Capitolo 4
Io e Char ci voltammo di scatto, interrompendo il nostro momento di intimità, per guardare Bash torreggiare con aria cupa su di noi. C'era un qualcosa di duro e triste nel suo sguardo. Notai l'aria ferita e capii che lo dovevamo aver ignorato un po' troppo.
– Scusa Bash, ci siamo fatti prendere la mano.– dissi sperando di nascondere il sorriso che mi stava nascendo.
Non dovevo esserci molto riuscita.
– Ho notato.– rispose seccato.
Cercava ancora di mascherare l'irritazione che gli avevo visto poco meno di un'ora prima, durante il nostro discorso nella stiva.
Char provò a distrarlo. – Ehi, Graham.
– Ehi Greyville.
– Sei ancora più alto di quanto ricordassi.
– Tu invece non sei cambiato affatto.
Char sghignazzò e Bash si sedette non molto lontano da noi, continuava ad evitare il mio sguardo, puntando la sua attenzione verso la cesta che conteneva il libro che mi aveva restituito, posata su un cuscino poco più in là.
Il silenzio instauratosi nel covo era davvero soffocante. Era quasi possibile vedere ad occhio nudo la rabbia di Bash che fluttuava attorno a lui.
Ad un tratto Char si allontanò da me di qualche pollice, la cosa non mi fece troppo felice. Bash era l'unico al corrente della nostra situazione, perciò non capivo perché fosse tanto sconvolto dal vederci baciare. Certo, era stato abbastanza imbarazzante essere beccati così, ma io e Char ci saremmo sposati la sera di San Giovanni e lui sarebbe stato il nostro testimone. Mancava solo un mese e mezzo all'evento. Dovevo sbrigarmi e finire il vestito. Scocciata dal loro comportamento mi alzai e dissi:
– Perdonatemi ragazzi, ma è tardi e devo andare, mia madre si preoccuperà se non mi vede al suo risveglio.
Entrambi mi fecero cenno di capire senza parlare, sapevano che la mia situazione familiare non era semplice. Con mio padre morto da tempo, mia madre aveva dovuto badare a me da sola, finendo con l'ammalarsi seriamente, tanto che a volte era così debole da non riuscire ad alzarsi. Perciò da quando ero poco più che una bambina, ho provvisto io a cercare acqua, cibo e legna sufficiente per sopravvivere. A dir la verità, se non fosse stato per Grisha, che mi ha insegnato a piantare verdure nell'orto, a mantenere il faro e a occuparmi del bestiame, non saremmo sopravvissute di certo.
Riposi il sacchetto nella cesta, salutai i ragazzi e me ne andai.
Avevo quasi del tutto sceso il sentiero quando mi resi conto di aver lasciato i pesci nel ruscello.
Che scema!
Mi posai la mano destra sulla fronte e voltai i tacchi.
Ero appena all'ingresso della grotta quando sentii tuonare l'urlo di Bash.
– NON ERANO QUESTI I PATTI!
Ero sconvolta, di solito Bash non urlava mai. In effetti era proprio raro sentirlo aprir bocca, figuriamoci un urlo del genere.
Mi affrettai di corsa a vedere cosa fosse successo.
Bash e Char erano in piedi, alla stessa distanza a cui li avevo lasciati, ma uno era visibilmente furioso, con i pugni chiusi stretti sui fianchi, l'altro invece aveva i palmi delle mani a mezz'aria in posizione di difesa e stava per dire qualcosa quando mi vide. Bash notò dove puntava lo sguardo dell'amico e si voltò sorpreso.
– Che ci fai ancora qui?! – mi chiese Char visibilmente infastidito dalla mia presenza. Sentii un punta di dolore al petto, come se qualcuno ci avesse infilato uno spillo.
– Ho dimenticato i pesci, è successo qualcos..?
Bash non mi fece finire.
– Prendili e va' a casa Lin.– mi rimproverò.
Ero incredula, corsi verso il ruscello dove il fagotto dei pesci era ancora immerso, lo afferrai con cattiveria e senza guardare nessuno dei due ragazzi me ne andai.
Stavano litigando.
Stavano di certo litigando.
E allora perché se la sono presa con me?!?
Maschi.
Il loro comportamento mi aveva ferita. Loro stavano discutendo e a me non era chiaramente dato sapere di cosa. Questo loro modo di fare mi faceva saltare i nervi.
Arrivai a casa senza neanche rendermene conto. Mi avevano fatta talmente arrabbiare che quasi sbattei la faccia contro la porta di legno marcio della cucina. Sbuffai.
Cercai di distrarmi dalla curiosità di sapere cosa fosse successo tra i due e dall'irritazione per come mi avevano appena trattata andando a vedere come stava mia madre.
Posai la cesta con libro, pesci e sacchetto odoroso sul tavolo della cucina e mi diressi verso la sua camera da letto. Udii il tossire da dietro la porta socchiusa, mi affacciai e le sussurrai,
– Mamma, sei sveglia? Come ti senti?– aprii un poco la porta ed entrai nella stanza patronale dei miei genitori.
La stanza non era molto grande, oltre al letto e la cassapanca del corredo di mia madre c'era un piccolo catino con la sua brocca piena d'acqua per la mattina. Mi avvicinai alla brocca e ne versai un po' in un bicchiere di coccio mentre mia madre cercava di alzarsi sui gomiti.
– Mamma non fare sforzi inutili.– la rimproverai, affrettandomi al suo capezzale e le porsi il bicchiere.
– Sciocchezze, se sedermi è uno sforzo allora alzarsi sarà impossibile.
Mia madre era sempre stata una donna forte, sopportava gli insulti di quelle vecchie bagasce del villaggio senza battere ciglio, anche se sapevo che l'avevano ferita, e mi aveva cresciuta facendomi da madre e da padre per tutta la vita. Nel periodo di massima salute era stata in grado di spaccare la legna, mantenere il pozzo attivo, badare all'orto e al bestiame e fare da guardiano al faro, tutto da sola.
Poi però si era ammalata e non era stata più la stessa. La malattia se la stava mangiando lentamente, debilitando il corpo già gracile dalla mancanza di cibo.
Mentre beveva le allontanai una ciocca di capelli dal viso inumidito dalla febbre. Mi stringeva il cuore vederla così fragile, così vulnerabile. Avrei fatto carte false per trovare un modo per guarirla, ma non c'era nulla da fare. L'unica cosa che ci dava speranza era quella strana polvere grigia che il barbiere scambiava per medicina miracolosa. Ma ogni volta che mia madre la prendeva stava sempre peggio.
Nonostante tutto Geneviève Wallowick era ancora una donna bellissima, dal viso bianco e delicato e gli occhi scuri penetranti la cui luce non era stata in alcun modo intaccata dalla malattia. Avevo dovuto tagliarle i lunghi capelli castano dorato che tanto amavo alle spalle, per permetterle di riposare senza ingombro e di lavarsi più comodamente anche da sola. Questo li aveva resi ancora più ricci e vaporosi e nonostante le guance infossate e la troppa magrezza del collo, mia madre aveva in sé quella raffinatezza innata che le donne dell'isola potevano solo sognare di avere. Era nata povera, ma la condizione con il padre l'aveva resa tenace, ribelle ed indipendente. Mia madre mi ringraziò mentre mi passava il bicchiere vuoto, mi osservò un po' e poi soddisfatta disse,
– Sei proprio come me alla tua età.
Sospirai.
– Me lo dici ogni volta, ma io non vedo tutta questa somiglianza.
Sbuffai. Mia madre ridacchiò.
– Hai sempre la testa tra nuvole tesoro, altrimenti riusciresti a guardarti riflessa nell'acqua.
– Ahah, grazie mamma.
Adorava punzecchiarmi.
– Tutto ciò che vedo di me nell'acqua è una ragazzina sgraziata con la treccia sporca e gli occhi incavati.– le risposi.
Non avevo mai avuto problemi di aspetto, anche perché quando i tuoi amici più cari sono tutti maschi, lotti per il tuo posto nel branco, non per essere la ragazza più bella dell'isola. Diciamoci la verità, non ho mai avuto amiche. Primo perché adoro arrampicarmi per le scogliere e sugli alberi, secondo se ti metti contro di me ti tiro un pugno come si deve sul naso o, se preferisci, un bel calcio assestato dove non batte il sole, e terzo tutte pensano che essere amiche della mezza francese richiami la sciagura sulla tua famiglia.
Che idiote.
Da un anno a questa parte però avevo cominciato a notare quanto fossi indietro rispetto alle mie coetanee nel campo dell'aspetto esteriore. L'isola non aveva famiglie ricche, ma le ragazze riuscivano comunque ad ottenere qualche nastro colorato dai genitori o in casi straordinari anche dei vestiti nuovi. Io andavo in giro con lo stesso vestito di lana scura (colore mai ben definito) da un paio di anni a questa parte. Senza mai apparentemente riempirlo nelle zone giuste. Credo che la disperazione fosse abbastanza evidente, dato che mia madre mi prese la mano e mi disse,
– Perché per una volta, invece di fare un bagno caldo a me, non lo fai a te stessa?
– Perché ho letto in un libro di papà che per un malato tenersi puliti è importante, e comunque nel momento in cui metto di nuovo piede in quel disgustoso villaggio puzzerò di nuovo di pesce marcio.
Mia madre rise di gusto. Odiava il villaggio tanto quanto me, ma rimaneva una fonte di sostentamento che non avevamo il lusso di evitare.
– Beh, potresti pensarlo come un regalo di compleanno, non trovi?– mi chiese con quel sorriso gentile e un pochino malandrino da ribelle qual'era.
– Detto in questo modo sembra quasi che mi lavi una volta l'anno.– borbottai e lei rise di gusto.
– In effetti non è proprio così distante dalla realtà... Su apri la cassapanca.– mi ordinò eccitata, ignorando la mia occhiataccia. – Ho una sorpresa per te.
Aprii con sospetto la cassapanca e trovai all'interno una serie di abiti piegati in ordine. Da un lato potevo riconoscere mutandoni e sottovesti, dall'altro invece un vestito di lana di una tonalità di blu simile al cielo estivo notturno.
– Prendi pure il vestito blu tesoro, è il primo che tuo padre mi regalò appena sposati, è troppo piccolo per me adesso, ma sono sicura che a te starà benissimo. – mi disse mia madre alle mie spalle. – e non dimenticare l'intimo pulito.– aggiunse sorridendo.
– Ora corri a scaldare l'acqua per il bagno così potrai provarlo subito!
Mia madre si era talmente fatta prendere la mano che aveva dimenticato fosse quasi ora di pranzo.
– Più tardi mamma, ora devo andare a cucinare, Bash mi ha regalato un paio di pesci stamattina! Vedrai che con lo stomaco pieno ti sentirai meglio.
Richiusi la panca e corsi fuori dalla camera, ma mi resi conto di aver dimenticato qualcosa da dire e perciò tornai indietro, rimisi la testa dentro la stanza e aggiunsi – E Char mi ha regalato del sapone e del profumo! Del profumo mamma!! Riesci a crederci??
Mia madre sorrise ma non disse nulla.
Tra i miei due migliori amici sapevo che preferiva Bash, ma era l'unico che aveva visto di persona, perciò ho sempre pensato che una volta le avessi presentato Char, ero sicura l'avrebbe adorato.
Mi ricordai che dovevo ancora dirle del matrimonio. Non avrei mai voluto nasconderglielo, ma senza la presenza di Char a confermarlo dubitavo mi avrebbe creduto. In fondo alcune volte non ci credevo nemmeno io. Sembrava di sognare, finalmente ero come una delle fanciulle nei libri di papà, dove un nobile principe si innamorava di lei e ne faceva una principessa.
In cucina, sopra il tavolo c'era ancora il libro che Bash mi aveva restituito. Pensai a come gli piaceva chiamarmi "principessa", come mi prendeva in giro per il desiderio di sposare Char, a come aveva reagito quando aveva visto baciarci.
Era geloso, questo era evidente. Essendo un gruppo di tre era normale sentirsi escluso se due formano una coppia. Ma percepivo che c'era di più, ma al momento non potevo perdere troppo tempo a pensarci, avevo bisogno di preparare il pranzo.
Andai a prendere l'acqua al pozzo per riempire la pentola, presi qualche patata dalla dispensa, una cipolla, bacche di ginepro e radici di rovo essiccate e sminuzzate come mi aveva insegnato Grisha. Recisi la testa al pesce, eviscerai le interiora e posi la parte tenera della carne sulla brace, insieme ad alcune patate con la buccia. Coprii il tutto da un piatto in coccio, mentre gli scarti finirono nel brodo per insaporirlo con le verdure.
Et voilà i pasti di almeno due giorni coperti, se allungavo il brodo un bel po'. Avrei dato il pesce affumicato a mia madre per l'ora di pranzo, doveva recuperare le forze. Il resto era per i giorni avvenire.
Mentre aspettavo che il pasto cuocesse decisi di sistemare al loro posto gli oggetti nella cesta.
Il regalo di Char mi aveva molto incuriosita e dato che sarei comunque dovuta passare a posare il libro, decisi di dirigermi verso l'anfratto, o meglio quello che papà definiva, a detta di mamma, la "biblioteca nel faro".
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro