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Sogni


Passò un mese. La mia vita - la mia solita, noiosa vita - continuò. Ma qualcosa era cambiato: c'era lui. Non ero mai stata così felice di tornare a casa. Fin dal mattino non facevo altro che aspettare il momento in cui la campanella sarebbe suonata, che l'orologio passasse le due.

Ormai, non avevo più paura. Quella stanza non era più vuota: lui mi aspettava. Non avrei mai immaginato che questa parola avrebbe potuto avere un suono così bello.

Aspettare. Un'azione che conoscevo troppo bene, come anche il dolore che mi procurava. Ma in quel momento...

Imparai a conoscerlo, a capirlo. Non parlava mai; se ne stava zitto, ad osservare, come se studiasse le mie reazioni, come se... mi parlasse attraverso il silenzio.

Teneva ai suoi averi: ai vestiti, ai suoi oggetti e, in particolare, al pendente che portava stretto al collo. Quando una volta tentai di spostarlo o, peggio ancora, toglierlo, schivò la mia mano e si allontanò. Si trattava di una croce decisamente grande, arrugginita o forse sporca, piuttosto insolita per un demone. Ma non approfondii.

Parlai a lungo con lui. Mi sentivo ascoltata, capita. Forse era proprio quello di cui avevo bisogno: qualcuno che mi ascoltasse. Certe volte mi chiedevo se non ne avesse abbastanza di sentire tutto ciò che mi passava per la testa, ma quando osservavo il suo viso... vedevo tutt'altro: interesse, comprensione, complicità a tratti e disaccordo verso certi miei comportamenti.

Non avevo bisogno di parole per capirlo, bastava guardarlo negli occhi. Ma, nonostante questo, misteriosi com'erano non potevano certo rivelarmi i dubbi che tartassavano la mia mente. Il suo silenzio, poi, accresceva giorno dopo giorno l'enigma delle sue origini.

Aveva la voce; era in grado di parlare, ne ero sicura. Troppo spesso lo avevo sentito gemere o ridacchiare. Eppure, nessuna parola. A un certo punto, cominciai a chiedermi se non ne fosse capace, così una sera decisi di approfondire la questione.

«Sai, sei un ragazzo molto eloquente». Lo dissi scherzando, mentre gesticolavo con delle bende pulite in mano. Lui mi rispose con un sorriso divertito, come a voler sottolineare l'ironia della frase. «Mi ritieni... inferiore?» aggiunsi, abbassando lo sguardo. «É per questo che non mi dici nulla?»

Lo domandai con un tono misto tra il dubbioso e l'ironico. L'intento era di fare una battuta, ma non mi riuscì bene. Forse perché sotto sotto lo pensavo veramente; mi ero lasciata spesso suggestionare da quei maledetti libri su demoni che si consideravano superiori alla razza umana e trattavano gli uomini come insetti. Era più forte di me: avevo bisogno di sapere, volevo conoscerlo, capire chi fosse, cosa pensasse... cosa pensasse di me.

Mi resi conto troppo tardi che l'aria si era fatta pesante, cominciai a rimuginare sulle parole da dire per sdrammatizzare, ma non fu necessario.

Sentii le sue dita sulla pelle, leggere mi sfiorarono la gola percorrendo il diametro del collo. Sollevò il mio viso, sorreggendolo tra l'indice e il pollice; mi sentii spaesata. I suoi occhi erano a pochi centimetri dai miei, grandi, rossi come il sangue e... ipnoticamente seducenti. La distanza si accorciò sempre di più, fino ad annullarsi del tutto: premette le sue labbra sulle mie, lentamente e intensamente, come a voler assaporare ogni attimo di quei secondi scanditi dai sussulti del mio cuore. Non pensavo, la mente svuotata. Sentivo solo l'incessantemente rimbombare dei miei battiti, i suoi capelli solleticarmi la fronte e le sue labbra. Fino a quel momento avevo sempre fantasticato su quanto potessero essere fredde, incapaci di farmi vibrare. Mi sbagliavo. Erano calde, tanto morbide da rendere il distacco quasi scioccante. Non avrei potuto ricevere risposta più appagante.

***

Ero felice. Ero veramente felice. Penso sia proprio per questo che, addirittura, una notte lo sognai. Un sogno talmente vivido da confonderlo con la realtà.

Il viaggio onirico, architettato dalla mia mente malata, iniziò quando aprii gli occhi.

Mi svegliai distesa su un prato, l'erba alta mi pizzicava le palpebre e il sole mi carezzava le membra. Mi sedetti socchiudendo gli occhi, infastiditi dalla luce. Ero nel bel mezzo di una fitta distesa erbosa, i fiori coloravano il paesaggio di tinte vivaci mentre gli alberi proiettavano delle ombre dalle forme più disparate. Mi alzai, spazzolai via la terra dai pantaloni del pigiama e cominciai a camminare continuando a osservare i lunghi arbusti intorno a me.

Conoscevo quel posto, lo avevo già visto da qualche parte... certo! L'enorme roccia in fondo al viale me ne diede la conferma: era il bosco sulle montagne vicino casa mia.

C'era però qualcosa di diverso, che stonava: le chiome degli alberi erano di un verde quasi irreale, non ricordavo nemmeno di aver mai visto dei cespugli così rigogliosi, lì. E i fiori, poi? Ce n'erano a migliaia! Alti e colorati sui loro steli annunciavano primavera inoltrata. Sì, probabilmente era la stagione l'elemento diverso. Il sole era alto in cielo e il vento sembrava quasi guidarmi verso un punto preciso.

Corsi presso le rocce cosparse d'edera - le stesse di quel giorno - e le superai. Una luce accecante mi colpì gli occhi, costringendomi a chiuderli immediatamente. Li riaprii lentamente, focalizzando pian piano la figura di fronte a me. Era di spalle, alto e bello come nessun uomo mai avrebbe potuto essere: i muscoli scolpiti sulle braccia nude, la pelle leggermente scura priva di tagli o cicatrici, i capelli color della notte scompigliati dal vento. Tutto sembrava spaventosamente perfetto.

Si voltò verso di me. Il suo sguardo freddo contrastava con il paesaggio circostante, ma rivelava con chiarezza che mi stava aspettando. Mi tese la mano. Ci separava solo qualche metro, ma la distanza non durò molto. Mi avvicinai e afferrai l'arto, senza distogliere gli occhi dai suoi. Un leggero sorriso bagnò le sue labbra, poi mi ritrovai stretta tra le sue braccia. Sbarrai gli occhi, paonazza per l'imbarazzo, e pregai che non sentisse la tachicardia che mi aveva provocato.

«Grazie».

Me lo disse lentamente, scandendo bene lettera per lettera, come a voler imprimere quella parola nella mia mente, come se volesse racchiudervi dentro se stesso.

E ci riuscì. Quel semplice suono valse più di mille parole, esattamente come la paura che scaturì dalla nota di amarezza che vi lessi. Un'improvvisa sensazione di gelo cominciò a ramificarsi dalle profondità dell'anima e d'istinto mi strinsi più forte a lui, come se volessi inconsciamente unirlo indelebilmente a me, in modo da annullare quella vocina nel mio cuore che mi sussurrava Sei sola. Più il gelo si faceva insistente, più incrociavo le mie braccia lungo la sua schiena, ma mi resi conto che stava diventando fredda. Le braccia, le spalle, il suo viso a contatto col mio collo, tutto era freddo.

Un improvviso vento gelido mi scosse violentemente i capelli, portando con sé fiori e foglie sporche e secche. Nuvoloni neri come la pece oscurarono il cielo e, quasi correndo, si unirono tra loro andando a formare una coltre uniforme. Gli alberi, che un istante prima erano verdi e rigogliosi, in quel momento diventarono spogli e bruciacchiati. Inorridii di fronte allo spettacolo di desolazione che mi circondava, il senso d'angoscia continuò a insinuarsi sempre più in profondità dentro di me. D'un tratto, anche il terreno, arido e inciso da crepe, cominciò a farsi gradualmente sempre più nero, inghiottendo sasso dopo sasso nell'oscurità.

Istintivamente mi aggrappai alla sua giacca, ma non me lo permise. Mi trattenne per le braccia, non mi concesse di avvicinarlo e non accennò a nulla di fronte alla mia espressione sbigottita. Non mi volli fermare. Insistetti, tentando di vincere la sua resistenza, ma non era più lui a trattenermi, c'era qualcos'altro. Sentivo delle mani invisibili trascinarmi indietro, avvertivo le gambe pesanti, i muscoli improvvisamente indolenziti e il cuore mi faceva male.

«No!» urlai quando lo vidi arretrare mentre la sua stretta sulle mie braccia si allentava. Indietreggiai di mezzo passo contro la mia volontà, ripetendo: «No! Aspetta! Non and-»

Non riuscii a pronunciare il resto della frase, perché le parole non uscivano più. Le mie labbra continuavano a muoversi spasmodicamente senza che ne trapelasse alcun suono. Ero sconvolta, non sapevo cosa pensare.

Il sottile contatto che mi univa a lui si ruppe, la furia del vento mi trascinò via mentre vedevo la sua figura farsi sempre più piccola e le sue labbra abbandonarsi ad un sorriso amaro.


▴▴▴

Note

Eccoci, praticamente alla fine della giornata. Mi sono accorta che la parte che stavo per pubblicare era davvero troppo breve, e ho dovuto rimediare xD

Che ne dite di questo capitoletto? Quanta angoscia nell'aria? 

Il prossimo sarà l'ultimo, quindi tenetevi pronti u.u 

A giovedì <3 


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