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lite evitata

Beatrice parcheggiò davanti al Martin Park. Prima di togliersi il casco inspirò ed espirò lentamente parecchie volte. Si chiese se stava per vomitare. Alle sue spalle sentì Sarah che scendeva e si allontanava di qualche passo.

Finalmente si sentì di nuovo padrona di sé stessa, tolse il casco e legò lo scooter alla rastrelliera. Si voltò verso Sarah, che stava chiamando qualcuno al cellulare e aveva già una sigaretta in mano. La studiò attentamente. Era la stessa ragazza alla quale pochi minuti prima avevano sparato addosso? Non le sembrava possibile. Se ne stava lì a telefonare come se niente fosse, giocherellando con la sigaretta, mentre a lei ancora tremavano le mani. Era pazza, cazzo.

Poi si chiese se il suo fosse davvero sangue freddo, o se era invece soltanto molto brava a fingere, a mentire anche a sé stessa, a nascondere la polvere sotto il tappeto. La ragazza di ghiaccio... improvvisamente la vide sotto una luce diversa. La sua migliore amica era fredda, sì, ma anche fragile e forse...

"Bea," disse lei, interrompendo i suoi pensieri, "c'è Pat al telefono."

"Cos...?"

"Dai," incalzò Sarah tendendole l'apparecchio, "vuole parlare con te! Coraggio, senti cosa vuole... che poi deve andare a recuperare il mio scooter."

"Calma, eh," rispose Beatrice, un po' scocciata, prendendo il cellulare. "Pronto," disse portandolo all'orecchio.

"Bea! Sono Pat!"

"Come va?"

"Tu, piuttosto... come stai? State..."

"...una merda, grazie. Senti, cosa vuoi?"

Ci fu un breve silenzio dall'altra parte prima che la risposta arrivasse, esitante. "Bea, niente... cioè... ti volevo chiedere, per stasera..."

"Stasera non ci sono, Pat." Sospirò. Era davvero così stronza? O stava sfogando su Pat la sua frustrazione? "Scusa, non è un buon momento."

"Ah... si, certo... capisco."

No, non poteva capire. Improvvisamente gli sembrò talmente bambino da farla meravigliare di avergli chiesto di uscire. "Ok."

"Ok, beh... allora... ci sentiamo, va bene?"

"Si," tagliò corto Beatrice, "ciao. Ti ripasso Sarah," concluse, poi senza aspettare la risposta restituì il telefono.

Sarah lo prese e disse solo "muoviti, Pat. Quando hai recuperato lo scooter vieni al Martin Park." Riagganciò e fissò il display per un attimo. Poi alzò lo sguardo su Beatrice, e inclinò la testa di lato.

"Che hai da guardare?" chiese lei. Poi si rese conto che aveva assunto quello stesso tono che la faceva tanto arrabbiare quando gli altri lo usavano con lei, e allora cercò di calmarsi. "Scusa, sto impazzendo."

"Bea," disse Sarah, con un tono stranamente dolce. "Mi dispiace. Sono io che devo chiedere scusa a te, non pensavo che sarebbe stato così pericoloso. Non capisco perché ultimamente sia diventato tutto così dannatamente serio, in questa fottuta città." Si accese la sigaretta e proseguì. "Una volta non avrebbero sparato addosso a due topi di appartamento. A due ragazzine, poi! A meno che..."

Beatrice alzò un sopracciglio, Sarah proseguì "...a meno che le guardie del palazzo non pensassero affatto che fossimo semplici ladre."

"Ci hanno sparato perché sanno cosa siamo, e questo in qualche modo li preoccupa."

Sarah annuì. "Dev'essere per forza così. È un dannato gioco in cui la posta aumenta ad ogni mano."

"Scusa se ti ho trattata male, Sarah."

"Scusa se ti ho messa in pericolo, Bea."

Beatrice sorrise. "Amiche?"

Sarah l'abbracciò. "Per sempre!"

Si guardarono negli occhi, e furono cielo e prato che si guardavano. Tante cose dicevano i loro sguardi, un po' lucidi ma sorridenti. "Cosa succede adesso?" chiese Beatrice.

"Devo analizzare questi dati," rispose Sarah. "Ci vorrà tutto il pomeriggio, e poi devo andare a farmi sparare addosso di nuovo, ricordi?"

Beatrice annuì, di nuovo seria. "Cosa posso..."

"Niente, Bea. Tu adesso vai a casa e riposati. Cerca di riprenderti, lo so come ti senti. Non credere che io..."

"Lo so."

"Ti chiamo dopo, appena ho notizie, ok?"

"Non farmi stare in pensiero, ti prego."

Sarah annuì e rinnovò l'abbraccio. "Promesso."

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