Capitolo 3
Percorsi correndo quello che rimaneva del porto per dirigermi verso la scogliera a sud.
La facciata a strabiombo di granito ed ardesia finiva in una spiaggia vulcanica piena di torba, dove le foche si rifugiavano a prendere il sole nelle calde giornate estive.
La roccia della scogliera era un vero e proprio labirinto di antri e grotte. Alcune erano piccolissime, adatte per i nidi di una varietà immensa di gabbiani, urie, falchi pellegrini, e altre specie di volatili migratori.
Altre invece formavano gradoni e rifugi naturali a quelle specie che nidificavano nella parte bassa, come le pulcinelle di mare o le gazze marine, grandi pescatori ma poco adatti a volare.
Quelle più grandi erano al contrario non naturali, bensì erano rimasuglie di una vecchia cava mineraria.
La cava era stata scavata dagli abitanti per costruire prima la chiesa di Sant'Elena, il faro e in seguito le abitazioni principali del villaggio, ma si diceva che in realtà fosse ancora più antica.
Tra tutte le grotte, ce n'era una che sembrava una sorta di crocevia, da cui partivano delle rientranze simili a nicchie tutte collegate tra loro.
La cosa particolare è che da fessure nella cava affluivano fiumicciattoli in cascata su un laghetto proprio al centro della grotta principale, per poi continuare fino al bordo e cadere in mare.
Ora la cava era in disuso, non solo a causa del continuo decremento demografico del villaggio, che non richiedeva nuove abitazioni in pietra, ma soprattuto per le voci che giravano su di essa. Al villaggio infatti si mormorava che la cava abbandonata fosse infestata dai fantasmi dei pirati che decenni prima scorrazzavano e morivano in queste acque.
Mi arrampicai lungo il sentiero scosceso che portava all'entrata principale della cava, mi avvicinai al laghetto che sgorgava in mare e ci appoggiai dentro i pesci con tutto lo straccio.
I miei passi riecheggiavano sulle pareti rocciose, formando un crescendo di suoni bassi e cupi.
Quando ero bambina mi terrorizzava venire qui, ho sempre pensato che la roccia fosse viva e che mi avrebbe risucchiata nelle profondità della terra in un istante.
Char e Bash mi credevano ridicola, ma nonostante ciò decisero di riempire la serie di grotte con candele di ogni forma e genere.
Le avevamo rubate dappertutto.
Dalla cucina di mia madre, dal magazzino del faro, dalla casa e dalla barca della famiglia di Bash, perfino Char aveva sottratto dei grossi candelabri dalla sua camera ed era riuscito a convincere il vecchio maggiordomo di casa Greyville, Gilles, a trasportarli fino alla scogliera all'insaputa del padre.
Per rendere l'antro più accogliente avevamo costruito dei giacigli di paglia e piume d'oca, che poi Gilles aveva rivestito con stoffe e cuscini pregiati presi direttamente dalle scorte del Conte.
Il risultato era un comodo e luminoso luogo di ritrovo solo per noi tre.
Accesi tutte le candele della stanza e aspettai con impazienza sopra una delle alcove.
Char era sempre in ritardo, causa suo padre, che odiava la nostra influenza su di lui e lo teneva costantemente d'occhio. Ma Char non era stupido, sapeva bene come sfuggire alle sue costanti attenzioni senza suscitare nel Conte il minimo sospetto.
Questa sua capacità di eludere le difese della residenza di famiglia e sgusciare fuori gli dava l'aria da cattivo ragazzo che mi faceva letteralmente impazzire.
Il suo aspetto angelico cozzava con il carattere ribelle e sprezzante che nascondeva sotto una maschera ben studiata negli anni. Era adorabile il modo con cui riusciva ad ottenere tutto ciò che desiderasse con un solo movimento delle labbra.
Scommetto che quel suo sorriso divino e diabolico causasse una strage di cuori nei salotti della nobiltà londinese, dove Char risiedeva per la maggior parte dell'anno.
La sua famiglia infatti tornava sull'isola solo durante l'estate.
Seppur l'isola appartenesse al Conte di Greyville e il castello fosse la sua residenza principale, l'inverno era troppo freddo e pungente per la salute della cara Contessa di Greyville, la quale all'avvicinarsi della stagione teatrale, fingeva puntualmente un malore non meglio precisato, la cui soluzione era di rientrare immediatamente nella loro casa a Londra.
Fu proprio prima di ripartire per la capitale che Char mi chiese di sposarlo.
Era una nottata stranamente calda, ma la Contessa aveva già cominciato a simulare i primi malori, perciò il Conte si affrettò a preparare il viaggio di ritorno e Char sgattaiolò per l'ultima volta nel nostro covo per salutarci.
Lasciati soli da Bash, Char mi disse che i suoi genitori avevano intenzione di annunciare, al loro ritorno a Londra, il suo fidanzamento con la giovane Gabrielle du Ronde.
La ragazza era l'amatissima ed unica figlia di un ricchissimo borghese francese in disperata ricerca del favore di qualche nobile inglese e poter così entrare nelle grazie (e nel commercio) della nostra madre patria.
Char aveva già detto ai suoi genitori di non volersi sposare ma, come chiunque della nostra età, non è che avesse tanto margine di scelta.
La festa di fidanzamento era già in preparazione (motivo per cui la salute della cagionevole Contessa era così velocemente peggiorata) e la parola di un Conte non poteva essere messa in discussione dai capricci di un ragazzino di sedici anni.
Per questo motivo Char aveva deciso che se avesse dovuto sposare qualcuno, allora voleva sposarsi per amore, e tra tutte le ragazze che avrebbe potuto scegliere, scelse me.
L'istante in cui si dichiarò fu il più bello della mia vita.
Avevo una cotta per lui da quando avevo sei anni e sentirsi dire che avrebbe lasciato tutto, eredità e titolo compresi, per scappare con me, mi rese la ragazza più felice di questa terra.
Mi rimboccai le maniche e dal pezzo di stoffa che mi aveva donato cominciai a ricavarne il vestito che avrei poi indossato il giorno delle nostre nozze.
Dopo tanto attendere Char era tornato sull'isola ed io fremevo per vederlo di nuovo.
Ricordavo ogni particolare della sera della proposta, il vento caldo sul viso, la notte senza luna e piena di stelle e i suoi occhi giallo dorato che splendevano alla luce delle candele.
Era più bello di qualsiasi essere umano che abbia incontrato nella mia vita. Il viso ovale con un naso dritto e lievemente all'insù, le labbra sottili e rosee che incorniciavano due file di denti bianchi come le nuvole estive.
La cosa che però mi faceva letteralmente uscire il cuore dal petto era il suo sguardo cristallino quando lo posava su di me.
Credo che per buona parte del mio tempo con lui io abbia avuto un colorito che tendeva dal rosa imbarazzo al rosso paonazzo a seconda di ciò che diceva o se, per un fortuito caso, mi sfiorava.
Ero talmente concentrata nel suo ricordo che mi sembrava di vederlo proprio lì davanti a me, piegato sulle sue ginocchia, con una mano sul mento, mentre mi fissava con i suoi occhi gialli da gatto e il suo sorriso perfetto.
Talmente reale che la mia illusione di Charles George Brooke, erede della Contea di Greyville separò lievemente le sue labbra e con voce melodiosa disse:
- Ti vedo molto concentrata. A cosa stai pensando?
No. Non era una mia illusione.
Il pensiero mi fece letteralmente sobbalzare, tanto che finii col sbattere la mia testa contro il muro alle mie spalle. Il dolore mi fece uscire le lacrime agli occhi.
Che idiota.
Char si accucciò subito su di me, mi prese la testa fra le mani e controllando il retro della mia zucca vuota disse,
-Ouch, ho sentito il dolore da qui. Stai bene?
-Non è niente, sai che ho la testa dura.
Il calore del contatto delle sue mani sul mio viso incrementò il color rosso paonazzo di una tonalità o due, ormai dovrei essere sul porpora circa, la chiamerò "tonalità voglio morire". La sua risata mi riecheggiò in testa, era musica per le mie orecchie.
-Verissimo. Mai visto una persona più testarda di te.- disse mentre lasciava la mia testa.
Mentre riottenevo un tantino di controllo sul colorito del mio viso, gli lanciai un'occhiataccia.
-Non è vero!- negai spudoratamente -Non sono poi così testarda!
Char alzò gli occhi al cielo e si sedette di fianco a me sul materasso. Sentirlo così vicino da poterlo sfiorare mi dava le palpitazioni.
-Certo, come no.
Aveva un'aria tra il divertito e il finto stupefatto per aver negato una cosa così ovvia. Ma da brava testarda quale sono di certo non gliel'avrei mai data vinta.
-Non sono testarda, sono poco propensa a cambiare idea.
-Che è la definizione di testardo, direi.
-No, la definizione di testardo è colui che persiste nelle sue decisioni e nelle sue idee, io sono solo difficile da convincere.
Char alzò un sopracciglio e cercò qualcosa con cui controbattere. Vedevo attraverso i suoi occhi le rotelle che giravano per cercare qualcosa di convincente. Lo vidi fallire miseramente.
Sospirò.
-Come vuoi tu.- disse sconfitto.
Visto?
-Pensavi di battermi al mio stesso gioco Greyville?- schernii, abbozzando un sorrisetto.
Lo vidi sospirare di nuovo e dire -Naturalmente no, Wallowick.
Odiava perdere, tanto quanto me.
Sorrisi soddisfatta. Lo sentii avvicinarsi a me e il mio cuore accelerò ancora.
Nel silenzio della grotta sentivo il mio battito tuonare nel petto ed ero totalmente cosciente che lo sentisse anche lui. Potevo avvertire il calore che emanava la sua vicinanza, la morbidezza dei suoi vestiti pregiati e il profumo fresco ed esotico della sua pelle. Notai i lineamenti bianchi e delicati del collo e della clavicola fare languidamente capolino dalla giacca di velluto e dal colletto di seta.
Deglutii.
Sapevo che era scortese fissare una persona, ma non riuscivo a distogliere lo sguardo dal suo corpo perfetto. Char se ne accorse e mi guardò di rimando, osservai i suoi occhi soffermarsi sul mio viso cotto dal sole, i miei capelli lunghissimi raccolti in una treccia lurida, il corpo gracile e mal nutrito coperto dall'unica logora tunica di lana che possedevo e che non potevo permettermi spesso di lavare.
Ad un tratto fui consapevole del mio aspetto e mi vergognai.
Mi ritrassi un po', sperando di non puzzare troppo di fetido.
Char doveva aver notato il mio malessere perché cercò di distrarmi.
-Ho una cosa per te.- mi disse.
Si voltò, prese qualcosa dalla borsa che portava sempre con sé e mi posò in grembo un sacchetto di velluto colorato. Lo guardai stupita.
-Char, ti sei ricordato del mio compleanno!
-Andiamo Wallowick, come potrei mai dimenticarlo?.- mi disse sorridendo.
Il suo gesto mi commosse. In questi mesi di lontananza aveva pensato a me.
-Grazie Char.- dissi con gli occhi pieni di commozione. Ero davvero fortunata.
-Aprilo dai, vediamo se ti piace.- incitò.
Senza altri indugi lo aprii. Il contenuto consisteva in una filetta di vetro e metallo decorati finemente con fiorellini e foglioline e un piccolo mattoncino bianco. Il profumo che permeava il sacchetto era davvero intenso, fresco e dolcissimo. Più il mio naso ne avvertiva l'odore e più me ne innamoravo.
-Che cos'è?- chiesi stupita.
-La fiala è essenza di lavanda, l'altro invece è un pezzo di sapone di Marsiglia, entrambi provengono dal sud della Francia.- mi rispose Char.
-Essenza... ? Sapone... ? Lavanda... ? - chiesi confusa.
D'un tratto non ero più sicura parlassimo la stessa lingua. Char rise di gusto.
-La lavanda è un fiore, da cui si ricava l'olio che vedi qui, non so come fanno ma ho pensato ti potesse interessare, mentre il sapone... beh, è sapone. Si usa strofinandolo sulla pelle e dovrebbe lasciarla profumata. Dai prova! - mi incitò, ridendo di nuovo.
Lo ammetto, mi sono sentita un tantino ignorante in materia. Una volta tornata a casa avrei fatto le dovute ricerche nell'anfratto di papà.
Provai a strofinarmi la mattonella tra le mani, essendo conscia di non sapere cosa stessi facendo o avrei dovuto ottenere. Con mia grande sorpresa la mattonella rilasciò sulla pelle un gradevole profumo. Non riuscivo ad inquadrarlo, non avevo mai sentito un odore del genere, ma mi ricordava le coperte che lavavamo ogni mese con la cenere e facevamo asciugare al sole.
Spostai lo sguardo di lato mentre cervavo il termine nella mia mente. Era un'abitudine che non riuscivo a togliermi di dosso.
Pulito.
Quell'odore sapeva di pulito.
-Grazie Char! Adoro il profumo che fanno!- ero davvero felice
Il suo regalo doveva essere raro e costoso, e provavo immensa soddisfazione nel sapere che ero l'unica sull'isola a possedere un tale lusso. Oltre la Contessa s'intende.
Char era rimasto silenzioso tutto il tempo, allora non mi resi conto che il suo non era un silenzio dato dall'osservarmi giocare con i suoi regali, bensì era dovuto ad profonda riflessione sul da farsi.
Ripensandoci ora, credo di sapere a cosa stesse pensando in quel momento, ma so che ciò che arrivò poi cambiò totalmente il corso delle nostre vite.
Lo guardai aprir bocca lentamente, gli occhi fissi su di me. Il suo sguardo mi bruciava da dentro e non volevo più trattenere l'attrazione che provavo per lui.
Decisi di farlo.
-Line, devo dirti una cosa importante, vedi io...- Char non riuscì a finire, perché le mie labbra erano sulle sue.
Il mio primo bacio aveva l'essenza di lavanda attorno a me.
Non l'avrei mai dimenticato.
Sentii Char irrigidirsi per la sorpresa, per poi afferrarmi per le braccia e tirarmi a sé, ricambiando il bacio.
Ero al settimo cielo.
In un istante, che è sembrato durare un'eternità, le nostre labbra si muovevano timidamente l'una sull'altra, a volte combaciando perfettamente, a volte separandosi. La sua stretta sulle mie braccia era così forte da trasmettermi il suo calore mentre le sue labbra continuavano a vagare in scoperta delle mie. Era una sensazione bellissima, morbida e calda.
-Vedo che siete molto indaffarati.- disse una voce roca.
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