Capitolo 2
Quella stessa mattina, a miglia e miglia di distanza dalla contea di Nedeon, un altro ragazzo dormiva profondamente nel suo morbido e caldo letto di piume d'oca.
Il viso squadrato era sereno e rilassato, come se stesse facendo un sogno da cui non voleva essere destato. Le labbra carnose leggermente socchiuse lasciavano passare dei profondi respiri, a volte anche rumorosi. Le coperte erano aggrovigliate ai piedi del letto, lasciando scoperto il suo corpo armonioso e ben proporzionato, dai fianchi non troppo sottili e dalle spalle larghe e robuste; a coprirlo dalla leggera brezza mattutina che entrava da una fessura della finestra, vi erano solamente dei pantaloni scuri ed una leggera camicia color vaniglia, lasciata aperta sul petto, che metteva in risalto la sua carnagione leggermente olivastra. I corti capelli corvini erano aggrovigliati sul cuscino, formando delle ciocche ricciolute che gli coprivano la fronte fino alle folte sopracciglia.
Nella stanza vi era un profondo silenzio, tutto era immobile, perfino i piccoli granelli di polvere parevano rimanere sospesi nell'aria. Sottili raggi di sole entravano dalla finestra, posta esattamente sopra al letto su cui giaceva il ragazzo, illuminandone il viso.
All'improvviso la pesante porta di legno si aprì, lasciando entrare una donna. Somigliava molto al ragazzo, per la forma del viso e il colore dei capelli, tenuti raccolti in una lunga treccia che le arrivava fino ai fianchi sottili, anche se qualche ciocca stava già divenendo grigia e alcune rughe leggere le contornavano gli occhi azzurri come il cielo.
Si avvicinò al letto del ragazzo, per poi sedersi sul bordo e porre una mano sulla sua spalla.
-Alastar ...
Il ragazzo grugnì, girandosi dall'altra parte.
-Alastar è ora di alzarsi ...
Lui si lamentò di nuovo, infilando la testa sotto al cuscino per non venire svegliato.
-Alastar!- gridò spazientita la donna.
A quel punto il ragazzo aprì gli occhi di scatto, come se gli fosse stato gettato addosso un secchio d'acqua fredda. Occhi color grigio chiaro, capaci di attrarre subito l'attenzione per la loro peculiarità e bellezza.
-Madre ... che cosa ci fate qui?- chiese sbuffando il ragazzo.
-Mi hai detto tu venire a svegliarti presto, ti sei forse dimenticato che giorno è oggi?
Il ragazzo si alzò di scatto, ricordandosi che quello era il giorno in cui sarebbe diventato uomo, mettendo alla prova il suo coraggio.
-Ti aspetto di sotto, ho preparato pane e marmellata proprio come piace a te. - disse infine la donna, alzandosi dal letto ed uscendo dalla stanza.
Alastar si mise seduto, appoggiando i piedi sul freddo pavimento di pietra e massaggiandosi il collo, sfiorando con le dita l'attaccatura dei capelli. Esattamente in quel punto vi un simbolo impresso sulla pelle, presente da quando era nato. Un semplice cerchio intrecciato a tre ovali, sovrapposti tra loro al centro, un simbolo di cui non aveva mai saputo il significato.
Dopo essersi stiracchiato ancora un po', decise di iniziare a prepararsi per quella importante giornata. Si lavò con cura e si tagliò la barba ispida che stava cominciando a crescergli attorno alla bocca, per poi domare i ciuffi ribelli corvini che si erano formati durante la notte con decisi colpi di pettine, fino a quando non furono perfettamente lisci. Era sempre stato un tipo preciso, ma quel giorno lo era ancora di più. Aprì un vecchio baule in legno grezzo, posto ai piedi del letto, dal quale prese gli abiti che avrebbe indossato: pesanti pantaloni rinforzati in cuoio, camicia bianca con maniche lunghe a sbuffo e una giacca rossa bruna, anch'essa rinforzata all'altezza dei gomiti. Infine si legò in vita una spessa cintura e infilò gli stivali alti fino alle ginocchia. Non prese alcun arma con sé, non ne avrebbe avuto bisogno.
Uscì dalla sua stanza e scese le ripide scale che lo condussero al piano inferiore della casa, dove si trovava la madre intenta a preparare il pasto per il figlio.
-Finalmente sei pronto, temevo che non scendessi più ...
-È da anni che aspetto questo momento, non mi perderei questa giornata per niente al mondo madre.- disse il giovane addentando una fetta di pane.
La donna sorrise alle parole del figlio, ma in cuor suo aveva paura per lui. Paura di perderlo per sempre.
Quando Alastar ebbe finito di magiare, si alzò da tavola e si avvicinò alla porta afferrando il mantello appeso accanto all'entrata.
-Aspetta, te lo metto io- lo interruppe la madre, prendendo il mantello dalle mani del figlio.
Lo fece passare dietro la testa con qualche difficoltà dovuta alla differenza di altezza tra lei e il figlio, per poi allacciarlo con uno stringa di cuoio sul petto.
-Lo sai che non sei costretto a farlo, vero?- chiese con voce tremante.
-Ormai ho preso la mia decisione madre, non posso più tirarmi indietro...
-Prometti di fare attenzione, promettimi che tornerai da me.
-Lo farò, non ti preoccupare.- disse abbracciando la donna, la quale non riuscì a trattenere una lacrima.
-Non dimenticare che io sarò lì tra la folla a fare il tifo per te e pregare affinché tuo padre e la nonna di proteggano da lassù.- sospirò la madre tra le braccia del figlio.
-Non ce ne sarà bisogno, io tornerò in qualunque caso.
In realtà Alastar non poteva sapere se sarebbe tornato o meno, ma voleva confortare la madre prima di andarsene e affrontare il suo destino.
Vita o morte? Gloria o sconfitta? Quel giorno avrebbe potuto migliorare del tutto la sua vita e quella della madre, oppure renderla peggiore per lei, che aveva già perso il marito ed entrambi i genitori, facendola così rimanere sola, senza nessuno che le volesse bene.
Dopo un'ultima stretta, Alastar si staccò da lei rivolgendole un ultimo sguardo, aprì la porta ed uscì, ritrovandosi in una delle tante strade nella periferia della grande capitale del Regno di Alynor, Radein.
Costruita secoli e secoli prima, quella città rappresentava il cuore del Regno, sede del palazzo reale, posto proprio al centro di essa. Fin da bambino Alastar aveva ammirato quel palazzo, così sfarzoso e imponente. Era fatto interamente di roccia bianca che rifletteva la luce del sole e da grandi cupole di cristallo, circondate da alte torri di guardia e campanili di eccezionale bellezza, i quali facevano risuonare nell'aria la melodiosa armonia delle campane in oro massiccio.
Accanto al palazzo, come simbolo di potere, era stata costruita la monumentale Arena di Radein, dove il coraggio di Alastar, insieme a quello di altri giovani, sarebbe stato messo alla prova. Se fosse riuscito a superarla, sarebbe entrato a far parte di uno dei più abiti ceti sociali del Regno, ponendo fine alla povertà in cui era cresciuto.
Mentre superava le mura che circondavano la parte più importante della città, abitata da ricchi borghesi e nobili, sentì crescere dentro di sé tutti i ripensamenti che aveva cercato di reprimere fino a quel momento.
Iniziò a tremare e istintivamente cominciò a pizzicare con le dita un ciondolo che teneva legato al polso, regalatogli dalla nonna poco prima di abbandonare per sempre quella terra.
Ricordava bene quel giorno, il dolore che aveva provato per quella perdita di una delle persone a cui aveva voluto più bene. Era stata sua nonna a crescerlo, a fargli fare i primi passi, a insegnargli a leggere, mentre i genitori lavoravano nella loro bottega.
"Sei destinato a grandi cose ragazzo mio"furono le sue ultime parole.
Non voleva deluderla, avrebbe dato tutto se stesso per superare la prova che lo attendeva.
Lo avrebbe fatto per la madre Brianna.
Per il padre Loran.
Per la nonna Giselle.
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