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un atteso e inaspettato imprevisto

Beatrice sbuffò, sprofondata nell'ultimo sedile in fondo dell'autobus deserto. La strada che il bus faceva per arrancare fino sulle Green Hills stava cominciando a diventarle familiare, ma avrebbe preferito andarci in scooter. Sua madre però si era impuntata, era convinta che obbligarla a sobbarcarsi quel viaggio lunghissimo l'avrebbe costretta a studiare nel tragitto; di fatto, il tutto si risolveva in colossali pisolini.

Aveva ragione il professore, domani era arrivato in un attimo. La giornata era volata fra l'attesa di notizie da Sarah e gli altri, discussioni con mamma, un salto all'emporio per cercare una maglietta nuova, e ora lezione. La cosa che la preoccupava di più era il silenzio di Sarah. L'aveva sentita l'ultima volta all'ora di pranzo, aveva detto che stavano andando a casa di quel tipo morto, poi più nulla. Non sapeva se scriverle, perché Sarah era una che se veniva disturbata nel momento sbagliato reagiva male, anche quando uno era armato delle migliori intenzioni; e Pat era con lei, quindi fuori discussione anche lo scrivere a lui. Poteva scrivere a Tom, ma non le piaceva. Troppo... alieno per lei.

L'autobus la scaricò al capolinea, e dopo aver fatto un bel respiro Beatrice si tuffò nel caldo afoso del pomeriggio per arrivare fino a casa del prof. Sapendo già la strada procedette più spedita, e il supplizio durò meno del giorno prima.

Le pattuglie oggi erano due, ma forse erano sempre due e lei ne aveva vista solo una; comunque, era rassicurante l'idea che quella specie di cavalieri meccanizzati avrebbero sparato a vista contro qualsiasi individuo sospetto o sgradito nei dintorni.

Finalmente arrivò all'oasi del professore, come aveva ribattezzato quella villetta con più giardino che stanze. Trovò tutto come il giorno precedente, succo compreso; l'uomo a quanto pare era un abitudinario.

"Ciao, Beatrice," la salutò. "Accomodati e raccontami com'è andata con i compiti di ieri."

"Erm..."

"Beatrice?"

"Io..."

"Li hai fatti i compiti, vero Beatrice?"

"Uh... ecco, non esattamente."

"Cioè no," concluse Wolf ridacchiando.

"No, in effetti no," ammise Beatrice.

"Però hai avuto lo stesso una serata interessante, mi par di capire... se all'una di notte eri ancora in piedi."

Beatrice si limitò ad annuire e a bere un po' di succo per darsi un contegno. "Sono stata al Barone Rosso con un paio di amici..."

"Ah, certo!" disse Wolf, "il Barone Rosso. È un posto da hacker, quello. Lo conosco."

Beatrice sgranò gli occhi e finì il succo. "Davvero?"

Il professore rise di gusto. "Si, e meglio di te!" Poi si aggiustò gli occhiali, e riprese un tono più impersonale. "Beatrice, Beatrice, cosa devo fare con te?"

"Con... me?"

"Compiti."

"Oh, eh..."

"Se le punizioni corporali non fossero passate di moda, dovrei sculacciarti," disse Wolf alzandosi; e per un attimo Beatrice pensò che stesse davvero venendo lì a sculacciarla. Invece si era alzato per riempirle il bicchiere. Espirò rumorosamente, più rumorosamente di quel che pensava perché l'insegnante alzò un sopracciglio e la guardò con aria interrogativa.

"Mettiti al computer, Bea," disse infine, "ricominciamo da dove ci eravamo interrotti ieri."

"Ok..."

"E per domani dovrai fare anche i compiti di ieri."

"Ma domani è venerdì!"

Wolf sorrise. "La passione non guarda il calendario," disse.

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