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Buon Natale Chubecca. (Viola)

Era trascorso un mese da quella sera al Blue di Lodi; tornando a casa nella fitta nebbia, che era prerogativa degli inverni in quella zona della Val Padana, sommersa da lacrime amare, Viola aveva sbagliato strada più volte, scossa frastornata, incredula.

Magnolia le era stata vicina in silenzio; aveva capito che già troppe parole si erano riversate su Viola per quella notte. Parole, emozioni che non fossero legate a Paolo, per la prima volta.

Nei giorni a seguire Viola non aveva cercato di evitare Caterina, ma la presenza di lei, le evocava il volto di Oliver, in maniera dolorosa; la rabbia di quella sera, il tono glaciale, non aveva urlato lui, ma sibilato con una freddezza inaudita. E non capiva Viola dove avesse sbagliato: se fosse stato il suo cuore a tradirla o una fiducia immeritata.

Viola aveva rinunciato al corso di tedesco che già alla scuola superiore le aveva dato qualche difficoltà, per approdare a spagnolo. E sebbene non lo volesse ammettere: era un ulteriore modo per allontanarsi da Caterina.

Lì aveva conosciuto Riccardo.

Riccardo si era avvicinato a Viola in un giorno di pioggia, offrendole riparo sotto il suo ombrello, mentre dalla sede di Santa Sofia raggiungeva a piedi quella di via Mercalli, passando per Sant'Alessandro: la strada più lunga.
Non le aveva nemmeno rivolto la parola, quella primissima volta: le aveva impedito di fondersi con la pioggia, di poter esternare il suo dolore; perché nei giorni di pioggia, Viola piangeva ancora la morte di Paolo.
Per oltre una settimana non scambiarono una parola; ma Riccardo si muoveva a gesti, cauto.

Al secondo loro incontro, durante la lezione di spagnolo, Riccardo si era alzato, nel bel mezzo di una spiegazione sulle accentazioni e platealmente si era seduto accanto a Viola, invitando la docente, che era rimasta a guardarlo offesa e stupita, con un gesto enfatico della mano e un cenno del capo, a proseguire.

La volta successiva, mentre Riccardo prendeva posto accanto a lei, aveva lasciato cadere, sulla superficie d'arsesia del banco, un sacchetto contenente un cornetto miele e cereali. Come sapesse fosse il preferito di Viola, lei non glielo chiese mai.

Perché Riccardo avesse scelto Viola era un mistero.

Riempiva i vuoti in ateneo che prima erano di Caterina, nonostante Caterina ci fosse ancora, ma costei sbiadiva e quando lui era impegnato faceva in modo di portarla dove stava Martina.

Dopo quasi tre settimane riuscì a convincere Viola ad andare a fare spese.
Era passato a prenderla di buon ora, strappandola alle braccia di Morfeo, cui Viola aveva dedicato poche ore, nemmeno le aveva concesso di vestirsi e Viola era uscita di casa, benché fosse mezzogiorno, con quello che era stato l'arrangiato pigiama: dei leggins logori e la felpa di Oliver.

Riccardo la portò a pranzo e poi in centro, alle Messaggerie Musicali dove Viola dopo un infruttuoso girovagare stette ad ammirare il cd della band di Oliver. Nonostante quanto successo fra loro, era fiera di lui e dei ragazzi della band, cui spesso volgeva un pensiero.
Restò ad ascoltare ogni singola traccia, con quelle cuffie enormi mentre i capelli le ricadevano sul volto, a schermare al pubblico, ignaro, le emozioni che suo malgrado riviveva.

Riccardo aveva preferito lasciarla sola; mentre Viola si perdeva nei ricordi di quel poco che le aveva raccontato di Oliver.
Viola aveva bisogno di esorcizzare il passato: andando avanti, magari perdendosi nelle note di una canzone del ragazzo, ma poi Riccardo l'avrebbe fatta tornare sui sentieri della vita, era questo l'accordo fra loro: tacito e immutato dal primo sguardo.

Riccardo era affascinato da Viola e molto esclusivo; non nel senso che non le permettesse di vedere altre persone, anzi la incoraggiava a emergere, far sbocciare il suo carattere e maturare, ma voleva lei aspirasse al meglio.
Riccardo aveva la convinzione Viola avesse solo bisogno di una spinta per tornare ad amare in primis se stessa, poi la vita e il resto del genere umano.

Un paio di sere a settimana erano dedite al piacere dell'altro: Riccardo le aveva fatto scoprire la cucina giapponese, e lei a lui, i concerti di musica classica.
Lui, l'aveva portata per la prima volta in vita sua al planetario, e, lei, aveva obbligato lui a pattinare sulla pista in piazza del Duomo. Concedendosi al pubblico ludibrio.

Molti vedendoli insieme credevano fra i due vi fosse una relazione, un legame importante, ma Riccardo era impegnato; non come Viola con un ricordo, che stava pian piano svanendo, che questa stava lasciando andare al passato, no, lui aveva nel cuore Simone. E aveva stordito la ragazza per giorni, dopo l'iniziale riserbo, parlando di quel ragazzo che era partito a settembre per un semestre di Erasmus alla volta di Londra. E che non sentiva quanto avrebbe voluto.

Nella persona di Davide Olivi, detto Dado, Viola aveva riscontrato una parvenza di amicizia cui non era abituata.
Settimanalmente questi le inviava un messaggio sfruttando tutta la lunghezza concessa dai caratteri, per chiederle come stava e se ogni tanto si ricordasse di lui, talvolta le raccontava qualche buffo aneddoto. Mai aveva fatto riferimento a Oliver. E in cuor suo Viola ne era grata, e offesa al contempo, non capiva se dietro le attenzioni del giovane ci fosse in realtà il desiderio di sapere qualcosa in più, qualcosa che a Oliver sarebbe servito per allontanarla o ricredersi sulla sua persona. Erano dubbi quelli di Viola inconsistenti perché sapeva, in fondo, quanto Dado potesse essere leale, con entrambi.
Restava vaga nei suoi messaggi di risposta, ma gentile sapendo che lui si intratteneva con Magnolia e avesse deciso di mettere alla prova un rapporto sentimentale che lo avrebbe costretto per svariati anni a restare nell'ombra nella vita di lei.
Dado non le chiese mai di vedersi quel freddo mese di dicembre e Viola non cercò mai la sua presenza per colmare il desiderio di sapere qualcosa di Oliver.

Dado, fece una unica eccezione: le inviò un messaggio diverso dai soliti nella settimana di Natale, sperando di saperla ancora in città, in cui la esortava a presentarsi al Cactus: ci sarebbero stati lui e i ragazzi della band, oltre Caterina e Elisa per scambiarsi gli auguri per quelle feste che li avrebbe sparpagliati fra le varie regioni d'Italia.
Viola glielo scrisse che non credeva di presenziare ma restò vaga; l'amicizia con Caterina le avrebbe imposto di rivedere Oliver, prima o poi.

Fu facile decidere per quella serata: un mattino, in centro Milano, davanti una colazione per lo scambio dei regali, Caterina invitò per quella sera Viola.
E mentre Viola stava cercando cauta le parole per accettare, perché non aveva senso rimandare all'infinito quell'incontro con Oliver, un messaggio aveva stravolto i tratti del viso dell'amica.

Batteva le palpebre Caterina; la gola secca e le parole incastrate in gola, poté solo girare il display del telefonino affinché Viola leggesse la ragione del suo turbamento e capisse.

*Stasera vorrei vederti da solo. Senza gli altri, è importante quello che ho da dirti.* Ollie.

Viola mascherò lo sgomento e spiegò all'amica come il treno delle diciotto di quello stesso giorno, fosse la scelta obbligata per il rientro a casa, su espressa richiesta dei propri cari.
Non era vero.
Viola sarebbe partita il mattino seguente, ma a Caterina non poté dirlo, non confessando tanto, troppo.

Con le imminenti feste l'ateneo pareva svuotato, le lezioni saltavano e pochi fantasmi abitavano gli immensi corridoi. Era piacevole rispetto alla calca, esplorare la sua università; aveva anche assistito a una lezione di etica tenuta da un docente, non facente parte del suo corso ma dalla favella mirabile e riconosciuto nell'olimpo dei dieci migliori oratori d'Italia.
Viola rimandava il pensiero del ritorno a casa.

Sapeva che Caterina sarebbe andata a sciare con la famiglia per le feste natalizie; Martina invece dopo il Natale voleva Viola la raggiungesse per stare insieme a capodanno; Riccardo aveva organizzato un viaggio oltre oceano per raggiungere Simone: fargli una sorpresa sperando questa non fosse sgradita.

Sperava a casa nel mutuo sostegno di Magnolia, pur non volendo affrontare la questione Oliver.

In quel mese, particolarmente freddo, la vita sociale di Viola aveva subito una scossa incalzante. Erano rare le sere casalinghe con Martina: questa cercava ogni evento per fuggire dal loro appartamento, e non perché volesse evitare Viola, questo Viola lo aveva capito.
Era Fungo il problema. Fra i due non c'era più il rapporto iniziale di confronto, risate, battibecchi alla pari. Lui, ora, era spesso cedevole, arrendevole in tutto verso Martina, succube di un sentimento che lo sviliva agli occhi della ragazza.

Martina aveva conosciuto quel ragazzo dai capelli lunghi con il viso da modello che le rispondeva sempre a tono, mai maleducato, ma un pizzico impertinente, la cui voce era sempre ironica.
Avendo fatto fatica ad accettare Fungo, Viola era convinta sarebbe stato così anche con Tato.
Invece no, questi le ispirò da subito simpatia con quel suo fare strafottente e ora vedeva rovesciato il legame.
Fungo era succube di Martina, mentre questa lo stava diventando di Tato, ma non voleva darlo a vedere ed era buffo il lato pubblico della ragazza: quello in cui faceva la sostenuta e a notte fonda ascoltare i sospiri di lei, di ragazza perdutamente innamorata.

Viola si convinse però che questi avrebbero avuto una storia meteora.

Tato aveva fascino e quella luce negli occhi che Viola aveva visto in tanti artisti di strada nei suoi soggiorni esteri. Il ragazzo aveva la frenesia ribollirgli nel sangue, la voglia di viaggiare ed esplorare nuove culture, Viola ne invidiava l'audacia.

~•~

E c'erano poi quei giorni bui: in cui Viola sperava Oliver scegliesse lei, mandasse a quel paese tutto il taciuto con Caterina: anni e anni di amicizia, forse anche perché era ancora inciso nel suo cuore, quell'unico sbaglio di Paolo, confonderla telefonicamemte per Maddalena...
La sua insicurezza prendeva il sopravvento.
E sperava Caterina mostrasse delle crepe, una falsità mai espressa, un secondo fine nella loro amicizia che le avrebbe permesso di strapparle Oliver.
Ma il silenzio da parte di lui era l'unica risposta reale, l'unica cosa che fosse evidente.
Caterina non aveva mai commesso un passo falso nel loro rapporto, era lei che subdolamente vi sperava perché il senso di colpa non bussasse alla porta per quel sentimento che provava a spegnere, ma ostinato resisteva.

Era giunto il giorno del rientro a casa: nessuno sul binario avrebbe fatto dichiarazioni strappalacrime a Viola, quasi ci sperò, invece salì sul treno alla volta di casa.
Passarono uno, due, tre giorni: Natale.
La monotonia caratterizzava e scandiva i suoi giorni al paesello, si lasciava vivere Viola, ormai innamorata solo di quella vita che le calzava a pennello in città.

《Viola andiamo alla messa di mezzanotte; davvero non volete venire?》La voce della madre di Viola era sempre dolce, accompagnata da un sorriso quando si rivolgeva alla figlia, che in quel giorno aveva goduto della presenza della cugina e oziato a letto guardando una maratona di film.
Aveva solo scosso il capo palesando il dissenso anche per Magnolia;
Magnolia che a breve sarebbe andata a casa sua, lasciandola sola.

La chiesa e la religione non le avevano dato il giusto conforto quando ne aveva avuto bisogno, forse perché negli anni non ci aveva creduto abbastanza. O forse perché, perfetta miscredente, non le aveva concesso la possibilità di guarirla.

Chiuse l'uscio alle spalle di Magnolia e tornò al letto che le aveva ospitate per tutto quel freddo giorno. Riassettò per dare una parvenza d'ordine, abitudine che la calmava. Anche se non era turbata quel giorno, solo un vago accenno di malinconia.
Aprì il cassetto del comò in quella stanza matrimoniale che l'aveva accolta e vista crescere.
Posizionò i tre pacchetti al centro del letto, incerta se attendere il mattino o aprirli subito.
Nella zona abitata da Viola non era molto in voga  quella usanza dello scambio di regali a Natale: era prettamente un abitudine milanese e si stupì constatando come poche centinaia di chilometri creassero realtà differenti a contesti di vita similari.

*Buon Natale!
Che fai?*

Viola prese il cellulare e fissò interdetta il messaggio, in realtà il mittente le strappò un sorriso.
Dado.

Restò a digitare sulla tastiera.

*Indecisa se aprire i regali o meno.*

*Sei a casa?*

Viola era stupita: Dado non era mai stato tipo da botta e risposta, le inviava un messaggio settimanalmente ma fu perplessa quella notte. E la solitudine avviò una conversazione scritta tra i due.

*Sotto uno strato di piumini. Tu?*

*Aspetto che finisca la messa per rientrare a casa con i miei. Sono seduto davanti il duomo di Monza.
Ti piacerebbe!*

*Cosa? Stare seduta al freddo e al gelo o ammirare il duomo?*

*Stare qui con me.*

Aveva fissato un attimo il cellulare stranita, non trovando una risposta adeguata. Un dubbio prese forma nella testa ma lo scacciò repentino.

*Tutto bene con Magnolia? Non ti sta facendo impazzire?*

La replica tardando ad arrivare le mise quasi ansia.

*No. È un bel tipino.*

Aveva riposto i regali ai piedi del letto.
E si era messa in posizione fetale il cellulare tra le mani con uno strano presentimento. E grazie a Dado ora poteva andare a letto con un sorriso sulle labbra.

*Buon Natale Chubecca.*

*Buon Natale piccola❤*

Guardò un'ultima volta il cellulare,
prima di sorridere e riporlo sul comodino accanto al letto.
E spense la luce, al buio regalò un sospiro e un sussurro ovattato.

《Buona Natale Oliver! Ovunque tu sia.》 Sperò Oliver non l'avesse rimossa dalla sua mente o dal suo cuore, o se lo avesse fatto gli augurò di trovare una serenità che non le apparteneva ma su cui stava lavorando.

Perché in fondo quando amiamo, almeno un poco, vogliamo solo l'altro sia felice anche senza di noi.

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