amare è difficile, non amare impossibile
La pioggia non accennava a smettere. Le chiacchiere rincorrevano i minuti mentre il pomeriggio diventava sera dietro le nuvole senza che nessuno potesse accorgersene. Beatrice aveva quasi dimenticato tutto il mondo intorno a sé; per lei in quel momento esisteva soltanto Wolf con la sua bellissima voce che sapeva rendere interessante ogni cosa.
Fu il cellulare a riportarla brutalmente alla realtà. Sarah? Beatrice controllò l'ora. Le sette e mezza; improvvisamente le tornò in mente quello che stava succedendo fuori dal suo recinto di sogni e rabbrividì.
Wolf dovette accorgersi che qualcosa non andava perché senza smettere di sorridere si alzò e disse semplicemente "vado in bagno," allontanandosi senza aggiungere altro. Beatrice lo guardò e si chiese di nuovo come facesse ad essere così attento a tutto; poi si affrettò a rispondere.
"Sarah!"
"Bea! Come va?"
"Bene ma... tu? Tutto ok?"
Sarah rise. "Si, tutto ok! Volevo solo dirti che io e Tom stiamo per partire, Pat ci fa da controllore remoto. Per qualche ora non sarò raggiungibile così..."
Era una pausa, ma non una ricerca di suspance. Bea sentì chiaramente che l'amica stava cercando le parole da dire o semplicemente il coraggio di dirle. "Sarah..."
"...ti voglio bene, Bea. Stai tranquilla, ok? Abbiamo preparato tutto, non... non c'è nulla che può andare storto, capito? Nulla."
Beatrice non sapeva cosa dire. Improvvisamente si sentì in colpa per essere lì a spassarsela mentre la sua amica andava con ogni probabilità a farsi sparare addosso di nuovo. Stava per dire qualcosa, ma Sarah la precedette.
"Senti, so che sei in giro, sento la musica. Goditi la serata, la tua parte per oggi l'hai fatta e sei stata leggendaria. Ti chiamo dopo, ok?"
Beatrice annuì. Di nuovo, ebbe l'impressione che le leggesse nella mente. "Va bene, Sarah... anch'io ti voglio bene. Stai attenta, ti prego. Fammi stare in pensiero e ti ammazzo io, capito?"
Sarah rise, anche se perfino al telefono quella risata suonava stentata; disse solo "ciao," e riagganciò. Beatrice appoggiò il telefono e bevve un sorso di tè, guardando fuori dalla vetrata screziata di pioggia. Poco dopo sentì la mano di Wolf sulla spalla; lo riconobbe subito, avrebbe riconosciuto quella mano fra milioni di mani, nessun uomo l'aveva mai toccata così.
"Va tutto bene?" le chiese.
"Si... cioè, per ora si. Spero che continui ad andare bene."
"Cacciatori di guai di nuovo in azione, eh?"
"Già."
"Beatrice," disse Wolf, sedendosi, "amare qualcuno significa amarlo così com'è, comprese le cose che odiamo di lui. Amare significa lasciare la persona che amiamo libera di essere sé stessa, anche se ci fa stare male, anche se pensiamo che sia sbagliato ciò che fa. Senza libertà non c'è amore, Bea."
Rimasero in silenzio per un po', con i pensieri sommersi dal rumore della musica e della gente tutt'intorno. Beatrice cercava sé stessa nel riflesso traslucido del proprio viso nel vetro, ma vedeva soprattutto la città stendersi a perdita d'occhio, e qualcosa in quel confondersi d'immagini in altre immagini le diede un brivido. "Senti," disse rivolta a Wolf, "ho voglia di muovermi un po', ti va se..."
Lui annuì. "Ho già pagato, possiamo andare quando vuoi."
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