Capitolo 6. Anche gli arcobaleni piangono
All'alba delle cinque del mattino Marley era già in piedi e stava guardando i My Little Pony in tv, gustandosi una ciotola dei suoi cereali preferiti quando fuori iniziò a piovere a catinelle.
Marley adorava i temporali, soprattutto perché quando ce n'era uno poteva andare a giocare nelle pozzanghere, rotolarsi nel fango e fare torte di fango che poi regalava ai vicini. Costruiva ripari per le lumachine e barchette di carta che faceva affondare come il Titanic nelle pozzanghere, fingendo che le lumachine fossero Jack e Rose, mentre si davano l'estremo saluto prima del naufragio.
Nello stesso momento, dall'altra parte della strada, i Signori Snitzel, una simpatica coppia di vecchietti di origini olandesi che si erano trasferiti nel quartiere ben quarantanni orsono, iniziarono a bloccare porte e finestre con delle assi di legno.
"Caro, hai chiuso anche la porta sul retro?". Domandò con voce cristallina la Signora Snitzel.
"Sì, cara! Non voglio avere più quella bambina tra i piedi...". Ribatté la gracchiante voce del marito.
"Già, o se no anche quest'anno ci regalerà una torta di fango matrimoniale a tre piani!".
E nel mentre che tutto il vicinato si stava dando da fare a sprangare porte e finestre donde evitare l'uragano Marley portasse loro una torta di fango nuziale, il piccolo demonietto era salito al piano di sopra per andare nella sua camera a prepararsi a dovere per uscire in giardino.
Tirò fuori dal suo armadio un impermeabile rosa fluorescente (tanto per non dare nell'occhio), e indossò un paio di stivaletti gialli da pioggia, con un simpatico motivo a chiocciole e lumachine. Poi, con la forza di un uragano impetuoso, si precipitò giù dalle scale e si armò di paletta, rastrello, stampini, secchiello, setaccio, retino e una barchetta di carta per simulare il Titanic.
Ma prima di precipitarsi in giardino, si avvicinò alla porta della cantina, che si trovava chiusa da una ventina di lucchetti e con una vocina un po' stridula, urlò giù per le scale:
"Signor Jack! Vado a cucinare una torta al cioccolato, dopo te la porto!".
E tutta contenta, saltellò lungo il corridoio e andò nel suo giardino a giocare.
. . .
Kate si svegliò all'alba delle otto e quando aprì gli occhi, notò subito qualcosa di nuovo sul suo comodino. Dalla forma, pensò si trattasse di un gustoso muffin al cioccolato, ma no... sembrava troppo bello per essere vero. Si drizzò a sedere e guardò fuori dalla finestra: pioveva a dirotto.
Quel giorno, Marley, avrebbe regalato torte di fango a chiunque.
- Chissà se ne porterà una anche al nostro ospite... - sorrise malvagiamente, pensando al demone che teneva segregato nella cantina.
Kate si alzò dal letto e andò a vestirsi con qualcosa di più caldo, perché le aveva cominciato a venire la pelle d'oca. Era lì lì per infilarsi una felpa blu elettrico, quando il suo telefono iniziò a squillare.
- Double rainbow all the way cross the sky! YEAH! YEAH! - così suonava la sua allegra suoneria, intuì che chi la stava chiamando, non poteva essere altri che la sua migliore amica, la sua fedele compagna di avventure e sventure, l'unica persona al mondo con cui Kate non aveva peli sulla lingua.
"Betty!" gridò Kate al telefono.
"Kate!!" le rispose una voce dall'altra parte.
"Ho sentito che Jason è scappato da casa tua in boxer! Che ci hai combinato?" domandò maliziosa l'amica.
"Oh beh, credo di aver bruciato troppo in fretta le tappe..." spiegò, anche se non era esattamente quello che voleva far intendere a Betty.
"Quindi, ce l'hai un cavaliere per sabato sera?".
Kate si fermò a pensare. Sabato sera... che caspita c'era sabato sera? E perché Betty le stava chiedendo se aveva il cavaliere?
"Per cosa, scusa?". Chiese semplicemente.
"Come!? Non mi dire che l'hai dimenticato...".
Kate corrugò la fronte e cercò di spremere le meningi per capire cosa cavolo avesse dimenticato, ma nulla le veniva in mente, finché...
"Oh merda! Merda merdissima!" sbraitò lei "Avevo dimenticato della festa di Judy!"
"Lo sai che tutti avranno un accompagnatore..."
"E tu ce l'hai?" domandò Kate inarcando un sopracciglio.
"Beh, io ci vado con mio cugino".
"Ma non vale! Devi trovarti uno scapolo!" protestò Kate.
"Potresti venirci anche tu, con tuo cugino." suggerì Betty.
"Io non ho cugini..." disse Kate sbuffando, cercando di scervellarsi su come poter risolvere quel grattacapo, finché, dopo circa un minuto di silenzio, non le venne in mente l'idea più pazza della sua vita.
"Kate? Sei ancora lì?".
"Sì Betty! Adesso ricordo... ho un lontano cugino di nome Jack... è un po' trasandato perché viene da Brooklyn, ma sono sicura che non rifiuterà il mio invito". Un sorriso malvagio le increspò le labbra.
"Perfetto! Allora, a sabato sera!". Trillò Betty con voce argentina, che non stava più nella pelle di consocere il cugino di Kate. Chissà... magari sarebbe stato anche il suo tipo.
"Ok!".
"Baci baci cucciolotta!".
Kate chiuse la chiamata e sospirò pesantemente. Poi, si voltò per guardare il calendario e notò che quel giorno era già venerdì.
"Cazzo! Domani devo trasformare quel demone con le calzette in un cavaliere perfetto da portare al ballo!".
Non aveva tempo da perdere. Doveva rimediare un abito e un paio di scarpe decenti per il suo accompagnatore e doveva prenotare anche una limousine, per far vedere a quell'oca di Judy che non era l'unica a saper organizzare le cose con classe.
In più, avrebbe dovuto fare un corso accelerato di bonton a Jack.
Ovviamente, più facile a dirsi che a farsi.
. . .
"No Jack, non mi lasciare!" disse Marley, muovendo il guscio vuoto di lumaca che stava sprofondando nella pozzanghera.
"Rose, lasciami andare... vivi la tua vita, sposati con un altro e fai tanti lumachini per me!" recitò Marley con voce melodrammatica.
"No, Jaaaaack!" il guscio vuoto sprofondò nella pozzanghera e la lumaca Rose, rimase in salvo, sul bacchetto di legno che galleggiava su quell'impetuoso oceano marrone. Poco distante, una barchetta di carta stava affondando negli abissi fangosi.
"Ok, è ora di fare un'altra torta!" Marley abbandonò i suoi divertimenti e andò a fabbricare un'altra torta di fango per i Signori Snitzel, i quali, sembrava fossero partiti per le vacanze durante la notte, poiché avevano chiuso porte e finestre e sembrava che in casa loro non ci fosse più nessuno.
Kate uscì di casa proprio in quell'istante.
"Ancora torte di fango?".
Marley annuì.
"Dove stai andando?".
"Vado a fare shopping. Che fai, vieni con me?".
"No, devo preparare una torta per i Signori Snitzel".
"D'accordo! Ma non sporcare dentro casa, capito?".
"Ok!".
Kate salì in macchina e uscì dal vialetto, centrando in pieno il bidone della spazzatura dei vicini e rovesciandone il contenuto per strada. Aveva preso la patente da tre mesi e doveva ancora imparare a prendere bene le misure.
Quando la Jeep nera targata "U'DIE&ILIVE" svoltò l'angolo di Wellington St., Marley si alzò da terra, si spolverò i pantaloni dal fango rattrappito e raccolse la sua piccola torta di fango a due piani e andò dentro casa.
Lasciò all'ingresso gli stivaletti e l'impermeabile, per non sporcare casa come aveva promesso a Kate, poi saltellando allegramente, andò a trovare il suo poco allegro amico con le calzette a righe.
. . .
Jack sentì di nuovo i passi di Marley scendere per la rumorosa scala di legno della cantina e avvicinarsi rapidamente a lui. Dalla sua andatura, Jack, aveva intuito che doveva essere di buon umore (come sempre). E a giudicare dall'odore di pioggia e fango che poteva annusare nell'aria, doveva essere stata fuori a giocare sotto il temporale.
"Signor Jack! Ti ho portato la torta." annunciò Marley, posando la sua piccola scultura sopra il tavolo.
"Che cos'è quello schifo?" domandò Jack, guardando inorridito quella strana cosa marrone di dubbia forma che la bambina aveva riposto sul tavolo. Era bagnata, lucida ed emanava pure un odore sgradevole.
"È una torta di fango! L'ho fatta con le mie mani per te!" disse lei, mostrando le mani lerce di fango e sfoggiando una fila di denti con qualche finestrella.
"Non ti aspetterai che io mangi quella cosa..."
"No, Signor Jack! Le torte di fango non si mangiano, ma si possono assaggiare!".
Jack roteò gli occhi verso il soffitto, poi guardò Marley e poi la torta di fango. Alla fine, arricciò le labbra e rispose con un secco e forzato: "No, grazie".
Questa volta, Marley non sfoggiò i suoi occhioni da cucciolotto e men che meno si mise a frignare. Questa nuova reazione era stata notata subito da Jack, che rimase leggermente stupito per qualche istante. Già si era coperto le orecchie in previsione di un altro piagnisteo.
Marley lo guardò con curiosità e poi gli fece un sorrisetto divertito.
"Signor Jack, facciamo un gioco?".
"A cosa vuoi giocare?" sbuffò Jack incrociando le lunghe braccia.
Un secondo dopo, pensò che si era lasciato vincere troppo facilmente e che aveva assecondato troppo in fretta quella piccola piantagrane vestita di rosa; ma Jack, che di bambini poteva dire di averne conosciuti (...e assaggiati) di ogni tipo, non riusciva ancora a capire come comportarsi con Maley e quello, gli era sembrato il miglior meccanismo di difesa che poteva usare per difendersi da lei.
In ogni caso, un suo eventuale rifiuto gli avrebbe garantito di farsi sfondare i timpani dalla sua vocina fastidiosa.
"Titanic!". Trillò la bambina, facendolo tornare alla triste realtà.
"Titanic?" ripeté con tono incerto Jack "La nave inaffondabile che affondò lo stesso?".
"Sì!" confermò Marley mentre le brillavano gli occhi "Tu farai Rose e io farò Jack!".
"Perché a questi giochi vuoi sempre fare tu la parte maschile?". Borbottò Jack.
"Altrimenti non sarebbe divertente!" rispose Marley, con un sorriso poco rassicurante.
Marley si avvicinò al letto su cui Jack stava seduto e ci salì sopra in piedi. "Questa sarà la nave!" poi il suo sguardo saettò in direzione del tavolo "E quello sarà l'iceberg!".
Jack la vide afferrare il cuscino e iniziare a manovrarlo come fosse un timone. "Farò anche il capitano!" annunciò.
Jack rimase in silenzio, a guardare quel piccolo demonietto che in due metri quadrati di stanza, aveva organizzato tutto il suo mondo immaginario.
"Iceberg a prua di tribordo! Virare di trenta nodi verso est!" iniziò a recitare la sua parte "Non ce la possiamo fare, andremo comunque a sbattere! La nave affonderà!" Marley simulò il suono dell'impatto con l'iceberg.
- CRASH!! PATATRACK! -
Poi, afferrò per mano Jack e disse: "Vieni Rose, dobbiamo abbandonare la nave! O moriremo affogati come pesci!".
"Ma un pesce non può affogare!". La corresse Jack.
Marley si voltò imbronciata verso di lui.
"Devi recitare la tua parte, non fare il regista!" protestò.
Jack roteò gli occhi al cielo e decise di rimanere in silenzio, troppo svogliato di ribattere. Poi, analizzò la situazione: Marley, gli era vicina e sarebbe stata un'occasione propizia per afferrarla, affondare i denti nella sua tenera carne e spezzarle il collo. Magari, prima di ucciderla avrebbe potuto farsi dire come liberarsi da quelle catene e poi, l'avrebbe sventrata.
Stava per alzare una mano su di lei, quando inaspettatamente la bambina gliela afferrò. La sua piccola manina calda stava stringendo forte le sue lunghe dita storte e nere, trascinandolo in una direzione. Jack, capì che voleva che la seguisse.
"Rose, andiamo a prendere la refurtiva!" Marley finse di aprire una cassaforte immaginaria sotto al tavolo. "Non ricordo la combinazione esatta!".
Jack rispose con un'alzata di spalle, meditabondo.
Marley, continuò disinvolta a giocare, fingendosi impegnata a scoprire la misteriosa combinazione della cassaforte immaginaria; Jack stava esplodendo: aveva già immaginato le pareti della cantina tinte col sangue di Marley e il suo piccolo corpicino dilaniato... un brivido di piacere gli percorse la spina dorsale e schioccò la lingua, mentre la follia si stava facendo padrona della sua mente.
Marley era distratta e a Jack non poteva capitare occasione migliore di quella. Stava per avvolgere i lunghi artigli al suo esile collo, quando qualcosa lo fermò...
― Signor Jack, perché uccidi i bambini? ―.
Jack ignorò quelle parole e afferrò il piccolo demone per il collo.
― Pensavo che ormai fossimo diventati amici...
...siamo migliori amici per la vita, Isaac ― .
Jack si sentì investire da un lontano ricordo.
Vide Marley voltarsi verso di lui. Alcune ciocche bionde di capelli, ancora sporche di fango rattrappito, ricadevano lungo le guance rosate del suo viso e due occhi di un pallido azzurro cielo, lo stavano fissando con stupore.
"Isaac..." esalò Jack.
Il demone rosa rimase in silenzio, a guardare il demone a righe bianche e nere, che al posto del suo collo, aveva afferrato la gamba del tavolo. Era caduto nella sua illusione.
Marley trattenne un risolino basso, quasi vergognoso. Non aveva sviluppato pienamente i suoi poteri e ancora, non riusciva a fare le strabilianti magie che poteva fare Kate; ma aveva sviluppato qualche piccola capacità illusoria ed era in grado di distorcere la realtà degli oggetti che si trovavano a un metro da lei. Era stato sufficiente per far credere a Jack di averla in pugno.
Si concentrò a osservare meglio Jack e notò una lacrima nera scivolare sulla pallida guancia scavata del suo amico a righe. Allora, Marley si fece più seria.
"Ti sei ricordato chi sei, Signor Jack?".
Disse, riportando Jack alla realtà e annullando l'effetto della sua illusione.
Il demone a righe, non si era neanche accorto di aver parlato; adesso, resosi conto dell'inganno, lanciò uno sguardo inquietante verso il piccolo demonio e con un ringhio basso era pronto per avventarsi su di lei.
"Isaac è stato cattivo con te... ti ha lasciato dentro quella scatola per tanto tempo...".
"E tu cosa ne puoi sapere?". Ruggì Jack di rabbia.
Gli occhi si erano iniettati di sangue, le iridi brillavano di una goia malvagia e la sua larga bocca seghettata era impastata di saliva.
Jack non aveva più intenzione di aspettare. I giochi erano finiti.
"Hai fatto tante cose cattive e sbagliate..." disse Marley, mentre le tremava leggermente la voce "... ma le hai fatte perché ti sentivi abbandonato e nessuno poteva sapere del tuo dolore".
Con un balzo in avanti, Jack si era avvicinato pericolosamente a Marley. Le sue mani artigliate avevano stretto i suoi piccoli e fragili polsi, impedendole così una via di fuga.
"Stai zitta!". Ringhiò Jack, sentendosi infastidito da quelle parole.
Odiava le persone che credevano di sapere tutto del suo passato, solo perché avevano letto la sua storia strappalacrime e si erano commosse.
Tante sciaquette fangirls erano finite male, perché quando lo avevano incontrato avevano tentato di abbracciarlo e alcune di loro, avevano pure azzardato dirgli cose, tipo: "Jack-kun non ti preoccupare, io ti capisco! Ti lovvo!!♥" e simili idiozie con ridicoli suffissi nipponici.
Per non parlare dei pensieri che avevano in quel momento su di lui... [CENSURA] [CENSURA] [CENSURA] [CENSURA] [CENSURA] [CENSURA] [CENSURA] [CENSURA] [CENSURA].
Dannazione, leggere troppe Creepypasta e guardare contemporaneamente gli anime aveva bruciato loro i neuroni!
Tornò a fissare Marley, iniziando a pensare come ucciderla. L'avrebbe torturata, perché no? Ne aveva tutto il tempo. Per prima cosa, le avrebbe strappato quella linguaccia...
"Io e te siamo molto simili... siamo tutti e due soli. Vorrei diventare io... la tua amica per la vita".
Jack si fermò.
Da così vicino poteva sentire meglio l'odore di Marley e capì una cosa, qualcosa che lo lasciò stupito: Marley... aveva paura. Avvicinò le sue lunghe e orribili dita nere alla sua bocca, per afferrare la sua lingua e metterla a tacere una volta per tutte... ma si bloccò.
Marley stava piangendo... ed era lo spettacolo più bello che Jack avesse mai visto.
Non perché era sadico e adorava veder soffrire i bambini, ma veramente lo pensava. Ogni lacrima che piangeva aveva un colore diverso e presto, il suo pallido viso, si ritrovò rigato dalle lacrime dei colori dell'arcobaleno. Quei vividi colori macchiarono un po' la manica del suo vestito e si ricordò... si ricordò di qualcosa di nostalgico del suo passato... quando era un allegro pagliaccio colorato.
Lasciò andare Marley e la bambina, spaventata, si allontanò da lui a sufficienza, avvicinandosi ai primi gradini della scala e poi, si voltò indietro a fissare il Signor Jack, per un lungo istante.
Jack ricambiò lo sguardo.
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"Mi dispiace, ragazzina..." disse "... ma non voglio più altri amici per la vita".
Marley si asciugò le lacrime, macchiando irrimediabilmente la manica della sua maglietta e poi, un timido sorriso le increspò le labbra; ma era un sorriso un po' triste.
"Non importa... tanto lo sapevo". Ribatté lei, anche se per un istante ci aveva sperato veramente.
"Se vuoi... possiamo provare a essere... semplici amici".
Continuò Jack, osservando come un largo sorriso si stava spalancando sulla faccia di quel piccolo demone rosa che piangeva arcobaleni e che... da quel momento in avanti, sarebbe stata la sua... prima e vera amica.
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