/22/ Tutto scorre - πάντα ῥεῖ, Pánta rheî* [Deku]
Piansi spogliata, esanime
fatta per me la vita
la terra inaridita,
chiusa in eterno gel;
deserto il dì; la tacita
notte più sola e bruna;
spenta per me la luna,
spente le stelle in ciel.
Pur di quel pianto origine
era l’antico affetto:
nell’intimo del petto
ancor viveva il cor.
Chiedea l’usate immagini
la stanca fantasia;
e la tristezza mia
era dolore ancor.
~Leopardi, Il Risorgimento~
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Liberarsi dei propri tormenti è un piccolo passo per noi, gettare a terra vestiti e gocce di fatica è solo un modo per fare tremare i nostri cuori, tentare di abbattere le mura dall'interno.
E questi respiri irregolari, sono forse pilastri che tremano? Ponti che crollano, camminiamo su macerie di grandi e potenti sentimenti, ci addentriamo in un campo di battaglia fatto di morbide lenzuola rovinate da pieghe e umide carezze. Il letto scricchiola di tanto in tanto, come un terreno cosparso di mine, accoglie i nostri corpi.
L'ora è tarda, la nostra guerra è mutata, abbiamo scavato una trincea nel materasso e vi ci siamo rifugiati nel mezzo di una notte che pare non voler finire. Fronti che depongono le armi, ma che non smettono di ferire, le nostre mani ci regalano supplizi e le nostre labbra sollievi che permangono indelebili su pelle stanca e consumata. Mi stringi a te come non hai mai potuto fare, gridi, consumi una voce che si sta trascinando verso sottili note lamentose.
Ancora, mi hai posto di fronte a scelte rivelatesi vicoli ciechi, ti sei consegnato al diavolo e ti sei rivelato diavolo a tua volta.
Odissea del mio cuore, dedicami l'ennesimo bacio, che di questo contatto restino cicatrici su volti devastati dalla perdizione.
Siamo anime che rotolano nel bosco delle ingiuste morti, venti di sussurri e spoglie di antichi rimorsi pendono da rami secchi, le cortecce degli alberi sono ruvide e contorte, raccontano di eterne sconfitte; prego di esser solo un viandante e di oltrepassare con te questa desolazione poiché se così non fosse all'alba dovrò dire addio al corpo che con tanta forza cerco di amare.
Ti lascio per l'ultima volta, i nostri resti daranno frutti e rifioriranno in petali d'infertilità.
Hai scavato nella mia schiena con artigli indomabili, sei ricaduto su dure stoffe e hai pronunciato il mio nome in un gemito di liberazione.
<Deku> sillabe di immane meraviglia, già ne rimpiango la melodia.
Riprendo fiato sdraiandomi al tuo fianco, quando ti dedico uno sguardo non sopporto di vederti fuggire la mia vista; ti stai sotterrando nel cotone del lenzuolo.
Indolenzito, mi sollevo fino a sedere sul bordo del letto, allungo le braccia, noto la luce fugace del mio cellulare sporgente dalla tasca dei miei pantaloni sparsi a terra con gli altri nostri vestiti.
Aleggia profumo di lussuria nell'aria, lussuria che, una volta appagata, si è adagiata su di noi come una coperta.
Mi volto ad osservati meglio. Sbuffi contro dita contratte in fremiti e brividi, capelli che ricadono stanchi, sono certo che tu stia ancora assaporando i rimasugli del piacere che abbiamo condiviso. Quasi che tu sia una qualche rara creatura, ti accarezzo prima di alzarmi e dirigermi verso il bagno. Accendo la luce dello specchio e strizzo gli occhi.
Non ho riguardo per il bruciore dei miei muscoli, mi getto in faccia gelida acqua, mi asciugo e in un veloce gesto apro il rubinetto della doccia. Con lo scroscio che mi segue torno da te.
<Kacchan - ti chiamo in un sussurro quando sono già intento a tirarti a me - vieni, ti porto io>. Ti maneggio con cura, circondo le tue gambe e ti tengo stretto.
Sei meno pesante di quanto mi aspettassi ed abbassando gli occhi sulla tua chioma scombinata accostata al mio petto, propio accanto al mio battito, capisco una cosa: in quest'involucro tanto duro esternamente celi un animo più leggero di quanto tu voglia ammettere.
E sei mio, in ogni tuo tratto di carne arrossata e che già mostra sfumature calcate ove ho indugiato con forza e in ogni tremore e sibilo dolente che non riesci a trattenere mentre avanzo fino alla porta del bagno che ho lasciato socchiusa. La spalanco accostandomi con una spalla e mi dirigo verso la doccia.
<Riesci a reggerti?> ottengo solo uno strano farfuglio ed un breve cenno negativo con la testa.
<Va bene> ti dico e avanzo sotto alla pioggia tiepida da cui ti proteggo finché non si scalda abbastanza. Mi abbasso e mi accosto alla parete per posarmi sulle scure mattonelle, tu non ti muovi, resti fra le mie braccia mentre i nostri capelli si fanno grondanti d'acqua. Non un sussulto, forse mi stai ringraziando in silenzio per la gentilezza con cui il mio palmo inizia a scivolare su di te e a portar via le tracce, quelle che posso cancellare, della nostra passione.
Dal ventre fino al collo, giungo al tuo mento e ti guido fino a che non lo sollevi e mi appresto a circondar la tua nuca. Perdonami se non resisto a raccogliere i tuoi respiri con la mia bocca, anche se le mie labbra fanno male. E come un nettare che una volta assaggiato diviene essenziale, nessuno di noi rifiuta il gesto.
Ti sto ingannando nel distrarti mentre l'altra mia mano scende e si insinua fra le tue cosce. Mugoli appena, ma non mi fermi, anzi, mi dai miglior accesso. Sai cosa sto facendo, tu per primo mi hai dato certi delicati aiuti e allunghi un arto per avvicinarmi mentre ti prosciugo da quel che è rimasto di me.
Ti riscaldi e tra l'acqua calda ed il mio stimolo sospiri rivelando l'ultimo brandello di eccitazione che ti è rimasto. Riconosco in te un po' della mia insaziabilità che, persino alla stregua delle forze, riesce a coglierci. Ti calo piano nel sottile strato di acqua sul fondo della doccia e vengo avvolto con te dal vapore che inizia a salire e ad appannare i vetri.
Improvvisamente mi fissi preoccupato.
<Tranquillo, penso solo a te> ti rassicuro e riesco a scorgere un sorriso celarsi dietro alle tue iridi in cui tento di non precipitare. Giunge tarda la dolcezza per cui mi hai supplicato e che, tuttavia, solo adesso puoi accettare.
Reagisci con perfetta torsione del collo al bacio che vi deposito, le tue dita inseguono le mie ciocche verdi fino al tuo basso ventre, dove la mia bocca risale la tua erezione per poi accoglierla.
<Mh!> ti limiti a dire sentendo che non indugio nel velocizzarmi. Una tua mano va a premere contro il vetro.
Sarà per il calore che ci circonda o per le mie doti di seduttore, fatto sta che esprimi grande disappunto quando mi allontano cedendo subito il posto alle mie dita. Ma in poco tempo ti vedo contorcere e lasciar graffi umidi nell'opacità del vapore.
Ti aggrappi alle mie labbra tirandone i lembi mentre vieni in un bagno di respiri affaticati. Resti stretto a me, anche questa nostra macchia d'impurità viene trascinata via dalla scottante pioggia. Piano ti riprendi e dispieghi un velo di soddisfazione su di noi.
<Basta?> ti chiedo e non ti sfugge il mio tono divertito. Mi dai un piccolo pugno ed entrambi ci concediamo ad una breve risata tirandoci su e sentendo le energie risalire nelle nostre membra. Non saranno molte, ma abbastanza per poterci guardare negli occhi mentre abbandoniamo la schiena contro la parete e vi posiamo il capo.
<Ho male ovunque> bofonchi storcendo il naso, io mi chino in avanti per posare la guancia sulle ginocchia ed osservarti.
<Però sto bene, credo> mi rivolgi uno sguardo piuttosto stanco ed il mio non dev'essere da meno. Il fiume che ci investe si fa via via tiepido, ci stiamo abituando alla temperatura, sì, ma tu...tu ti sei abituato a me?
L'allegria del momento ci abbandona ed il peso della realtà cala sulle nostre teste, ora ogni rivolo che ci percorre mi appare come lunghe lacrime. I tuoi occhi si fanno cupi ed il sorriso che tanto mi ammaliava è diventato una riga tirata. Ripenso, sì, ripenso a quei fatali versi di quel tardo eroe. È meglio parlare o morire?*(1)
<Lo fai spesso, guardarmi con quegli occhi feriti, non sai fare altro, comunicarmi altro se non rammarico> dico alzando un braccio per colmare il breve spazio che ci separa. Mi raggiungi prima che possa anche solo dire di averti sfiorato, mi prendi la mano.
<Ci sono cose che non ho mai voluto dirti, altre che ti rivelo con troppa facilità. Non sopporto dovermi esporre, lo sai, la verità è che sono perso ormai> cerchi di spiegarti portando la nostra stretta al petto, ma senza guardarmi.
<Perché mi ami in questo modo?> provo a domandarti, anche se non mi aspetto una risposta.
<È l'unico che posso permettermi> qualcosa nelle tue parole mi sconforta.
<Perché? Cosa temi?> l'ansia sale.
<Di morire, come ha fatto il tuo ricordo in questi anni e le tue memorie, da fragili che erano, una volta infrante, sono diventate un'eterna condanna> il mio cuore perde un battito, se possibile lo sento sprofondare.
Ti chini a baciare le nostre nocche intrecciate e prendi un gran respiro. Questa premura parla e non parla di quell’amore egoista che esige attenzioni e talvolta dimentica il buon senso. Di quell’amore che ti travolge intorno ai vent’anni con l’impeto dell’inesperienza e la voglia di darsi senza riserve.
<La tua scomparsa all'inizio ha fatto male, Deku, un male che non puoi immaginare. Sono egoista nel dire che mi sono concentrato tanto su me stesso per non dover pensare a come mi avevi lasciato e ora che sei tornato da me ho ritrovato la stessa rabbia e lo stesso dolore di allora. Ti amo, ti amo ed infine ti detesto e detesto quel che sono diventato> solo dopo aver finito ti volti verso di me e sono sicuro che in mezzo all'acqua che scorre vi si stia mischiando qualche goccia di amara tristezza che ancora conservi. Abbiamo entrambi occhi arrossati e tratti marcati da una stanchezza non solo fisica. È tutto, mi dico, è il tutto a farci sentire tanto impotenti l'uno di fronte all'altro. È la vita che avanza, l'amore che divoriamo, ciò che abbiamo perso e mai recuperato.
<Sei stato tu a lasciarmi per primo> oso esporre idee velenose con voce più leggera possibile.
<Non è stato per mia madre, o almeno non solo per quello. Ti ho chiesto tanto e ho ricevuto così poco, ad un certo punto non mi è più bastato. Ammetto, anche a costo di ferirti, di aver davvero desiderato di fermarmi quel giorno> ti confesso cose che forse già sospettavi, ma rifiutavi.
<Ti avrei evitato tanta sofferenza> concludo con il palpito del cuore oramai in gola. Il mio palmo cade solitario.
D'un tratto la luce si fa più debole, qualcosa mi si è posto davanti e riconosco sul tuo volto un'espressione ferita che speravo di non vedere. Ma cosa posso pretendere? Amo sconfinatamente, proprio come te, e di conseguenza so che all'opposto di tale sentimento nelle nostre menti si annida un dolore inarrestabile.
Ti fai spazio fra le mie gambe e mi circondi le guance, mi chiedo stupidamente se davvero riesci a muoverti con la sinuosità che dai a vedere.
<Invece non lo hai fatto - c'è convinzione nella tua voce, persino se tremante - e mi hai fatto desiderare di scomparire a mia volta> il tuo colpo affonda ed il gelo della sottile lama si sparge nel mio petto.
<Ti ho davvero portato a questo?> imploro affinché tu mi contraddica, ma finisci per darmi una contorta replica.
<Ti ho davvero portato a questo?> ripeti ed esaurisci ogni sforzo che hai tentato di concederti; ti aiuto a non scivolare e ci stringiamo in un abbraccio che non necessita di ulteriori, vaghi discorsi. Immaginiamo di comprenderci, ma anche di avvertire le terribili conseguenze che abbiamo causato. Mi ritrovo in te, in ciò che sei stato ed in ciò da cui non ho saputo proteggerti. Ci siamo trascinati nel fondo di questo mare, altro che miti e voci di amori torturati e idealizzati! Abbiamo perso, abbiamo vinto, poiché vittoria è sconfitta e l'amore è solo un altro modo di eludere la disfatta. Porgimi non più il tuo fragile corpo, offrimi l'anima ed io potrò ricostruire la mia affinché essa costituisca un tesoro abbastanza prezioso da custodire.
Siamo mortali, caducei, portatori di quiete ed araldi degli inferi, schiavi e liberti, ameni portatori di vita e di labilità.
<Mi ami> speranza che si dissolve, <Ti amo> ha importanza chi di noi parla per primo? Che sia il caso a volerlo e che il crudele spettatore delle umane vicende getti su di noi la più candida delle sentenze: una vita per un amore ed un amore per una vita, che nessuno sia l'uno e l'altro.
Piansi la vita fatta per me spogliata, priva di bellezza e senz’anima; la Terra diventò arida rinchiusa in un eterno gelo invernale; il giorno divenne arido, la silenziosa notte divenne più sola e più buia; la luna si spense per me e le stelle si spensero per me.
Eppure tutti questi sentimenti erano la causa del mio soffrire: il cuore palpitava ancora nel profondo del mio petto. La mia stanca immaginazione ricercava le immagini consuete; e il dolore alimentava ancora la mia tristezza.*(2)
*Tutto scorre – πάντα ῥεῖ, Pánta rheî
(Attribuita ad Eraclito)
Nella filosofia di Parmenide, l’Essere è una sfera perfetta, finita e immutabile nello spazio e nel tempo. Eraclito stravolge questa concezione introducendo il concetto di divenire, che può essere riassunto in una locuzione diventata celebre: Panta Rhei, tutto scorre, ogni cosa è soggetta alle leggi dell’inesorabile mutamento.
*(1): Marguerite di Navarra, “The Heptaméron”.
*(2): prosa dei versi introduttivi, espongono il tormento che ha affrontato Katsuki ed in parte ciò che entrambi stanno vivendo.
Cari lettori, dal prossimo capitolo torneremo ad affrontare la narrazione dal punto di vista di Kacchan, confido nel fatto che queste parti illustrate da Deku siano state gradite ed illuminanti riguardo all'intricata storia che ho dedicato ad una delle mie coppie preferite (non canonica purtroppo).
Sono nuovamente finita a revisionare tutto ad un'ora assurda e persino il mio gatto mi sta intimando di andare a dormire; che questo capitolo vi faccia da buon risveglio(◍•ᴗ•◍).
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