Capitolo 23
Il treno sarebbe dovuto partire alle 15:30, partì alle 15:35 e alle 15:37 era di nuovo fermo. Aspettava Hanji, Levi ed Erwin, in ritardo in parte per colpa del biondo che non si decideva su cosa mettere in valigia e su cosa tralasciare, in parte per colpa di Hanji, che aveva sbagliato a controllare l'orario del treno, e anche per colpa di Levi, che non aveva intenzione di mettere piede su quei mezzi così sporchi e pieni di germi.
In ogni caso, anche in quell'occasione i soldi e il cognome di Hanji fecero la loro parte, convincendo il capostazione a far fermare il treno.
La prima a salire fu Hanji che, in quanto dama, venne aiutata da uno dei gentiluomini seduti vicino all'entrata, poi Erwin prese Levi sotto alle braccia e lo caricò con la forza, per poi salire anche lui, con le sue valige appresso.
Arrivò un uomo a indicare ai tre dove sedersi, quindi loro raggiunsero i posti e, Levi notò, mentre camminava Hanji si dava l'aria da aristocratica che tutte le Contesse avrebbero dovuto avere. Sarebbe sembrata una di loro, una normale, se non fosse stato per i capelli castani, fieramente lasciati sciolti e senza cipria. Ma ormai si sapeva, Hanji non voleva essere una qualunque.
Quindi sedettero e, tra una chiacchierata con i vicini e un litigio con Levi che continuava a tenere il broncio, arrivarono a destinazione. Furono tra i primi a scendere ma gli ultimi a lasciare la stazione, visto che nemmeno Hanji aveva ben chiaro dove fossero. Una cosa era sicura: faceva freddo, ed Erwin odiava il freddo. Si mise istericamente a cercare dentro i suoi bagagli un cappotto più pesante di quello che aveva addosso, borbottando parole incomprensibili, mentre Hanji cercava di chiedere a uno degli ultimi passeggeri che dovevano ancora lasciare la stazione indicazioni su dove fossero, ma questo, credendola pazza, se ne andò.
<<Pff, che maleducato. E pensare che ho perfino usato il francese!>>
Si lamentò, mentre tornava dagli altri due. Se prima Levi non era contento, adesso avrebbe ammazzato Hanji con le sue mani. Li aveva fatti salire in ritardo su un treno infestato da chissà quali malattie, aveva passato due ore e un quarto a parlare con degli sconosciuti di politica mentre lui cercava di rilassarsi, e adesso neanche sapeva dove fossero arrivati!
Aveva cominciato a camminare nervosamente in cerchio, cercando di calmarsi per evitare di compiere un nuovo omicidio, proprio adesso che aveva smesso.
<<Chiedo scusa>> un'acuta voce femminile, così sottile da sembrare finta, richiamò l'attenzione dei tre, che si votarono quasi simultaneamente.
La voce apparteneva a una ragazzina, o forse a una donna, non si distingueva da così lontano, bassina e molto, molto magra, bionda e con la pelle bianchissima, avvolta in un cappotto che, a giudicare dallo sguardo di Erwin, doveva essere dello spessore giusto per quella temperatura.
<<Madame, monsieurs, serve aiuto? Mi sembra di capire che abbiate smarrito la via>> disse, sempre con quella voce aliena. Hanji sembrò illuminarsi, così anche Levi, mentre Erwin sembrava più perso a guardare il cappotto per prestare attenzione alle parole. Si avvicinarono a quella che si scoprì essere una ragazzina, ed Hanji, in francese, le chiese dove si trovassero. La ragazza, con un sorriso quasi impercettibile, rispose.
<<Beh, vedete, questo è il regno di Francesco I, più precisamente Salisburgo. Immagino che veniate da molto lontano per non riconoscere una città come questa>> disse, gentilmente, ma con un pizzico di malizia.
Hanji sorrise, imbarazzata.
<<Vienna non è poi così distante, dopotutto>> e a quelle parole la ragazzina si sentì arrossire, imbarazzata pure lei per la gaffe. Ma prima che potesse dire qualsiasi cosa, Hanji cominciò a ringraziarla per le informazioni, lasciando intendere che andavano di fretta.
Erwin prese i bagagli di tutti e tre, che alla fine erano i suoi e una sola valigia condivisa tra Levi e Hanji, che a quando pare non avevano sentito il bisogno di portarsi via anche il comodino, e seguì gli altri due che si allontanavano dalla ragazzina.
<<Grazie ancora!>> le urlò Hanji, in modo molto poco elegante e signorile.
La bionda fece un cenno col capo, ma si trovò costretta a rispondere quando l'altra le porse un'ultima domanda.
<<Posso sapere il suo nome?>>
Lei sembrò pensarci su per un attimo,
come se dovesse pensare a una risposta adeguata, ma alla fine si limitò a sorridere educatamente. Voltò la testa dall'altro lato, e per Hanji fu chiaro che per loro fosse ora di andare.
Lasciarono la stazione e si diressero verso il centro della città, più che altro seguendo la maggior parte delle carrozze e dei cavalli che andavano tutti nella stessa direzione.
<<Però, che ragazza strana>> commentò Hanji, mentre si godeva il panorama di una città diversa da Vienna. Non lasciava quasi mai la città, un po' per il lavoro che la costringeva a rimanere nei paraggi, un po' perché non aveva mai saputo dove andare. O con chi andare.
<<Non era strana, era solo educata. E quello è il tipo di comportamento che dovrebbe avere anche lei, Contessa>> la canzonò Erwin, che si rese conto che era da moltissimo tempo che non si rivolgeva a lei formalmente.
Hanji sbuffò. In fondo era lei la Contessa, quella potente e con i soldi, quindi perché mai doveva seguire un comportamento deciso da altri? Poteva governare sugli altri ma non su sé stessa?
<<Ma che grandissima cazzata>> gli rispose Hanji, consapevole che Erwin stesse solo scherzando, ma a cui l'argomento stava piuttosto a cuore.
<<Io avrei capito quello che aveva da dirmi anche se avesse parlato in tedesco, o comunque senza tutti quei ghirigori, o senza quel vestito che era il doppio di lei>>
Ma in fondo, che senso aveva stare lì a parlarne? Le lagne, magari anche sensate, di una Contessa ritenuta pazza dalla maggior parte della popolazione non avrebbero certo cambiato il modo di pensare di una nazione. Ma forse non era necessario cambiarlo, era sufficiente allentarlo un po', ma Hanji non ci pensò e nessuno ci provò mai.
Trovarono una carrozza e si fecero portare in centro. Hanji e Erwin discutevano, mentre Levi aveva gli occhi fissi sul nulla, lo stesso nulla che, ormai a chilometri di distanza, fissavano anche due occhi blu intenso, incorniciati da una testa di capelli biondissimi. La ragazza si avvicinò al treno, fermo per far salire i passeggeri, ma non entrò. Passeggiò tranquillamente davanti al bordo della banchina, guardando dentro ai finestrini parrucche incipriate che si muovevano a ritmo di volti imbiancati, alcuni accompagnandosi da gesti con le mani, altri solo da parole.
Poi la banchina vibrò e il treno ripartì, lasciandola sola di nuovo, come da ruotine. Ne aveva persi tanti di treni, ma non le importava, non era lei ad aspettarli.
Sorrise al treno quasi lontano, e forse parlò a lui quando in un sussurro disse il suo nome.
<<Nunally>> ma nessuno la sentì.
Ciaoooooooo
Domani sono interrogata in greco e ho la versione di latino e un litigio in sospeso con quella di religione, quindi che faccio secondo voi? Mi metto a ripassare storia. Uccidetemi cazzo.
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