39. la luce
che cosa vuoi: il dolore di restare immobile dove ti trovi, o il dolore della crescita?
Busso alla porta dell'ufficio di Chirone mentre alcuni studenti camminano concitati lungo il corridoio alle mie spalle. Ridacchiano e pianificano l'estate imminente in preda a un'eccitazione febbrile tipica dell'ultimo giorno di scuola. La voce del preside mi invita ad entrare, attutita dal pannello di legno.
Chiudo la porta alle mie spalle. Chirone si trova seduto sulla sua sedia a rotelle dietro l'imponente scrivania, con sopra talmente tanti libri e scartoffie da coprire quasi interamente il suo profilo alla vista. Mi guarda da dietro le lenti degli occhiali con un sorriso paterno. Al pensiero ricaccio un brivido freddo - che mi stava salendo lungo la schiena - da dovunque provenisse.
<Buongiorno, Preside>.
<Buongiorno, Nico. Ti prego, vieni a sederti con me: vorrei che parlassimo un po'>. Si sposta da dietro il tavolo, di fianco a un divanetto alquanto fatiscente di colore rosa cipria sistemato sotto la finestra.
Ubbidisco un po' a disagio.
<C'è qualche problema con la mia media? C'entrano gli assistenti sociali?>. Pongo la domanda con più apprensione di quella che avrei voluto dimostrare, ma il viso di Chirone rimane sereno - illeggibile bastardo.
<No, non devi preoccuparti. Ti ho chiamato qui per parlarti di un'altra questione. Non voglio che tu lo prenda come un ordine o come un obbligo, ma piuttosto come un consiglio spassionato. Lo capisci?>.
Resisto all'urgenza di alzare gli occhi al cielo al tono da idiota che acquisisce facendomi la domanda. A volte trovo insopportabile essere trattato come una tazza di porcellana.
<Alcuni professori hanno portato alla luce l'esigenza di proporre uno sportello psicologico a disposizione di docenti e alunni. Ho pensato che ti avrebbe fatto piacere saperlo>.
Mi irrigidisco involontariamente. La psicoterapia è quella cosa che vedi nei film e che solo le persone ricche possono permettersi: un po' come gli yatch, o il caviale, o l'università. Il preside nota la mia espressione.
<Non c'è niente di male a chiedere aiuto, Nico. A dire il vero, non c'è neanche bisogno di necessitare aiuto per rivolgersi a uno psicologo: un percorso terapeutico può avere riscontri positivi sulla vita di tutti. Ognuno di noi ha del lavoro interno da fare.>
<So che non c'è niente di nelle nella terapia. Non capisco solo perché dovrebbe riguardarmi>.
Chirone mi guarda con la stessa tenerezza con cui le madri guardano i figli quando fanno una domanda idiota.
< A dire il vero, è stato sciocco da parte mia non proportelo prima. Devi capire, ho molti ragazzi sotto la mia tutela legale e talvolta diventa... ma non siamo qui per indugiare sui miei errori o giustificarli. Vorrei porre rimedio a questa mia disattenzione nei tuoi confronti>.
Quando rimango in silenzio a lungo senza rispondergli, si schiarisce la voce in imbarazzo.
All'inizio dell'anno gli avrei urlato di mettersi la psicoterapia in un certo posto; un mese fa me ne sarei andato sbattendo la porta senza dargli risposta. Questa mattina, gli avrei detto con delicatezza che non credo che i miei problemi possano essere risolti parlando con un dottore che non mi conosce. Avrei rifiutato. Lo avrei fatto, davvero, e lo farei.
Vorrei sorridere falsamente, ringraziarlo e congedarmi, dicendo che è tutto apposto che non ho bisogno di aiuto. Che ci sono persone nella scuola con problemi veri, che non voglio rubare il loro tempo, che non ne vale la pena per me. Eppure non è totalmente vero, non è così?
Non è tutto apposto, me ne sto accorgendo sempre di più. In verità, credo che nulla sia mai stato veramente apposto. Ma cosa posso farci, ora?
Fisso gli occhi speranzosi di Chirone e parlo.
[...]
A pranzo mi siedo di fianco a Leo che sta ingurgitando come sempre il suo pranzo senza prestare attenzione alla conversazione del tavolo che lo circonda. Mi schiarisco la voce e il borbottio sommesso delle chiacchere si ferma all'improvviso. Otto paia di occhi si posano sulla mia figura che sembra voler scomparire sotto agli sguardi curiosi. Perfetto, mi dico, la gang al completo. Proprio oggi.
Oh dei, cosa sto facendo?
<Comincerò un percorso di terapia> butto fuori tutto d'un fiato.
Jason e Frank strabuzzano gli occhi. Leo mette in pausa il suo lauto pasto e socchiude la bocca, per una volta, senza parole. Hazel mi guarda meravigliata e Piper mi fa i pollici in alto, come a incoraggiare un discorso in seguito alle mie parole. Annabeth mi sorride materna- dolce, ignara Annabeth, come vorrei non averti mai odiato per qualcosa che non hai fatto. Percy è concentratissimo sul suo vassoio ormai vuoto, seduto di fianco alla sua ragazza.
Will, di fronte a me, non mi guarda. Sa forse quanto mi metta a disagio avere tutte queste attenzioni indesiderate? Ma del resto, se avessi voluto evitarle, non avrei dovuto parlare. Mi accorgo che in realtà non mi sta proprio ignorando: mi guarda sott'occhi, quasi di nascosto, un mezzo sorriso sulle labbra mentre continua a mangiare fingendo indifferenza.
Sei fiero di me?
Vorrei chiederlo, ma non lo faccio. Forse glielo chiederò dopo, a mo' di beffa, irritante e ironico, aspettandomi la risposta più seria del mondo.
<Non è una cosa così importante, quindi potete continuare a mangiare> aggiungo senza guardare nessuno in particolare negli occhi. Il primo a riprendere la discussione è Jason, che riprende a parlare con Hazel, quasi incerto di quale sia la cosa giusta da fare. Lentamente l'attenzione del gruppo si solleva dalle mie spalle donandomi sollievo.
Leo mi picchietta il braccio.
< Una figata amico, è una grandissima figata> mi sorride serafico. Alzo un sopracciglio.
<Oh, non farmi quella faccia. Posso fare lo scemo, ma so parlare di cose serie quando voglio. So che non vuoi parlare con me di certi argomenti, ha senso. Però, insomma, buona fortuna. Fa un po' paura all'inizio, ma poi diventa abbastanza fico. Vale la pena provarci, in ogni caso> e torna a gustarsi il suo pranzo come se nulla fosse. Lo fisso a bocca aperta. Ho appena assistito alla possessione demoniaca di Leo Valdez? O forse un'ascensione momentanea?
Quando la mensa comincia a svuotarsi, Hazel si alza e si avvicina a me per abbracciarmi. Mi coglie di sorpresa, ma non la respingerei mai. Non dice una parola: si stacca, mi accarezza il viso come un madre fiera de proprio bambino- perché questa volta so che è fiera di me- e se ne va seguita da Frank. Vicino all'uscita, le loro dita si intrecciano.
Il nostro tavolo si svuota velocemente e rimangono solo Jason e Will a confabulare tra loro a bassa voce. A loro si aggiunge Reyna che mi saluta con un pugno sul braccio.
<Allora, avete deciso le date?> chiede ai due ragazzi.
<Quali date?> chiedo sospetto.
Reyna guarda Jason come se l'avesse appena pugnalata.
<Hai tenuto il nostro bambino all'oscuro di tutto?! Come hai potuto?!> calca il tono forzatamente drammatico e ride sotto i baffi. La guardo glaciale mentre Jason scoppia a ridere.
<Non chiamarmi così mai più, per favore> mi giro verso i due biondi <cosa mi avete nascosto esattamente?>.
<Niente di che, Reyna esagera> Jason le lancia un'occhiataccia.
<Voleva essere più una sorpresa, a dire il vero> interviene Will.
<Il mio compleanno è a Gennaio>.
<Una sorpresa per tutti, Nic> sopraggiunge Jason<Stiamo cercando di organizzare una vacanza estiva tutti insieme. Trovare una meta che metta d'accordo dieci persone è un po' complicato, quindi...>.
<Quindi decidiamo noi per tutti!> Reyna sorride malefica. Alzo gli occhi al cielo.
Mi volto a guardare Will che fa spallucce in imbarazzo. Immaginarlo alle prese con questi due per organizzare un'intera vacanza ha un non so che di comico.
Poche ore più tardi, quando suona l'ultima campanella, i fogli e i quaderni e i libri vengono lanciati per la tromba delle scale dagli studenti e dalle studentesse della scuola.
Alle 16.30 del pomeriggio mi trovo davanti alla porta della dottoressa. Seduto sulle sedie di plastica rosse fisso la targhetta sul vetro- consulente scolastico- come se fosse il mio patibolo. Dopo un tempo che mi pare infinito - è finita l'estate, per caso?- una donna sulla trentina con i capelli rosso fuoco e dei jeans sporchi di vernice apre la porta e chiama il mio nome.
< Nico Di Angelo?>. Will, al mio fianco, mi stringe forte la mano e mi sorride incoraggiante: prendo un respiro.
Entro.
[...]
Tornando in stanza, apro la porta e trovo Will seduto sul letto con il cellulare in mano. Attorno a lui, vestiti sparsi sulle coperte e per terra un borsone aperto.
<Vuoi una mano con quello?> indico il bagaglio pieno zeppo di indumenti piegati malamente. Il biondo alza la testa di scatto e mi fissa sorpreso.
<Come è andata?> non risponde alla mia domanda. Glielo faccio notare e invece di porre rimedio, torna a fissare lo schermo del telefono. Mi siedo sul suo letto, spostando un paio di orridi bermuda color lime e delle canotte con la frase ''SMILE, IT'S FREE :)'' scritta in vari font. Rabbrividisco.
<Mi ha scritto mio padre> il suo tono non è dei migliori. Ha lo stesso viso che aveva quando è tornato da Miami. Triste, e perso.
<Oggi non siamo molto bravi a formulare discorsi di senso compiuto, vero?> lo canzono <Cosa vuole il vecchio?>.
<Vuole che torni a casa per l'estate. Ci sarei tornato lo stesso, ma è così strano sentirmelo chiedere da lui. Quasi non si accorge di quando sono via e quando sono a Miami>.
<Forse vuole passare del tempo con te> pronunciare la frase mi costa un enorme sforzo. Non sono sicuro di crederci e probabilmente non ci crederà neanche Will, ma sembra essere quello di cui ha bisogno di sentirsi dire ora. Inclina la testa continuando a fissare la conversazione con il padre, corrucciando le sopracciglia.
<Forse>. Si girà poi verso di me, come risvegliatosi da un sonno profondo.
<Voglio ringraziarti per esserti aperto con me>.
<Ringraziarmi? Perché?> chiedo. Ecco, ora sono confuso. Will alza le spalle.
<So che non è facile per te>. (Certo che lo sa. Non si direbbe, ma ho imparato che Will è campione nel tenersi le cose brutte dentro. Chissà, forse un giorno anche lui mi racconterà di Miami e della sua famiglia). Annuisco lentamente, d'accordo con lui. Poi un'immagine mi appare davanti agli occhi: io che tiro una ginocchiata a Will, io che lo chiudo fuori dalla stanza inferocito.
<Se penso a come abbiamo iniziato noi due, un anno fa>.
Ridiamo per diversi minuti, lasciandoci cadere sul letto, non perché io abbia effettivamente detto qualcosa di esilarante. Probabilmente, ne abbiamo entrambi solo un gran bisogno. In ogni caso, è piuttosto strano e paradossale confrontare i noi di adesso e i noi di Settembre. Quando ci calmiamo, con il mal di pancia per le risate e la testa leggera, mi risponde.
<Sono felice che le cose siano cambiate da allora>. Chissà cosa ricorda, di quel movimentato periodo.
<Lo sono anche io>.
Ci guardiamo negli occhi in silenzio, l'ombra delle risate ancora sulle labbra. Mi domando se ci si senta così, ad essere amati: rimanere perfettamente in silenzio e sentirsi comunque a proprio agio. Scuoto la testa divertito.
Che strano momento, per avere un pensiero simile.
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