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Milano: un mondo a sé. (Viola)

Sfogliava tra le dita assorta quella carta che il tempo aveva precocemente ingiallito, rileggeva passi della sua vita come appartenessero a una estranea; ricordava tutto, mentre le parole scorrevano immutate sotto il suo sguardo attento, riviveva quasi i fatti, ancora nella sua mente. Erano passate ormai due estati.

Milano l'aveva accolta da poco meno di tre mesi: caotica, farneticante e in parte con un fascino esotico che non era in grado di spiegarsi.
Era stata fortunata ad avere conosciuto Martina nel comprensorio dell'università, le aveva concesso di lasciare casa dei suoi; da ormai troppo tempo considerata un luogo inospitale.
Non aveva conflitti irrisolti in famiglia o un tribolato rapporto con i genitori, anzi, era la secondogenita, amata e vezzeggiata da una coppia fin troppo presente e pressante, ma da tanti anni aveva l'abitudine di cavarsela da sola e vivere presso i suoi le sarebbe risultato soffocante.

《Viola, dobbiamo sbrigarci se non vuoi perdere il treno!》L'esortazione di Martina era giunta a distoglierla dalla babele che infestava perennemente la sua testa.
Chiuse con un colpo secco il diario dell'estate precedente e lo impilò insieme ad un altro. Avvolse il tutto con un leggero nastro di raso a contenere fogli e ricordi e li ripose celere nella sacca sotto il letto.

《Sono pronta!》La risposta svogliata arrivò nitida a Martina che la contemplò per un attimo perplessa.
《Ma vieni così?》
Viola studiò per un istante la propria figura attraverso lo specchio intero: indossava dei jeans larghi, delle scarpe da ginnastica monocolore ed una maglietta oversize a strisce.
Afferrò il giubbotto jeans che suo fratello aveva dimenticato nella casa dei genitori due settimane addietro e fissando il viso corrucciato della coinquilina annuì vistosamente.
Martina le si avvicinò scrutandola attentamente, scosse la testa per un secondo e le si avvicinò furtiva.
《Posso?》
Aveva  già afferrato i bordi della maglia e fatto un nodo sul fianco per stringere/eliminare la stoffa in eccesso e valorizzare punto vita e decolté.
Viola sorrise per quel tentativo inutile di renderla più sexy, non aveva davvero intenzione di mettersi in mostra.
《Ma non vai ad un concerto?》 Insistette Martina.
《Sì. Così ha detto Cat, ma credo sarà perlopiù una scadente festa della birra in un campo sterrato, nel bel mezzo del nulla, credo sia il loro secondo evento.》 Chiarì Viola dando un ultimo colpo di spazzola alla lunga chioma fluente.
Martina annuì mentre le tendeva una  matita nera con cui Viola avrebbe dovuto far risaltare il suo sguardo da cerbiatta.
Sbuffò ma si arrese, con Martina era sempre così: più facile accondiscendere alle sua richieste che opporvisi, risparmiava tempo ed energie.

《Forza andiamo. Ceniamo da Mac Donald poi ti accompagno in stazione. Una sera potresti uscire anche con me e i miei amici, sai?》
Viola annuì distratta.
Adorava condividere il bilocale in Via Padova con Martina ma non le piacevano molto i ragazzi che era solita frequentare: erano tutti hippy mancati, puzzavano d'erba, bevevano birra già alle dieci del mattino e frequentavano centri sociali.
Martina era davvero adorabile ma non credeva sarebbe mai uscita con le sue conoscenze del corso di filosofia; tra queste spiccava "Fungo", il ragazzo a cui lei aveva dato questo ridicolo soprannome: per via della vistosa chioma che gli adombrava i tratti.
Quando Martina lo portava a casa, Viola si sentiva perennemente a disagio, questi la scrutava silenzioso dalle spesse lenti. Aveva un volto grezzo, tratti vistosamente marcati, un naso troppo grande e quella chioma indomabile che la faceva rabbrividire.
Non voleva giudicare Martina ma la loro stanza era una doppia, in un minuscolo open space, quindi quando il giovane si fermava a dormire pareva di avere un terzo sgradito e poco socievole coinquilino.
Viola aveva messo al collo un laccetto di iuta con uno squillante sonaglio affinché i due nell'arco delle notti non dimenticassero la presenza di lei e ci dessero dentro come conigli in calore, ricoprendola di imbarazzo per dover ignara assistere.
Per il momento aveva funzionato.
Eppoi grazie alle notti che trascorreva da Caterina, Martina poteva rivendicare la sua maturità sessuale con il Fungo senza che lei ne avesse la visione o ne subisse il trauma fino alla fine del diploma di laurea.

La corsa sulla linea rossa della metro fu breve: arrivarono al crocevia della gialla, risalirono i tunnel sotteranei rischiarati da neon giallognili a tratti intermittenti, emergendo in superficie; il Mac Donald se lo trovarono in faccia.
Viola osservò l'amica: un tipino bassino rispetto al suo metro e settanta ma davvero carina, nonostante fosse acqua e sapone attorno a Martina gravitavano molti ragazzi per la sua scontata bellezza: lunghi capelli dorati, occhi leggermente infossati ma di un gradevole verde acqua, viso a cuore, un corpo proporzionato.

Beh, il suo look era quello dei suoi amici, ma sapeva per certo Martina mandasse settimanalmente i suoi vestiti a lavare dai genitori, cosa non così scontata per gli altri; jeans con strappi neanche strategici, l'orlo cadeva calpestato e consumato sotto le suole delle basse scarpe da tennis, il top traforato bianco ricordava vagamente un capo visto in un festival a tema anni settanta.
Ma era l'atteggiamento fiero e sicuro a incantare in Martina; era questo ad affascinare chiunque.
Quando a fine agosto Martina le aveva proposto di dividere l'appartamento era rimasta scettica. La padrona di casa, Lucia, con la quale Martina aveva condiviso per un mese il locale, si era trasferita a Verona per seguire un corso di laurea in psicologia e l'aveva esortata a cercarsi con calma una coinquilina; nel mentre avrebbe preteso solo la sua quota del canone. Martina non aveva temporeggiato.

I genitori di Viola avrebbero voluto conoscerla quella coinquilina prima di dare il consenso e Viola dubitava che quella ragazza variopinta li avrebbe convinti, invece, erano scese a Cremona con il treno; Martina si era vestita come una ragazza qualsiasi: gonna, camicetta, e i suoi inseparabili stivaletti dottor Martins verdi.
Durante il viaggio Viola aveva fortemente dubitato del successo della missione, perché nella carrozza vuota Martina aveva fumato infischiandosene delle regole, e mantenuto i suoi scarponcini distesi sulla seduta opposta.
Appena scese dal treno e in presenza dei suoi genitori si era trasformata in una perfetta duchessina del bon ton.
Modi impeccabili e garbati; frasi acute e risposte pertinenti.
Successo su tutta la linea insomma.

Era facile poi andare d'accordo. Non facevano mai la spesa perché i genitori di entrambe, nei fine settimana che rientravano a casa, le riempivano di porzioni casalinghe che avrebbero sfamato un esercito, ma che loro due non toccavano mai. Veniva Marco, il fratello di Martina, a prenderle, conviveva nella via parallela la loro, con la sua ragazza Milena: due perfettini oltre misura.
Lasciavano un sacco di soldi per il cibo sequestrato e questi  permettevano alle due ragazze di cenare quasi sempre fuori.

In casa si teneva davvero il minimo indispensabile per prepararsi un toast di notte o la sacrosanta colazione del mattino,  rito obbligato per entrambe.
Avendo ben quattro rampe di scale senza ascensore in questa casa di ringhiera, avevano concordato fosse uno spreco scarpicollare bottiglioni d'acqua. Avevano incaricato Marco di portare loro: per Martina bottigliette di thè, per Viola lattine di coca light. Un perfetto mènage insomma.

Viola constatò scocciata che la loro cena sarebbe stata condivisa con Fungo e uno sei suoi soci: Tango.
Non aveva mai chiesto il perché di quello strano nomigolo, ne a Martina, tantomeno a Michele (Fungo).
Nella sua testa vi era un'inconscia associazione a un orango e pertanto Tango era perfetto, azzeccato.
Mangiarono un boccone tutti insieme, il ragazzo-orango sembrava essere stato invitato per essere il quarto in un improbabile appuntamento; con Viola era gentile, galante, quasi benevolo mentre lei frenava il suo conturbante entusiasmo con il suo solito fare austero.
Non era il suo modo di freddare le persone, lei era davvero così: in parte timida, in parte schiva.

Aveva dovuto insistere parecchio Viola per farsi lasciare alla stazione ferroviaria e non accompagnare in auto dall'allegra combriccola.

Al suo arrivo avrebbe trovato Caterina, la sua compagna di corso di lingua e lettere.
Percorse in treno quei pochi chilometri fino a Monza, ricordando ancora come due mesi prima aveva incontrato Caterina Bonfanti fuori dall'aula di glottologia.

Viola aveva ritirato un piano di studi orientativo che avrebbe potuto cambiare a suo piacimento, ma che era pertinente con il suo corso di laurea in lingue e lettere.
La sua prima lezione si teneva una fresca mattina della seconda settimana di settembre.
Era arrivata dinnanzi l'aula conscia del largo anticipo, un caffè in una mano e una sigaretta, stretta tra le dita, nell'altra; attendeva che un assistente del docente aprisse il portone dell'aula sito nella sede distaccata dell'università.
Erano in pochi a frequentare quel luogo e soprattutto a quell'ora del mattino.
Viola ascoltava distratta la compilation del suo mp3 quando aveva scorto una ragazza con una enorme borsa a tracolla in pelle e dei libri serrati al petto.
Caterina non passava certo inosservata: fisico androgino, capelli corti con morbide ciocche rosse sparate in aria, tratti del viso eterei su un incarnato diafano.
Davvero una ragazza bellissima; indossava a quel loro primo incontro: una gonna scozzese, anfibi al ginocchio e un corto giacchetto jeans su un dolcevita a manica lunga, cui lei tormentava le estremità.
Le si era seduta accanto e aveva attaccato bottone.
Nonostante la bellezza innegabile la voce di Caterina era troppo acuta, quasi fastidiosa, ma Viola se ne era fregata, non aveva bisogno di nuovi amici, in realtà  non ne voleva proprio, ma avere buoni compagni di corso poteva esserle utile per appunti o altro.
Nei venti minuti che attesero l'arrivo del professore e della restante classe avevano familiarizzato scoprendo di avere molto in comune: entrambe della provincia, iscritte a lingue, avevano studiato in licei linguistici, soggiornato parecchio  all'estero, amavano molto tutte e due l'Inghilterra, per ragioni diversi; le sue Viola non le avrebbe mai rivelate.

Arrivò a Monza che erano ormai le sette e trenta, in perfetto orario; era la quarta volta che vi andava per poi fermarsi a dormire da Caterina; la sua famiglia l'aveva accolta con un entusiasmo comico.
Perlustrò l'area attorno cercandola con lo sguardo, pochi avventori visto l'ora: alcuni pendolari che rientravano dal lavoro e qualche ragazzino.
La scorse in fretta grazie alla fulva chioma; Caterina le corse incontro e come di consueto la serrò in un abbraccio. Aveva questa abitudine cui Viola difficilmente tendeva ad abituarcisi e pertanto restava rigida fra le sue minute braccia per la frazione di un istante.
Quella sera Caterina aveva portato con sé la migliore amica d'infanzia, di cui spesso le aveva parlato durante i tragitti tra una lezione e l'altra, Elisa:
piccola sarebbe stato un termine riduttivo. Era ridicolmente bassa; un poco tarchiata, le guance paffute contornate da boccoli flosci di un opaco castano. Si erano strette la mano per convenzione, avevano proseguito quindi  a piedi fino al parcheggio.

Salirono su una vecchia panda bianca dove Elisa prese posto fiera dal lato del guidatore.
Viola temette per un attimo, visto le fattezze della ragazza, che questa non arrivasse al volante o a spaziare con la vista oltre il parabrezza e invece per poco, davvero poco, ci arrivava.
Elisa le aveva rivolto una frase banale e di circostanza, guidava concentrata, ma a scatti, inducendo Viola a serrare le unghie nella seduta in pelle per non sbalzare dal un lato all'altro.

Caterina chiacchierava impazzita e sovraeccitata. Stavano andando al concerto degli Shand. Ne aveva parlato da giorni a Viola; Cat aveva una vera ossessione per il cantante che conosceva ormai da svariati anni, ma che non se la filava molto.
Emetteva urletti entusiasti e isterici mentre le raccontava che era stato proprio Ollie a mandarle un messaggio quel pomeriggio chiedendole se si sarebbe presentata all'esibizione.

《Oliver Riviera per gli amici Ollie.》Sospirò Cat trasognata, ne era innamorata dai tempi del liceo; Elisa cercava invano di inserirsi nella conversazione ma l'entusiamo di Cat era incontenibile e a senso unico.

Dall'autoradio partirono delle urla assordanti che graffiarono  fastidiosamente l'udito di Viola. Il viso di Caterina la puntò diretto con eccitazione.

《È LUI!》 Urlò Cat per sovrastare il volume.

Viola sprofondò nella seduta posteriore avvilita: stava andando al concerto di un tizio che latrava quanto la muta di cani da caccia di suo nonno Stefano.
Fantastico.

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