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𝕮𝖍𝖆𝖕𝖙𝖊𝖗 𝖊𝖑𝖊𝖛𝖊𝖓 - 𝑺𝒆𝒃𝒂𝒔𝒕𝒊𝒂𝒏

Vedevo tutto sfocato, continuavo a tirare pugni alla sagoma davanti a me, fino allo sfinimento.
La brezza notturna soffiava sul mio viso.
Ci saranno stato un grado se tanto, avevo naso e orecchie, congelati.
Era tutto buio intorno a me.
I miei amici erano tutti dietro la mia schiena, che mi fissavano, non sapevano nemmeno loro cosa fare.
Avevo la mente annebbiata, i pensieri confusi. Non riuscivo a pensare ad altro.
Se n'è seriamente andata? É veramente morta? Non può avermi abbandonato così! Non in questo modo. Non adesso.
L'uomo sotto di me, sorrise, non so con che coraggio.

<La prossima...é Blu..>sussurrò l'uomo. Avevo già intuito cosa stava per dire.

A quelle parole presi a picchiarlo più forte.
Sentì le lacrime rigarmi le guance.
Non avevo fatto niente per evitarlo, nulla! Avevo fallito completamente.
Lei ora non c'era più.
Qualche istante più tardi, uno dei miei amici mi disse qualcosa, strattonandomi per una manica della felpa. Non ne volevo sapere, continuavo a picchiare la figura sotto di me, come se fosse l'ultima cosa che avessi fatto.
Non sentivo più niente, non distinguevo più forme e colori, ogni cosa si era fatta confusa, sentivo tutto ovattato. Continuavo a ripetere all'infinito la stessa mossa, aumentando sempre di potenza, a ogni gancio.

L'attimo dopo la luce e il chiarore delle sirene, mi abbagliarono. Due uomini mi sollevarono di peso e sbatterono la mia testa, contro il cruscotto dell'auto.
Cercai di ribellarmi dalla loro presa, non avevo ancora finito. Ma i miei amici mi fecero segno di arrendermi.
Mi girai di scatto per vedere dove fosse finito l'uomo. Sparito.

Non capivo niente, fui rinchiuso in un auto, con le manette ai polsi.
Che sta succedendo?
Il mio cellulare prese a vibrare. Con un abile mossa lo tirai fuori dalla tasca e cercai di sbloccarlo.
Un messaggio da numero sconosciuto.

Se dici qualcosa a qualcuno
ci saranno conseguenze, come
L'ultima volta che l'hai fatto.

Due secondi dopo averlo letto, il numero scomparve e con esso anche il messaggio.
Solo dopo un paio di minuti entrarono due uomini, che si stavano parlando.
Erano vestiti di blu e nero, con una giacca, con attaccati vari distintivi addosso.
Per tutto il viaggio, pensai in loup le parole pronunciate dal signore.
Sebastian, la tua amichetta non c'è più da molto tempo.
La rabbia mi faceva rigonfiare le vene.
Arrivammo davanti in un edificio gigante, tutto bianco a un due piani. Un ingresso grande e illuminato. Sopra all'entrata c'era una scritta. Centrale di polizia.

Solo in quel momento ripresi la lucidità.
Ero appena stato arrestato dalla polizia ed ero in centrale.
I miei sei amici scesero dalle macchine accanto, insieme a me.
Non mi avevano abbandonato.

Entrammo tutti e sette nella centrale, tutti i poliziotti lì presenti, ci guardarono male.
Certo non potevo biasimarli, sette ragazzi vengono scortati dentro da dei loro compagni, alle due passate di notte.
Fummo separati, tutti in una stanza diversa.
Anche ai miei amici, da quello che ho sentito, é arrivata la notifica dal numero sconosciuto, quindi non avrebbero detto nulla.
Mi fecero accomodare su una sedia di acciaio, la stanza era tutta bianca, era illuminata solo da un faretto a led. Davanti a me c'era un tavolo anche esso bianco e due sedie. Dove si sedettero una donna e un uomo, più basso e meno forzuto di me.

Mi stravaccai sulla sedia, come quando sei a scuola e stai scomodo.
I poliziotti presero a fare domande, che non ascoltai e quindi non risposi. Ero troppo impegnato a rigirare i pollici e a pensare alle parole dell'uomo.
Credo che la donna che si chiamava Joel, scritto sul cartellino della divisa, avesse più carattere di mia madre e tutte quelle della terra, messe insieme.
Continuava a urlare come una pazza.
Non ascoltai nulla di quello che dissero, solo il finale.

<Se fai un'altra cazzata di qualsiasi tipo, Davies sei dentro, sei stato avvisato. Basta anche solo un pugno.> disse la signora, cercando di mostrarsi più sicura di sé.

I ragazzi mi aspettarono all'ingresso seduti su delle sedie, di plastica nera. Come quelle che trovi prima di entrare in ambulatorio o prima di una visita.
Avevano il volto preoccupato.

<Non é colpa tua, hai fatto bene. Se la meritava quella lezione, forse meritava anche la morte. Non doveva ucciderla> mi rassicurò Jason, provando a farmi stare meglio.

I sensi di colpa mi pervasero, dallo stomaco fino alla testa. Non di certo per quel uomo, se li meritava tutti. Ma per lei, non se lo meritava, le avevo promesso che se facevo tutto quello che dicevano, la sarei venuta a prendere, era una promessa e saremmo tornati come prima, felici io e lei, come i vecchi tempi.
Ma questa volta mi do del bugiardo da solo, ho fatto una promessa e non l'ho mantenuta.
Ora però c'è solo una cosa da fare, non voglio che Blue faccia la sua stessa fine, non anche lei.
Non sono stato in grado di proteggere lei, ma Blue ci devo riuscire a tutti i costi.
Non posso fallire.

Una volta tornato a casa, aver preso una ramanzina bella lunga da mia madre, di circa due ore, sul fatto che non dovevo picchiare la gente o per lo meno se lo facevo, di non farmi beccare.
Mi rinchiusi nella mia camera e nel mio mondo.
Presi il libro che mia madre e la sua, ci leggevano sempre prima di addormentarci l'uno di fianco all'altro.
Il piccolo principe.
Mi ricordo che lei saltava sempre in cima al divano, prima che cominciasse la storia, per dire.

<Se nella storia non c'è la principessa, la faccio io!>. Poi si inchinava e ricominciava a saltare.

A quel ricordo mi scese una lacrima, che però tolsi immediatamente dalla mia guancia.
Non mi piace mostrarmi debole, ma credo che tutti abbiano un lato sensibile. Che se toccato, può fare uscire il bambino che é in noi.
Lo rilessi per la millesima volta, quando ero piccolo pensavo durasse un eternità. Mentre adesso in dieci minuti, l'ho finito.
Non sono un ragazzo nostalgico, ma é lei.
Ho bisogno di lei. Ho bisogno della mia migliore amica.

Tra di noi non c'era assolutamente nulla, apparte che un profondo legame di amicizia.
Tutti i giorni la vedevo a scuola, facevamo merenda insieme, quando tornavamo, avevamo allenamento alla stessa ora, però lei era una ciclista.
Lei aveva le gambe più muscolose che avessi mai visto nella faccia della terra.
Tutti ci vedevamo bene insieme, ma eravamo fratelli non di sangue.
Una volta tornati, giocavamo insieme e facevamo i compiti, a turno si mangiava uno a casa dell'altro.
Con lei non ero mai stato così tanto popolare, anche se era la ragazza più bella della scuola, occhi di ghiaccio ma cuore enorme, pelle olivastra e capelli castano chiaro, liscissimi, che le arrivavano fino al sedere.
Alta un metro e settanta, fianchi larghi e gambe muscolose.
Ero la persona più felice di questa terra, con lei.
Ma la felicità non continua per sempre.
La vita é una giostra di emozioni.

Nell'ultimo anno, che lei non c'era, sono cambiato, mi sono chiuso, tutto il mondo ha inziato a girare nel verso sbagliato.
Credo che se adesso mi avesse rivisto, non mi avrebbe più riconosciuto.
Ho iniziato ad andare alle feste, a frequentare una compagnia sbagliata.
Ho fatto di tutto per riaverla indietro, vinto corse, risse e venduto droga.
L'unica cosa che mi salvava dal cadere ancora più in basso, era il nuoto e May, aveva bisogno di un fratello maggiore, che le facesse da guida.
Ero ad un passo da sapere dove l'avevano nascosta. Ma era stato tutto inutile.
Mi addormentai lasciando la luce accesa, come sempre, esausto dalla giornata e di tutto.
Oggi é un giorno nuovo, che si spera prosegua per il meglio.

Le voci girano, era quello che mi aveva sempre ripetuto mia madre.
Infatti il mattino, tutta la scuola era al corrente dei fatti avvenuti questa notte.
Avevo più ragazze del solito che mi ronzavano attorno.
Oh merda, non ancora.
Ero stufo di tutte quelle ragazzine, che mi guardavano con la bava alla bocca.
Ma mi ero fatto una reputazione da cattivo ragazzo, non potevo buttare tutto all'aria.
Una tra quelle era anche Iris, sapevo già cosa stava per chiedermi.

<Ti sei già pentita mia cara?> Le domandai.

Lei annuì con sguardo colpevole.

<Ti giuro Sebastian, per tornare con te farei di tutto. Ti prego anche in ginocchio!> Rispose lei, facendo il gesto di inginocchiarsi.

<Tesoro, per farti perdonare dovrai fare un'altra cosa in ginocchio> la provocai, con un ghigno.

Lei alzò gli occhi al cielo.

<Ho saputo, c'è in realtà abbiamo saputo tutte, che hai picchiato un uomo sta notte. Come mai Sebastian caro? Ti ha fatto arrabbiare> Mi domandò una ragazza tra la folla.

Tutte le ragazze di fianco a lei mi fecero gli occhioni dolci e annuirono.
Pensieri e ricordi riaffiorarono nella mia mente.
Io mi irrigidii e feci un passo indietro, fulminandole con lo sguardo.

<Non sono cazzi vostri e ora sparite, non é niente che vi riguardi> Le rammonii io, rigido.

Mai toccare i miei punti deboli, se no mi inizio ad agitare.

<Io non devo andarmene, vero tesoro?> Domandò Iris, con voce dolce.

In qualsiasi altra circostanza mi sarei sciolto e le avrei risposto che lei poteva rimanere, ma non questa volta.
Non so nemmeno io, che cosa mi prendesse.

<No, vattene anche te> Le risposi secco, lei parve stranita e triste.

Così stacco la sua mano dal mio polso, mi guardò supplichevole.
In quel momento passo Blue da sola, era strano vederla senza nessuno affianco, con cui parlare.
Indossava sempre la sua solita tuta, ma oggi era blu notte, con le strisce bianche.
Aveva i capelli slegati, i suoi boccoli le arrivavano a metà schiena, ondeggiavano su e giù, a ritmo della sua camminata.
Camminava velocemente verso, non so dove.
Non ha seguito il mio consiglio.
Ma aveva qualcosa di diverso oggi, era più truccata del solito.
Ma perché si continuava a nascondere?
Mi rigirai di scatto verso Iris, che mi stava guardando furibonda.

< Guarda, guarda. Qualcuno si é preso una cotta per quella primina della Evans > Disse Iris, guardandomi con disgusto. <Certo che gusti strani...>. Poi girò gli occhi.

<Già avevo dei gusti strani quando mi piacevi> ammisi e lei mi guardò offesa.

Lei rimase a bocca aperta, io presi a camminare verso Blue. Ma un ragazzo dai capelli rossi, mi precesse.
Che cavolo ci fa qui il figlio del proprietario?
Aveva delle rose rosse, in mano e un sorriso da furbo stampato in volto.
Ma quando lo capiscono che a Blue non piacciono le rose?!
Lei fu molto felice di vederlo, ma quando le allungò le rose, la sua faccia cambiò inorridita.
Non volevo rimanere lì impalato a guardare, così mi misi in mezzo e presi le rose, al posto di Blue.

<Grazie ma non dovevi> iminati una vocina delle ragazze emozionata.

Blue mi tirò uno pugnetto dietro la schiena, io la guardai storto.
Michael, cercò di riprendersi le rose, peccato che era più basso di me, di una quindicina di centimetri.
La faccia di Blue era cupa, come quella di una madre quando hai combinato qualcosa di grosso.
Ma io sapevo di aver fatto bene, a salvarla da quell'essere.
Lei mi tirò per la manica della felpa, fino all'aula di lingua spagnola.
A forza di tirarla, si romperà un giorno di questi, povera felpa.
Fece così, perché al mio orecchio non ci sarebbe mai arrivata.
Io avevo ancora in mano quelle stupide rose.

<Ma che cavolo ti prende?!> Domandò Blue, con una faccia da schizzata.

<Calma venere! Ti sto solo aiutando a difenderti> Risposi cauto.

<So già difendermi da sola!> Esclamò lei, alzando le braccia, con fare irritato.

<Ah sì?>

Intercettai le sue braccia, le unii e la spinsi al muro, con una mano tenedola per i polsi e l'altra sui fianchi.

Sentivo dai polsi il suo battito cardiaco aumentare. Ma anche il mio aumentava in progressione.
La stanza tutto d'un tratto si fece afosa.
Tutto si fece confuso, vedevo solo io e lei.
Mi avvicinai ancora di più, annullai la distanza tra me e lei.
Lei cominciò a tremare.

<Bene principessina indipendente, se un ragazzo ti fa così, come ti liberi?> Le chiesi.

Lei non rispose, era troppo impegnata a tremare come una foglia sotto di me.
Mi piaceva vederla intimorita, magari avrebbe potuto iniziare a ragionare con la sua testolina, e forse a capire che gli servo.
Avvicinai le labbra alle sue per qualche decimo di secondo, poi ripresi le distanze.

<Visto? Tremeresti e basta. Ed é qui che entro in gioco io! Anche Tom dice sempre "dove non arriva uno, arriva l'altro". Se non arriva Jason o Brian, arrivo io.>. La lasciai andare, non volevo esagerare, anche perché se cominciavo seriamente, non mi avrebbe più fermato nessuno.

Mi avvicinai alla porta di legno, la aprì, ma prima di riuchidermela alle spalle, esclamai.

<Perché oggi le femmine sembrano tutte schizzate e che l'abbiano con me?>.

Blue sembrò riprendere lucidità tutto d'un tratto.

<Ehi!!! Io non sono schizzata. E fatti due domande se le ragazze non ti sopportano!> Rispose lei, alla mia provocazione.

<Certo venere, caso mai non sopportano starmi lontano>. Le mandai un bacio con la mano e sbattei la porta alle mie spalle, lasciandola da sola in aula.

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