uno strano venerdì pomeriggio
L'autobus che riportava Beatrice giù nella High City era fermo in coda per un incidente. Ma non era un tamponamento o qualcosa di simile; un gruppo di ecoterroristi aveva fatto precipitare in strada un po' di quei cartelloni pubblicitari volanti che ingombravano il cielo sopra le strade, fra i palazzi.
Quell'imprevisto fece innervosire ancora di più Beatrice, che già era in ansia per il fatto che Sarah non le rispondeva al telefono. Decise di mandarle un messaggio, nella speranza che almeno quello riuscisse a leggerlo.
"Sarah che fine hai fatto? Sono preoccupata, scema! Ho una notizia che forse non c'entra nulla ma non si può mai sapere... chiamami appena puoi!"
A stare proprio in mezzo all'ingorgo sembrava che mezza città fosse paralizzata; ma secondo le mappe interattive la zona bloccata era soltanto quella fra Green Hills e la Upper City. Comunque era sufficiente a immobilizzare il traffico per parecchi isolati, e Beatrice c'era proprio in mezzo; non c'era nulla da fare... quella sera avrebbe fatto tardi. Si rassegnò a chiamare sua madre.
"Pronto mamma?"
"Ciao Bea."
"Hai sentito le notizie? C'è la Upper City bloccata."
"No, non... ma tu stai bene?"
"Si, mamma... sto bene... sono solo bloccata nel traffico."
"Mi spiace... vuoi che ti venga a prendere?"
"Si, in elicottero. Mamma ma sei seria?"
"Scusa, hai ragione. Senti Bea, io devo uscire... ti lascio la cena nel microonde."
"Va bene, grazie."
Beatrice riattaccò e tirò un sospiro di sollievo. Sua madre andava a farsi scopare e quindi non era in vena di prediche. Tanto meglio.
Il bus non si era mosso nel frattempo neanche di un centimetro. Beatrice cominciò a pensare che forse avrebbe fatto prima a tornare a piedi. Ma la prospettiva di camminare fino a casa la inquietava, era una scarpinata che si sarebbe risparmiata volentieri. Alla fine, dopo attente valutazioni, decise che le conveniva rimanere sull'autobus e attendere che fosse il destino a fare la mossa successiva.
Non dovette aspettare tanto. Mentre osservava il traffico immobile, notò del movimento con la coda dell'occhio, e girandosi in ginocchio sul sedile poté vedere una moto a levitazione che sfrecciava lungo la strada, passando poco sopra le auto ferme. Wow, pensò Beatrice, quello sì che è un veicolo.
La moto si accostò all'autobus e iniziò a procedere lentamente. Il pilota aveva un che di familiare e Beatrice lo osservò incuriosita. Poi anche lui la vide, perché si fermò e alzò la visiera oscurata del casco.
"Vinters?" disse Beatrice a voce alta, come per convincere sé stessa che era proprio lui. "Ma cosa ci fai qui?" chiese, poi realizzò che non poteva sentirla, così abbassò il finestrino e sporgendosi ripeté "cosa cavolo ci fai qui?"
Lui sorrise. "Ho sentito le notizie, pensavo avessi bisogno di aiuto."
Perché, perché, perché si chiese Beatrice, perché Wolf possedeva un mezzo così esageratamente figo? "Aiuto? Mi servirebbe un miracolo, altro che aiuto!"
Wolf scosse la testa, senza smettere di sorridere con quella sua aria da so tutto io. "Scendi da quel coso e sali, ho un altro casco nel baule!"
Beatrice non se lo fece ripetere due volte. Andò alla porta di uscita del bus e tirò la frizione di emergenza, poi schizzò fuori il più in fretta che poté. Un allarme scattò immediatamente, mettendosi a ululare sopra le proteste degli altri passeggeri infuriati.
"Portami via!" gridò Beatrice a Wolf, mentre lui la aiutava a salire.
"Metti il casco, è nel baule!" disse lui, iniziando a muovere la moto.
Beatrice si infilò il casco e lo allacciò, poi si strinse a Wolf Vinters perché stavano iniziando ad accelerare sul serio. Solo in quell'istante realizzò di essere abbracciata al suo professore su un mezzo che sfrecciava ai cento all'ora e a due metri da terra. Una voce all'interno del casco la riscosse da quelle riflessioni pericolose. "Beatrice, i caschi hanno l'interfono, puoi parlarmi se vuoi... ma smetti di trattenere il fiato!"
Beatrice rise, ed era una risata liberatoria, di quelle che sciolgono la tensione un po' come il vino forte. "Ok, ok," rispose, "senti, dove mi stai portando?"
"Suppongo a casa... se mi dici dov'è."
Beatrice soppesò in un istante le varie possibilità. A casa non era attesa. Era abbracciata a Wolf Vinters su una moto da duecentomila dollari. "Nessuno mi aspetta a casa prima di notte! Perché non mi fai fare un giro su questo mostro?"
Wolf rise. "Mostro sarai tu! Questa è una TGX-20."
"Che brutto! D'ora in poi si chiamerà mostro, è molto meglio."
Wolf rise di nuovo. "Va bene, di sicuro è più pittoresco. Tieniti, ti porto in un posto che secondo me non conosci."
La moto filava sopra il traffico come un motoscafo su un quieto lago di montagna. Beatrice non riusciva a vedere il cruscotto, ma la sua esperienza di corse le diceva che non stavano facendo meno dei centoquaranta all'ora.
In un attimo furono di nuovo nella zona delle Green Hills, ma sul versante occidentale, quello da cui si vedeva il mare. Vinters parcheggiò vicino a un locale che si chiamava Moon River Café. C'era un sacco di gente vestita alla stragrande che fumava e chiacchierava davanti all'ingresso.
Beatrice si sentì mancare. Non era né vestita né truccata in maniera adatta per un posto del genere. Che figura stava per fare?
Poi guardò Wolf, che aveva tutti i capelli scompigliati dal casco e indossava una tuta da motociclista, e pensò che forse era messo peggio di lei. Fra tutt'e due formavano una bella coppia di disperati.
"Vieni?" disse lui, avviandosi. Lei annuì e lo seguì, incuriosita.
L'uomo all'ingresso si mise in mezzo, poi non appena riconobbe Vinters sorrise e si fece da parte. "Buonasera, signor Vinters," disse, "bentornato al Moon River."
Vinters rispose con un cenno, poi aprì la porta facendosi da parte per consentire a Beatrice di passare; lei annuì ed entrò, e quello che vide la lasciò senza fiato.
Il locale era per metà all'aperto, con piccoli tavolini riparati da grandi tettoie di ferro battuto coperte d'edera. Il bancone era di legno, e c'erano parecchie spine di birre diverse; alcune Beatrice non le aveva neppure sentite nominare. Diversi camerieri vestiti di scuro andavano avanti e indietro fra i tavoli, e tre barman si davano da fare dietro al banco per preparare cocktail e aperitivi. Nessun robot! Tutto il personale era umano e aveva un'aria cordiale e accogliente.
Vinters fece un cenno a uno dei camerieri che li accompagnò a un tavolo nella parte più lontana del dehor, proprio la zona da cui si vedeva meglio il mare oltre la skyline luccicante della City.
"Wow," disse Beatrice, "casa mia è laggiù da qualche parte. Non avevo mai visto la città da quassù."
"Fra poco farà buio," disse Wolf, "e sarà ancora più bella, vedrai."
"Si..." Beatrice non sapeva cosa dire, si limitava a volare con la fantasia su quel paesaggio incredibile. Improvvisamente capì perché le case alle Green Hills costavano tanto.
Il cameriere si avvicinò al tavolo con discrezione.
"Beatrice tu cosa bevi di solito?" chiese Wolf, riscuotendola dalle sue fantasticherie.
"Io? Eh... mmm... una birra chiara."
"Ne abbiamo molti tipi diversi," disse il cameriere.
"Una... oh, scelga lei per me. Una lager, se possibile."
"Molto bene, una lager per la signorina. Il signore..."
"Il solito," rispose Vinters. Il cameriere si allontanò rapidamente.
"Questo posto è bellissimo!" disse Beatrice, all'improvviso. "Ma dubito che mi avrebbero fatta entrare, se non c'eri tu."
"È possibile," rise Wolf, "ma solo perché non ti conoscono come ti conosco io."
Beatrice lo guardò sospettosa. "Cosa ti fa pensare di conoscermi così bene?"
"Chiamiamola una sensazione."
"Chiamiamola presunzione!"
"Forse sì, forse no." Di nuovo quel sorriso da furbetto. Forse aveva ragione, forse aveva capito di lei più cose di quelle che lei stessa era mai riuscita a comprendere. Il che, a essere onesti, la irritava e la lusingava al tempo stesso.
Il cameriere arrivò con le ordinazioni. Vinters aveva preso un whisky. Beatrice bevve un sorso di birra; era deliziosa e fresca.
"Tu fumi?" chiese Wolf.
"Si."
Lui non disse altro, e le porse una sigaretta; poi ne prese una per sé. Beatrice l'accettò e lui gliela accese prima di accendere la propria.
"Non credo che ci sia un piacere più perfetto di questo," disse lei, "bere e fumare."
"Non esagerare," ribatté Wolf, "il mondo è pieno di piaceri; quando li avrai provati tutti, o quasi tutti, allora potrai dare il tuo verdetto."
"Ce ne sono così tanti?"
"Più di quanti immagini."
Beatrice stava cercando di immaginare a quali piaceri alludesse il professore, quando il suo telefono squillò.
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