Cap. 11- Il palazzo d'Ossidiana
Luogo: sconosciuto.
Lja
Camminammo a lungo e in fretta.
La gelida e buia galleria culminava in un vicolo cieco di forma circolare.
Il pavimento sotto i nostri piedi appariva più rigido, come fosse fatto interamente di ferro.
Io e Radtjah vi ci fermammo proprio nel mezzo, quando scrioccò nuovamente le mani.
Sentii vibrare il suolo, la parete si aprì sopra di noi mostrandoci una fievole luce filtrata.
Come un ascensore, il piedistallo interrato su cui eravamo si innalzò fulmineamente verso l'uscita, emettendo un sordo suono metallico.
Non avevo idea di come funzionasse tale meccanismo, ma nonostante l'apparente modernità del sistema, sembrava avere invece antiche origini.
Finalmente rivedemmo l'esterno e respirammo a pieni polmoni la fresca aria pulita.
Tutt'intorno a noi vi erano alberi fitti e oscuri, alti fin in cielo ed estremamente spinati.
"Ma dove siamo finiti?"
Domandai.
"Non mi è concesso dirtelo al momento, sappi solo che questo è un posto sicuro."
Nonostante il tono rassicurante dell'assassino, il luogo ispirava tutt'altro che fiducia.
La zona era annebbiata e interamente circondata da un profondo dirupo.
Dall'altra parte intravedevo vagamente una scura struttura abitata.
Solo la presenza di un lungo tronco storpio ci avrebbe concesso di giungere alla meta da noi bramata, poichè esso ricongiungeva le due estremità del baratro.
Fissai il fondo di quest'ultimo, terrificata.
"Se hai paura posso tenerti la manina."
Sghignazzò Radtjah, mentre passeggiava intrepidamente lungo il tronco, sospeso sul vuoto.
Il mio orgoglio non mi lasciava mai tregua, pertanto lo seguii dritta con la schiena, con fare deciso.
D'un tratto sentii qualcosa scricchiolare.
Il vago rumore mi fece fermare, proprio nel bel mezzo del percorso.
A quel punto guardai malauguratamente in basso, cosicchè fui presto preda del terrore.
Lo sbruffone era invece ormai giunto a destinazione e potevo udire le sue sottili e contenute risate rimbombare tra la nebbia.
Caddi a quattro zampe e mi strascinai avvinghiata al tronco come un micio impaurito.
"Devo venirti a salvare di nuovo?"
Udii da laggiù.
Detestavo sempre di più quel ragazzo.
Con qualche sforzo in più riuscii a cavarmela.
Ho sempre sofferto di vertigini, era per tale motivo che la mia famiglia si era stabilita nella zona più bassa possibile rispetto all'immenso monte di Palven.
Ora che mi trovavo finalmente su di un terreno stabile, mi fermai ad ammirare il luogo al quale ci accingevamo ad accedere.
Appariva come un castello, un palazzo reale logorato dal tempo.
Era costruito interamente in cristalli della più nera ossidiana, spinato come gli alberi di cui si circondava.
Il portone era intinto di sangue e decorato con ossa di troll.
Un design tanto allegro che ritenni con non poca sicurezza che fosse stato scelto appositamente da Radtjah.
Egli tamburellò sull'entrata, egualmente a quanto fatto a Tsipenude, dinnanzi al povero casolare del custode del cimitero.
"Parola d'ordine?"
Si udii dall'interno la voce strozzata di chi probabilmente soffre di una qualche rara malattia contagiosa.
Radtjah prese fiato a pieni polmoni, per poi sospirare pesantemente.
"Guinhir, aprimi. Non abbiamo una parola d'ordine."
Il ragazzo parlò come irritato e rassegnato allo stesso tempo.
"Invece si, l'ho inventastatata mentre fossesti via." Farfugliò lo stesso.
Il suo modo di esprimersi mi turbò.
Mi trovai pertanto occupata nell'arduo tentativo di capire se i verbi da lui pronunciati fossero stati inventati appositamente per confondere gli ospiti o se si trattasse solo di uno strano dialetto elfico.
"Ho con me una donna."
Tagliò corto Radtjah sapendo che questo avrebbe fatto come minimo spalancare il portone a colui col quale conversava.
Così fu.
Aperta la porta ci si presentò goffamente l'elfo che doveva rispondere al nome di Guinhir.
Egli corrispondeva con ogni probabilità a ciò che si definirebbe volgarmente 'un brutto ceffo'.
Aveva sulla 40ina, piuttosto magro ma in buona forma fisica e dalla media statura.
La presenza di Radtjah riusciva tuttavia a farlo apparire assai piccoletto.
I suoi capelli, portati all'indietro, giacevano raccolti in un'arruffata coda bassa.
Sotto le folte sopracciglia arcuate, gli incavati occhi a palla di costui si puntarono immediatamente su di me, come se il mio accompagnatore fosse stato invisibile.
"E questa me la chiamassstaresti donna? È una ragazzina!" Sbuffò, mentre i movimenti della sua bocca venivano diligentemente seguiti dai suoi drittissimi baffetti all'insù.
Mi arresi all'evidenza che si trattasse di semplice ignoranza, la quale gli creava una certa difficoltà nella coniugazione di qualsiasi verbo.
"Dovrebbe già essere in grado di generare prole da un po' di tempo."
Sembrò sollevarlo Radtjah.
"Ah, beh, allora..."
Lo strano individuo ne rimase compiaciuto, invitandoci ad entrare.
Non potei fare a meno di lanciare truci occhiatacce ad entrambi, prima di addentrarmi nel palazzo d'ossidiana.
La mentalità degli elfi oscuri è decisamente incorregibile, non c'era di che stupirsi.
I due tendryan mi seguirono subito dopo.
"Comunque sbagliastantassi parola d'ordine."
Tenne a precisare Guinhir.
"Non sai quante cose sbaglianstantassi tu..."
Lo imitò Radtjah roteando gli occhi, poi sorrise e si volse verso di me facendo spallucce, come a voler dirmi 'non fare caso a lui'.
Sorrisi a mia volta, divertita.
L'interno del palazzo era illuminato di torce infuocate e candele, rese inconsumabili da un incanto.
Vi era un disordine indescrivibile.
Cartacce, vecchi mobili caduti, cadaveri di grossi animali, erano solo alcune delle cose che potrei citarvi.
Sembrava rimasto tutto così come era secoli prima.
Il più delle volte i tendryan tendono ad odiare l'acqua e ciò si evinceva dal fetore che aleggiava per le stanze.
Venni condotta nell'ala principale, che si apriva in una lunga serie di colonnati, i quali indirizzavano inconsciamente la vista verso l'alto e possente trono, costruito in ossa di camaleggero e pertanto particolarmente ampio.
Non avevo mai osservato un camaleggero da vicino, ma erano famosi per essere creature nobili e meravigliose quanto temute e odiate, simili a grossi draghi.
Di fronte a noi una vastissima tavolata in forma ovale, ricoprente l'intera sala, era circondata di centinaia di tendryan che dicutevano animatamente tra loro.
Provai una leggerezza nel cuore, ero felice che molti di noi fossero sopravvissuti.
Per un attimo mi parve di essere tornata indietro nel tempo, mi sentii nuovamente a casa.
Mi indirizzai verso la tavola, rischiando di venir investita da un gruppo di ragazzini che giocavano a rincorrersi tutt'intorno.
"Dunir non correre! Se ti fai male te le buscantastatsasssasso!"
Gli urlò dietro Guinhir, rivolto ad uno di loro.
Sentirlo parlare era un'impagabile comica.
In quel momento anche gli altri elfi oscuri si accorsero della mia presenza, ma non mi parve ne fossero piacevolmente sorpresi.
Sentivo gli occhi di tutti puntati su di me, quando nella sala calò un silenzio tombale.
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