Capitolo 3
Xavier stava contemplando il proprio aspetto di fronte lo specchio, abbastanza soddisfatto, ma sopratutto sollevato dal fatto che questa volta non apparisse come Adolf Hitler con quella sua ridicola e bassa statura e quel baffo rettangolare, anormalmente simmetrico. La cosa peggiore dell'avere il suo aspetto era il fatto che tale catastrofe gli era capitato durante l'avvicinamento della caduta di quest'ultimo nella seconda guerra mondiale. Xavier si era ritrovato per un giorno intero a doversi nascondere da occhi indiscreti per paura che il suo capo venisse mozzato al posto della testa nemica. Neberius ovviamente non aveva aiutato per niente ad alleviare quella catastrofica e rischiosa situazione, al contrario se lo era goduto a camminare alla luce del sole a discapito del condannato che mai prima di allora si era sentito più prigioniero dell'anatema lanciatogli da Anastasia. Però vi erano stati momenti anche positivi in questa sua condanna, tipo quella volta in cui aveva i capelli arancio-rossi, una spruzzata di lentiggini sparsi sul viso in una carnagione lattea, con una corpo alto e gracilino, mentre gli occhi come al solito erano rimasti immutati in quel suo oro colato. Il giorno in cui ebbe quell'aspetto, la gente spesso si fermò a chiedergli una foto o un autografo, scambiandolo per uno della famiglia Weasley, appartenente a una storia riguardante la magia. Ma quest'oggi aveva un aspetto più gradevole del normale con quella fluente chioma biondo-grigio, chiaro abbastanza da apparire albino, seguito anche una barba incolta al punto giusto da farlo apparire virile anziché scialbo ed era sia alto che robusto, con i bicipiti muscolosi abbastanza da poter esser notati anche attraverso maglie a maniche lunghe. Aveva la carnagione abbronzata e il tutto metteva in risalto quei suoi occhi che adesso portavano il peso di così tanti anni che sembravano in quel suo oro rifletter sia la vecchiaia che la gioventù, testimoni di tante pene, compagni stabili di vita, una monotonia e una sicurezza che lo aveva aiutato a mantenere la propria sanità mentale. Erano passati così tanti anni che quasi non era più memore del suo aspetto originale, divenuto ormai soltanto un immagine sfocata nella sua mente tra tanti ricordi sul punto di dissolversi nel vuoto. Con tutte le cose che sono cambiate, l'evoluzione che è avvenuto nel corso dei vari secoli, Xavier non riusciva più nemmeno a definire se il suo aspetto di un tempo potesse esser ancora quest'oggi considerato bello o anche solo accettabile o se la sua vita di un tempo fosse stato veramente vita. Egli aveva perso se stesso, divenendo a quel punto soltanto l'ombra di se stesso, non sapendo nemmeno più se avrebbe veramente trovato liberazione nello spezzare quella sua condanna. Non riusciva nemmeno più a creder che si fosse ancora vita oltre a quella che aveva attualmente. Era tutto semplicemente così vuoto, così vacuo, egli stesso non sapeva più in cosa credere e pian piano stava perdendo ogni speranza di ritrovo e allo stesso tempo pezzo per pezzo la sua anima stava morendo. Non mancava molto tempo prima che divenisse un cadavere vivente. Un verso di lamento attirò l'attenzione di Xavier che smise di osservarsi e si rivolse in direzione di quel cacofonico suono.
"Che delusione! Oggi non sei un brutto anatroccolo." Esclamò Neberius con un tale tono di tragedia che portò il suo interlocutore a voltare gli occhi verso il soffitto.
"Potresti non render così evidente la tua goduria verso le mie catastrofi?" Chiese il condannato e il demone fece il gesto di starci pensando un po' su riguardo la decisione da prendere.
"No." Rispose alla fine semplicemente, portando Xavier a sbuffare.
***
Xavier e Neberius stavano come al solito camminando alla cieca sotto la guida dell'istinto del condannato con la speranza di poter rintracciare la sua amata. Era esattamente come cercare un ago in un pagliaio. Tutta questa ricerca stava anche divenendo estenuante. Sarebbe stato davvero un vero e proprio spreco quel suo bell'aspetto di quest'oggi se non avesse trovato Anastasia. Nonostante l'epoca in cui stava adesso vivendo avrebbe dovuto render più semplice il rintracciamento della donna tramite i cosiddetti social, tali ricerche non davano mai dei veri e propri frutti, poiché era difficile esser certi se il profilo di una persona fosse vero o meno, se quest'ultima avesse messo delle lenti a contatto o no, se avesse utilizzato certi programmi per modificare il proprio aspetto o meno. Più gli anni passavano, più Xavier notava come il vero e il falso si stessero sempre più pian piano amalgamando tra di loro, rendendo difficile la distinzione dall'uno all'altro. Se da un lato il progresso andava avanti in modo esponenziale, dall'altro si perdeva sempre di più l'originale persona di se stessi. Xavier avrebbe dato di tutto pur di poter ritornare nel proprio corpo originale, era frustante non saper mai che aspetto si sarebbe ritrovato di fronte il proprio riflesso a ogni risveglio. C'era stato una volta in cui quest'ultimo aveva tentato di rimaner sveglio tutta la notte, credendo che magari ci fosse un collegamento tra il suo mutare e il suo risveglio, ma ciò non aveva dato alcun risultato. Quando il sole sorse, egli vide il riflesso dell'ennesimo sconosciuto con la sua mente e con il suo cuore. La sua non era solo una maledizione che colpiva il suo aspetto, esso era infatti anche una condanna a un'eterna vita da nomade in completa solitudine se non per il suo demone custode, il quale non era esattamente di una compagnia gradevole. Una persona che mutava sempre aspetto, non poteva costruirsi famiglia, tanto meno stringere delle amicizie. Mentre tali mesti pensieri gironzolavano nella testa del condannato la cacofonia di un'ambulanza passante catturò la sua attenzione. D'istinto si voltò per incrociare lo sguardo del custode che sorrise sardonico. L'uomo sapeva esattamente a cosa quest'ultimo stesse pensando. C'era stato una volta in cui il demone disse che la persona in un'ambulanza, passante esattamente come questa, era Anastasia. Xavier ci aveva creduto senza alcuna ombra di dubbio e aveva corso miglia, inciampando anche varie volte in quel corpo maldestro della giornata. Quando finalmente raggiunse l'ambulanza e i medici scesero con la paziente, il maledetto aveva realizzato che non si trattava della sua amata. Il custode lo aveva preso in giro per suo personale divertimento.
"Non vuoi correre dietro l'ambulanza questa volta?" Stuzzicò Neberius, mentre il rumore delle sirene dell'autoveicolo in questione si stavano pian piano dileguando in lontananza.
"Ha-ha. Molto divertente, quante volte credi che possa mai cadere nelle tue burla?" Affermò con serietà Xavier, che stava per girare strada in direzione opposta a dove l'ambulanza era appena passata, quando il suo istinto gli fece suonare una campanella invisibile nel retro della mente. Non era il momento, disse mentalmente al suo istinto. Non poteva esser adesso tra tutte le occasioni. Non aveva intenzione di rendersi ridicolo anche quest'oggi e di ripetere la medesima falla di un tempo. Eppure sarebbe stato davvero un spreco non usare quel suo aspetto di oggi. Se c'era anche solo la minima possibilità di trovarla. Oltre ciò che l'istinto gli stava dicendo in quel momento, Xavier non aveva molte altre vie da seguire, erano sempre vicoli ciechi per lui. Si morse il labbro, fece un grande sospiro e si rassegnò ancora una volta al suo atroce fato. Sperando per il meglio, ma sopratutto pregando mentalmente che il corpo di quest'oggi appartenesse a un buon atleta. Dopo non molto il condannato si mise in corsa in direzione del smorzato suono delle sirene dell'ambulanza. Avrebbe preso i mezzi di trasporti pubblici se avesse saputo verso dove essi lo avrebbero diretto e poi c'era un rischio troppo alto che lo deviassero via dall'ambulanza. Avrebbe chiamato un taxi se non rischiasse di perdere l'ultimo flebile suono prodotto dall'ambulanza. Dall'altro canto invece Neberius avrebbe preso un taxi come spesso faceva e avrebbe seguito e superato il condannato, per poi attenderlo nel posto di destinazione che Xavier aveva in mente. Il demone era sempre a conoscenza del luogo anche se il maledetto non lo diceva. Ovviamente nemmeno per sbaglio il custode gli avrebbe offerto un passaggio, quest'ultimo ci godeva troppo a torturare il pover'uomo.
Quando un sudante Xavier tutto affannato e stanco giunse finalmente nell'ospedale dove l'ambulanza si era fermata, quest'ultimo credette che a quel punto le sue gambe avrebbero ceduto per la corsa che aveva fatto. Egli non ci mise molto prima di incrociare lo sguardo del suo custode, il quale come suo solito stava sorridendo divertito delle sue disgrazie, mentre era a braccia incrociate poggiato contro un palo della luce ora spento, essendo pieno giorno. Il demone non aveva nemmeno un capello fuori posto, non una singola piaga in quel suo scuro smoking, neanche mostrava alcun velo di stanchezza trasfigurare quel suo suo sardonico sorriso. Sicuramente aveva preso un taxi. Quando Neberius notò l'arrivo del condannato, egli fece il gesto di osservare un orologio invisibile al suo polso nudo, come a dirgli che ci aveva messo un'eternità ad arrivare. Xavier lo ignorò e andò avanti senza dare troppo peso al suo custode.
Quando entrò in ospedale, l'uomo credette che la parte più difficile di tutta quell'operazione sarebbe stata quella di non perder le tracce dell'ambulanza, perché una volta che ne avesse perso segno, era finita. Neberius nemmeno morto gli avrebbe mai dato alcun indizio. Ma egli aveva fatto male i suoi calcoli, non aveva pensato a quanto sarebbe stato difficile cercare di spiegare il perché egli volesse incontrare questa donna che era stata appena involta in un incidente, per la quale egli era un puro sconosciuto. Xavier sarebbe stato fortunato se fosse riuscito a uscire dall'ospedale senza che qualche infermiere pensasse di chiamare la polizia, prendendolo per un maniaco. Ma poi una buona manna dal cielo lo colpì finalmente dopo chissà quanti secoli. Non riusciva nemmeno a spiegare la gratitudine che provava nei confronti della persona che lo aveva aiutato a uscire da quell'intricata situazione.
"Infermiera, metto io una buona parola per quest'uomo." Disse una donna uscita dal nulla, silenziando la crescente discussione che si stava formando tra il condannato e i vari paramedici che si stavano unendo a quella situazione come se già non fosse abbastanza terribile. "Mi prendo la pura responsabilità se qualcosa dovesse succedere ad Anastasia." Concluse con serietà la donna. Chissà perché lo aveva fatto. Forse perché Xavier gli faceva così pena che aveva provato pietà nei confronti di questo pover'uomo. Il condannato non avrebbe mai saputo la ragione per cui ella fece tale gesto di bontà nei suoi confronti, non avrebbe avuto il coraggio di chiederle ciò e mai avrebbe saputo chi era quest'ultima. Tanto domani avrebbe avuto un altro aspetto e il tutto sarebbe ripartito da zero. Ringraziando di cuore la donna, Xavier si mise in corsa verso la stanza che gli venne indicato dal riluttante infermiere che era ancora sospettoso di quest'ultimo.
Quando giunse di fronte la camera di suo interesse, egli rimase esitante per vari minuti di fronte la porta con il cuore che batteva all'impazzata contro il suo torace, facendo fluire il sangue velocemente attraverso le vene e riscaldando il suo corpo sempre un po' di più, portandolo anche a sentire le sue mani un po' sudaticce. Non aveva idea di come avrebbe reagito se non si trattava veramente della sua Anastasia e aveva pertanto timore di varcare la soglia di quella porta, con la paura di rimaner deluso per l'ennesima volta. Era davvero al limite della sua frustrazione per questa sua situazione così tergiversante. Prese un grande respiro prima di entrare nella stanza, pregando mentalmente che la sua buona stella di poco fa non si fosse già eclissata nel nulla.
Non sapeva esattamente cosa aspettarsi quando era entrato nella camera, ma ciò che adesso si ritrovava di fronte non era esattamente ciò che aveva in mente. Egli rimase immoto per vari secondi senza saper cosa fare. C'era la figura di una donna distesa in un bianco, asettico letto, coperta fino al torace da coperte altrettanto candide, aveva la chioma bionda che attorniava il suo capo come un aureola, facendola quasi apparire eterea in tutto quel suo chiarore. Ma ciò da cui egli non riusciva a distogliere la sua vista erano gli occhi bendati da una garza bianca, insanguinata in parte lì dove dovevano esserci le sue iridi plumbee. Ciò lo fece sentir un po' spaesato, confuso riguardo cosa fare. Xavier si era sempre basato sulle iridi plumbee di Anastasia per riconoscerla, ma adesso era disorientato, come poteva saper se era veramente lei? Valeva davvero la pena di provarci? O era soltanto una perdita di tempo? Neberius ovviamente non gli avrebbe dato una mano a prender una decisione, al massimo lo avrebbe reso ancor più difficile. Poi c'era anche da tener a mente che dopo un incidente che avesse involto gli occhi, essi potevano anche subire un cambiamento di colore. Ciò avrebbe reso ancor più difficile riconoscerla come la sua Anastasia o meno. Non sapeva se attendere o meno per la sua prossima reincarnazione. Era una vera e propria scommessa. Ma da un'altra prospettiva questa era un occasione d'oro, perché per la prima volta dopo secoli avrebbe avuto più di un giorno per cercare di rompere la sua maledizione, perché ella non lo avrebbe potuto vedere, pertanto non avrebbe notato il suo continuo mutare dell'aspetto.
"C'è qualcuno? Percepisco la presenza di qualcuno." Chiese la donna sdraiata a letto, portando Xavier a trattenere il respiro. Adesso cosa si faceva? Scappare o rimanere? "È tutto così buio." Sospirò Anastasia con tono mesto. L'uomo schiarì la propria voce per confermare del tutto la sua presenza. "Dottore siete voi? Ditemi per quanto ancora sarò costretta a brancolare nel buio dei miei pensieri? Riuscirò più a vedere ancora la luce del sole?" Chiese a raffica la donna con quel suo tono desolato che ti faceva stringer il cuore. Prima di immettersi a parlare, il condannato rimodellò le sue frasi come meglio poteva per farli apparire normali e moderni, poiché c'era stato una volta in cui avendo parlato nel suo usuale modo della sua epoca, l'Anastasia di quella generazione gli disse: "Parli in modo più arcaico di mio nonno. Cosa vuoi vecchietto?"
"Non sono il dottore, sono un visitatore e se ti aggrada, sarò lieto di farti compagnia se me lo permetti." Propose Xavier, maledicendosi mentalmente. Ci mancava solo un'inchino e il tutto sarebbe apparso come una proposta fatta nel secolo scorso. L'unica consolazione era il fatto che non avesse usato il voi. Ecco tra poco sarebbe stato cacciato via in malo modo. Aveva nuovamente rovinato le cose. Sarebbe stato considerato ancora una volta un fenomeno da baraccone. Xavier si era già voltato in direzione della porta, pronto ad esser scacciato via, ma una risata improvvisa fece arrestare il suo passo. Si voltò nuovamente in direzione della donna la quale adesso stava ridendo di gusto e ciò portò un cipiglio di confusione a formarsi sul viso del maledetto.
"Non serve esser così formale nei miei confronti. Mi farebbe davvero piacere un po' di compagnia in questa mia cecità. Ciò mi aiuterebbe a tener la mente distratta e occupata. Siediti, ti indicherei una sedia se potessi veder." Invitò la donna che appariva esser un po' meno addolorata e un po' più rallegrata. Ciò fece allietare l'uomo che sentì che una parte della sua rigida tensione si fosse alleviato. Si sedette come istruito da quest'ultima e rimase per un po' in silenzio non sapendo che approccio prendere o cosa dire. Continuava a temere di rovinare il tutto. "Perché rimani in silenzio? Parlami un po' di te." Incentivò Anastasia ancora distesa sul letto con il volto rivolto verso il soffitto. Una semplice richiesta come questa, aveva appena messo Xavier in seria difficoltà. Cosa avrebbe dovuto dire di se stesso? Non poteva certo dirgli che era un immortale condannato a mutar aspetto ogni giorno. Poi egli non aveva esattamente amici, Neberius era soltanto il suo custode, più una spina nel fianco che un vero e proprio amico. Non aveva esattamente familiari viventi che lo avrebbero accolto come se lo conoscessero. "Ehilà! Ci sei ancora?" Nessuna risposta. "Te ne sei già andato via." Disse con tono malinconico, spostandosi in un suo fianco e stringendosi a se stessa in un bozzolo con quelle sue candide coperte. Ciò la faceva apparire ancor più fragile, più minuta e più delicata. Nonostante non la conoscesse nel vero senso della parola, il condannato sentì il proprio cuore stringersi di fronte tale visione. Per qualche strana ragione non riusciva a sopportare l'idea che quest'ultima stesse in pena, se gli fosse possibile vorrebbe poter assorbire tutte le sofferenze di lei, nonostante lui stesso fosse condannato a un'eterna tribolazione.
"Sono ancora qui. Cosa vorresti saper di me esattamente?" Domandò l'uomo, portando Anastasia a uscire da quel suo bozzolo, portando in lei una sorta di piccolo lume di allegria. Ella cercò di posizionarsi in direzione della fonte di voce che aveva udito. "Sono qui." Cercò di aiutarla lui, ma lei si stava orientando verso la direzione errata. Egli ripetè la frase più volte, ma non sembrava ci fosse verso di indirizzare la donna correttamente. A quel punto, egli si alzò e poggiò le sue mani sulle spalle di lei, cosa che la fece irrigidire immediatamente, aiutandola però a girarsi nella posizione corretta. Allo stesso tempo l'uomo si maledì per aver messo in tensione Anastasia. Quest'ultima ringraziò timidamente e dopo non molto i due iniziarono una mite conversazione che durò per ore. Tra una frase e l'altra Xavier riuscì a strapparle un sorriso e ogni volta che ciò succedeva, egli sentiva che una parte morente dentro di sé si stesse nuovamente ravvivando. Dopo davvero molto tempo, egli si sentì nuovamente pieno e non un guscio vuoto senz'anima e senza più voglia di viver o di morire, in un eterno limbo tra vita e morte. Era quasi come se egli avesse ritrovato una ragione di vita. Ma quell'euforia del momento dovette presto estinguersi nel nulla, quando l'infermiere di prima venne nella stanza per informare Xavier che l'orario delle visite per quella giornata era terminato. Il paramedico non mancò nel lanciargli un'occhiataccia truce, mentre salutava Anastasia e si dirigeva verso l'uscita.
***
La mattina dopo quando Xavier si risvegliò e si mise di fronte lo specchio per osservare il nuovo aspetto della giornata come ogni mattina, un grido gli scappò dalle labbra, fatto che subito attirò l'attenzione di Neberius che corse immediatamente per vedere cosa stesse succedendo, non con preoccupazione, ma con curiosità. Quando il custode giunse di fronte al condannato e lo vide, egli non poté trattenersi dal cadere per terra e scoppiare in una risata a crepapelle. Xavier quest'oggi aveva l'aspetto peggiore che gli fosse mai capitato, egli era un vero e proprio gnomo da giardino. Era così basso che sarebbe potuto esser scambiato per un bambino delle elementari se non fosse stato per quel suo viso così arcigno e sgradevole, con pure segni che apparivano vere e proprie rughe.
"Che ne dici se oggi fai la bella statuina in un giardino? Tale ruolo ti starebbe a pennello." Commentò il demone tra una risata e l'altra, non migliorando per niente l'umore del maledetto. Dannazione! Proprio in questo secolo doveva ritrovarsi con tale aspetto. Era quasi certo che gli infermieri sarebbero stati ancor più ostili di fronte questa sua immagine. Cosa fare adesso? Aveva pure promesso ad Anastasia che quest'oggi sarebbe andato a visitarla. Con quelle sue piccole gambette egli si mise a camminare avanti e indietro per la stanza in cui i due stavano alloggiando per quel periodo. Tale gesto aumentò ancor di più il volume della risata di Neberius. Dopo tante risate e una camminata che aveva portato quel misero corpicino a sentire di già l'affanno, il condannato decise di andare a visitare la donna, con quel suo aspetto che poteva dimostrare di portare certi vantaggi.
Quando giunse in ospedale, si nascose alla vista dei paramedici e tra vari mobili e oggetti che utilizzò per eclissare la sua minuta figura, egli giunse alla sua destinazione senza essersi fatto veder. Come giunse nella stanza di Anastasia, egli annunciò la sua presenza e si arrampicò letteralmente sulla sedia dove si era accomodato il giorno prima. Come da copione i suoi piedi non raggiungevano il terreno nemmeno per sbaglio. Anche quella giornata i due passarono a parlare del più e del meno e come ieri le ore erano volate via senza che nessuno dei due si accorgesse della cosa. A quel punto non gli importava se lei fosse o meno la vera Anastasia, quest'ultimo non si era sentito vivo come adesso da troppo tempo e voleva godersi ogni momento che gli fosse possibile con tale fanciulla. In un certo senso era anche una liberazione dalla tortuosa compagnia di Neberius. In un certo senso parlare normalmente con un umano gli apparse nostalgico. Quando l'uomo notò l'orario, si ingoiò un boccata amara d'aria che lo fece tossire in modo convulsivo. Doveva andarsene al più presto prima che qualche infermiere venisse a controllare quella camera e lo beccasse con il rischio di sbatterlo dietro le sbarre.
"Stai bene? Stai tossendo come un forsennato. È successo qualcosa?" Chiese Anastasia con il volto rivolto verso il vuoto e con un tono leggermente preoccupato tinto di una sorta di ansia.
"No, nulla, mi è solo andato l'aria di traverso. Comunque è giunto per me l'ora di ritirarmi. Si è fatto abbastanza tardi." Annunciò Xavier, mentre stava scendendo giù dalla sedia con quel suo corpo da gnomo da giardino.
"Oh! Di già?" Esclamò con tono di delusione la donna.
"Ritornerò domani." Le promise ed era un impegno che voleva mantenere a tutti i costi. Così com'era era entrato, così anche uscì di soppiatto, cercando di non farsi vedere da nessuno. Tirò un sospiro di sollievo una volta che fu fuori dal raggio dell'ospedale e con le sue gambette ritornò verso la sua abitazione del momento. Se avesse dovuto correre con quel corpo per raggiungere l'ambulanza come aveva fatto ieri, allora poteva anche sognarsi di poter seguire il veicolo fino alla sua destinazione e incontrare la donna.
I giorni passarono tranquilli, con Xavier che mutava aspetto come al solito e cercava la maggior parte delle volte di nascondersi a ogni indiscreti per giungere nella stanza di Anastasia, accompagnato in certe giornate dalle occhiatacce sospettose dei paramedici, quando si presentava come un visitatore. Con il passare del tempo, le giornate calde si stavano più piano raffreddando, colorando di sfumature calde le foglie verdi, destinate presto a lasciare i rami degli alberi. I medici non avevano ancora dato dei segni di progresso riguardo la condizione di cecità di Anastasia e in un certo senso per quanto la cosa potesse apparir deplorevole, sotto sotto il condannato era grato di tale fatto. Poiché nel momento esatto in cui la donna avesse riacquistato la sua vista, per lui sarebbe scoccata la mezzanotte e quell'eterea situazione con lei si sarebbe dissolto nel nulla, lasciando dietro soltanto il dolce-acre ricordo. C'era stato anche una volta in cui sotto la rigida sorveglianza di alcune infermiere, egli con l'ennesimo differente aspetto, aveva accompagnato in una passeggiata la donna, la quale si era tenuta stretta al suo braccio per tutto il tempo. Xavier non avrebbe potuto mai esprimere il senso di gratitudine e gioia che aveva provato per tutta la fiducia che la donna gli aveva dato durante tale camminata. Ma tutto ciò non era destinato a durare e lui lo sapeva bene, ma c'era anche Neberius che glielo ricordava costantemente.
***
In una gelida giornata in pieno inverno, con i fiocchi di neve che stavano biancheggiando le strade con il loro candido manto, così bianco da apparire cecante se uno lo fissava per troppo a lungo, accompagnato da un cielo grigio perlaceo che sembrava promettere una copiosa pioggia in arrivo con magari anche un diluvio. Xavier era in cammino per la sua solita visita ad Anastasia. Quest'oggi egli aveva dei ricci corvini, un corpo slanciato, un viso che appariva appartenere a un vero é proprio gentiluomo con quei suoi delicati tratti senza alcun cenno di barba. Con quell'aspetto oggi non sarebbe potuto passare inosservato in ospedale, avrebbe dovuto registrarsi e affrontare i soliti truci sguardi degli infermieri, pronti ad azzannarlo vivo in caso qualcosa andasse male.
Quando l'uomo giunse nella camera della donna, l'immagine che si ritrovò di fronte gli occhi lo pietrificò sul posto. Sentiva che il sangue nelle vene si fosse ghiacciato improvvisamente, irrigidendo il suo corpo come una tesa corda di violino che si sarebbe spezzato in ogni momento. Era così rigido il suo corpo che quasi faceva male. Il fatto che le sue gambe sembrassero esser divenuti di piombo, non agevolava di certo la situazione. Voleva scappare, fuggire lontano da quella situazione che aveva cercato di ignorare ed evitare in ogni momento da mesi. Eppure non riusciva a costringersi ad andare via, rimase lì impalato di fronte ad Anastasia, mentre il dottore le srotolava pian piano la benda attorno agli occhi che era stata costretta a portare per così a lungo. Quei secondi, apparvero delle lunghe ore, accompagnato dal bombante suono del forte scalpitio del cuore di Xavier.
Quando finalmente la benda non ci fu più, Anastasia sbatte più volte le palpebre per adattarsi alla luce circostante che le era stato rinnegato per così a lungo. Ma quelle iridi, non erano dello stesso perlaceo grigio della passata amata del condannato. Erano più chiari, di un grigio quasi brillante, da apparire d'argento. L'uomo non riusciva a decidersi riguardo cosa pensare di ciò. Non sapeva se quelli erano le iridi originali di lei o se il colore colore fosse mutato dopo l'incidente. Ma tutto ciò aveva più importanza adesso? Era tutto finito. Domani la sua vita sarebbe ritornata alla condanna che gli è stato inferto. Xavier continuò a rimaner immoto mentre il dottore faceva degli ultimi controlli agli occhi della donna e una volta che quest'ultimo ebbe finito, uscì dalla stanza, lasciando i due a fissarsi l'uno nell'altro in un silenzio tombale, formando una specie di bolla tra di loro che nessuno dei due aveva il coraggio di spezzare. L'uomo attese e attese, ma nulla fu proferito dalle rosee labbra di lei, quest'ultima rimase semplicemente immota a fissarlo. A quel punto Xavier decise di fare quello che aveva fatto i giorni precedenti e ciò che probabilmente avrebbe oggi fatto per l'ultima volta. Si sedette nella sedia, pronto a offrirle la sua compagnia e finalmente lei parlò.
"Non era esattamente come ti avevo immaginato." Rivelò Anastasia. L'uomo si portò una mano verso il capo con fare nervoso per grattarselo come segno di agitazione.
"Spero di non aver deluso le tue aspettative. Come mi immaginavi nella tua testa?" Domandò lui, sentendo il peso dello sguardo di lei a ogni secondo che stava passando.
"Per qualche strana ragione, credevo che avresti avuto una chioma ramata liscia. Un viso meno dolce e un po' più severo. Ma le iridi sono esattamente come li avevo disegnati nella mia testa." Dichiarò Anastasia. Nell'udire tale descrizione, portò Xavier a esser nuovamente in tensione. Qualcosa di davvero strano stava succedendo. "Stai bene? Sembri un po' pallido." Constatò lei.
"È il freddo." Si giustificò velocemente l'uomo con un sorriso sbilenco. Intanto fuori aveva iniziato a piovere come da copione.
"Hai un'espressione così mesta. C'è qualcosa che ti turba? Vorrei poterti aiutare. Tu mi hai tenuta compagnia per tutto questo tempo nella mia cecità." Offrí lei con sincerità, ma Xavier scosse semplicemente il capo. Gli si stringeva il cuore all'idea che domani non l'avrebbe più vista, ma sopratutto non riusciva a sopportare l'idea di finire per ferirla con la sua scomparsa, però non aveva altra scelta.
"Non è nulla con cui tu mi possa aiutare." Asserì, mentre fuori la pioggia iniziò ad aumentare velocemente, fino al punto da apparire grandine con il rumore che produceva quando le gocce entravano in contatto con la superficie delle finestre.
"Hai l'espressione di chi sta per dire addio a un qualcosa o qualcuno di prezioso. Dimmi che domani ti rivedrò ancora." Chiese Anastasia quasi come in una supplica. Xavier non riusciva più a guardarla, tutta quella situazione stava divenendo troppo da sopportare. "Xavier!" Lo richiamò lei, quando vide che lui non le stava rispondendo. Era tutto un supplizio. L'uomo si sarebbe fatto colpire da 100 fulmini, pur di non vederla in quello strazio. Come diavolo aveva fatto a trattare la sua prima Anastasia in quel modo orrendo? Che razza di mostro era? Strinse le proprie in due stretti pugni, ancora incapace di proferire alcuna sillaba. A quel punto Anastasia scese dal letto e a piedi nudi si avvicinò a lui, poggiò le sue mani sul viso dell'uomo, lo fece girare in modo tale che i suoi occhi si scontrassero coi propri in un miscuglio tra oro e argento. I loro visi erano così estremamente vicini che Xavier poteva sentire il respiro di lei. Egli non poté fare a meno di trattenere il fiato, perché gli appariva una profanità, contaminare quell'etera figura con la propria essenza. "Promettimi che domani ti rivedrò ancora." Chiese Anastasia con tono serio e sguardo fisso.
"Perdonami." Riuscì semplicemente dire alla fine. "Lasciami almeno fare quest'ultima cosa." Dopodiché Xavier fece scontrare le proprie labbra con quelle di Anastasia e si ritrovò immerso in un bivio da cui non avrebbe mai più voluto uscire, dove il tempo non esisteva più e le sofferenze non erano altro che fantasia. Tutto il suo corpo sembrò rinascere in un colpo, irradiato di sensazioni così forti che egli non poteva fare a meno di sentirsi vivo come non mai. Quando notò che lei non si era scostata, egli ebbe il coraggio di portare le sue mani sui fianchi della donna per poi iniziarla ad accarezzarla con dolcezza quasi come se fosse fatta di porcellana. Mosse le sue labbra in sintonia con quelle della donna, facendosi immergere dalla sensazione di calore che la bocca di lei emanava in lui, accogliendo il fastidioso e piacevole formicolio nel suo basso ventre. La guidò a sedersi sulle proprie gambe e la continuò a baciare, ad amarla e a coccolarla, come la sua prima amata avrebbe dovuto meritar. Questo era l'amore ed era lui che non sapeva nulla di esso. Quando le loro labbra si separarono, egli le lasciò un bacio su ogni guancia e uno sulla fronte. Anastasia lo stava guardando con un semplice e soffice sorriso.
"Finalmente mi hai ritrovata." Qualcosa in Xavier sembrò spezzarsi, come delle catene che lo avevo tenuto legato per un lungo tempo. Il suo corpo aveva improvvisamente iniziato ad irradiarsi di un'innaturale luce, come anche quello di Anastasia. Neberius apparve di fronte all'uomo dal nulla con un sorriso di un'ironica malinconia.
"Finalmente ce l'hai fatta." Gli disse il demone. Il corpo del condannato stava mutando di fronte i propri occhi, riportandolo alle sembianze di un tempo sotto la sorpresa del diretto interessato. Non credeva che questo momento sarebbe mai più giunto. Era stato finalmente liberato dalla sua condanna. Dopo un po' Xavier notò che l'innaturale luce dal suo corpo non stava svanendo e ciò lo iniziò a preoccupare, poi quando notò che le gambe di Anastasia si stavano tramutando in polvere brillante che stava svanendo nel nulla, lo portò ancor di più ad angustiarsi.
"Cosa sta succedendo?" Chiese lui in apprensione.
"Le nostre anime sono state finalmente liberate, adesso potremmo finalmente riposare in pace." Lei lo baciò un'ultima volta, mentre i loro corpi si dissolvevano nel nulla, lasciando dietro di loro soltanto il vuoto e la sensazione di proscioglimento. Finalmente tutto era finito.
"Mi mancherà torturare quell'umano." Affermò Neberius prima di lasciar anch'egli quella stanza.
E fu così che la morte e la pace accolsero le anime di Xavier e Anastasia.
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