One shot 1, tema "diabolico"
"Era una cupa mezzanotte e mentre stanco meditavo
Su bizzarri volumi di un sapere remoto,
Mentre, il capo reclino, mi ero quasi assopito,
D'improvviso udii bussare leggermente alla porta.
"C'è qualcuno" mi dissi " che bussa alla mia porta
Solo questo e nulla più. "
Ah, ricordo chiaramente quel dicembre desolato,
Dalle braci morenti scorgevo i fantasmi al suolo.
Bramavo il giorno e invano domandavo ai miei libri
Un sollievo al dolore per la perduta Lenore,
La rara radiosa fanciulla che gli angeli chiamano Lenore
E che nessuno, qui, chiamerà mai più.
E al serico, triste, incerto fruscio delle purpuree tende
Rabbrividivo, colmo di assurdi tenori inauditi,
Ebbene ripetessi, per acquietare i battiti del cuore:
"È qualcuno alla porta, che chiede di entrare,
Qualcuno attardato, che mi chiede di entrare.
Ecco: è questo e nulla più"
Poi mi feci coraggio e senza più esitare
"Signore," dissi "o Signora, vi prego, perdonatemi,
Ma ero un po' assopito ed il vostro lieve tocco,
Il vostro così debole bussare mi ha fatto dubitare
Di avervi veramente udito". Qui spalancai la porta:
C'erano solo tenebre e nulla più."
Monsieur Lepierre alzò gli occhi dal suo libro, in preda a una strana ansia. Era mezzanotte passata e leggere le poesie di Edgar Allan Poe non si era rivelata un'ottima idea.
L'uomo si alzò per un momento dall'elegante poltrona vittoriana e si affacciò alla finestra della sua sontuosa villa.
Il giardino di notte era dominato dall'oscurità e l'unica luce che lo illuminava era quella della luna. Il vasto uliveto era avvolto nell'ombra, tranne un singolo albero dal tronco possente e sinuoso, il preferito di monsieur Lepierre. Proprio in quel momento l'uomo si accorse di come la sua attenta progettazione del giardino e della villa faceva apparire l'albero ancora più possente e maestoso. La luna infatti lo avvolgeva con la sua luce tutte le notti, anche in quelle più cupe e nuvolose.
Monsieur Lepierre sorrise, soddisfatto del suo grande ingegno. Un attimo prima era stato colpito da una stranissima ansia, ma si disse che forse era solo colpa di quella poesia.
Si rimise a sedere sulla sua elegante poltrona, comprata anni prima presso un sontuoso negozio di oggetti di antiquariato delle più svariate epoche.
L'uomo decise di continuare a leggere il suo libro, quando d'un tratto udì un suono provenire dall'enorme porta in legno di faggio che chiudeva il suo salotto.
"Impossibile... non c'è nessuno. È solo colpa di quella maledetta poesia, mi sto facendo condizionare troppo." Borbottò tra sé Lepierre agguantando la sua pipa.
Contrariamente ai suoi pensieri, il suono si ripetè. Stavolta il rumore era un chiaro bussare: c'era davvero qualcuno dietro la porta.
Lepierre per lo stupore fece cadere la pipa. Credendo fosse solo un'allucinazione si alzò per raccogliere la pipa e si risedette sulla sua poltrona continuando a fumare nervosamente.
Dopo cinque minuti esatti ecco che il suono si ripetè e un cupo rimbombo di due colpi di battente risuonò infrangendo il silenzio della cupa villa.
Stavolta monsieur Lepierre riuscì a prendere coraggio e ad urlare le prime parole che gli passarono per la testa: «S-senta, i-io non so c-come lei sia riuscito ad entrare in casa mia m-ma p-per certo p-posso obbligarla ad andarsene immediatamente e...»
In quel momento la porta si spalancò di colpo facendo entrare dei timidi raggi di luna nella sontuosa stanza. Monsieur Lepierre intravide una sagoma scura con in mano il possente menorah che il proprietario della villa teneva nella stanza più prossima all'ingresso.
Pochi secondi dopo riuscì ad intravedere grazie al pallido satellite terrestre il riflesso di una lama argentata.
"Non può essere... non proprio lui... ma cosa vuole ancora da me?"
La cupa risata gracchiante di un uomo interruppe il flusso dei pensieri di Lepierre.
«Mi fai davvero pena Cyriaque... davvero pensavi di esserti liberato di me con quello stupido accordo? Beh, mi spiace, ma a quanto pare non sono più disposto a scendere ai tuoi stupidi patti.»
La figura nera iniziò ad avvicinarsi lentamente a monsieur Lepierre che, sempre più spaventato, sprofondò nella sua poltrona e con voce flebile disse:
«Che cosa vuoi da me Mortel? Ti sei già preso la mia unica figlia... non ne hai abbastanza eh?»
Nelle ultime parole del suo discorso riuscì ad esprimere tutto il suo disprezzo verso la figura, ora più riconoscibile, di un corpulento uomo incappucciato.
L'altro in tutta risposta ricominciò la sua risata gracchiante e tagliente, come le parole con cui rispose a Lepierre.
«Bene, bene. A quanto pare non sei così stupido come avevo previsto. La mia arma ti ha fatto davvero paura la prima volta se mi riconosci così bene, non credi? Ah, quasi dimenticavo, per la cronaca tua figlia Sophie a trépassé già da tre mesi. Ora ho pensato di infrangere l'accordo e uccidere anche te. Mi hai stufato, non voglio la tua eredità a tempo debito, la voglio ora.»
Mentre l'uomo continuava ad avvicinarsi accelerando il passo di tanto in tanto, Lepierre si cristallizzò immobile dietro la sua poltrona. Sophie... la sua unica gioia... era morta. Non riusciva a crederci.
«T-tu sei pazzo! Non avrai mai la mia eredità! Il testamento che hai firmato l'ultima volta per la cronaca è un falso. Il vero è intestato a mio fratello, n-non ad un pazzo assassino!»
Mortel si immobilizzò a pochi passi da Lepierre, il suo sguardo misto a odio, rancore, rabbia... malvagità. Sì... malvagità, l'unica parola che gli venne in mente in quel momento.
«Sta' zitto lurido vecchio... non ho intenzione di sentire le tue stupidaggini. E poi una volta morto non sarà più un grande problema, no? Posso sempre distruggere il testamento originale e poi anche uccidere tuo fratello, perché no.»
«No! Non te lo permetterò mai! Ti scongiuro... abbi pietà, smettila di tormentare la mia famiglia. Avrai la tua eredità ma solo a patto che tu non uccida mio fratello. Dovrai giurarlo su Jahvè.»
L'altro uomo ridacchiò, compiaciuto di avere ottenuto ciò che desiderava. Si incamminò verso il lussuoso tavolo in ebano su cui era appoggiata una cartella in pelle nera. La prese e, illuminandola sotto la lampada ad olio, ne svuotò il contenuto e prese un foglio di cui lesse le ultime righe con aria sprezzante.
« "... e lascio tutti i miei averi al mio caro fratello Maximilienne Lepierre, il solo uomo di cui mi fido in questo infido mondo." Davvero toccante Cyriaque, peccato che ora ti alzerai e cambierai immediatamente il nome del destinatario se non vuoi che un altro Lepierre perda la vita.»
L'anziano uomo gettò la pipa a terra con aria affranta e si avvicinò al tavolo prendendo la sua penna stilografica.
«Non firmerò se prima non giurerai su Jahvè come promesso.»
L'altro uomo in tutta risposta, sdegnato da quest'ultimo atto di coraggio, infilò la lama del suo pugnale argentato nel fianco di Lepierre, che gemette per il dolore.
«Allora proprio non capisci vecchio... mi spiace di essere arrivato alle maniere forti prima del previsto, ma ho una certa fretta e non ho tempo per i tuoi stupidi giochetti. Firma ora quel foglio e nessuno si farà male.»
Gemendo per il dolore, Lepierre si arrese e firmò il foglio dopo aver cambiato il nome del destinatario con Mortel Aguillante, il suo peggior nemico.
«Bravo vecchio, sei stato veramente bravo, sono fiero di te.»
«V-vai al... V-vai al d-diavolo M-mort-tel.»
Detto questo Lepierre si accasciò sul pavimento e non rivedette mai più la luna da lui tanto amata e il suo ulivo, ora entrambi nelle mani di quell'assassino.
Il diabolico uomo, compiaciuto di aver finalmente portato a termine la sua missione, infilò il testamento del vecchio nella tasca dei pantaloni e, dopo aver posato il menorah accanto al corpo di Lepierre, cominciò a correre fino ad arrivare nel giardino della villa, davanti all'ulivo illuminato dalla luna.
Mortel lanciò un ghigno sprezzante in direzione del vecchio albero e sparì nel buio di quella maledetta notte.
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GuerrieraNera questa è la storia che ho scritto per il tema "diabolico". Scusami se ho pubblicato solo oggi ma ho avuto un inconveniente con il router wifi... Spero di aver rispettato tutti i criteri da te elencati :)
Buona serata,
Chiara
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