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Un tatuaggio. (Viola)
Nonostante la domenica sera fosse uscita con Magnolia e avesse amato l'mprovvisata di Dado e Oliver, Viola si concesse un'intera settimana nel luogo natio: dove l'infanzia, da cui tutti i giovani fuggono in attesa dell'età adulta, le pareva il periodo più bello della sua vita, quello cui avrebbe fatto volentieri ritorno, privo di pregiudizi, stereotipi e consapevolezza ...Tutto quello che crescere comporta.
Viola da bambina aveva vissuto pienamente una realtà che il mondo ora le presentava solo nei bei film o nelle favole; il piccolo paese immerso nella campagna: con due drogherie, la chiesa, un bar e la scuola elementare, dove per racimolare iscritti e non farla chiudere talvolta nelle liste si annoveravano gli anziani del luogo, era un contesto spettacolare.
Era l'unica femmina di un clan di maschi: il fratello e i tre cugini non l'avevano mai esclusa dai giochi, crescendo si erano persi un poco di vista pur mantenendo quel legame affettivo che Viola aveva amato e a cui si aggrappava nei momenti di sconforto.
Dalla madre, verso i dieci anni, aveva ricevuto una splendida macchina da scrivere elettronica molto più simile a un computer al suo immaginario di scrittrice; sulla tastiera aveva inventato fantastiche storie nel regno di Pino Pino, una comparsa in uno dei suo cartoni animati preferiti. Aveva arricchito le storie con acquarelli e disegni vividi, nonostante non avesse un vero talento per l'arte, compensava con la passione che guidava i suoi gesti.
La madre, la trovò spesso in quei giorni nella biblioteca di casa, amante come la figlia dei libri, se ne era circondata regalandosi una stanza dove opere classiche e moderne trovavano la loro giusta collocazione: tre delle quattro pareti erano ricoperte da scansie con testi di ogni dove.
La donna che l'aveva cresciuta aveva un carattere mite e molto dolce, come Viola si perdeva fra le pagine di un buon libro; Viola ricordava che alla scuola elementare, ogni lunedì, gliene comprava uno prima dell'orario d'entrata, affinché la figlia avesse un gradevole incentivo.
Quindi Viola quei giorni a casa non li passò esclusivamente a pensare a Paolo: mise in ordine la sala di lettura e sistemò cassetti e scaffali della cameretta; le dispense di glottologia la attendevano senza invogliarla in alcun modo.
Riccardo si faceva sentire tutti i giorni ed era tenace; ogni volta che parlavano insisteva perché lei facesse ritorno a Milano. Più volte nelle loro conversazioni utilizzò la parola "casa".
Così sentiva quella città per lei.
Aveva fatto una vita a sentirsi estranea in più luoghi Viola, aveva abitato solo una persona e questa si era dissolta; credeva di aver trovato il suo posticino al mondo nonostante tenesse a perdersi nelle sfumature del passato.
Malgrado la preoccupazione degli amici fosse un pensiero costante Viola stava solo leccandosi le ferite nella tana di famiglia, prima di uscire per esporsi al branco o alla sessione successiva di caccia.
Aveva passeggiato spesso nell'aria frizzante del mattino lungo i canali artificiali vicino il fiume del paese natio, immersa nei boschi che erano meta domenicale con il padre durante l'infanzia.
Restava puntualmente incantata dalla bellezza della natura circostante che con la brina era un'idilliaca visione, degna di un dipinto d'autore.
Sua madre le aveva regalato una nuova sciarpa come piaceva a lei: rossa; Viola l'aveva accettata solo per far fronte al rigore invernale; la madre aveva un debole per quel colore: cappotto, guanti, maglioni e accessori sfilavano nell'armadio di lei.
Per Viola era una tinta troppo forte, difficile da vivere, da accettare, ma ammirava persone, quali la madre, che fossero in grado di farne sfoggio con grazia, audacia e convinzione.
Aveva riposto il libro delle poesie di Baudelaire su uno scaffale insieme a opere varie, quasi a nasconderlo in mezzo a tanti: quel libro ove vi erano appunti misti: suoi e di Paolo, la grafia di lui: stretta e infantile, ancora un ricordo doloroso, constatò con una contrazione al centro del petto.
Era tempo di andare avanti: la vita le avrebbe concesso magari di conoscere persone meravigliose e attente come lo era stato lui, e, forse, non avrebbe dovuto aspettare molto.
Oliver.
Quel ragazzo creava in Viola un caleidoscopio di emozioni cui non era pronta, a cui ancora non sapeva dare un'esatta definizione.
Se con Paolo era stato facile ed emozionante quello scoprirsi innamorati, crescendo insieme in una estate intensa, vivendo esperienze in grado di arricchire il loro sentimento, con Oliver si sentiva catapultata in una dimensione parallela: incerta e contesa, perennemente all'ombra di Caterina e quel sentimento che questa non riusciva a soffocare.
Le azzerava il respiro quello sconosciuto che le pareva essere una parte di lei; aveva quel ragazzo anche un fascino ignoto legato a una musica che Viola mai aveva ascoltato, così nuova, camaleontica, diversa, e poi c'erano quei tatuaggi, i piercing, per molti realtà banali ma per lei erano quasi ombre sulla vita di lui: non negative o inconcludenti, bensì ammalianti, era come se il lato oscuro di quel giovine la chiamasse a sé, ne reclamasse l'appartenenza e non conoscendolo quasi per niente aveva paura Viola.
Probabilmente Oliver era il miglior uomo sulla faccia del pianeta terra ma le sensazioni che un suo tocco o il suo semplice sguardo le muovevano avevano una forza inaudita e sconosciuta per Viola e l'ignoto la spaventava.
Le aveva chiesto di poterle stare accanto, questo pareva bastargli e con il suo silenzio Viola aveva accettato la presenza di Oliver; lui non era Paolo, eppure in lui aveva rivisto qualcosa dell'amato ed esitò Viola, conscia di esporsi.
Si prese tempo prima di incontrarlo nuovamente o anche solo di sentirlo.
Non si erano scambiati alcun messaggio dopo quella notte...arroccati in decisioni o titubanze comuni.
Il sabato decise che quel ritiro spirituale, quella sorta di vacanza, dovesse terminare, avvisò i genitori e si fece accompagnare in stazione: avrebbe viaggiato in treno con il favore del tramonto e avrebbe goduto di una notte in via Padova prima del rientro di Martina; si sarebbe ricomposta quei frammenti di anima perduti; prepararsi era necessario, perché aveva già arrecato troppi pensieri e preoccupazioni ai nuovi amici.
Riccardo l'aspettava in stazione gli occhiali neri a celarne lo sguardo, la felpa scura ad adombrarne i tratti; stupì se stesso e Viola trovandosi a Lambrate in quel caldo imbrunire.
《Se non fossi tornata questo weekend sarei venuto a prenderti!》le disse osservandola a qualche metro di distanza, le mani nelle tasche, il viso leggermente reclinato, in parte messo in ombra dagli ultimi raggi di sole.
Cadde a terra il borsone cui Viola si stringeva come a un salvagente, spiccò una breve corsa e affondò in un abbraccio spontaneo.
《Sei tornata!》
《...sono tornata!》Ripeté ovvia lei, beandosi di un calore amico.
Aveva scritto un sacco in quei giorni di ritiro spirituale Viola; aveva dato voce a sentimenti che l'udito mai avrebbe ascoltato perché conscia, lei in primis, di non essere pronta a condividerli. Fra questi messaggi vergati a penna con rabbia e inframmezzati di dolore e ricordi vi era una lettera struggente dedicata proprio a Riccardo. Era un manoscritto in cui esortava il giovane a lasciarla andare, a vivere lui la sua vita perfetta nella Milano d'élite, quella che lei mai avrebbe voluto: era una missiva cattiva, in cui certo vi era un indiscusso amore tra le righe, ma soprattutto la volontà di liberarsi di qualcuno che avrebbe cercato sempre di salvarla perché nella vita viveva di obiettivi temporanei, giochi con cui intrattenersi e Viola se ne sentiva parte di uno di questi.
Il momento in cui lo vide, le barriere erte a proteggersi da lui crollarono e si sciolsero come neve al sole, acquisì consapevolezza Viola di essere al pari di un tossico dipendente da alcune dosi, di persone, che mai avrebbe creduto potessero contare così tanto per lei.
Sperava a volte di fondersi con la pioggia e sparire... non credeva qualcuno vi avrebbe sofferto, ma la presenza di Riccardo la fece vacillare.
Non poteva lui sapere che sarebbe tornata proprio quella sera e a quell'ora; come poteva quindi essere lì, in stazione, a rendere colorato un frammento di vita che avrebbe altresì assunto toni plumbei?
Se lo chiese Viola mentre correva dall'amico perché l'egoismo di stare bene aveva avuto il sopravvento e sentiva la necessità di quel calore umano: quello che differiva in maniera netta e spaccata da quello famigliare, troppe volte dato per scontato e quindi accontanato, relegato altrove.
《Viola!》
《Ric.》
Non le parole ma i gesti a confutare entrambi, e fu l'abbraccio più lungo e gratificante della storia a stringere ed accomunare due anime, quasi fossero due amanti da troppo separati, eppure occhio meno allenato non vi avrebbe percepito differenza: questi erano Viola e Riccardo.
Un brontolio sommesso fece staccare i protagonisti: Riccardo divertito, Viola in imbarazzo, il pancino di lei lamentava di volerer essere nutrito; si guardò attorno Viola alla ricerca del borsone dimenticato presso la linea gialla a bordo binario.
《Sushi?!》
Un sorriso timido e il viso colpevole di Viola che si mordicchiava il labbro furono l'incentivo per Riccardo a prendere le cose di lei e avviarsi fuori dalla stazione.
Aveva trascorso tre sere in quel luogo Riccardo: sentiva che se lei fosse tornata non avrebbe avvisato nessuno, ma lui non voleva che si sentisse sola, quindi nonostante il ritorno anticipato in madrepatria di Simone, aveva trascorso come un pendolare gli ultimi tre giorni in stazione aspettando pazientemente il rientro di lei.
Erano saliti in macchina mentre il sole abbandonava i grattacieli di periferia per presentare la notte milanese: quella della movida; nonostante il traffico Riccardo guidò la sua auto rilassato mentre Viola arpionava la portiera, mai si sarebbe abituata al caos delle caotiche notti del capoluogo di provincia.
Ridevano e scherzavano davanti piccole porzioni di haramaki, onigiri e altro che Viola non sapeva riconoscere se non al godimento del palato.
Puntò dopo una serie di vibrazioni inopportune e lo sguardo curioso di Ric il cellulare in faccia all'amico affinché leggesse il messaggio.
Sabato andiamo da Brando e devi esserci, Elisa si rifiuta di tenermi la mano mentre farò un tatto o un piercing...dì di Sì????!!!!!
Avevano riso insieme del messaggio di Caterina.
《...e tu cosa faresti?》
《Io?》 Finse di pensarci Viola, picchiettando nervosa il dito sul mento.
《Forse un tattoo.》 Ammise;
aveva socchiuso le ciglia Riccardo, esaminandola sempre con quel vivo interesse.
《Che immagine sceglieresti?》
Viola senza esitare gli aveva sporto il piccolo portafoglio di plastica con l'effige di una gattina di un manga giapponese.
《Ma sei seria?》 L'aveva canzonata lui.
Aveva arricciato le labbra imbrociata Viola.
《Martina sotto le feste di Natale mi ha portato alla Rinascente: lo ha rubato insieme ad altre magliette e...
Non so ...quel giorno mi sono sentita così viva Ric. L'adrenalina, la paura e l'eccitazione mi serravano la gola, mi sentivo viva, questa gatta me le ricorda.》
《Non devi fare stupidaggini per esserlo lo sai questo vero?》
《Sì mamma.》
《Simo è tornato!》
《Cos... quando?》Viola era stupita.
《Tre giorni fa.》 Ammise l'amico.
《Non me l'hai detto; cosa fai qui con me ora?》
《Ho trascorso le ultime tre sere più parte del pomeriggio ad aspettarti in stazione, io sapevo saresti tornata senza dire nulla a nessuno.》
《Ma?》
《Simone non capisce...》
《No Ric sono io a non capire tu questo ragazzo lo ami!》
《Già ma mi ha sempre dato per scontato e continua a farlo.》
《E stasera che fa?》
Un sorriso malizioso ingentilì i tratti del biondino.
《Old fashion!》
《Che per noi comuni mortali sarebbe?》Chiese Viola tormentando l'angolo del tovagliolo.
《Una disco in centro.》
Annuì confusa Viola.
《Vuoi parlarne?》Viola afferrò la mano dell'amico.
《Non stasera Vi.》
《Ma Ric...》
《Cambia registro piccola.》La voce di Riccardo assunse un tono triste mentre supplicava Viola.
《Hai mai...? Mmmm...Ecco sai qualcosa
degli Shand?》
《Ha suonato giovedì al Trash
in Brianza e stasera suona in un locale vicino Como. Più sentito il bel morettino?》
Scosse semplicemente testa in risposta Viola.
《Stai studiando?》
《Perché cambi argomento Viola?》
《Oh ...beh hai risposto!》
《Lo so tu credi io ti viva come un capriccio.》
Le bacchette di Viola erano cadute sul piatto ogivale alle parole di Riccardo, 《lo ero prima tu mi definissi il tuo migliore amico. E quell'aggettivo ha un peso per me. Voglio essere migliore...per te.》
《Ric.》
《Simone, lui...》
《Credevo non volessi parlarne,
dove si trova questa discoteca?》
《Perché?》
《Perché noi ora ci andremo. Non voglio parlare di un tizio che ti sconvolge senza averlo mai visto; voglio conoscerlo! Adesso.》
Riccardo represse il sorriso mise mano al portafoglio e fissò la sua amica, pronto a lasciare il locale e rivedere Simone.
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