Cap. 17- Un popolo invisibile
Rolak'un
"Non ho domandato il vostro nome."
Parlò così la Pilionem mentre mi guidava lungo il villaggio, camminando all'indietro di fronte a me.
"Attenta, sbatterai da qualche parte se non guardi dove cammini."
La ripresi.
Liodora si limitò a sorridere, senza la minima intenzione di darmi retta.
"Mi chiamo Rolak'un, comunque..."
"Questo è Idryan, lo sapevate, signor Rolak'un?"
Mi domandò.
Il mio sguardo incerto le fece intuire che non sapevo di cosa parlasse.
"È il nome del nostro villaggio.
È l'ultimissimo luogo abitato da Pilionem. Ne eravate a conoscienza? Siamo gli unici esistenti."
Divenne vagamente più seria di prima nell'affrontare questo discorso.
Mi guardai intorno.
Erano davvero pochi, forse persino meno di noi tendryan dopo i molteplici stermini subiti.
Per di più nessuno conosceva il loro villaggio, come se si fosse trattato di un popolo invisibile.
"Non lo sapevo."
Risposi.
"Già, immaginavo."
Si voltò, tornando finalmente a camminare in avanti.
Notai che girava molto fra la gente, passava e spassava spesso per gli stessi punti.
Io la seguivo senza dire nulla.
Mi chiesi se non ricordasse la strada per la taverna, ma credo che più semplicemente volesse mostrarmi Idryan.
Non solo il villaggio in generale ma ogni sua caratteristica, i sorrisi genuini degli abitanti, il modo in cui si davano costantemente da fare.
La struttura del luogo era più che banalmente semplice.
Infatti, eccetto qualche bianco tendone montato malamente, la maggior parte degli elfi dei boschi viveva in grossi tronchi d'albero scavati.
Abitazioni rudimentali che disponevano a malapena dello spazio necessario per dormire.
Il tutto era sistemato intorno alla squadrata piazza del mercato, dove sembravano soliti riunirsi e discutere tra loro caoticamente.
Gli uomini, egualmente alle donne, erano proporzionalmente bassi, mi arrivavano perlopiù alla spalla.
I più alti raggiungevano al massimo l'altezza del mio mento.
I loro corpi erano tozzi e muscolosi, spesso alquanto abbronzati, probabilmente abituati a lavorare sotto il sole.
In concomitanza con la semplicità delle abitazioni, il loro aspetto ricordava quello di trascurati ma allegri contadini.
A dispetto di ciò, tutto il resto del loro sistema era fortemente avanzato.
I Pilionem, infatti, con mio sommo stupore, erano abili ingegneri.
Si riunivano per le strade, confrontavano progetti, erano coloro che fornivano le migliori tecnologie elfiche alle grandi metropoli di Zibaw.
Mi accorsi che persino le barche volanti, come quella che mi aveva condotto fin lì, erano in realtà di loro realizzazione.
Due monumenti in particolar modo richiamavano l'attenzione all'interno della piazzuola.
Il primo era il gigantesco orologio astronomico a luce solare, il secondo, la bianca statua di una divinità, di grandezza e materiale eguale a quelli delle famose e splendide statue che avevo ammirato tempo prima a Fioraside.
"Venerate le divinità degli elfi bianchi?"
Chiesi ordunque.
"Vi è giusto una differenza, seguace, noi siamo monoteisti come voi. Riteniamo che l'unica dea sonnereichana meritevole di venerazione sia madre Solymnia, dea del giorno e della vita!"
Rispose lei, contenta del fatto che stessi osservando la statua.
Tale dea era praticamente l'esatto opposto di Akhraz.
Rappresentata come una donna fusa interamente alla natura, dalle cui mani sbocciavano, finemente scolpiti, dei fiori simili a crisantemi.
"E dimmi... lei ne sceglie Intercessori?"
Parlai a voce bassa, mentre stringevo in una mano l'amuleto di cui non ero in grado di sbarazzarmi.
"Interce...cosa?"
Ridacchiò, come se stessi dicendo stupidaggini.
"Lascia perdere."
Non aggiunsi altro, doveva essere unicamente una caratteristica del nostro dio della morte.
Un gruppo di artisti lavorava ai piedi della dea Solymnia, intenti a rifinire una seconda statua, leggermente più piccola.
Era evidente che si trattasse di un'ulteriore opera ordinata dagli Erixtov.
Tutta quell'arte di cui gli elfi bianchi andavano fieri, tutto ciò di cui usavano vantarsi, proveniva in realtà da qui.
Da un villaggio che aveva tanto da offrire ma non ne riceveva alcun merito.
I Pilionem erano artisti, scrittori, artigiani, musicisti e inventori, che lavoravano il più sodo possibile per dimostrare il proprio valore.
Ma sarebbero rimasti per sempre all'ombra della potenza degli elfi bianchi, inevitabilmente.
Finalmente soddisfatta, Liodora mi tirò fino alla taverna, con camminata fiera e disinvolta.
Si trattava di un tronco di quercia ancorato al terreno, decisamente molto grande.
Già da fuori si udiva il risuonare di un'accogliente musica.
"Ciao, ragazzi!"
Urlò energicamente una volta entrata, venendo salutata calorosamente da tutti i presenti.
Il tutto all'interno di un'atmosfera rustica a luci soffuse, come sempre accompagnata da un forte profumo floreale.
"Liodora, piccola brigante! Nessuna carovana depredata questa volta?"
Ridacchiò un cliente da dietro un tavolo in fondo.
"Nah, oggi ho solo rapito un tizio!"
Annunciò fieramente, mentre sfilava verso il bancone intrecciato di fogliame.
"Non farti mettere taglie sulla testa o dovrai cacciarti da sola!"
Aggiunse qualcun altro, in tono ironico.
"Lo terrò a mente!"
Rise lei, mentre batteva una pacca sulla spalla del proprietario.
"Ehy, Gelsòmio! Che mi racconti?"
Si rivolse allo stesso, che si accingeva a pulire i bicchieri da dietro il banco con una ridicola ghirlanda di fiori in testa.
"Che mi racconti tu piuttosto! Come caspita hai fatto a rapire un tendryan?"
Il taverniere la fissava esterrefatto, per poi rivolgere il proprio sguardo stravolto alla mia faccia inevitabilmente scocciata.
"Rammenti con chi stai parlando? È stato un giochetto!
Un tavolo per me e il mio nuovo seguace, Gel, e due bottiglie del tuo miglior Piliovino per favore."
Ordinò.
"Non ho neppure il diritto di scegliere io cosa bere?"
Sibilai, preso a male per via del tanto vantarsi dell'avermi 'rapito'.
"Signore. Dovete assolutamente provare il Piliovino o mi rimarrete estraneo per sempre!"
Rispose la cacciatrice in tono risoluto, mentre si accomodava al tavolo offertoci.
"E proviamolo, 'sto Piliovino!"
Sbottai.
Mi sedetti dopo di lei, lanciando occhiatacce a chiunque osasse fissarmi, anche solo per curiosità.
Era comprensibile che non avessero mai visto uno come me, laggiù.
Ma il fatto di avere gli occhi puntati addosso mi ha sempre destato fastidio, in qualsivoglia caso.
Le sedie in legno erano dotate di uno schienale molto basso, probabilmente in modo che non desse disturbo alle loro delicate alucce da farfallina.
La cosa assumeva per me una scomodità unica.
Liodora accavallò balordamente i piedi sul tavolo, uscì una pipa dal taschino e iniziò a fumare qualche strana erba del luogo.
Quest'ultimo dettaglio spiegava molte cose sulla sua persona.
Rimase assorta e in silenzio per qualche minuto, prima che portassero in tavola le due bottiglie di Piliovino.
"Hai intenzione di dirmi a che cavolo ti servo?"
Domandai, rompendo quel silenzio.
"Ah, già, ecco cosa stavo dimenticando..."
Si sbattè una mano sulla fronte.
Discostò con una certa eleganza la pipa dalle labbra, lasciandone fluire anelli di fumo, così da sorseggiare un po' di vino direttamente dalla bottiglia.
Ne assaggiai anche io, mentre mi osservava con un grosso sorriso, curiosa di sapere cosa ne pensassi.
"Mh... è... particolare... e incredibilmente forte. Ma molto buono.
Che ci mettete dentro?"
Chiesi, mentre lo degustavo a piccoli sorsi.
"Segreto!"
Rise sonoramente, scolandosi la bottiglia.
Sperai che lo reggesse bene l'alcol, o avrebbe fatto compagnia al circolo di ubriachi in pieno giorno che avevano iniziato a ballare a braccetto la melodia suonata in taverna da un simpatico cantastorie.
"Comunque!"
Iniziò, posando pesantemente la bottiglia sul tavolo.
"I troll hanno rapito mia cugina e devo ritrovarla."
"Quanti anni ha lei?"
Chiesi, mentre bevevo.
"Ne ha 150. È sparita l'altra notte."
Ricominciò a fumare in tutta tranquillità.
"Alla faccia della cugina..."
Commentai.
"Io ne ho 115 sai? Contiamo gli anni in modo diverso, anche se in ogni caso noi Pilionem viviamo più di voi."
Fece un altro tiro con la pipa, diventando verdognola in volto e tossicchiando dappertutto.
"Non so a quanto equivalgano per voi ma dovrebbe essere adulta già da un pezzo. È raro che i troll rapiscano qualcuno e se lo fanno, di solito si tratta di un qualche bambino sperduto."
Dissi, mentre le davo un paio di colpetti sulla schiena per farla riprendere.
"Stai dicendo che non credi in ciò che ti dico?! Amico l'ho visto con questi occhi!
Ci terrei inoltre a informarti del fatto che mia cugina Orchidia non è un'elfa qualunque.
Lei ha ereditato dal padre la produzione di manufatti bellici ad alta tecnologia. Ha inventato e forgiato le migliori armi e armature di cui gli elfi bianchi dispongono!"
Sbraitò, mentre si alzava sulla sedia, poggiando un piede sul tavolo.
Quella ragazza faceva decisamente troppo baccano per i miei gusti, ma fui sollevato dal fatto che avesse finalmente smesso di darmi del voi.
"Una così farebbe comodo a chiunque non credi?"
Continuò.
"È vero"
Confermai.
"Ma... ritengo sia comunque strano: i troll non sono abbastanza svegli da arrivare a pensarci. Ad ogni modo, se sei la grande mercenaria che dici di essere, perchè non avevi i soldi per assumere un vero seguace?"
"Amh... sai com'è, c'è crisi per tutti. Nessuno mi paga più in denaro, solo cavoli e cipolle.
Sono così al verde che mi mimetizzo col fogliame."
Mormorò in tono lamentoso.
Gelsòmio interruppe brevemente la nostra conversazione.
"Ah, Liodora, per le bottiglie di vino fanno 500 pezzi d'argento!"
Informò, con il sorriso finto che rivolgeva ad ogni cliente.
"Ecco, appunto. Filiamo!"
Sussurrato questo, l'elfetta mi afferrò sveltamente per un braccio, prima che potessi finire il vino.
Fuggimmo come pazzi fuori dalla taverna ignorando le urla furiose del proprietario, che ci inseguì per un breve tratto.
"Sappi che non sono una ladra! Lo ripagherò, un giorno."
Volle rassicurarmi lei durante la corsa, come se a me importasse qualcosa.
"Forse."
Aggiunse.
"Se me ne ricorderò."
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