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Capitolo 9

Quando il cuore non respira e la testa non batte più, quando nella mente risuona quel suono sordo, come quando un elettrocardiogramma va in stand-by, è lì che ti senti svuotata, come se qualcuno ti avesse portato via ciò di cui hai più bisogno per vivere. Non ci sono più polmoni, né ossa, né fegato o cuore dentro di te. Un semplice corpo vuoto, privo di vita e di se stesso. E' così che mi sentivo. Avrei potuto dire di sentirmi sola anche se fuori c'è un mondo. Ma no, non c'è più nemmeno quello, niente, solo il mio corpo privato del suo semplice respiro. Viene definita solitudine, ma chiamatela come volete, per me è quel cazzo di dolore che resta quando tutti se ne vanno, come anche la notte fa, non aspetta. Non tiene il passo tra tutti e il niente. Spesso il niente viene trasmesso col colore nero. Il mio niente era bianco ed anche luminoso, il nero trasmette semplicemente morte, ed anche se io non stavo propriamente vivendo non stavo  neppure morendo. Avevo freddo e tremavo, il freddo mi scorreva nelle vene e non aveva paura di congelare i miei sentimenti, ma non congelava il passato, quello arrivava sempre, come l'alta marea che si trascina tutta quella poca felicità che incontra. E non ha neppure paura, no l'oceano è immenso e ha quella forza, che anche io trovavo nella mia solitudine semplicemente alzandomi la mattina e affrontando tutti quei sorrisi che il mio volto copiava senza problemi, al contrario dei miei occhi, impossibili da controllare. Il mio stato d' animo era indefinibile, ma sapevo che davvero non ce la facevo più.
Una cosa c'era e c'è sempre stata, la musica.

La sera mi mettevo lì e buttavo giù due righe su ciò che mi passava per la mente, mi liberava un po' dall'angoscia che avevo. Quella sera scrissi di lei, della musica:

La musica è come una fotografia

E come quando ti ci immergi dentro ed anche se la gente è cambiata

Lei e rimasta immutata

E' così la musica quando ascolti una vecchia canzone rivivi sulla pelle tutte le emozioni  mentre veniva cantata

Ed è così che la vita va vissuta

Essa va sentita

con tutto quello che ci ha dato anche se non l'avremmo voluta

Mentre mi scivola tra le dita

Osservando questa fotografia sbiadita

E ascoltando questa canzone mai seppellita

Con dentro tutta la mia vita

Tra le mani una lettera mai spedita

Controllo il tuo dolce ricordo  sperduta

Mentre mi ricordo tutto qui Seduta"

Passava il tempo ed intanto stavo dalla nonna, lei è sempre riuscita a darmi tutta la forza che mi serviva, quando mamma decise di sbagliare, quando a scuola mi prendevano in giro, bastava una telefonata e lei era lì, pronta ad ascoltare i miei discorsi, c'era quando la mamma mi mandò in Sicilia, c'era anche in quel momento. C'era sempre e ci sarebbe stata. I suoi gesti premurosi mi davano un po' di sollievo dalla strada tortuosa che stavo percorrendo. Sapeva consigliarmi, ascoltarmi, farmi sorride, sognare ed emozionare. Una di quelle persone che capitano raramente nella vita, che non capitano a tutti e devi tenertele così strette da non respirare. Ogni mattina mi svegliava dolcemente, mi preparava la colazione e mi spingeva in ogni giornata col sorriso. 
Era arrivata l'estate e stava anche passando, io non avevo fatto molto a parte andare al mare e uscire con le amiche. Qualche volta mi ubriacavo un po', mi liberava. Avevo preso quest'abitudine con Georgette, rubavamo qualche bottiglia dalla dispensa della nonna e prima di uscire bevevamo. Fumavo ogni cinque minuti e questo mi rilassava.

 Per dedicarmi un po' a me tagliai i capelli e feci un piercing al naso, così che avessi un po' meno tempo per pensare ai miei dolori mentali, affrontandoli con quelli fisici. Mio padre quando si ubriacava mi telefonava chiedendomi di ritornare a casa, e mi domandavo perché non lo capisse nessuno che le parole fanno male, che prima di ferire e gettare pugnali per orgoglio bisogna pensare, che le frasi pronunciate a caso ledono e corrodono l'anima, che i discordi fatti da ubriachi ti fanno straparlare ma tirano fuori anche scomode verità. 

Un giorno mentre ero in giro con gli amici, incontrai di nuovo lui, Manuel. Noi stavamo facendo il solito giro nei quartieri vicino casa mia, ovviamente tutti i ragazzi erano ancora amici con lui, e anche se io non volevo più vederlo, non potevo impedire a gli altri di farlo. Ci fermammo tutti, Jonn imbarazzato mi fece un cenno con la testa, quasi come se aspettasse il mio consenso per andare a salutarlo, così gli dissi di andare e intanto che lo dicevo mi avviavo anche io alla panchina in cui se ne stava seduto. Restammo lì per un po, mentre i ragazzi chiacchieravano io cercavo di tenermi in disparte, ma vedevo le occhiate che mi lanciava Manuel. Alla fine iniziammo a parlare anche noi. Mi accorsi che ci stava provando dal suo sguardo, dai suoi finti tocchi involontari. Ero contenta di quel rapporto ritrovato, eppure mi chiedevo come mai nemmeno lui capisse che mi aveva deluso, e  io che nonostante ciò io sarei caduta nuovamente tra le sue braccia, che mi mancavano da morire. Così iniziammo di nuovo a sentirci, qualche messaggio, qualche uscita veloce, qualche passeggiata al parco. Quei momenti per me erano una boccata d'aria fresca, era felici e dolorosi allo stesso tempo, sapevo che sarei voluta finire attorno alle sue braccia, l'attrazione era forte, eppure sapevo anche che mi sarei fatta del male da sola, era un po' come essere masochisti, no?
Infatti, scoprii che mentre lui cercava di riconquistarmi con delle parole meravigliose era fidanzato. Iniziai nuovamente a pormi la domanda, ovvero se fossi io sbagliata o erano gli altri che giocavano con tutto.

''Manuel, ma che cazzo! Non ti è bastato deludermi una volta? Mentre ora stai qui a dirmi che sono bellissima, che ti manco, che senza me sei niente, c'è la tua ragazza che ti aspetta.'' Dissi arrabbiata. Quel giorno avevo deciso di affrontarlo.

''Ma a me non me ne può fregar di meno di quella troia. Lo vuoi capire, io amo te'' Mi rispose anche lui in preda alla rabbia. Eppure sembrava sincero...

''Ma lasciala allora'' Proposi calmandomi.

''Tieni il mio cellulare, puoi farlo tu se vuoi'' Mi porse il cellulare ed immediatamente la chiamai, odiavo quella tipa, l'avevo conosciuta qualche mese prima, girava sempre attorno al nostro quartiere, mi fece ribrezzo dal primo giorno che la vidi. Tutti ne parlavano male, la descrivevano come una stronza poco di buono. Io in quel momento ero gelosa marcia, così quando rispose ci litigai, era quello che sapevo fare meglio in fondo. Alla fine si lasciarono.

''Visto? A me importa solamente di te'' Mi sciolsi in un attimo, ma ero stata delusa infinite volte per fidarmi nuovamente di lui.

''Manuel, io non sono ancora pronta. Se vuoi aspettarmi io sono qui. Ma dammi il tempo di riprendermi, ti prego''

''Amore, ti aspetterei fino alla morte se potessi'' come riusciva solo con delle parole a farmi bloccare la circolazione sanguigna ancora non lo sapevo. 

I giorni passavano, ed io stavo iniziando a crederlo, lui mi veniva dietro nonostante io cercassi di allontanarlo. Un giorno alla fine di agosto, venne da me ubriaco dicendomi che mi amava e voleva starmi affianco, che avremmo vinto contro tutti, che io sarei stata il suo unico pensiero e sorriso, che per me avrebbe distrutto tutto, che mi sarebbe stato vicino, sempre, che mi amava immensamente.
Era inutile dire che quella sera io ero più ubriaca di lui, così quelle parole mi risuonavano nella mente e nel cuore, quel cuore freddo che lui lentamente riusciva a riscaldare. Gli presi la testa fra le mie mani, lo guardai dritto negli occhi e gli dissi:

''Promettimi che non mi abbandonerai anche tu, che questo per te non è solo uno stupido gioco, ti prego promettimelo perché io ho bisogno di te!''

Mi appoggiò una mano dietro la nuca e molto lentamente si avvicinò alle mie labbra che chiamavano le sue insistentemente, molto cautamente il suo respiro si unì al mio. Mi baciò e fu una sensazione stupenda, desiderata da troppo tempo. Quel bacio sapeva di tequila, fumo e amore. L'amore della mia vita.

Iniziammo ad essere l'uno per l'altro un unico corpo. Lo amavo. Quella era la mia unica certezza. Anche se ormai non riuscivo più a fidarmi né di lui, né di nessuno. Avevamo qualche discussione, ma nulla di grave e preoccupante, anche se per me ogni volta sembrava cascasse il cielo. Una volta ero talmente arrabbiata, che mi chiusi in bagno piangendo e mi bucai il labbro superiore per infilarci un piercing. Sempre per quello strano modo di affrontare il dolore. La nonna quando mi vide sbucare fuori con quel ''chiodo'' come lo definiva lei, si arrabbiò molto. Ovviamente non capiva le mode giovanili, sopratutto perché accanto a se aveva sempre avuto un uomo molto chiuso, mio nonno non era una persona cattiva, però aveva una mentalità molto chiusa, piuttosto bigotto ed enigmatico. Entrambi mi fecero una sfuriata pazzesca, ma dopo poco tempo riuscirono a farsene una ragione. Mi piaceva un sacco il mio nuovo piercing. 

Amavo stare insieme a Manuel, andavamo a sederci sempre alla ''Torre'', una piramide fatta in pietra nel parchetto dietro casa della nonna. Non facevamo chissà che cosa, però stavamo bene , chiacchieravamo, ci prendevamo in giro, ci rincorrevamo, ci baciavamo, ci colavamo, semplicemente ci amavamo.
Una sera passò mio nonno e mi vide abbracciata a lui. Sprofondai in un loop di paura, ovviamente non sapeva dell'esistenza di Manuel perché sapevo che sarebbe stato contrario al cento per cento, così mi urlò furiosamente contro, litigammo. Mi cacciò via di casa. La nonna era distrutta.
Così fui costretta a far pace con mio padre e tornare a casa sua. Di nuovo.
Questa volta con me però c'era Manuel, lui mi ascoltava sempre e mi stava accanto, davvero era qualcosa di troppo essenziale. Passavano i giorni e i mesi, ogni tanto mi ubriacavo di nascosto, Manuel non voleva. La vita in casa con mio padre era particolarmente difficile e avevo bisogno di stanare i pensieri con un po' d'alcol. Purtroppo un giorno se ne accorse, eravamo in discoteca con Georgette, insomma cosa voleva che bevessi? Acqua in discoteca?
 Dopo una lunga discussione e i miei tentativi inutili di scuse mi lasciò, mi lasciò lì da con la mia solitudine. Aveva capito che bevevo spesso e non gli andava bene, non si fidava più.
Mi sentii nuovamente cadere, come se prima fossi distesa tranquillamente in un giardino di stelle e ora le stelle mi si erano voltate contro, trafiggendomi il petto con le punte. Quel dolore era di nuovo presente. O meglio c'era sempre stato, solo che l'avevo messo a dormire. Anche quella magia finì, ma io ero stanca di tutta quella fine. Ero davvero al limite!

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Spazio autrice:

Ciao bellezze. So che questo capitolo non è un gran che. Spero continuiate a leggere e vi ringrazio immensamente una per una.
Più commenti o voti ci saranno, prima scriverò. ;)

Grazie ancora e ciao ❤✌

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