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Crescita

Gli anni passarono e Pitch imparò rapidamente ad utilizzare il suo potere. Era in grado di creare varie creature con la sua sabbia. Poteva controllarla a suo piacimento. Riusciva perfino a trasformarsi in essa e a passare nelle piccole piccole fessure. In quel lasso di tempo aveva viaggiato il mondo. Aveva visitato grandi città, azzurri mari, aride terre, accoglienti paesi, sterminate pianure, folti boschi, affascinanti ghiacciai, limpidi fiumi e immensi deserti. Tuttavia un cruccio gli si contorceva nell'animo. Non sapeva chi fosse esattamente prima di diventare l'uomo nero. Quando rimaneva a riflettere e a meditare su chi fosse e da dove venisse, immagini sbiadite gli solleticavano la mente. Apparivano scolorite e confuse, come se fossero antiche e rinsecchite fotografie d'altri tempi. Pitch contemplava questi ricordi per ore ed ore pur di avere un piccolo indizio su chi fosse stato. Aveva capito che in quella sua passata ed enigmatica vita era stato un uomo illustre, famoso....un soldato... O forse un comandante. La figura di una donna dai lunghi capelli biondi e profondi occhi azzurri spesso gli appariva tra questi ricordi. Poteva scorgervi il suo delicato viso sorridergli. E più la scrutava e più rammentava chi fosse. Era Daphne, sua moglie. Era semplicemente l'istinto a suggerirglielo. Niente razionalità, solo i sentimenti e gli impulsi lo guidavano nella tortuosa via dei ricordi. Anche a distanza di tanto tempo, infatti, le sue emozioni per quella bellissima donna non erano cambiate. Lui ne era ammaliato da quei piccoli frammenti di immagini che la raffiguravano. Avrebbe tanto voluta riabbracciarla, stringerla nuovamente tra le sue braccia, ma non sapeva come rintracciarla e tanto meno era mai riuscito a parlare con una persona. Infatti era invisibile. Completamente solo. Nessuno poteva né vederlo e né sentirlo. Perfino nelle piazze dove si teneva il mercato, ed erano stracolme di gente, lui si sentiva solo. Era come osservare tutto dietro un vetro. Contemplava le loro frenetiche vite scorrere veloci lungo la linea del tempo per poi perdersi nell'oblio. Poteva osservare, giudicare, ascoltare e comprendere chiunque, però rimaneva un'estraneo al pubblico. Un essere che non apparteneva e che mai sarebbe appartenuto a quel mondo. Uno sbaglio. Ecco come si vedeva Pitch Black: un errore d'ortografia in un documento importante, una nota stonata in una melodiosa sinfonia, una margherita in un bellissimo campo di rose, una stella in un azzurro cielo diurno. Era un'anima in pena, in equilibrio tra vita e morte. Aveva capito che era immortale perché nonostante il tempo passasse la vecchiaia non lo scalfiva. E questo non era affatto un vantaggio, anzi accresceva in lui quel senso di solitudine che si portava appresso. Tutto mutava intorno a lui, tranne lui stesso. Era semplicemente un'ombra che vagava sulla Terra. Un uomo che era stato strappato dalla sua epoca per divenire un fantasma. Immutabile, solo, immortale, potente e disperato: ecco cos'era. La sua unica compagnia e l'unica speranza di capire chi fosse e qual era il suo passato erano i ricordi. Frammentati, confusi, flebili e sbiaditi ricordi di un tempo lontano. Nel passato cercava la scintilla per comprendere il suo presente e cambiare il suo futuro. Ma l'unica cosa che poteva fare era aspettare. Aspettare che i ricordi divenissero più chiari e lucidi. Aspettare un segno da chi lo aveva creato. Aspettare il giorno giusto per dare una svolta alla sua esistenza. E quel giorno arrivò.

Era una tiepida notte primaverile. Pitch stava passeggiando per le tortuose stradine di un piccolo paesino immerso nella campagna. Era all'incirca mezzanotte e le luci delle case erano spente. Tutto il paese dormiva in una quiete levigata dallo scosciare di un piccolo ruscello che scorreva nelle vicinanze. L'uomo nero era intento a scrutare il cielo. La volta celeste era un manto scuro come la pece, tempestato da stelle che apparivano come diamanti, e lì, una chiara e argentea luna spiccava sullo sfondo nero. Pitch la osservava, i suoi occhi erano iniettati di rabbia. Non sapeva esattamente il perche', ma non riusciva a fare a meno di odiarla. Lei allontanava le tenebre e proteggeva gli uomini dall'oscurità. Ma qualche strana voce nell'animo di Pitch gli sibilava: "dov'eri quando io avevo bisogno del tuo aiuto". Improvvisamente un'ondata di energia attirò l'attenzione dello spirito. Nel profondo, Pitch sentiva che qualcosa di molto potente era nei paraggi. Non si poteva né sentire né vedere, ma Pitch la percepiva chiaramente. Così seguì questa specie di scia energetica che lo condusse sotto a un casetta di legno a due piani. L'abitazione era costeggiata da un piccolo giardinetto curato. C'era un porta laccata di vernice rossa e sulla facciata frontale c'erano quattro finestre, due a ogni piano. Era completamente buia, se non fosse che da una di quelle finestre provenisse una flebile luce. Pitch constatò che quell'energia proveniva proprio da quella stanza al piano superiore. Lo spirito si tramutò in sabbia ed entrò dalla finestra aperta. Nella stanza, in un lettino un bambino tremante scrutava il buio con terrore. Pitch allora capì: quell'energia era la paura di quel piccolo umano. Ma non riusciva a spiegarsi il perché lui fosse riuscito a percepirla. Era stato come fiutare e seguire un delizioso profumino di una succulenta crostata lasciata a raffreddare alla finestra. E ora? Cosa avrebbe fatto Pitch. La fioca luce della candela illuminava debolmente la stanza, lasciando nel buio lo spirito. Osservò attentamente il bambino: era un ragazzino che avrebbe potuto avere all'incirca 8 o 9 anni. Era magro e basso. I capelli castani ricadevano su un volto in cui spiccavano due grandi occhi verdi, che ora, saettavano da una parte all'altra della stanza in cerca di una minaccia. "Un bambino", questa parola non suonò nuova a Pitch Black. Lo spirito infatti, ricordava una bambina con capelli mori e occhi gialli. Il suo nome era ancora ignoto, tuttavia Pitch nutriva un profondo affetto per la fanciulla. E qualcosa gli suggeriva che questa misteriosa ragazzina aveva a che fare con la sua nascita come Uomo nero. Questi pensieri galoppavano veloci nella sua mente, non si era neppure accorto che adesso il bambino lo stava fissando. Gli occhi verdi si spalancarono è una smorfia di paura deformò i lineamenti del suo roseo visetto. Quando gli occhi gialli di Pitch incontrarono quelli del ragazzo furono pervasi da incredulità. Lui... Lui lo stava guardando... Per la prima volta, dopo tanto tempo Pitch provò uno stupore che presto si tramutò in curiosità. Emozioni contrastanti ora inondavano la testa dello spirito. Meraviglia, ansia, imbarazzo, curiosità, incredulità. A un certo punto ebbe l'impressione che, da un momento all'altro sarebbe tornato invisibile, e avrebbe perso quell'unico amico che adesso lo guardava impietrito. Ebbe la tentazione di avvicinarsi a lui e sorridergli amorevolmente per poi dirgli il suo nome, chiedergli educatamente il suo e chissà...forse anche stringere amicizia con quel piccolo umano. E l'avrebbe pure fatto, se non fosse che una voce suadente e allo stesso tempo carica di rancore gli parlò nel profondo dell'animo. "Il moccioso può vederti solo perché crede in te, e lui crede in te solo perché ha paura. Se smette di temerti tu tornerai invisibile ai suoi occhi. Quindi piantala di pensare di poter fare amicizia con questo insulso bambino. Tu sei il generale degli incubi, l'uomo nero, la pura manifestazione del terrore. I tuoi poteri attingono dalle più grandi paure degli umani. Se tu lo vorrai, questo bambino potrà darti un potere enorme! Oppure potresti semplicemente andartene e tornare ad essere solo e invisibile. Allora, Pitch Black, vuoi o no ritornare a essere una semplice ombra strisciante? O preferisci ammirare la grandiosità di tutto il tuo potenziale?" A quelle parole lo spirito diventò febbrile. Un'onda di malvagità percosse tutto il suo corpo. Il suo viso grigiastro si contrasse in una smorfia di pura cattiveria che paralizzò e fece impallidire il bambino. L'uomo nero si avvicinò al letto per poi esplodere in sabbia nera che inondò la faccia del fanciullo. Il piccolo improvvisamente si addormentò. I suo sonno venne popolato da incubi terrificanti, di ogni genere e forma. Il ragazzino iniziò ad agitarsi, chiedeva disperatamente aiuto, piangeva. Ma l'uomo nero lo teneva stretto tra le sue grinfie e non lo avrebbe lasciato finché non si sarebbe svegliato alle prime luci dell'alba, quando il sole avrebbe scacciato le tenebre e con esse lo spirito della paura si sarebbe ritirato. Quella notte Pitch Black s'infiltrò in ogni sonno sia di grandi sia di piccini. Gli incubi attaccarono ogni umano che incontrassero finché tutta la sua paura non venisse assorbita fino all'ultima goccia dallo spirito che diventava sempre più potente. Un insano divertimento dipinse sul suo volto un ghigno di soddisfazione. Tutti ora credevano nell'uomo nero. Tutti temevano Ptch Black.

Intanto, nella parte opposta del globo, in una cella una ragazza con una sguardo smarrito e supplicante osservava la luna. Era una bellissima fanciulla, alta, snella, lunghi capelli mori e mossi le incorniciava un volto dai lineamenti delicati ed eleganti, labbra rosse e carnose, un naso piccolo, grandi occhi di un insolito oro e una pelle chiara come il latte. Erano passati 10 lunghi anni da quando aveva perso i suoi genitori ed era stata rinchiusa in quella prigione. Aveva chiesto più volte al re Neterio il perché della sua reclusione, ma lui aveva sempre risposto con un banale " lo capirai a tempo debito". Tuttavia, dopo la paura, la rabbia, il rancore e la sofferenza Lilian non si era persa d'animo. Aveva tentato la fuga tanto di quelle volte, che ne aveva perso il conto. E chiaramente, ogni tentativo si era concluso con un insuccesso. Ma mai, aveva perso le speranze. Sotto a quella timidezza si celava una tenacia da far tremare anche il più grande e impavido guerriero. Era terribilmente testarda, coraggiosa e combattiva. Pero', era  anche riflessiva, paziente e astuta. Aveva progettato grandi piani per evadere dal carcere, e ne era certa, prima o poi, almeno uno di quei progetti l'avrebbe liberata. Era solo questione di tempo. Nonostante questa sua ardente speranza, la fanciulla riportava sul suo pallido viso un'ombra da tristezza. Una specie di nostalgia che rievocava un passato lontano, ma che in lei era più vivo che mai. Aveva visto con i suoi occhi brillanti la morte dei suoi genitori. Le immagini dei loro corpi senza vita erano ancora impressi dentro di lei. Era come un marchio, il dolore l'aveva segnata nel profondo. Ma, proprio per questa tragedia ogni giorno era sempre più determinata a fuggire da quella cella che tanto odiava. La sofferenza la spingeva ad agire, a credere in se stessa e a credere in un lieto futuro. Lei non sarebbe morta in quella prigione. È questo quello che si ripeteva ogni sera prima di andare a dormire. E anche quella notte, sotto al chiarore della luna, si promise di riuscire a scappare un giorno non molto lontano.

Ciaoo. Prima di tutto credo che una valanga di scuse siano d'obbligo, quindi: scusate scusa scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate scusate se non mi sono fatta più sentire ma ho avuto un mucchio d'impegni e, come se non bastasse non sapevo esattamente come continuare il capitolo. Insomma, il tipico blocco dello scrittore. E alla fine penso che il capitolo non sia poi così favoloso come speravo... Pazienza, era giusto per aggiornarvi su come procedevano le cose con i nostri personaggi. L'azione arriverà nel prossimo capitolo. E tra uno o due capitoli compariranno le 5 leggende e jack frost😍😍😍😍. Ciaoooo ❤️❤️❤️

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