7- Mattoni frantumati che cadono, sostituiti da mattoni più resistenti. ✔
Capitolo 7
Destiny's pov
Mi ritrovavo davanti alla fontana e le lacrime uscivano senza che io glie ne avessi dato il permesso.
Ripenso a quella sera e a quanto sono cambiata da lì.
Vivere in una famiglia composta da madre, padre, fratello maggiore e sorella minore e poi da un giorno all'altro ritrovarsi senza un fratello, è una cosa facile da sopportare?
Perchè io non ci riesco a vivere senza di lui, anche se un po' di tempo è passato, anche se dei genitori non li ho mai avuti e anche se mia sorella ora sta lontana non so in quale istituto e sono completamente sola.
E mentre voglio rimanere con il suo ricordo stampato in mente devo ricorrere a metodi secondari come spesso faccio; indosso le sue felpe per andare a dormire perchè hanno ancora impregnato, tra i filamenti del tessuto, il suo odore.
E sembro malata se dico che metto una felpa al cuscino e poi lo abbraccio pensando fosse lui? Beh, forse lo sembro ma è ciò che faccio quando mi sento irrimediabilmente sola.
Ho la foto di me e lui come sfondo del mio macbook.
Ho incorniciato i suoi quadri e appesi in camera mia, era un piccolo artista incompreso, mi ricorda Van Gogh, e faceva delle tele bellissime e mi emozionavo spesso.
Mi aveva insegnato a disegnare, a far uscire dalla mia mente l'arte che tenevo restia solo per me, mi ha fatto scoprire le emozioni e mi ha fatto imparare a riconoscerle, anche se per me rimangono ancora ignote.
Porto il suo zaino, come mio zaino.
Quello nero, lui amava il nero.
Si vestiva sempre così, io gli chiedevo il perchè, ma lui non ha mai confessato niente.
Amava anche Star Wars, infatti c'è attaccata nella parte sopra del eastpack una spilla di Dark Father, il personaggio preferito di entrambi.
Dylan Smith.
Il mio fratellone,il mio complice migliore.
Non gli ho mai detto un ti voglio bene col cuore, come se gli fosse successo qualcosa e per consolarlo gli avessi detto ti voglio bene, se hai bisogno ci sono sempre.
Mai, ma non perchè davvero non gli volessi bene, anzi, solo che era sempre così felice, sempre allegro, sempre colonna portante delle mie cadute, sempre forte!
Era sempre lui a sorreggere me e non io lui, anche se ne aveva veramente bisogno.
Solo ora mi rendo veramente conto di tutto ciò che ha passato, anche se so di non sapere tutto ciò che gli era successo nel suo ultimo periodo di vita.
I miei genitori hanno iniziato a essere assenti anche per lui, da quando ritornava a casa tardi e aveva gli occhi sempre stanchi, da quando non voleva più alzarsi dal letto e non voleva più sentire nessuno, io non gli sono stata accanto, come un' emerita deficente pensavo solo a me e al mio dolore causandone di conseguenza anche a lui che mi vedeva sempre triste, e che a casa era sempre costretto a badare ad una stupida egocentrica come a me.
Belle e lui non hanno avuto il tempo di legare abbastanza, non si sono mai calcolati più di tanto e le amicizie che aveva iniziato a frequentare sapevo che non erano buone ma sorrideva lo stesso, e non avevo ancora capito la differenza tra un sorriso vero e delle risate da ubriaco.
Lui c'è stato con me, mi diceva sempre parole belle per farmi sentire bene in un primo momento.
Poi passava ai gesti, mi portava al luna park, la sera si intrufolava nella mia stanza portandomi le nuove patatine al bacon oppure anche quelle al lime e facevamo le peggio schifezze mischiandole con il latte o la coca-cola.
Ora ci sto male, non sono mai riuscita a dimostrargli la mia gratitudine e per questo me ne faccio una colpa.
Lui c'era sempre per me, bastava digitare il suo numero per ritrovarselo davanti.
Mi difendeva dai bulli, visto che non ero ancora abbastanza forte da combatterli, ma non in particolare quelli a scuola, loro stavano comunque in periferia perciò non erano poi chissà quali belve.
I veri problemi arrivavano quando ti spingevi al cuore di Flowers Spring, lì non era sempre primavera e lí i fiori non erano sempre profumati.
Flowers Spring si trovava in un posto sperduto degli Stati Uniti del sud, qualche chilometro e si poteva arrivare al Golfo di Messico.
Non eravamo al confine tra i due stati, solo ci stavamo vicini.
Flowers Spring non era una meta per i turisti, infatti, tra gli abitanti più o meno un po' tutti ci conoscevamo, non proprio di nomi, ma avevi lo stesso la sensazione di aver già visto quella persona, da qualche parte.
Da noi era tutto tranquillo, o meglio dire, apparentemente tranquillo.
Non si parlava quasi mai di morti uccisi in modo violento, solo degli anziani ovvero solo quelli morti in modo naturale, perciò per la vecchiaia, per colpa del tempo.
Proprio per questo io stavo sulla bocca di tutti nella mia scuola, quando mio fratello morì sotto i miei occhi, ma senza che io gli tesi nemmeno il mio dito contro.
Era ovvio che anche qui da noi si moriva per mano di qualcuno, solo non esisteva una legge che lo impediva, o meglio, esisteva ma era come se fosse invisibile, punivano solo la diffusione della notizia, chi spargeva voce e chi era un ficcanaso qua a Flowers Spring non faceva una bella fine.
Però tutto questo non era condiviso dalla parte di popolazione, abitante al centro di questa cittadina, quello è un posto dove nessuno può entrare, se non per morire.
Mi sentii un braccio attorno alla spalla e sobbalzai per lo spavento e mi girai con gli occhi serrati.
"Emh... , stai bene?
Oh, Collins... ?
Collins!
Lo guardai con aria interrogativa e con la fronte corruciata. Quindi lui era qui.
"Non pensavo tu stessi qua." Bugia, io ci speravo che fosse qui da qualche parte.
"Non pensavo fossi diventata di carnagione più scura." provò a scherzare sul mascara che mi stava colando e io che cercando di toglierlo avevo combinato la mia faccia in un pastrocchio.
Mi guardò, lo guardai, ci guardammo.
Mi persi nei suoi occhi, sono così belli, due perfette sfere marroni, contornate da un nero che porta le sue venature fino a raggiungere quel buco nero al centro degli occhi, che si stava ingrandendo man mano che i secondi ci passavano sotto naso.
Le sue labbra non curate con qualche pellicina qua e là, rosse sangue a forza di mordicchiarle.
Adesso capisco perché é un modello, anche se non si mostra come se il mondo girasse intorno a lui, possiede lo stesso un certo fascino.
La sua maglia si spostò di poco e notai un tatuaggio, precisamente sulla clavicola. Un sole.
Un sole disegnato in stile tribale.
Anche mio fratello aveva un tatuaggio identico, solo che era situato in diagonale all'ombelico precisamente sul lato destro del bacino.
Ciò mi fece vacillare un po' all'indietro prendendomi i capelli tra le mani e volendo urlare.
Non c'è la facevo più.
Tutto mi ricordava lui, completamente tutto ed era come se delle fiamme alimentate da olio, si trovassero proprio all'interno di me e mi stessero facendo diventare cenere, piano piano, ma era un dolore così forte da voler prendere a pugni ogni angelo che si trovava in paradiso e facendogli sentire ciò che provavo io all'inferno.
Avvicinò la sua mano al mio viso togliendo con le prime falangi di ogni dito, dello sporco situato sotto i miei occhi, abbassandosi alla mia altezza.
"Non fa bene vedere una ragazza col trucco colato. Non fa bene a me, come non fa bene a te."
Di colpo rendendomi conto di cosa parlava strisciai con forza il punto più umido del mio volto peggiorando la situazione ma senza esserne cosciente anche se sapevo che la mia faccia chiedeva aiuto e non solo per come era conciata.
"Va meglio?" chiesi cercando di migliorare un po' il mio aspetto.
Una volta pronunciate le due paroline si mise a ridere, chissá com'ero combinata.
Estrasse dalla tasca retrostante dei suoi jeans neri, un paio di fazzoletti che una volta che me li passò diventarono senza volerlo di mia proprietà.
"Comunque volevo chiederti, che ci fai qui."
"No dolcezza, che ci fai tu qui." Ribattei.
"Io stavo solo ammirando il verde intorno a me."
"Se ti piace la natura non è l'unico posto di Flowers Sping dove puoi trovarla."
Rimase stupido dalla mia affermazione però poi volle cambiare discorso usando la frase: "Interessante se vuoi la prossima volta me ne parli."
E ritornammo nel silenzio.
Di solito il silenzio mi tiene compagnia e non mi dispiace, ma in quella situazione era fuori luogo.
Mi alzai e camminai un po' in torno alla fontana dove l'acqua era sempre pulita e limpida e quando spostai lo sguardo sul suo la mia immaginazione mi fece pensare ad una lacrima che usciva dai suoi occhi. O forse non era solo la mia immaginazione.
Spostò poi lo sguardo e vagando un po' si focalizzo su un punto preciso che seguii con lo sguardo, stava ammirando un fiore.
Una rosa bianca.
La rosa bianca è uno dei fiori che più mi ha spesso interessata.
Avevo scoperto che aveva diversi significati, ed è molto semplice quanto bella, mi ha attirata tra le sue grinfie senza problemi.
La rosa è forse il fiore più conosciuto al mondo, però il suo bianco latte, puro e delicato, così limpido quanto misterioso.
Insomma non è da tutti dire di rappresentarsi in una bianca rosa, candida e pulita, nessun peccato e nessuno rimorso.
Spine dolenti ma ingannevoli come la sua ingenuitá che ti spinge a fidarti.
Non ho mai conosciuto una persona così. Così... platonica come una rosa bianca.
Io ero contornata da nero come le foto vintage dal giallo, del tempo.
E così anche tutte il resto delle persone da me conosciute.
Però in Demon, c'era un qualcosa di diverso.
Sará il suo fisico, sará la sua voce, sará il suo aspetto esteriore come quello interiore, ancora da scoprire.
Il suo viso consumato, il suo sguardo spesso spaesato.
Molto probabilmente mi stavo facendo troppi complessi nella mente, ma avevo progettato due opzioni sotto diversi punti di vista:
Il primo è la stanchezza che traspare dalle sue espressioni facciali e corporali che assume, stanco per il viaggio lungo che a dovuto affrontare strasferendosi qua a Flowers Spring e il suo sguardo confuso per essere finito in una cittadina retoricamente tranquilla, venendo da una delle cittá più caotiche del mondo, New York.
Mentre la seconda opzione è sotto un punto più pensato e profondo:
Lui era stanco di ciò che doveva affrontare, ogni giorno, ogni attimo, prove che avrebbero dovuto testare le sue abilità nel resistere al peso del cemento che man mano, anche se sembrava solido e compatto fuori, era crepato e rotto all'interno.
E poi il suo sguardo perso che vagava da persona a persona senza mai cambiare e senza mai mostrare un segno di emozioni positive presenti in lui, faceva arrivare alla conclusione che qualcuno tempo prima, ha sottratto a lui questi sentimenti privandolo di essi, come se fosse un ladro di cuori.
Anche se lui cercava di mostrarli.
Volevo stargli vicino, volevo conoscerlo e scoprire chi era lui, volevo sapere cosa nascondeva e volevo aiutarlo ad uscire fuori dal vortice che lo stava risucchiando.
Forse per una mancanza mia, forse lo volevo aiutare perché non ho avuto abbastanza tempo per aiutare mio fratello
Lo vedi avvicinarsi di scatto a me, ma non mi spostai, anzi gli circondai il collo raccogliendolo tra le mie braccia, in un forte abbraccio.
Una rosa bianca che sta perdendo i suoi petali.
Sentii la mia spalla bagnarsi, stava piangendo.
Lo strinsi più forte e la tristezza del momento non lasciava scampo nemmeno a me, facendomi lacrimare un pochino, stupida compassione.
Una volta che entrambi ci ripresimo da un momento di caduta, ci stacammo e ci guardammo negli occhi.
È stato da quello sguardo che è nato tutto. Penso che sia stato proprio quello il momento che entrambi capimmo di aver trovato una colonna portante sia per l'uno che per l'altra, che ci saremmo sempre stati.
Però anche un qualcosa che a me faceva stare male.
Perchè lo sguardo di una persona abbandonata, non lo si può riconoscere se non lo si è prima stati.
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