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4.DOVREMMO SOLO CAPIRE CHE LA PIOGGIA QUALCHE VOLTA LASCIA POSTO AL SOLE

Parto il giorno dopo con una sola valigia.

Porto con me lo stretto necessario.

Non ho intenzione di fermarmi a Woodstock per più di qualche giorno.

Inoltre, manca solo un mese a San Valentino e non voglio lasciare Roy da solo durante il lancio della nuova campagna pubblicitaria dedicata all'app che il team ha progettato.

Il mio lavoro mi piace. Programmare app per lo shopping online non è per niente male. Dietro a ogni applicazione c'è tantissimo lavoro di squadra, per non parlare della fase promozionale! Le nostre campagne pubblicitarie inondano ogni angolo del web.

Mi dispiace essere andata via ora, ma restare con il pensiero che qualcuno voglia acquistare la nostra casa, non mi fa concentrare a pieno sull'azienda.

Il viaggio da Chicago a Woodstock dura quasi due ore, ovvero il tempo necessario per pensare a quanto sia grande la cazzata che sto facendo. Insomma, sto andando nel luogo in cui, un giorno, avrei costruito la mia famiglia con Liam, che diavolo ho per la testa? Non sono in grado di affrontare tutto questo.

Quando sto per entrare nel panico, l'altoparlante annuncia che mancano solo cinque minuti all'arrivo del treno alla stazione di Woodstock. Di male in peggio perché inizio ad avere le gambe molli e non trovo la forza per rialzarmi quando il treno si ferma.

Le persone iniziano a scendere mentre io le osservo restandomene al mio posto.

«Maledizione Grace, torna a vivere!» la voce di mia nonna risuona nelle mie orecchie, come se lei fosse qui con me in questo momento e mi stia sgridando. Impaurita e anche incoraggiata dalle sue parole, scatto in piedi. Afferro la valigia e scendo dal treno.

Mi gira la testa. Come se avessi appena fatto un giro sulle montagne russe.

Mi osservo in giro. Quanti ricordi ho in questo posto...

Liam e io avevamo deciso di allontanarci da Chicago dopo il matrimonio. Entrambi non volevamo abitare in una città così grande e dispersiva e di conseguenza, Woodstock c'era sembrato il posto giusto per iniziare la nostra vita insieme.

Lui avrebbe continuato a fare il vigile del fuoco chiedendo il trasferimento alla caserma di Woodstock, mentre io avrei potuto continuare a lavorare per Roy  in smart working.

Porto entrambe le mani sul volto.

«Cosa sto facendo?» chiedo a me stessa.

Non avrei mai dovuto prendere questo maledetto treno!

«Qualcosa non va?» domanda una signora avvicinandosi, era seduta poco distante da me sul treno.

«Scusi, non volevo farla preoccupare, comunque va tutto bene. Grazie per avermelo chiesto» dico imbarazzata, quasi in un sussurro.

La donna dai lunghi capelli bianchi e dagli occhi azzurri mi rivolge un caloroso sorriso. «Forse Woodstock non ti piace?»

«No, tutto il contrario. La trovo magnifica, ma ci sono ricordi legati a questo posto che preferirei non riaffiorassero nella mia mente» ammetto pentendomi subito di aver confessato qualcosa di così personale a un'estranea.

La signora annuisce, in qualche modo sembra capirmi.

«Non potremo mai dimenticare ciò che è stato, nemmeno se lo volessimo, perché, in qualche modo, ci serve per andare avanti. Bisogna ricordare, ma con la consapevolezza di non dover restare ancorati al passato per sempre. Capisci cara ragazza? Arriva un momento che si deve voltare pagina.»

Ha ragione ma io non so come riuscirci.

Ancora una volta mi sento come se fossi salita a fare l'ennesimo giro sulle montagne russe. Sento che sto per intraprendere una salita piuttosto ripida. E spero solo che la discesa che segue non mi metta la stessa angoscia che sto provando in questo momento.

«Mi auguro che vada tutto bene» le dico. Non la conosco, ma in qualche modo la sua presenza mi rassicura.

«Bisogna solo crederci e qualcosa nei tuoi occhi mi dice che sì, prima o poi riuscirai a superare tutto ciò che in questo momento assilla il tuo cuore.»

La donna dall'età di mia nonna, mi sorride. Poi, viene distratta dalla voce di un uomo che la chiama.  Probabilmente suo marito. «È ora di andare, buona permanenza mia cara.» 

«Grazie» le rispondo osservandola mentre lei raggiungere quello che è il suo compagno. Lui le lascia un bacio sulle labbra e prendendole la mano la dirige verso l'uscita.

Prendo un forte respiro.

Venderò l'appartamento e tornerò a Chicago il prima possibile.

Giusto il tempo di sistemare le cose.

Giusto il tempo di liberarmi di ciò che da due anni, ormai, non sembra essere più il posto che avrei tanto voluto chiamare casa.

-

Woodstock è una discreta città dell'Illinois, poco distante da Chicago ma completamente diversa.

È situata nella contea di McHenry di cui è anche il capoluogo. Immersa nel verde, hai la possibilità di respirare aria pulita e visitare posti tranquilli. Silenziosa e piccolissima, era sembrata, a me e a Liam, il posto perfetto per mettere su la nostra famiglia.

Con la valigia in una mano e la tracolla della borsa nell'altra, mi dirigo verso la fermata dei taxi.

Ormai sono rimasta praticamente da sola. Delle persone che erano con me sul treno, non c'è nemmeno più l'ombra. Infreddolita aspetto che arrivi un taxi, ma a quanto pare c'è da attendere parecchio, perché dopo quarantasette minuti, sono ancora qua. Ad aspettare qualcuno che probabilmente non arriverà mai. E che ve lo dico a fare, qui il servizio Uber non è disponibile.

L'idea di farmela a piedi è decisamente fuori portata. Sono stanca fisicamente ed emotivamente e poi la stazione è ubicata praticamente in mezzo al nulla. Così mi sono promessa che se entro due ore non vedo un taxi, compro un biglietto di ritorno per Chicago.

Magari questo è un segno, mi dico. Magari Liam non vuole che affronti la situazione da sola.

Quando ho quasi perso le speranze, stanca morta su quella panchina, un taxi spunta all'orizzonte e io fatico a crederci.

Gli faccio cenno di fermarsi.

L'auto grigia si ferma a qualche metro di distanza da me. Ha una gomma sgonfia, la fiancata sinistra tutta graffiata e uno stop che non accende.

Può andare peggio?, sì, probabilmente sì, ma non ho altra scelta.

«Buon pomeriggio» saluto il tizio che scende per aiutarmi con il bagaglio. Indossa un cappello con visiera nero ed è praticamente impossibile vedere il suo volto. Al contrario, posso osservare il resto del suo corpo. Alto, fisico atletico. Indossa un jeans nero, una t-shirt a maniche corte del medesimo colore del pantalone e delle scarpe da ginnastica bianche. Inevitabile chiedermi come faccia a non sentire freddo.

Prende il bagaglio, lo infila in auto e poi senza dire una parola, torna al posto del conducente.

Sinceramente? Le persone qui erano molto più cordiali due anni fa. Che diamine è successo?

Dovrei tornarmene da dove sono venuta, mi dico mentalmente.

Ignoro quell'atteggiamento arrogante ed entro in auto.

«Le dispiace accendere il riscaldamento? Qui dentro si gela» gli faccio notare ma il tipo osserva l'auto, poi scuote la testa.

«Non funziona» mi informa facendomi sentire per la prima volta la sua voce. Profonda e roca.

«Oh certo, che mi aspettavo da questo rottame?» borbotto sfregando le mani tra loro.

«C'è forse qualche problema?» domanda l'autista  togliendosi il cappello. Lo osservo di profilo e anche se non riesco a vedere tutto il suo viso, noto con mia grande sorpresa avere la mia età o qualche anno di più.

Scuoto la testa.

Il ragazzo dagli occhi verdi e i capelli castani si volta verso di me.

«Allora?» insiste. Sembra che io l'abbia infastidito.

«Allora cosa?» domando con voce acuta. Non sono in vena di fare discussioni con uno sconosciuto. Incrocio le braccia al petto quasi sul punto di guerra. Ho già avuto una settimana di merda, non voglio che questo tizio la rovini ulteriormente.

«Dove devo portarla?» Chiede facendomi sbollire.

«Ah... giusto» sorrido portandomi una mano sulla fronte. Che sbadata che sono!, penso tra me e me.

Rovisto dentro la mia borsa per trovare il foglietto con l'indirizzo e non appena ce l'ho tra le mani, glielo mostro.

L'autista resta a fissarlo per un minuto abbondante. Dopo, annuisce e voltandosi verso la strada mette in moto.

-

Trascorro il viaggio in auto a guardare fuori dal finestrino.

Il tragitto è abbastanza breve e dopo venti minuti, la macchina si ferma davanti alla casa.

Scendo dal taxi. Resto immobile per qualche secondo a osservare le mura che avrebbero dovuto custodire il mio futuro.

Mi manca il respiro quando i miei occhi si posano sulla buca delle lettere con i nostri cognomi sopra.

Il tassista mi aiuta con la valigia. Lo ringrazio, pago la corsa e mi incammino verso la porta d'ingresso.

Dell'erba folta contorna per intero la casa.

Il giardino che avrebbe dovuto curare Liam è in pessimo stato, ma il nido che abbiamo costruito con tanto sacrificio e amore è magnifico. I segni del tempo, non sembrano aver usurato quel rifugio.

Almeno lei è rimasta intatta. La casa che ho davanti è una bellissima villetta a due piani dalle pareti beige e dagli infissi bianchi.

Ciò che ci ha convinti ad acquistarla è la posizione. Si trova in una zona tranquilla piena di ville a schiera, lontano dalla confusione della città.

Salgo alcuni scalini e mi soffermo per qualche secondo sul portico.

Con la valigia in una mano e le chiavi nell'altra, cerco di essere forte, per entrambi.

Infilo la chiave nella serratura e senza perdere altro tempo, entro.

Resto sulla soglia per un po' a guardarmi intorno.

Della polvere si poggia sul mio viso. Tossisco.

Provo ad accendere la luce ma la lampadina sembra fulminata.

Sospiro facendo qualche passo in avanti. Chiudo la porta alle mie spalle.

È rimasto tutto come Liam e io lo abbiamo lasciato.

Mi allontano dall'ingresso e faccio un giro della casa.

I mobili coperti dai teli bianchi rendono tutto ancora più triste.

Mi avvicino al camino, e delle lacrime prepotenti decidono di bagnarmi il viso quando i miei occhi incontrano il suo sguardo.

Prendo fra le mani la nostra foto e soffiandoci sopra, rimuovo lo strato spesso di polvere.

«Eravamo bellissimi» mi lascio sfuggire.

«Tu eri tutto ciò di cui avevo bisogno, ma adesso questa casa non è più la stessa senza di te.»

Poso la foto lì dov'era e avvicinandomi alle finestre, scosto le tende permettendo alla luce di entrare.

Immediatamente i raggi del sole evidenziano la polvere che vola nell'aria.

Decido di togliere le lenzuola da alcuni mobili e tantissimi ricordi invadono la mia mente.

Ricordo quando comprammo il divano, ricordo quanto tempo ci volle per accordarci sul colore. Ma alla fine questo era il più comodo e adatto al nostro stile.

Uno stile moderno ma al tempo stesso anche un po' classico.

Provo ad accendere la luce, ma anche in salotto le lampadine non funzionano.

Salgo al piano di sopra.

Vago su e giù per la casa a cercarne qualcuna nuova, ma niente.

Decido di comprarle su internet.

Così torno all'ingresso e rovisto nelle tasche del giubbotto per trovare il cellulare.

«Ma dov'è finito?» mi chiedo aggredendo anche la borsa. «Grace! Accidenti hai perso il telefono!»

E adesso come faccio?, mi domando cercando di non entrare nel panico.

Ho tutto il mio mondo su quel dispositivo. Per non parlare dei grafici dell'ultima riunione dell'azienda... Come farò?

Esasperata porto entrambe le mani sul volto.

Ma è quando getto la mia disperazione sul divano che qualcuno bussa alla mia porta.

Sobbalzo.

«Chi è?» chiedo d'istinto.

«Vorrei risponderti "io" ma non ci conosciamo quindi... puoi aprirmi e basta?»

Aggrotto la fronte.

Mi guardo in giro alla ricerca di qualcosa con cui difendermi, ma questa casa è quasi del tutto vuota così afferro il vaso in ceramica poggiato sul mobile all'ingresso.

Mi avvicino alla porta e guardo dallo spioncino.

«Che diavolo ci fa lui qui?» sussurro.

«Ho il tuo telefono» dice come se mi avesse sentita.

«Potresti non essere sincero» rispondo scettica. Questo tizio non mi è piaciuto fin dall'inizio.

«In che senso?»

«Nel senso che potresti essere un malintenzionato» sbotto. Non mi fido di nessuno. Ultimamente nemmeno di me stessa, ma questo dettaglio decido di tenerlo per me.

Il ragazzo scuote la testa divertito per poi tirare fuori qualcosa dalla tasca posteriore del suo jeans. È il mio cellulare.

Lo avvicina allo spioncino per mostrarmelo.

«Ti apro ma devi fare un passo indietro» insomma, la prudenza non è mai troppa.

«Devo?»

«Devi, per favore.»

Sospira e io non apro. Non fin quando non farà quello che gli ho chiesto di fare.

«Allora?» domando.

«Okay, okay» risponde alzando le mani al cielo in segno di resa.

Il ragazzo si allontana e io apro leggermente la porta.

Ho il vaso ancora tra le mani.

«L'ho trovato sul sedile posteriore, ti sarà scivolato quando sei scesa dall'auto.»

«Grazie» dico esponendo leggermente fuori la mano per afferrarlo.

Ma lui non si muove.

Mi osserva.

«Non sono un serial killer.»

«Questo lo dici tu» controbatto.

«Be' senti, questo è tuo» finalmente mi dà il cellulare e quando lo fa, nota il vaso. «Sai che quel vaso non farebbe del male a nessuno, vero?»

«Molto divertente. Stavo solo riordinando un po' ma... comunque sia questi non sono affari tuoi quindi, se non ti dispiace...» vado per chiudere la porta ma lui la blocca.

«Ho il vaso, sta fermo!» dico minacciosa a denti stretti.

«Non ho intenzione di fare niente. Voglio solo farti notare che la serratura della porta è da cambiare.»

«Da cambiare?» chiedo osservandola per alcuni secondi ma senza perdere il contatto visivo con il mio non ospite.

«Decisamente. Insomma... come tante altre cose d'altronde.»

«Che vorresti dire?» Alzo un sopracciglio. Mi chiedo dove voglia andare a parare questo tizio.

«I proprietari di questa casa non si vedono da anni, almeno io, non li ho mai visti. So solo che abitano fuori città. Non si sono mai presi cura di questo posto.»

«I proprietari?»

«Già... hanno comprato questo gioiellino per farlo diventare un posto triste. Prima ancora era di una coppia meravigliosa. Poi i figli sono diventati grandi, si sono sposati e loro hanno deciso di seguirli a New York. E non ti nascondo che mi dispiace che questa meravigliosa casa sia andata agli attuali proprietari. Tu sei la prima che vedo da queste parti dopo tantissimo tempo. L'hai presa in affitto da loro, vero? Perché non ho mai visto il cartello vendesi sul vialetto.»

I suoi occhi verdi scorrono lungo tutta la facciata principale della casa.

«Quelle persiane di legno sono tutte scorticate, per non parlare della ringhiera che contorna il portico. Devo ammetterlo, sei stata coraggiosa nel venire qui.»

«Io non ho preso questo posto in affitto, sono la proprietaria» confesso infastidita.

«Oh quindi l'hai acquistata... Be' tanti auguri» dice sarcastico. «Avrai molto da fare».

«Forse non mi sono spiegata bene...» avanzo. «Questa casa è mia, è mia da parecchi anni. Sono io la proprietaria che non se n'è presa cura.»

«Oh...»

«Già, oh» ripeto nervosa. Mi sento infastidita dal suo comportamento. «Ma visto che tu non sai nulla sulla mia vita e del perché io abbia dovuto trascurarla, ti prego di andare via dal mio giardino.»

Quando sto per chiudergli la porta in faccia, lui la blocca nuovamente.

«Jones o Cox?» chiede osservando i cognomi sulla cassetta della posta.

«Sfacciato o impiccione? Oh be' io direi entrambi!»

«Jones,» dice «tu hai la faccia da Jones.»

«E tu hai una gran bella faccia da schiaffi!»

Ride allungando una mano verso di me.

«Io sono Kilian, Kilian Scott.»

E che me ne frega a me?, mi domando.

Guardo la sua mano, poi ancora una volta il suo volto.

Scuoto la testa.

«Ti ringrazio per avermi riportato il cellulare, ma come hai detto tu, questa casa richiede molte cure e io ho troppo da fare per perdermi in chiacchiere con uno sconosciuto.»

Chiudo la porto e furiosa vado in cucina.

Chi diavolo si crede di essere quel tassista?

Sento il motore della sua auto accendersi e andare via. Cerco di riprendere il controllo di me stessa.

Mi siedo.

Guardo in giro e penso.

E anche se mi fatica a metterlo, su una cosa quel tizio ha ragione: questo appartamento ha bisogno di una sistemata. In questo stato non riuscirò mai a venderla.

Sospiro pensando che non è come credevo che fosse.

Pensavo che qui dentro il tempo, in qualche modo, si fosse fermato facendo rimanere tutto intatto, ma la verità è che questa casa è danneggiata quasi quanto me.

Dopo la morte di Liam avrei dovuto badare al nostro posto speciale, e invece, ho solo cercato di dimenticare quanto stavo bene qui, insieme a lui.

Osservo l'orario sul cellulare.

Sono già le tre del pomeriggio e io non ho ancora pranzato.

Ordino qualcosa da mangiare online e anche delle lampadine.

Domani, invece, andrò a comprare una nuova serratura.

Non posso permettermi che un ladro entri in casa nel cuore della notte.

«Non devi avere paura.»

«Ah no?»

«No Grace, non devi.»

«Tu la fai sempre facile, Liam. Ma la verità è che passo le giornate a pregare che tu possa tornare sano e salvo da me.»

«Quindi cosa dovrei fare? Perdere il mio lavoro? Sai che rinuncerei a tutto per te, ma fare il vigile del fuoco è ciò che so fare meglio. Mi fa sentire bene. Il lavoro d'ufficio mi soffocherebbe e questo tu devi capirlo e accettarlo. So che avere un fidanzato che rischia la vita tutti i giorni non è il massimo ma se cambiassi lavoro, probabilmente, non mi ameresti più!»

«Che dici?»

«Dico che non sarei più io, Grace.»

Liam abbassò leggermente lo sguardo.

«Scusami» gli dissi. «Non avrei dovuto chiederti di accettare il posto che ti è stato offerto all'OFI per aiutarli a smaltire i casi arretrati d'incendio. A te piace l'azione» sorrisi amaramente.

«Già... non posso prometterti che andrà sempre bene, ma Grace, io ce la metto tutta, ogni giorno. Ma se tu non vorrai dirmi di sì, io lo capirò.»

«Io cosa?» domandai confusa.

Liam mi sorrise. Non stavamo litigando, in realtà noi non litigavamo mai. E così, lui lo fece, contro ogni mia aspettativa, si inginocchiò.

Eravamo fuori casa dei suoi genitori, quando mi chiese di sposarlo.

Un lunedì d'agosto mentre aspettavamo i nostri amici per andare a fare un giro in barca.

«Tu... tu mi stai forse chiedendo di...»

«No, certo che no, in realtà sto solo facendo esercizio fisico e... Certo Grace! Io ti amo e voglio sposarti!»

Liam prese dalla tasca del suo pantalone un piccolo cofanetto blu, lo aprì e nello stesso istante riportò lo sguardo su di me.

«Avrei voluto chiedertelo domani sera a cena, ma perché aspettare ancora se so che sei tu, quella giusta per me?»

Sconvolta mi portai una mano sulla bocca.

«Liam, io... io non so che dire» sussurrai.

«Hai due possibilità, puoi dirmi di no e andare per la tua strada o dirmi di si e fare in modo che io mi prenda cura di te e ti ami per il resto della mia vita.»

Delle lacrime di commozione mi bagnarono il viso.

Non dissi niente, mi precipitai ad abbracciarlo.

«Sei tu» gli dissi stretta a lui. «Ho paura, sì. Ne ho tantissima, ma sei tu, Liam. Sei sempre stato tu quello che stavo aspettando.»

«Quindi?» domandò in trepida attesa. «Non vorrei metterti fretta ma questa posizione non è molto comoda» rise.

«Ti amo» dissi ridendo.

«Okay, quindi è un sì?»

«Sì accidenti, certo che sì!»

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