specie di mito.
Tutti parlavano del litigio mio e di Newt a pranzo e di me che me andavo vittoriosa rovesciandogli addosso tutto il mio pranzo aggiungendo dettagli sempre nuovi al racconto. Qualcuno giurava di avermi vista piangere mentre mi allontanavo mentre altri giuravano di aver visto piangere Newt mentre si toglieva scioccato pezzi di maccheroni dai capelli.
La verità era che io me ne ero andata a sbollire la rabbia nel Casolare prendendo a calci tutte la amache davanti a me mentre lui ero rimasto lì cercando di togliersi più cibo possibile dai capelli e guardando male chiunque osasse ridere. O almeno così mi aveva raccontato Teresa dopo avermi raggiunta.
"E avresti dovuto vedere la faccia di Kayla quando lui è andato via ignorandola completamente" mi confessò anche vittoriosa.
Io mi limitai ad annuire distratta mentre dondolavo sull'amaca di chissà chi.
Per il resto passai tutto il pomeriggio a ultimare il piccolo Casolare per noi ragazze insieme ai miei compagni costruttori raccontando e raccontando all'infinito la storia sotto loro richiesta, visto che in quel momento nessuno di loro era presente.
"Che poi esattamente cosa dovremmo farcene noi ragazze di questo mini Casolare?" domandai osservando il lavoro ultimato "io sto bene vicino a Chuck e Thomas e non ho nessuna intenzione di dividerlo con quella lì!" e nel dirlo indicai Kayla che raccoglieva delle mele a qualche centinaio di metri da noi.
"Boh, potete cambiarvi e fare tutte quelle cose da ragazze se proprio non volete dormirci. Ma Alby non ne sarà felice" rispose Gally.
"Oh al diavolo Alby e i suoi sbalzi di umore. Io gli avrò detto almeno tremila volte che non serviva ma lui non mi ha ascoltata."
"Io me ne tiro fuori, fatene ciò che volete."
"Gally possiamo andare adesso?" domandò Micheal che quasi non si reggeva più in piedi dal sonno e dalla stanchezza.
"Sì sloggiate pive" rispose il biondo distrattamente.
"Vado anche io, Minho e Thomas dovrebbero tornare tra poco" dissi iniziando a correre velocemente verso la solita porta per aspettare i due velocisti come d'abitudine.
Thomas fu il primo ad arrivare e si lanciò addosso a me come un ghepardo stritolandomi e scompigliandomi i capelli.
"Novità?" mi domandò curioso.
"Ah non sai quante, ma ti dico tutto a cena promesso" dissi "voi invece dal Labirinto?"
Ormai i ragazzi mi raccontavano tutto.
"La solita, non riusciamo ancora a capire cosa è successo alla Scarpata e ci è sembrato di sentire il verso di un Dolente. Minho stava per farsela sotto."
"Guarda che sono qui testa di caspio, ma non eri tu quello che ha fatto il paranoico per tutto il resto del giorno?" domandò Minho guardandolo fisso.
"Chi io? Assolutamente no" rispose Thomas scappando via.
"Ecco anche nel Labirinto ha fatto esattamente così" mi spiegò l'asiatico ridendo per poi girarsi verso di me aprendo le braccia.
Mi tuffai verso di lui con entusiasmo affondando la faccia nell'incavo del suo collo e lo sentii sospirare. Minho mi avvicinò a sé il più possibile.
Mi ritrovai a pensare che stavo davvero bene insieme a lui, in modo diverso da come stavo con Newt ma comunque bene.
"Potrei anche abituarmi a tutto questo" mi sussurrò lui prima di farmi l'occhiolino e andare via.
Quando guardai a destra notai Newt, fermo a pochi metri da me, che mi fissava con la testa leggermente inclinata di lato.
Si avvicinò a me lentamente. I suoi capelli erano tornati puliti, soffici e leggermente scompigliati come piacevano a me.
Morivo dalle voglia di infilarci le dita in mezzo.
"Possiamo parlare?" mi domandò arrivato a un metro di distanza.
"Il piatto di pasta in testa non ti è bastata come risposta?"
"Ti prego Charlie. Ci sto male anche io."
"Tu ci stai male Newt? Fino a stamattina non mi degnavi di uno sguardo. Ti serviva essere buttato giù da un'amaca per ricordarti che esisto?"
"Devi credermi se ti dico che non l'ho fatto con cattive intenzioni. Ho passato 2 anni qua completamente solo e quando ho trovato una ragazza mi sono completamente dimenticato di tutto il resto solo perché era una novità ed ero emozionato di essere l'unico qui ad averne una. Lo so che non basta come scusa ma ti giuro che avevo proprio la testa tra le nuvole, a te non è mai successo?"
Cercai di ignorare le fitte di gelosia e lo guardai pensando a quante volte mi ero persa nei miei pensieri pensando a lui o a come uscivo sempre di testa a ogni suo sguardo.
"Certo, mi è successo di continuo da quando sono qui" dissi "ma non ho mai abbandonato i miei amici."
"Prima di andare via un'ultima cosa" mi disse prendendomi per mano.
Guardai le nostre dita intrecciate senza avere la minima forza di distaccarle e portai la mia attenzione sul suo viso perfetto.
"Stanotte ti aspetterò nel nostro posto per chiarire una volta per tutte. Se verrai tornerà tutto come una volta te lo giuro e se non verrai mi rassegnerò, non ti darò più fastidio e non ti cercherò più . Va bene?"
Guardai i suoi occhi pieni di speranza. Gli occhi di cui mi ero innamorata dal primo istante.
"Ci penserò Newt" dissi allontanando le nostre mani.
"Spero verrai."
Andai via da lui. Non volevo cedere così facilmente, dovevo pensarci bene a questa faccenda.

"E poi noi ci siamo spostati e i Dolenti sono precipitati, figo no?"
"Minho, saranno trecento volte che racconti questa storia. Cambia repertorio" lo intimò Teresa sbuffando.
"Vi ho mai detto di quella volta nelle docce quando..."
"Sì, Minho."
"E di quando al Casolare..."
"Almeno duecento volte."
"Ah, ma forse non sapete di quel giorno nel bosco in cui..."
"Ci hai raccontato anche questo".
"E allora trovatelo voi qualcosa da raccontare" disse alle fine indispettito.
"Raccontaci qualcosa tu Charlie" propose Chuck battendo le mani due volte.
"Buona idea, dicci qualcosa tu" lo appoggiò Teresa avvicinandosi avida a me.
"Ma non saprei cosa dire" confessai guardando i miei amici uno a uno.
Tutte le sere dopo cena era abitudine riunirmi con il mio gruppetto a chiacchierare seduti da qualche parte nella Radura. Ogni volta qualcuno raccontava delle storie, ma in genere lo faceva Minho e quindi non era mai capitato che qualcuno chiedesse a me.
"Potresti ad esempio dirci dove te ne scappi tutte le notti. Certe volte mi sveglio e ogni volta la tua amaca è sempre vuota" fece notare Thomas.
"È personale" risposi.
"Allora potresti dirci cosa avevi tanto da dirti poco fa con Newt vicino le porte" incalzò Frypan avvicinandosi con fare pettegolo.
"È personale" ribattei di nuovo.
"Per me niente è personale. Voglio sapere ogni minimo dettaglio" disse Teresa puntandomi il dito contro.
"Okay" mi rassegnai.
"Perchè a lei sì e a noi no?" domandò Frypan.
"E va bene, va bene. Vi racconto basta che mi date tregua." Tutti, tranne Ben che sapeva farsi gli affari fuori e Minho, si avvicinarono a me quasi con la bava alla bocca. Sembravano un gruppo di psicopatici.
"In parole povere vuole far pace con me. Ci ha provato nelle docce ma gli ho dato uno schiaffo e a pranzo ma l'ho ricoperto di maccheroni e allora mi ha proposto di parlare stanotte..."
"Gli hai dato uno schiaffo?" domandò Frypan.
"Stanotte dove?" domandò Teresa.
"Cosa gli hai risposto?" chiese Chuck.
"Basta così, lasciatela respirare" disse Ben mettendosi tra me e loro "certo che siete proprio tre impiccioni." Lanciai uno sguardo riconoscente al biondo e tra le lamentele generali smisi di parlare.
E mentre Chuck iniziò a parlare delle figure che avevano fatto i suoi compagni di lavoro spalatori quel giorno iniziai ad estraniarmi dal gruppo ripensando alle parole di Newt.
Da una parte non mi sentivo ancora pronta a perdonarlo ma dall'altra sapevo che se non mi fossi presentata il ragazzo avrebbe smesso di approcciarsi con me per non infastidirmi.
Ripensai al suo sguardo nel mio e alla sua mano che stringeva la mia quasi con disperazione, potevo ancora sentire i brividi invadermi sottopelle e il suo calore contro il mio.
Erano bastate le sue dita intrecciate alle mie per causarmi una miriade di emozioni che non riuscivo a classificare e nemmeno a quantificare.
Era come avere uno spettacolo di fuochi d'artificio dentro di me. Tutto di un diverso tipo e colore.
Scoppiavano tutti insieme lasciandomi ogni volta senza fiato per l'intensità che mi trasmettevano.
Ripensai poi al mio primo incontro con lui e al tono del mio umore che era cambiato vertiginosamente in pochissimi secondi. Da confusa e nervosa ero diventata meravigliata ed estasiata con un solo sguardo.
Quel ragazzo era capace di tirare fuori da me cose che non pensavo nemmeno di poter provare e ogni volta in modo sempre più intenso e profondo. Non c'era uno schema logico in quello che sentivo ma non aveva importanza, perchè ogni attimo con lui mi faceva sentire viva.
Tornai alla realtà a causa delle risate dei miei amici probabilmente divertiti da qualche storia appena raccontata. Stavano ridendo tutti tranne Minho, che sembrava anche lui perso nei suoi pensieri e mi sembrò strano visto che era lui quello sempre col sorriso o la battuta pronta.
Il ragazzo sentendosi osservato si girò nella mia direzione accennando un sorriso, ma non c'era felicità in quel gesto. Infatti mentre all'apparenza la sua bocca sembrava sorridere i suoi occhi erano velati dalla malinconia.
Mi alzai dal mio pezzo di erba e mi avvicinai a lui senza attirare gli sguardi degli altri ragazzi troppo occupati a ridere e a discutere tra loro per prestare attenzione a me e una volta vicina mi lasciai cadere al suo fianco.
"A cosa pensi?" gli domandai.
"A niente in particolare" mi rispose lui mentre si stendeva con l'intento di guardare il cielo. Lo imitai.
"Dallo sguardo che avevi non si direbbe."
"Mi spii adesso?" domandò solleticandomi un fianco.
"Tu piuttosto a cosa pensavi."
"A niente in particolare" risposi a mia volta.
Il ragazzo si girò verso di me sorridendo di nuovo, sia con la bocca che con gli occhi.
"Non è bellissimo?" domandò indicando il cielo "quando penso a cose mie o sono triste mi piace guardare il cielo. Mi fa pensare che i miei pensieri non sono niente rispetto alla sua maestosità e mi sento un po' meglio. Diventa tutto più piccolo quando guardi qualcosa di così bello e grandioso."
"Da quando ti diletti a poeta?"
"E perchè tu sei così bella?" mi domandò a sua volta spiazzandomi. Minho si avvicinò un po' di più a me poggiando la testa sulla mia spalla ed io lo guardai sorridendo.
Mi accorsi solo in quel momento che attorno a me non sentivo più il solito animato chiacchiericcio tipico degli altri e anche lui sembrò accorgersene, tanto che alzandoci di scatto arrivammo alla conclusione che nessuno parlava perché erano tutti troppo impegnati a fissarci maliziosi.
Sapevo già il carico di battutine imbarazzanti che sarebbero arrivate di lì a breve e anticipai tutti con un: "Credo che andrò a letto" per poi andarmene consapevole di averli lasciati con un pugno di mosche.

TADAN
Perdonate l'imperdonabile ritardo ma ho avuto moltissimo da fare ultimamente e non me la sono nemmeno passata tanto alla grande...
Spero che il capitolo non vi faccia vomitare anche il cenone di Natale del 2005 ma okay...

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