L'altro me allo specchio
Armin Finkle. Uomo in carriera, di bell'aspetto, scapolo e con un sacco di donne al seguito. Tutti nel vicinato, sembravano adorarlo per la sua simpatia, il suo sapersi adattare ad ogni situazione e soprattutto per la sua gentilezza. Se la signora Mary, l'anziana in fondo alla via, aveva bisogno di fare la spesa, ma le buste pesavano troppo, lui le portava la spesa sotto casa, con tutto ciò che le occorreva. Se il burbero signor Milton litigava con il vicino perché il suo cane aveva di nuovo oltrepassato la siepe, lui quietava gli animi e offriva a entrambi una birra per farli riappacificare. O se i coniugi Hamilton avevano bisogno di un'aiuto idraulico, ogni volta che il figlio Roger intasava il trita rifiuti, lui si offriva sempre volontario per sistemare tutto.
Insomma, all'apparenza era un uomo perfetto e si può dire che lui volesse esserlo. Non era un uomo da grandi pretese. Fin da piccolo, vivendo con solo la madre, aveva sognato una vita tranquilla, né nei vizi, ma nemmeno nella fatica. E si poteva dire che l'aveva ottenuta, anche se non era del tutto merito suo.
Fin da che ne aveva memoria, Armin, aveva un dono: era una specie di veggente. Ogni suo sogno notturno, che lui sembrava ricordare perfettamente, si avverava nell'arco della giornata, o meglio si avverava a seconda delle scelte che poi faceva lui. Se lui poteva cambiare quell'evento perché era presente, sapeva che le cose potevano andare in modo diverso.
Ecco perché il martedì precedente, quando il gatto della signora Ross, aveva mangiato le caramelle che la donna aveva già preparato per Halloween, lui si era presentato subito da lei per accompagnare animale e padrona dal veterinario, senza che nessuno lo chiamasse. Faceva così ogni volta che si presentava un problema e un'occasione nel quartiere o in ufficio.
Certo, delle volte le sue visioni non erano piacevoli, né rassicuranti, come quando la notte tra il 10 e l'11 settembre del 2001, sognò l'aereo che il giorno dopo si sarebbe schiantato sulle torri gemelle. Ma almeno un sogno a notte riguardava sempre la sua tranquilla vita.
Era la sera del 30 ottobre ed Armin decise di andare a letto presto, sapendo che il giorno dopo sarebbe dovuto rimanere sveglio fino a tardi per accogliere i bambini travestiti da mostri e donar loro caramelle. Per quell'occasione aveva decorato il giardino con finti scheletri e ragnatele, aggiungendo poi delle piccole zucche intagliate lungo tutto il vialetto. Inoltre, aveva comprato un vestito da Dracula, con tanto di vestito elegante, mantello e canini sporgenti.
Già immaginava la scena: il campanello che suonava, lui che si rimetteva la dentiera di plastica sui suoi veri denti, prendeva la ciotola con le caramelle, apriva la porta e...
Per un attimo credette che oltre la sua porta di casa ci fosse uno specchio. Un'altro uomo, con lo stesso travestimento e la stessa ciotola in mano lo stava guardando. Non ebbe nemmeno il tempo di chiedergli chi fosse, o di cercare di capire se fosse veramente solo il suo riflesso, che l'altro Armin vampiresco, lasciò cadere la ciotola e allungò entrambe le braccia verso di lui. I dolcetti e il loro contenuto sembrarono sparire nel nulla, mentre le mani dell'uomo si avvolsero attorno al suo collo mozzandogli il respiro. Tentò di resistere il più possibile, ma alla fine sentì le forze mancargli.
Lanciò un un urlo talmente forte che riecheggiò nella sua camera da letto. Era vivo, ed era nella sua stanza, in pigiama, sotto le coperte. Quel sogno però l'aveva scosso e sia l'affanno che il sudore freddo che gli imperlava la fronte ne erano la conferma. Possibile che quella fosse stata una delle sue visioni? Sarebbe morto quella notte di Halloween? E chi era quell'uomo identico a lui?
Diversamente da come si aspettava, non ripensò a quel terribile incubo per tutta la giornata, tanto che quando era arrivata la sera, dopo aver cenato, si era messo tranquillamente seduto sul divano a sorseggiare una birra, mentre cercava un bel film horror da vedere su Netflix e stoppare non appena si fosse dovuto alzare per aprire la porta ai bambini.
Optò per il classico "Venerdì 13" e a pochi minuti dall'inizio del film, forse una decina, il suono del campanello riecheggiò nella casa ed Armin stoppò il film. Improvvisamente, il ricordo di quel sogno riaffiorò nella sua mente annebbiandogliela e infettando la sua lucidità di paura. Guardò per almeno venti secondi la porta d'ingresso, rimanendo seduto sul divano, quando il suono del campanello si ripetè.
Prese un grosso respiro e si alzò, allungando la mano verso la ciotola dei dolci e aprendo la porta con timore.
«Dolcetto o scherzetto?» domandò in coro un gruppo di bambini, davanti alla porta, ognuno travestito in modo diverso.
Armin emise un sospiro di sollievo e porse la ciotola ai bambini che presero un abbondante pugnetto ciascuno di caramelle, riversandole poi nei loro secchielli a forma di zucca.
«Grazie Armin!» disse una delle due femmine del gruppetto e l'uomo riconobbe in quella piccola streghetta la figlia dei vicini.
«Di nulla Susy.» rispose con un sorriso.
«Ti sei dimenticato i denti però...» aggiunse la piccola, mentre il gruppo si stava già allottando, tornando sulla strada principale.
«Oh, sì... Poi li metto.» la rassicurò lui, per poi chiudere la porta.
Gran parte del resto della serata passò tranquilla e di nuovo, Armin sembrava aver scordato di quell'incubo. Era ormai la sesta volta nel corso di un paio d'ore che il campanello di casa sua suonava e lui rinfilandosi i canini finti e prendendo la ciotola aveva servito quasi tutti i bambini del quartiere.
Erano le undici e mezza quando, sicuro che non ci fosse ormai più nessun piccolo mostro per strada, si era vestito più comodo e aveva spento le luci d'ingresso. Quando il campanello suonò per la settima volta in quella serata.
Corrugò la fronte, confuso, ma prese comunque i dolcetti e aprì la porta, seppure in tuta e non più con il costume da vampiro.
«Ciao Armin...»
L'uomo sbarrò gli occhi. Davanti a lui c'era davvero la sua copia esatta e solo in quel momento si chiese come fosse possibile che esistesse un suo sosia così identico.
«Chi... chi sei?» chiese, spaventato, indietreggiando verso l'interno della sua dimora, onde rischiare che il sogno si avverasse davvero.
«Conosci la storia in cui nell'utero materno, un'embrione assorbe l'altro?» domandò lo sconosciuto identico a lui.
«Cosa? Non... non capisco...» fece lui titubante, continuando a indietreggiare e vedendo l'altro avvicinarsi e superare la soglia di casa.
«Tu mi hai ucciso Armin. Eravamo gemelli, dovevamo nascere insieme e invece tu hai deciso di divorarmi...» il tono della voce del suo riflesso, se così si poteva definire, si era fatto più cupo e glaciale; tanto che Armin non riuscì a capire se il brivido che lo scosse subito dopo fu per ciò che aveva detto o per come l'aveva detto.
«No... Non è vero... Mamma ha sempre detto che ero figlio unico... Io...»
«Tu mi hai ucciso e ora io ucciderò te.»
★ Iniziativa: Questa storia partecipa all' "Halloween Party" a cura di Fanwriter.it!
★ Numero Parole: 1140
★ Prompt/Traccia: 21: A è una sorta di veggente. Solitamente sfrutta il suo potere per se stesso e avere una vita tranquilla. La sua vita cambierà nell'incontrare B e nell'attesa della notte di Halloween.
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