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10 - Toc Toc, c'è qualcuno? ✔

Capitolo 10

Destiny's pov

I minuti passavano mentre i miei piedi calpestavano le mille foglie cadute da quegl'alberi in prossimità dell'autunno.

Stavo ancora camminando e non sapevo quanti chilometri io avessi fatto.
Mi sentii la terra e anche dei sassolini nelle scarpe, sicuramente avevo sporcato i calzini di terra e sudiciume così mi sarei dovuta sorbire una madre in crisi per una lavatrice, l'avrei fatta io alla fine.

Chi lo sapeva che andando avanti, camminando ancora per un po' , trovavo forme di civiltà?
Magari una di quelle civiltà antiche che vivevano lì da anni e si cibavano solo di pesci presi dal fiume vicino e di carne di cervo o cinghiale.
Avrebbero avuto le case di legno o altre di paglia, per i più poveri.
Sarebbero vissuti di baratti, come gli antichi popoli.
Gli alberi sarebbero stati la loro casa, e gli animali la loro famiglia, o anche la loro salvezza.

Stavo camminando da un tempo imprecisato fino a quando non mi ritrovai di nuovo quella striscia di gesso rosso trovata all'inizio di questo sentiero che però poi si perse nel fango, ma stavolta non si trovava sul terreno, ma sulle cortecce degli alberi.
Seguii quella linea distorta fino a quando non si interruppe.

E adesso dove si va?

Osservai il posto e vidi un fiume poco distante dal punto dove mi ero fermata, così lo raggiunsi.
Sull'altra sponda intravisi un qualcosa di rossiccio, un po' più in lontananza, che aveva attirato inconsapevolmente la mia attenzione.

Mentre attraversavo il fiume, saltando su delle pietre nere ricoperte da verde muschio altamente scivoloso, mi resi conto che era passato davvero tanto tempo da quando avevo cominciato questa "avventura" nel bosco.

Una volta finito di saltellare come un canguro su dei massi vischiosi, controllai l'ora.
Erano esattamente le 18:37 e tra meno, molto meno, di un ora, avrebbe fatto buio.

Mentre mi misi a riflettere su cosa sarebbe stato più giusto fare tra esplorare la natura e tornarmene a casa, mi guardai intorno e vidi una... casetta di legno.
Che ci fa una casa in mezzo al bosco?
Civiltà? Sto arrivando.

Era un po' messa male dall'esterno.
La casa era di legno grezzo verniciato di rosso, con dei dettagli alcuni neri e altri bianchi.
Si vedeva che il legno proveniva da alberi del bosco, i chiodi non erano più lucidi, ma ormai arrugginiti, chissà quanto quel ferro era stato rovinato dagli agenti atmosferici.
Pensai che quella casetta non fosse stata costruita il giorno prima, pensai che fosse lì da parecchio tempo.

Ecco cos'era quella specie di chiazza rossa in mezzo agli alberi!

Mi avvicinai e guardai attentamente, da ogni angolo possibile, questa casetta.
Arrivai dietro e scorsi un ripostiglio simile ad un garage, però aperto.
E c'era parcheggiata una moto.
Addio forme di vita cresciute in mezzo al bosco...

La moto era una Harley-Davidson V-Rod Muscle, una moto sportiva e particolarmente bella, ma soprattutto costosa.
Era nera e per la maggior parte lucida ma in alcuni punti opaca.

Me ne intendo di moto, ne sono sempre stata affascinata e le Harley sono la mia nota dolente, anche se so che ne esistono di migliori, a me piace quel modello ed è assolutamente perfetta.

La prima domanda che mi sorse spontanea chiedermi in una situazione simile era: che ci faceva una moto così costosa e ambiziosa in mezzo al nulla?

In quel momento mi sentii tanto cappuccetto rosso, tranne che non stavo portando dolci alla nonna e non avevo un cappuccio rosso.
Era la mia fiaba preferita da piccola, e tutt'ora non smette di piacermi.

La prima volta che qualcuno mi raccontò la storia fu la mia amata nonna Clara, che purtroppo morì poco dopo che io compii i cinque anni.

Amava dare felicità agli altri e in poche parole era una persona semplice, disposta a donare la propria felicità per gli altri.

Ciò che mi aveva trasmesso era stato un legame indissolubile.
Come una corda che si consuma, ma che in questo caso non si spezza, mai.
C'è stata più dei miei genitori che hanno avuto la possibilità di diciassette anni per prendersi cura di loro figlia, ma il tempo non si ferma per nessuno e non di certo per loro.
Hanno sprecato il loro, e ormai la partita sta andando al termine con loro perdenti controllo le responsabilità di una famiglia ormai frantumata e irriparabile.

Ebbi un attimo di euforia il cui primo pensiero fu quello di sfondare la porta ed entrare. Poi però la mia parte razionale si fece sentire, ma in quel preciso momento, così curiosa e così stanca, del resto ero stata in giro tutto il giorno senza mangiare, ignorai tutto e utilizzai le maniere forti.

Iniziai a tirare calci, pugni e spallate, nel fallimentare tentativo di aprire quella dannata porta, per ritrovarmi davanti chissà cosa alla fine.
Ero così determinata ad entrare che tolsi proprio dalla mente il fattore del dolore.

Avevo dolorante tutto il corpo però non riuscendo a ottenere alcun risultato nell'aprire la porta la presi come una sfida, e lì mi iniziai a ingegnare per trovare un metodo meno distruttivo, più che altro per me che per la porta visto che avevo dolore sia alle spalle, le caviglie e il resto insomma.

Mi aggrappai ad un ramoscello che resisteva più di una trave e mi ci arrampicai come uno scimpanzè.
Iniziai a dondolare e arrivai con una discreta velocità alla porta così da poterla sfondare con i calci.

Passarono minuti su minuti e dalla porta nemmeno un crack.
Visto che non ero allenata non potevo pretendere che i muscoli delle braccia reggessero il mio peso per troppo tempo così mi fiondai sulla porta per un ultima mossa e finii a terra sbattendo il sedere sullo zerbino rossiccio e sporco che si spostò di poco dal rialzo su cui si trovava.

Cercai di alzarmi, ma visto che ero tutta indolenzita e avendo sforzato anche le gambe, mi abbandonai a terra. Stavo giá trapelando di sconfitta quando dopo che mi rialzati mi ritrovai a cadere di nuovo a terra inciampando sullo zerbino che volò da qualche parte lontano della casa e rivelò l'arma di cui avevo bisogno.
Una chiave.

Non curante di nient'altro, gattonai velocemente fino alla chiave e la infilai nella toppa, in cui girò perfettamente.

Entrai e un odore di muffa e chiuso si insinuò nei miei polmoni finendo dopo qualche minuto in circolo nel sangue.

Non sapevo perché avevo spre auto tutta quella energia per una stupida casetta. Cosa mi aspettavo di trovarci, dei pellerossa che sfreccia ano tra gli alberi con delle Harley?

Gironzolavo per quella casa tanto vecchia, quanto interessante.
A prima vista; dei mobili antichi, uno specchio antiquato e un divano ormai andato, sembravano oggetti normalissimi, che dovevo aspettarmi, infatti? Tutta quella fatica per ritrovarmi una normalissima casa in stile vetusto, per lo più anche piena di polvere.
Però, un velo di mistero mi si posò sopra gli occhi, intento a non andarsene finché non avessi scoperto qualcosa in più su quel posto.

Ma cosa?
Non sarebbe familiare sicuramente, la polvere, che ormai era diventata onnipresente da quando ero entrata dentro questa casetta.
E non sarebbe stato nemmeno il cattivo odore che infestava varie zone delle stanze, che sembrava puzza di decomposizione, ma meglio non metter sciagura.
C'era qualcosa che mi tornava noto, ma non sapevo proprio cosa.

Appena entrati dalla porta indistruttibile si poteva notare subito un salone di grandezze medie con un caminetto e i soliti mobili che si trovano nei saloni; ovvero il divano, un tavolino di legno davanti e diversi quadri a riempire il muro bianco.
In fondo un piano cottura dove si mangiava e un tavolo di legno nero.
A destra vi erano delle scale che portano molto probabilmente alle varie camere superiori, tutte quante rigorosamente chiuse a chiave dall'esterno.
Chissà perchè...

Percepii una sensazione di chiuso quindi mi trascinai esaurita davanti alla tenda e la spostai con un movimento rapido e spalancai la finestra.

Da lì il paesaggio intorno a me era ancora più spettacolare.
C'erano tutti gli alberi che, in confronto al verde acceso di prima, si eran tinti di un color pece che non lasciava intravedere niente più che l'oscurità.
Alzai lo sguardo verso l'alto e mi immersi nello spazio.
Così tante stelle che mi persi solo al pensiero di sapere quante n'erano.

Avevo sempre amato le stelle e studiarle, fin da piccola.
Il mio mondo era composto da disegni, astri e libri, rigorosamente d'azione o fantasy.

Alle elementari portavo un quaderno con tutti i miei disegni e gli appunti sull'altronomia, mi sentivo così fiera di quel quaderno apparentemente inutile per una bambina che non sapeva ancora ne leggere ne scrivere, ma lo tenevo sempre tra le mani.
Andando avanti col tempo capii che non andavo molto bene a scuola, non perché fossi una capra e non riuscissi a comprendere le cose scritte solo nessuno mi aveva mai detto che per ottenere un risultato dovevo lavorarci su.
Non ero quella che eccelleva in tutte le materie, ne quella che non studiava per niente, insomma facevo il minimo indispensabile a sforzo zero.

Ero quella anormale solo perché mi ero appassionata ad una materia che non avrei mai potuto studiare prima dell'Università o nel liceo.
Ero diversa perché non mi esprimevo a parole ma tramite la mia arte, facevo capire il mio stato d'animo, anche se le persone intorno a me non capivano. E tante volte mi son chiesta: "ma sono io quella sbagliata, o sono loro che sono strani?"

E in quel momento ero arrivata alla conclusione che se una cosa mi piaceva, la facevo , senza starmi a preoccupare del giudizio della gente, tanto se a loro non importava niente di me, a me non mi sarebbe passata mai per la mente nemmeno l'idea di sapere se fossero maschi o femmine.

Mi risvegliai dal mio stato di semi trans quando il mio orologio iniziò a fare una suoneria non richiesta in quel momento. Lasciai che i miei pensieri si incatenassero di nuovo per non cercare di scappare e uscir fuori creando solo disastri.
Intanto controllai l'ora 22: 21 stupendomi dell'orario esagerato.
Ero stata lì per troppo tempo, dovevo tornare indietro e anche velocemente.

Ma quel posto mi attirava talmente tanto, forse solo per la mia debolezza per il vintage, ma era sicuro, quella non fu l'ultima volta che ci andai.

***

"Buonanotte sorellona"
Sorrisi a quel nomigliolo, mi era sempre piaciuto il fatto che io fossi la sorella più grande, quella che di solito difende la sorella più piccola e che è vista da essa come un'eroina, la figura da seguire.

"Buonanotte peste"
Dissi al telefono. I miei genitori le hanno detto di mantenere il silenzio su dove fosse perfino con me, assurdo.

Mi diressi nella mia camera e pensai a tutto ciò che caratterizzò quella giornata rendendola meglio delle altre.

E mentre i miei pensieri si liberavano dei loro collari e iniziavano a vagare nella mia mente come randagi, mi addormentai con un silenzio assordante che intanto rimbombava indisturbato nella mia stanza.

N/A

Ragazzi è il secondo angolo autrice che faccio
*applausi*

Questo capitolo è particolarmente importante perciò attenti.

Se questa mia storia ti sta piacendo, che ne dici di commentare con una tua opinione?
Votate e commentate. ⭐

Se mi volete seguire anche su i social vi arrangiate visto che li ho dovuti disinstallare e quindi mi seguite solo qui.

Sto progettando altre storie che potrei fare e se volete, ditemi che genere vorreste leggere di più.
Sul mio profilo trovate le altre mie cose, andateci a dare un occhiata.
Per oggi è tutto e buonanotte:

Kiss kiss

Scherzavo il mio Instagram è: heart.cry_

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