Capitolo 48~ Preda
Il palazzo delle sirene era una struttura di corallo di nome Castelcorallo, analogamente all'Accademia. Era rosa scuro con varie sfumature tendenti al rosso e all'arancione, molto più grande e maestoso, e, soprattutto, affollato. Taylor mi aveva avvertita di un mostro marino che vi si aggirava non molto lontano, per cui avvisai Dave di fare attenzione. Quando fummo in prossimità delle porte principali mi chiesi se, per ironia della sorte, sarei stata in grado di fare un'impressione talmente pessima da causare una rivolta. La mia inettitudine avrebbe causato ancora danni? Non potei fare a meno di pensare all'attacco che avevamo subìto nel regno delle streghe. Sul volto di Ignes era rimasto un livido, ora giallastro e sul punto di guarire, ma sempre presente, come un monito perenne.
Due guarde in divisa verde acqua ci chiesero di identificarci. Ci siamo, pensai tesa. Scesi dalla carrozza, sia perché non ce la facevo più a star seduta, sia perché volevo esser vista in faccia. Mi presentai con la corona in mano, e non in testa, perché non ero abituata. I due non nascosero la sorpresa. «È un falso?» azzardò uno dei due. Negai con calma, lasciando che assimilassero la notizia. Quando acconsentirono a lasciarci passare mi chiesero di accompagnarmi. Annuii abbozzando un sorriso. D'altronde ero lì per chiedergli di immolarsi per me e mia sorella. I giardini del castello erano popolati da anemoni e coralli, e poi alghe e altre specie vegetali e animali che non conoscevo, ma che mi ripromisi di imparare se mai ne fossi uscita viva.
Una volta dentro fummo investiti da un via vai di persone, tritoni e sirene, servitori stanchi e affaticati, dame e paggi, baroni e duchesse. Thalassa amava la vita mondana: ovunque erano esposti quadri di feste, ritratti dell'ex sovrana, stemmi, dipinti di cibi e prelibatezze varie. Tenevo ancora la corona in mano davanti a me, come su un vassoio. E quando feci il mio ingresso nessuno mi notò, perché erano indaffarati a portare pietanze e stucchini in giro per la sala, che tra l'altro era soltanto l'atrio. Abiti colorati ed esuberanti volteggiavano ignari del pericolo che portavo. Rimasi ferma, in silenzio, sommersa da quel caos di musiche, da quel turbinio di persone grasse e pasciute, nobili solo di nome. Nulla a che vedere con l'eleganza e la quieta raffinatezza di Castelcristallo. L'architettura tendeva al barocco, con colonne a spirale e strutture vertiginose. La curva dominava l'ambiente, dando l'idea di una sincronia perfetta con le onde del mare. In fondo alla sala, su un piedistallo, una statua bianca raffigurava una sirena dalla lunga coda seduta dentro le valve di una conchiglia aperta. L'opera era talmente espressiva e verosimile che sembrava realizzata dal Bernini. Passò qualche minuto. Meilì cominciò a spazientirsi. Indossava un vestito che arrivava al ginocchio, tagliato ai lati fino alla vita per agevolare i movimenti delle gambe, fasciate in un paio di pantacollant neri. Avevo davvero paura che testasse la comodità dei suoi indumenti sferrando calci a destra e a manca. Una guardia chiese a un paggio di suonare la tromba e annunciarmi. Dovemmo aspettare che si riprendesse dalla sorpresa, prima che starnazzasse nello strumento dal lungo collo, su cui era appesa una bandiera con lo stemma di Thalassa. Forse avrei preferito rimanere invisibile. Di sicuro nessuno gioì quando si voltò a guardare me, una ragazzina con una corona tra le mani. Un cameriere fece cadere un vassoio di ceramica. Calò un atmosfera glaciale, che si estese come un onda sul bagnasciuga. Il silenzio contagiava a mano a mano tutti i presenti nella sala. Solo dopo parecchi minuti qualcuno si permise di dire che il mio fosse un diadema falso. Meilì era sul punto di sfoderare il coltello, ma io la fermai. «No» dissi «diamogli del tempo». Assunse un'espressione del tipo "il loro tempo sta per scadere", ma tentai di non darle peso. Presi un bel respiro e tentai di fare a modo mio. «So che nessuno di voi si sarebbe aspettatato di dover rendere conto a me. In realtà nemmeno io me l'aspettavo. Però se non volete fidarvi di me, fidatevi di Floridiana. Lei mi ha dato questa» dissi, e indicai la corona. «Ha deciso lei per tutti noi, e non credo abbia agito per nuocere a qualcuno. Eppure qualcuno che vuole fare del male c'è. La regina nera vuola marciare su Corallorosa, l'accademia magica, per distruggerla. Ora sfido chiunque di voi ad ammettere di non avere figli, nipoti, parenti che frequentino quella scuola. O sfido chiunque di voi a rimanere impassibili davanti a una tale sfida. Usano le armi contro lo studio e la cultura. Possiamo sottostare a tutto questo?» chiesi. Non sapevo cosa stavo facendo, se non che parlavo con sincerità. Non mi ero preparata quelle frasi, stavo improvvisando. Non sapevo nemmeno come si convocava un'armata, ma ripensandoci era sempre meglio avere al mio fianco un pugno di uomini fedeli che una masnada di mercenari avidi. Centinaia di occhi curiosi mi fissavano. Avvertii tutto insieme il peso dell'attenzione, ma decisi di non perdermi d'animo. «Aiutiamo Acquaria, regina del suo regno, a fronteggiare una simile impresa. Chiunque voglia appoggiare questa nobile causa si rechi all'accademia con noi. Scacciamo l'invasore!»
Forse caricai di troppo entusiasmo l'ultimo pensiero. Fatto sta che l'80% dei presenti rispose gridando lo stesso motto. Afferrarono spranghe, bastoni di tende, smontarono le armature nella sala accanto e saccheggiarono l'armeria. La guardia che ci aveva accompagnato scattò sull'attenti: «mia regina, vado a diramare l'appello anche nelle città limitrofe, signora». Guardava fiero davanti a sé. «Sì ottima idea...» tentai di balbettare un nome, e lui pronto: «Reginald, al suo servizio Vostra Maestà». Corse via scattando, e sparì dalla nostra vista.
Dopo all' incirca mezz'ora, una folla di civili e non era pronta all'attacco, inneggiando alla libertà. Creai una corrente sottomarina che ci portò tutti a Corallorosa il più rapidamente possibile. Nelle mie orecchie rimbombavano le voci delle persone che si erano unite alla nostra causa. Una volta attraversato il campo di forza venimmo raggiunti anche dagli abitanti della città, che scendevano a gran fretta le scale e brandivano armi di fortuna. Alcuni erano persino in piagiama, e provai una stretta al cuore: erano scesi per me e mia sorella, per evitare che ci portassero via, che distruggessero una scuola piena di innocenti. C'era chiasso. Tanto chiasso, rumore di schiamazzi. Giungemmo al palazzo di corallo.
Le torri erano state preparate alla difesa, nella mia in particolare erano stati ammassati armadi e letti a fare da barricata. «Siamo pronti» disse Taylor, poi andò ad assicurarsi che la sua ragazza stesse bene e fosse preparata alla battaglia. Acquaria aveva rinforzato il campo. Furono attimi tesi. Mi tremavano le mani e le gambe all'idea che l'avrei rivista. La odiavo. Ricordavo il modo in cui aveva fatto uccidere mio padre e poi aveva finito mia madre. Ricordo l'odore di morte e zolfo che la accompagnavano. Ricordavo i suoi occhi colmi di odio e sete di potere. Ricordavo il modo in cui aveva tentato di strappare l'anima a mia sorella. L'aria era elettrica e la notte malevola. Sentivo che qualcosa si muoveva, lì, mentre il mio fiato si condensava e avvertivo il freddo come un ricordo lontano. Gli alberi sussurravano, le stelle si sporgevano sotto una spessa coltre di nuvole grigie. Il lago ondeggiava inquieto. E lì, dietro la collinetta, vidi fiaccole e portatori di devastazione.
Il mio primo pensiero andò ad Ignes. Alle sue mani morbide e ai suoi pensieri puri. Sguainai la spada e cercai le sue dita. «Mettiti in salvo» le dissi guardandola intensamente, pregandola a parole e con lo sguardo. «Rimango qui con te. Tutti noi rimaniamo con te». Provai a ribattere, ma fu inutile negare l'evidenza. Lei mi dava la forza. La strinsi a me, cercando di farle scudo con il mio corpo. E poi eccola, l'assassina, davanti a noi, che di fronte al suo esercito eravamo polvere da spazzare via. Troneggiava su un baldacchino nero, che quattro orchi sporchi ed enormi portavano con fierezza. Emanavano odore di sangue e lance spezzate. La pelle unta rifletteva il pallore lontano della luna. Al suo fianco, Neridiana ci osservava con disprezzo. Ma Stria era circondata da un'aura di puro terrore, con il corvo e il pipistrello sempre lì, insieme a lei. I capelli le ricadevano lucenti su una spalla. Il corpo sinuoso era avvolto in un purissimo velluto nero. La pelle bianca, perlacea, evidenziava le iridi: una marrone, nascosta nell'ombra, l'altra verde vivido, assassino. Affondai le unghie nel palmo della mano, soffocando l'impulso di arrampicarmi e trafiggerla fino alla morte. Dovevo resistere. Dovevo essere migliore di lei. Il suo esercito contava streghe e altre creature immonde e deformi, uscite dall'inferno. C'erano sudici troll, mostri di fango, animali ricoperti di spine e aculei velenosi. Riconobbi alcuni esemplari di cinghiale alato.
Il trono ambulante si fermò.
Sollevò una mano bianca. Calò il silenzio. «Io» esordì con voce dura, tagliente. Le mie orecchie percepivano tante piccole spille infilarsi nei timpani. «Sssono qui per voi, fate». Il sibilo serpeggiante venne scandito con massimo scrupolo. «Consegnatevi!» tuonò. «Soltanto una di voi! E risparmierò questa gente»
«Mai!» gridai. Fui talmente violenta che dovetti trattenere un conato. La rabbia si stava tramutando in bile acida e velenosa. Stria non si aspettava una simile e repentina risposta. Non era abituata ad essere contraddetta e io lo sapevo bene. «Tu! Clhoe! Hai mandato al patibolo tutti questi innocenti e li stai offrendo in sacrificio alle spade dei miei soldati. Suprema, credi davvero di valere tutte queste vite?»
Con un ampio gesto del braccio indicò la folla alle mie spalle. Era vero: stavo sacrificando tutti loro per la mia vita. Ignes strinse più forte la mia mano. «Non le dare retta, è malvagia e calcolatrice. Tu sei la nostra guida. Tu combatti per noi e con noi, e noi con te e per te». La guardai con gli occhi carichi di gratitudine, mentre le mie gambe tremavano e io avevo paura di cedere. Mi aggrappavo alla spada come un naufrago a una trave. Aspettavo qualcosa. Di sicuro non volevo essere io a sferrare l'attacco, io avrei reagito e difeso. «È questa la tua armata?» chiese ironica. «Puoi solo illuderti di avere speranze. Li ucciderò tutti e poi ti porterò via. Questo è solo un noioso intoppo». "Noioso intoppo" come se io e la mia libertà fossimo da scartare, una cosa da nulla. Di me serviva soltanto l'elemento. Il potere. Io non ero altro che un fastidioso esserino portatore di una cosa molto utile.
Con un vago e superficiale gesto della mano pallida, su cui si scorgevano le vene blu, Stria ordinò di attaccare. Un rumore sordo e stridente risuonò per tutta la collina, accompagnato da versi disumani e passi disordinati. Mi stagliai davanti a Ignes e le feci scudo con il mio corpo, aspettando l'impatto cruento e doloroso. Rivolsi un pensiero al volto dolce e delicato di Floridiana, donandole tutta la mia gratitudine e la mia riconoscenza. Se fossi morta lo avrei fatto per difendere lei e il suo popolo. La spada era obliqua, partiva dalla mano destra e arrivava fino al mio occhio sinistro. Il luccichio della lama era un po' fastidioso, ma ci avevo fatto l'abitudine. Non appena il primo mostro fu abbastanza vicino, il braccio scattò in avanti, e quello cominciò a liquefarsi in una puzzolente poltiglia nera simile a petrolio. Andai avanti per ore allo stesso modo, tenendomi dietro Ignes, voltandomi di scatto per impedire che la trafiggessero a tradimento. Ero sporca e sudata. Continuavo senza sosta a menare fendenti, a tranquillizzare mia sorella. «Ora finisce» le dissi cercando di mascherare il fiatone. «Ho paura di perderti» rispose, e scagliò una palla di fuoco dietro di me. Un demone urlò mentre la sua faccia si scioglieva. Un tuono squarciò l'aria preceduto da un lampo accecante: Matt aveva fatto piazza pulita attorno a se. Meilì e Dave, spalla contro spalla, allontavano altri nemici. Viola era sparita in un "pop" di luce purpurea all'infuriare dello scontro. Taylor aveva un taglio sul braccio ma continuava imperterrito a spaventare i nemici con le sue creature. Fummo circondate in breve: bastò un'occhiata. Creai una spessa lastra di ghiaccio e la fata del fuoco vi proiettò sopra un raggio di luce. Il riflesso fu talmente potente da bruciare tutti i mostri all'istante. E mentre giovamo, un orco orrendo e maleodorante afferrò la ragazza per la vita e iniziò a correre. «Clhoe!» strillò. «Arrivo non mollare!» urlai di rimando, scapicollandomi dietro a lei nel vano tentativo di raggiungerla. No, pensai, non me la porterete via di nuovo. La creatura seguì un percorso lunghissimo per cercare di seminarmi. Entrammo nell'atrio della scuola, davanti all'aula magna, e vidi Baloon per terra, il volto da clown scheggiato. «Ohi ohi ohi che male...» si lamentò. Lo raccolsi e cercai di rimetterlo in piedi. «Dai Baloon, mordi un po' di chiappe» tentai di risollevargli il morale, osservando i pezzi di terracotta colorata sul pavimento scuro. «Non hai niente da mangiare per me?» chiese speranzoso. Feci di no con la testa e prima di perdere di vista il rapitore, ripresi l'inseguimento. Ignes rese le sue mani incandescenti e tentò di ustionarlo, ma fu tutto inutile. La pellaccia spessa e callosa sembrava immune anche ai miei dardi ghiacciati, non abbastanza resistenti da fermarlo. Una volta ritornati fuori, urtammo amici e nemici, in una colluttazione tra Perla e un troll venni ferita a una gamba, ma il dolore era lontano. Portò Ignes in uno spiazzo isolato, dietro le torri, e quando lo ritenne opportuno la lanciò in disparte. «Ignes!» corsi verso di lei. Gemette per il dolore, e dal brutto suono che avevo sentito, temevo si fosse rotta una gamba. Non avevo tempo per la rabbia, le andai incontro, fino a che una forza non mi bloccò e tirò indietro. Non riuscii nemmeno a voltarmi, ma capii. «Qual è il senso!» gridai esasperata. «Che cosa vuoi?» continuai. Una risata nera, orrenda, terribile. Gioire del dolore altrui era la sua specialità. I miei muscoli non reagivano, la spada giaceva lontana. Nemmeno i miei poteri sembravano rispondere ai miei comandi. Ero un contenitore pieno di magia, ma immobile. Mi fece voltare e vidi il suo temibile volto. D'istinto tentai di chiudere le palpebre, ma non mi fu concesso nemmeno quello. «Tu» esordì «volente o nolente sei destinata a servirmi. Le profezie non esistono a caso». Scandì le parole con quel suo fare fatalistico e terribilmente convinto. «Io non voglio» risposi lottando contro l'intorpidimento della bocca. «Ti è stata data la possibilità di scegliere se essere cacciata o se cacciare, e tu hai scelto di essere una preda. Tu ormai non devi volere. Tu devi fare. E se non ti avrò io, non ti avrà nessuno. Nemmeno te stessa». Detto questo prese un pugnale. Uno splendido, fatale e letale pugnale d'oro, con un rubino che sembrava fatto di sangue e un serpente scolpito nel metallo che vi si attorcigliava. Afferrò la lama con il palmo della mano, premendo con forza: sangue nero sgorgò sul prato, macchiandole le scarpe vermiglie e arricciate sulla punta. Sangue nero, che sembrava fatto di fumo e odio. L'acre odore di zolfo mi solleticò le narici. Sollevò la mano sana e si materializzò una freccia d'argento. Non una a caso: la mia. Macchiò la punta del suo sangue nero, chiudendo la mano ferita a pugno e stringendo. Non sembrava patire il dolore, era totalmente immune alla sofferenza. Afferrò il dardo e lo scagliò con forza contro di me. Si conficcò nella mia spalla e io strillai per la fitta. Percepii il mio corpo invaso dal fuoco, un fuoco terribilmente caldo, ustionante, che arrostiva le mie membra e le riduceva in polvere. Caddi sulle ginocchia e poi su un fianco, ansimando. La guancia che toccava l'erba ne bruciò i fili. Avevo bisogno di freschezza, ma tutto ciò che avvertivo era un fiume di lava bollente, una febbre improvvisa, da delirio. Tentai di raffreddare la mia temperatura corporea, ma l'inferno aveva preso spazio dentro me. Che fine orrenda, pensai. Almeno Matt avrebbe vissuto a lungo. «No!» gridò qualcuno. Un urlo che mi giunse ovattato e distante, seguito da una parola antica: «Katharos!» urlato con forza, disperazione, paura. Un fascio di luce bianca mi investì come un'onda purificatrice, e io sentii i miei polmoni aprirsi, le braccia e le gambe libere, la vista nitida così come l'udito. Respirai a fondo, tossii e mi rimisi a sedere per quanto fu possibile. Guardai il cielo grigio e le gocce di pioggia inondarmi il viso. Tante lacrime solcarono il mio volto direttamente dalle nuvole.
Acquaria fu dietro di me e poi subito davanti. Matt mi trascinò via, mentre io, ancora sognante, mi capacitavo di quanto accaduto. «Sempre in mezzo!» sentii dire, e poi seguì un colpo sordo, contraccambiato subito. Lampi e luci colorate balzarono ai miei occhi, mentre due figure di donne schivavano e si muovevano l'una per uccidere, l'altra per difendere. Mi portò al riparo tra la torre F e la torre A. Meilì volò giù dalla mia stanza e Dave da quella di Ignes. Stringevano entrambi dei sacchi di stracci che diedero alla fata dei fulmini. «Dovete andare via» disse Mei. Poggiai la schiena contro la base fredda della mia torre. Mi portai le mani agli occhi. «Che cosa sta succedendo?» chiesi. «C'è stata una tregua. Non so quanto durerà ancora» ammise la ragazza. «Stephany è scappata con la zia» ci avvisò. Diventai paonazza dall'ira e tentai di alzarmi. «No» disse Dave rimettendomi giù. «Lasciala andare. È solo una pedina stupida. Abbiamo scoperto che ha fatto entrare lei il Megamyrapoda e l'esercito oggi. Ha solo eseguito gli ordini di Thalassa»
«Lo sapevo» sibilai in preda al furore. «Io la dovevo uccidere!» tuonai. «La dovevo uccidere alla fonte! Ma voi me lo avete impedito!» e scagliai la mia ira sull'erba, strappandone i fili e pezzi di zolle, imbrattandomi di terriccio. Esausta, mi puntellai sui gomiti e fissai lo scempio che avevo causato. A testa bassa, in ginocchio, mi ritrovai a fare i conti con i miei errori. «Io e Dave andremo nel regno delle sirene, e cercheremo informazioni su cosa è stato fatto da Thalassa a favore delle streghe» annunciò. «Ma quello è compito mio!» esclamai stanca. «No. Tu hai bisogno della benedizione di Antares. Sarai più forte. Mettiti in viaggio e libera la fata delle stelle, o per noi sarà la fine». Osservai la ragazza cinese dal basso. I suoi occhi di liquirizia non ammettevano repliche. Matt stava fasciando con una stecca la gamba di Ignes. «È già la fine...» sussurrai esausta, mentre osservavo il terriccio mescolarsi alla pioggia e diventare fango. Meilì si inginocchiò vicino a quel che restava di me. «Acquaria ti ha appena salvata dall'essere contaminata dal sangue di una strega. Ti ha salvata da una morte atroce e dolorosa. Ricambiale il favore e salva il regno dalla distruzione. Clhoe, ti prego. Sei la nostra unica speranza». Mi porse la mano, e io non la rifiutai. Raccolse la mia spada e la mia freccia, mi riconsegnò la prima insieme all'arco e alla faretra, ma non il dardo argentato. «La tengo io. Quando ci rivedremo la utilizzerò per farmi riconoscere. Ora andate». La abbracciai tra le lacrime, e abbracciai anche Dave. Osservai le torri, il prato sporco di sangue. Il mio stomaco si fece minuscolo e il mio cuore fu sul punto di esplodere. Avevo ancora molto da imparare da quella scuola, da quelle aule, dalla professoressa Callaway e dalle sue lezioni magiche. Dovevo ancora trovare la mia convergenza, dovevo ancora passare molte ore in biblioteca con i miei amici, a fare i compiti e a sentirmi parte del mio mondo. Ripensai alle nostre colazioni, ai nostri pranzi, ai duelli. Alle riunioni nelle sale comuni, all'entusiasmo di Tracy e Miranda. A Candace e al suo plumcake. Sentii un peso sul petto. Un peso enorme, soffocante. Matt mi prese per mano, aveva Ignes sulla schiena e mi portò via. Attraversammo in silenzio quei luoghi che amavo, fino a vederli sparire dietro il piccolo borgo. Nulla sembrava muoversi. Tutto taceva sospeso in un'inquietante atmosfera di incertezza, che sembrava pendere e oscillare tra la vita e la morte.
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