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Concerto sotto le stelle(Viola)

Se c'era una cosa che Viola aveva capito quella sera era che Elisa non sapeva guidare e Caterina sembrava estremamente diversa dalla ligia studentessa che era solita frequentare in facoltà. Erano arrivate nell'area dove si sarebbe tenuto il concerto, le aspettative di Viola non erano molto distanti dalla realtà: un campo dimesso sperso nel nulla, dove fuori stagione si ergeva una festa della birra in piena regola con tanto di stand di cibo e bevande.
Erano arrivate da una ventina di minuti e Caterina girava in tondo, come un'invasata, nella speranza di vedere il suo supereroe materializzarsi. Che poi Viola aveva capito fossero amici, quindi tutta questa ansia, a parere suo, era ingiustificata.
Caterina parlava a raffica e le aveva già fatto comprare la demo di quei cani sciolti. Viola aveva speso i soldi convinta che forse sarebbero serviti per una buona causa: magari per acquistare quintali di sciroppo per la raucedine, visto la voce sgraziata del solista, di cui aveva ascoltato un solo brano in auto, considerata la breve distanza fra Monza e Concorezzo.
Altra cosa lampante agli occhi di Viola era l'innata antipatia che Elisa in quei pochi minuti di frequentazione aveva maturato nei suoi confronti. Era palese e papabile come Elisa sentisse in Viola una minaccia per l'inossidabile amicizia che legava le due amiche d'infanzia.
Viola lo aveva inizialmente creduto impossibile ma ogniqualvolta Caterina le afferrava la mano per indicare qualcosa incapace di frenare il suo entusiasmo, come una bambina al suo primo luna park, Elisa dall'altro lato la tirava reclamandone l'attenzione.
Si era quasi pentita di aver proibito a Martina e compagnia di venire, loro non si sarebbero comportati in maniera così ridicola, e forse a Martina quella serata sarebbe anche piaciuta; vi era nell'aria oltre l'innegabile lezzo di fritto anche un accenno di ganja.
Guardandosi attorno, escluse le famigliole rigorosamente serrate sotto il tendone degli approvvigionamenti, vedeva molte persone con un estro hippy e indefinito. Le ragazze nonostante le temperature non altissime ma apprezzabili grazie ai funghi riscaldanti, esibivano micro gonne in pelle o jeans su top succinti, alcune più audaci esibivano solo la biancheria intima superiore. Poche avevano la giacca legata in vita, la maggior parte camicie scozzesi che svolazzavano su gambe rigorosamente nude.
Viola aveva preso una pausa da quelle due che dopo aver girato per ben tre volte l'intero perimetro si erano arenate al banchetto delle demo e delle felpe della band, perse a chiacchierare con la coreografica coppia che evidentemente conoscevano bene: Leo e Marzia si erano presentati a Viola; lui un tipo magrolino con un look emo, lei pareva con i suoi soffici capelli rosa a caschetto, la figlia di Sailor moon, di cui non ricordava il nome. Erano oltremodo gentili e zuccherosi, sicuramente convincenti nel portare avanti la loro attività commerciale in quella notte con poche stelle.

Avendo raggiunto lo stand delle bibite sperava solo di bere una coca cola, peccato il tipo, al di là dell'arrangiato bancone, non ne fosse consapevole e giunto il suo turno si era dedicato ad un ragazzo che era sopraggiunto dopo di lei.
Non le scocciava perdere tempo, in realtà era una piacevole distrazione, una scusa per rimandare l'incontro con le due ragazze, che sicuramente avrebbe ritrovato al banchetto dei gadget della band.
Rigirava fra le dita la demo; ne aveva osservato l'immagine di copertina, quattro ragazzi girati di spalle con camicie scozzesi sui toni del rosso e del nero, jeans scuri e anfibi borchiati ai piedi.
La qualità della foto non permetteva di indovinare altro se non che fossero sicuramente tutti maschi e dalle fisicità similari.

Forse se avesse iniziato a fissare il gestore dello stand questi magicamente si sarebbe girato e avrebbe preso in considerazione la sua comanda. Parlava e gesticolava con un ragazzo, Viola ne scorgeva solo il profilo, era carino quest'ultimo: calzava un berretto con visiera, avrebbe detto bello, nonostante i due cerchietti metallici ai lati del labbro inferiore, vestiva come lo standard di massa della serata, e Viola si fece un appunto mentale di non comprare mai una camicia di flanella scozzese, era decisamente il must lì.
Il ragazzo la teneva come tanti, sbottonata, su dei jeans scuri scoloriti, apprezzabile non avesse mille strappi,
sotto una banale maglietta nera, ai piedi, ovviamente, dottor Martins.
Si accorse che anche lui la stava guardando come il tizio che le aveva appena rifiutato la coca.
Non beveva alcolici, e non voleva dell'acqua; non ne beveva da tre mesi, da quando si era trasferita a Milano. Restando imbambolata lì rischiava di fare la figura della sciocca anche se dietro di lei non vi era nessuno in coda.
《Dalle una delle mie!》
Era stato il ragazzo a parlare, non si stava rivolgendo a lei ma era chiaro avesse origliato la conversazione.
Viola fissava l'omaccione panciuto che sfidando le temperature se ne stava in maglietta.
Questi allora si era piegato sotto il bancone e le aveva allungato la tanto sospirata bibita.
Viola gli aveva porto dei soldi che il tizio stava decidendo se accettare o meno guardando alternativamente da lei al ragazzo che le si era avvicinato.
《No, non serve, offre la casa.》
Era stato ancora quel giovane sconosciuto a risponderle, accompagnato da un sorriso accattivante.
《Posso avere un bicchiere?》 Aveva allora chiesto al tipo timidamente; ma questi era scoppiato a ridere e lei allora dopo aver pulito la bordatura metallica della lattina, con la manica della maglietta, l'aveva aperta.
In un millesimo di secondo si era ritrovata ricoperta di coca. La maglietta grondante le si era appiccicata al corpo.
《Oh merda mi di-dispiace.》 Aveva esclamato lo sconosciuto avvicinandosi ulteriormente.

Viola sbatteva le ciglia in maniera convulsa.
Erano state le stesse parole e la stessa scena che aveva vissuti tempo addietro, con Paolo.
Non voleva cedere ai ricordi in quel contesto, e men che meno al pianto, ma le lacrime premevano con forza sotto le palpebre. Viola sperava davvero di non sembrare una bambina affranta.

Ricordava nitidamente quando l'estate di due anni prima Paolo le aveva porto la lattina, il cui contenuto l'aveva ricoperta da capo a piede, ignaro che il compare l'avesse agitata apposta.

Sentiva il labbro tremare e i piedi pesanti, inchiodati al suolo. Stava per diventare lo zimbello di quei duei sconosciuti. Pronta a mettere le ali ai piedi e scappare dalla scena, il ragazzo l'aveva quasi bloccata in un goffo abbraccio, passandole un braccio attorno alla vita e portandola a oltrepassare lo stand.
I piedi si erano mossi in automatico e pareva il cervello essersi spento.
Il ricordo confuso di Paolo e di quanto ogni singolo istante vissuto fosse stato importante non le dava tregua.
Arrivati nei pressi di un furgone fu solo lo scatto della sicura che la fece tornare in sé.
Il ragazzo stava parlando e lei non aveva messo a fuoco nulla del suo discorso. Si ritrasse, non spaventata, ma decisamente a disagio, poteva in fondo, costui essere un maniaco.
《Senti qui ho una maglia di cambio; davvero credimi mi dispiace. Quel cretino di Dado si diverte sempre ad agitare le lattine, dovevo dirti di aspettare. Io...》
《Non importa.》 Le era uscita solo questa esile risposta.
Non le doveva nulla.
Ma lo sconosciuto, seppur non dall'aspetto minaccioso, continuava a tenerle delicatamente il polso.
Aveva spalancato lo sportello invitandola a salire ma lei restava a terra dubbiosa.
《Non ti mangio: sali e cambiati.》
Era sceso esortandola nuovamente e tendendole una felpa e delle salviettine.
Viola aveva incrociato i suoi occhi scuri e ridenti; era stato gentile a non riderle in faccia e volerla aiutare.
《Dammi le chiavi!》 Pretese Viola con un sorriso furbo.
《Cosa? No! Perché?》
《Sei uno sconosciuto, chi mi assicura che tu non mi chiuda qua dentro e... 》
Non aveva proseguito perché aveva visto il viso del ragazzo mostrarle in successione una ridda di emozioni: sconcerto, divertimento e infine compiacimento alle sua parole. Lui le aveva quindi teso le chiavi.
Viola era salita, mentre accostava lo sportello gli aveva intimato di non sbirciare.
La risata genuina del ragazzo l'aveva seguita nell'abitacolo mentre lo vedeva voltarsi dandole le spalle in maniera robotica, per permetterle di fidarsi.
Nonostante l'atteggiamento rassicurante aveva abbassato la sicura della portiera, si era chinata e dopo essersi sfilata sia la maglietta che il reggiseno fradici, aveva indossato la felpa nera di lui, morbida a contatto con la pelle nuda e appena detersa.
Era poi scesa, rimettendosi anche il giubbotto jeans che non aveva ricevuto uno schizzo.
Gli aveva teso quindi le chiavi biascicando un esile grazie e per un attimo era rimasta a guardare la sua mano scomparire in quella calda di lui, avvertendo un calore che le si era arrrampicato sul braccio, arrivando a colorirle le gote per l'imbarazzo.
《Sei sola?》
La voce del ragazzo sconosciuto era premurosa, quasi intenerita, forse dalla sua goffaggine e per un attimo Viola aveva dimenticato Caterina ed Elisa.
《Oh cavolo no. Saranno preoccupate.》 Aveva biascicato.
Mentre stava per correre lontano da lui, quel ragazzo le aveva afferrato nuovamente il polso incendiandola.
Lo aveva fissato davvero allora, negli occhi, e lui stava facendo lo stesso, entrambi a corto di parole.

La suoneria del cellulare del ragazzo incalzò in crescendo, riempiendo l'aria. Era l'orrenda canzone sentita durante il tragitto, constatò Viola; quindi lo sconosciuto era un amante della band che a breve avrebbe suonato.
Con due dita sfilò il cellulare dalla tasca dei jeans non accennando a lasciare il suo polso, sembrava quasi timoroso che se l'avesse lasciata, non l'avrebbe più rivista, ma era assurdo.
Nonostante non si fossero allontanati molto, nel silenzio Viola udì distintamente una voce maschile urlare arrabbiata nel ricevitore chiedendogli dove fosse finito.
Il ragazzo non replicò se non con una bestemmia ovattata prima di interrompere la comunicazione, le lasciò a malincuore il polso e mentre pareva essere lui, ora oltremodo in imbarazzo, le disse che doveva scappare.
Viola non ebbe nemmeno il tempo di trovare una replica adeguata che questi era già scomparso.

Raggiunse mesta Caterina ed Elisa che, effettivamente, non avevano lasciato il banchetto, se non per fare un ulteriore perlustrazione dell'area.
Viola, prima di raggiungerle, al fine di ricomporsi, era riuscita a guadagnare un bagno dove un piccolo specchio opaco le aveva regalato una sua immagine distorta, gli occhi parevano solo più lucidi, quasi febbricitante, ma non notò altro.
Eppure quel ragazzo era il primo ad averla colpita, a distanza di due anni; dopo Paolo.
Cat ed Elisa la portarono nei pressi del palco dove, davvero, tante persone premevano per avvicinarsi ai musicisti.
《Temevo di averti persa.》 Esclamò Caterina stringendole la mano per non lasciarla, mentre spintonava per avanzare.
Non essendo una domanda ma solo una constatazione Viola sorrise rincuorandola.
Sul palco comparvero quattro figure avvolte dal buio.
Leo, il tizio del banchetto di felpe, puntò un faro che illuminò la scena che richiamava esattamente la copertina della demo: quattro ragazzi di spalle.
Cat strinse con forza la sua mano mentre i ragazzi si giravano in contemporanea.
Il cantante, si mosse per ultimo, lanciò a terra il suo cappellino e Viola resto a bocca aperta nello scoprire fosse lo sconosciuto di poco prima.
Aveva ringraziato i presenti per la presenza e mentre accordava una chitarra che gli pendeva sul fianco faceva saettare lo sguardo fra la folla. Per un attimo le era parso addirittura lui la riconoscesse e le regalasse un sorriso d'intesa, intimo, solo loro.
Il ragazzo che era stato gentile con lei altri non era che Oliver Riviera, il ragazzo dei sogni proibiti di Cat.

Viola non aveva ballato, era stata ferma nonostante le melodie e il ritmo incalzanti invogliassero a lasciarsi trasportare.
Aveva dovuto rivedere su tutta la linea il giudizio sugli Shand, erano bravi; quella sola canzone udita in auto non era che una, di un buon repertorio, certo non era la migliore, anzi era detestabile, ma le altre erano inni alla vita, alla giustizia, alla gioia; la band variava sound a ogni pezzo e Viola constatò suo malgrado che fossero davvero coinvolgenti.
Per non essere d'intralcio a chi ballava, saltava o pogava aveva preso posto al limitare di quella che poteva essere la pista.
Elisa le aveva portato scarmigliata e sudata una birra, felice che lei non stesse a saltellare scomposta accanto a Cat, che urlava il nome di Ollie a ogni fine canzone e cantava con passione ogni pezzo. Viola aveva finto di bere la birra per mera cortesia, regalando a un'aiula un'inaffiata non contemplata.

A fine concerto un'orda delirante di ragazzine si avventò sulla band, alcune per farsi fotografare, altre per avere la firma sulla demo.
Cat aspettò paziente che se ne andassero tutti. I ragazzi della band la attorniarono e lei fiera li presento a Viola: Alessio Aldobrandi per gli amici "Brando" chitarra elettrica; Alessandro Preti "Alex" basso; Davide Olivi "Dado" batteria e Oliver Riviera "Ollie" cantante e chitarra acustica.
Viola durante le presentazioni mantenne le mani nelle tasche del giubbotto e fece un vago saluto col capo.
Vide Caterina e Oliver appartarsi; mentre Elisa guardava fiera la scena, lei avvertiva una minuscola e fastidiosa contrazione al petto.
Al ritorno dei due: Caterina era appesa al braccio di Oliver gli occhi sfavillanti, due gemme illuminate da mistico fervore.

Elisa dovette affrettare i saluti, l'ora del coprifuoco era abbondantemente superata, ma Viola sarebbe stata il loro alibi perfetto, aveva esclamato al gruppo, innescando una risata contagiosa.
Mentre lasciavano la radura Viola si voltò un istante per ritrovarsi addosso cucito lo sguardo di Oliver; si toccò il bordo del cappuccio della felpa che lui le aveva dato, in una muta richiesta. Lui sorrise osservando il gesto e scosse la testa, lasciandola ai suoi dubbi. Viola rivolse allora la concentrazione alle due ragazze con le quali era giunta in quel luogo senza più voltarsi, nonostante sentisse fin nelle ossa due occhi bruciarle la pelle.

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