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Capitolo 41~ Onda e Tempesta

Ricordo un sogno che molto spesso facevo da piccola. Tutti sognamo di volare, tranne me. O meglio, non volare in senso stretto. Ogni volta che sognavo di essere in pericolo, o di provare una tale gioia da "spiccare il volo" immaginavo di nuotare e staccare il mio corpo dal terreno. Non aprivo le braccia, non usavo ali. Con qualche bracciata in stile libero sentivo che il mio corpo si liberava. E per quanto assurdo e bizzarro appaia, questo era uno dei segni che mi legavano al mio elemento. Ma all'epoca ero troppo piccola per sapere, troppo ingenua.
Ero immersa nell'oceano mentre facevo tutte queste considerazioni. Il fondale immenso si apriva sotto il mio corpo, minuscolo rispetto alla vastità della distesa salata. La salsedine mi lambiva il corpo di sirena e io percepivo ogni atomo della mia essenza liberarsi. Tutt'uno con il mare. Il cielo blu, sopra di me, mandava luce in acqua, ma questa risucchiava i raggi, e nel fondale c'erano solo le tenebre. Era talmente bello che pensai che stessi per fondermi con Pelagus, e pensai che per le fate fosse la fine più grandiosa. Torno a chi mi ha dato tutto questo.
In lontananza, poi, vidi delle figure scure nuotare tra le onde spumeggianti e profumate. Sembravano sinuose e perfette. Un canto, o forse dovrei dire litania, si propagò tra le onde e mi trapassò l'anima, nel profondo, cullandomi e catturandomi al tempo stesso. Sulle prime vidi delle pinne nere sbucare dalla superficie. Poi, tra i salti, si palesarono delle macchie bianche. Tre maestose orche si avvicinarono a me, rallentando la nuotata. Assassina veniva definita. Era in cima alla piramide alimentare, nessun predatore naturale cacciava queste creature. Libera e indomita l'avrei definita io. Mi azzardai ad accarezzare quella pelle liscia e scura, quasi finta, perfetta al tatto. Sembravano attendere un ordine, e portavano con sè il messaggio del mare più selvaggio tra le onde blu.
Sei degna. Sussurrò una voce dentro di me. Fu come ascoltare il loro canto e comprenderne le parole: una litania arcana e misteriosa che veniva codificata dalla mia mente. Per cosa? Pensai. Per ricevere il tuo fuoco fatuo. Lo scrosciare incessante dell'acqua mi reimpiva le orecchie. Ma non dovetti sentire con l'udito quella frase. Fu come essere marchiata a fuoco, un fuoco buono. E quell'orca, l'animale che stava davanti alle altre due, ai lati, cominciò a svanire e diventare fumo argenteo. Non sentii il bisogno di impedirlo. Sapevo che ciò che stava accadendo era giusto. La nebbia scintillante si dissolse in mare, e io sentii che qualcuno mi stava guardando e proteggendo. Le altre due creature mi passarono oltre, cozzando con i loro ventri bianchi contro la mia coda. Mi oltrepassarono, e, sempre cantando, sparirono dalla mia vista.

«Non dico che tua sorella sia cattiva. Ma è un po' pazza. Anzi, senza "un po'"». Dave infilzò la pancetta e la ficcò nel pane. Ero appena tornata dalla mia immersione e avevo i capelli ancora un po' umidi, perché avevo deciso di non usare alcun incantesimo. «Diglielo» lo sfidai. Scosse la testa con insistenza: «fossi matto. Illuminerebbe tutto a giorno e non permetterebbe nemmeno ad un'ombra di esistere». Gli diedi ragione, e poco dopo arrivarono gli altri. La scuola si era riempita, nonostante gli Otiosi Dies non fossero ancora finiti. Così la direzione aveva deciso di anticipare l'inizio delle gare di duello e di lì a poco avrebbero sorteggiato le coppie sfidanti. Io avevo deciso, dopo ore di trattative, di iscrivermi con Matt. Anche perchè l'alternativa era Stephany. Meilì si sedette vicino al ragazzo delle ombre, e lui decise di regalarci una delle sue perle. «Gente, sapete con chi sta in coppia questa dolcezza?» esordì con voce divertita e inarcando le sopracciglia. «Cooon me!» esclamò spalancando le braccia e indicandosi. «Oh! Wow!» fece finta di meravigliarsi Ignes. «Condoglianze» dissi a Meilì. «Ma non è tutto...» continuò. La fata dei draghi fissava il piatto, e stringeva in maniera molto pericolosa il coltello. «La nostra tattica...» sussurrò in tono enigmatico. «Sono...» gli occhi gli sorridevano, e sembrava un bambino esplosivamente contento. «LE OMBRE CINESI!». Matt scoppiò a ridere con le lacrime, Ignes provò a trattenersi ma alla fine cedette, Meilì si diede uno schiaffo in fronte e diventò paonazza, io assunsi una faccia a metà tra l'esasperato e il disgustato. «Amico...» sussurrò il ragazzo, morente per le risate. «Non farai sul serio...» lo rimproverai. Si passò un dito sotto l'occhio. «Era stupenda! Anzi, Dave, avvisami quando ne sfornerai un'altra»
«Contaci fratello» gli garantì entusiasta.
Finimmo di pranzare tra ipotesi e strategie. Prima di andare in aula magna per il sorteggio, noi capigruppo decidemmo di riunire le leghe. Dovetti litigare con la mia "collega" per tenere la riunione nella torre A.
Una volta arrivati tutti, il giardino pullulava di fate appollaiate sulle fontane o sui davanzali delle finistre più basse. Altre erano disposte a semicerchio per terra o sulle panchine. Alcuni ragazzi che avevano come elemento i venti se ne stavano sospesi per aria, e in poco tempo alcune zone furono investite dalla gelida Tramontana, o da un torrido e polveroso Libeccio. «Silenzio!» strillò la capogruppo. La sua voce stridula mi fece sanguinare le orecchie. Abbozzò un discorso pessimo, e nessuno la ascoltò. «Scusa, non sapevo nemmeno che stessi parlando» disse un'imbarazzata, ma sincera, Ilary. Salii sulla cima di una fontana a tre livelli affinché tutti mi vedessero. Taylor eseguì l'incantesimo di amplificazione sonora automaticamente. «Perché voi non lo fate con me?» Stephany sgridò i suoi legati. «Ragazzi» cominciai. «So che la sconfitta ci brucia ancora» ammisi. Parecchie teste annuirono. «Ma so anche che ora possiamo pareggiare i conti. Chiunque verrà sorteggiato deve far vedere alle altre due torri che non ci facciamo abbattere facilmente!». Era un discorso breve, ma tutti applaudirono e sembrarono convinti. Non ero una leader fantastica, ma almeno non permettevo che ci disgregassimo tutti per quel maledetto fallo. Quando scesi dalla fontana Matt mi mise una mano sulla spalla. Mi voltai e gli sorrisi. Non saprò mai se fu un caso, ma dati i soggetti ne dubito, fatto sta che vidi Stephany correre in modo plateale verso Criusos, e lui la ricoprì di complimenti per la sua leadership a voce estremamente alta. «Che ne dici di ignorarli?» disse Matt. «Ottima idea» risposi. Prima di avviarmi mi assicurai che tutti avessero del cibo da dare a Baloon, e infatti solo alcuni membri della lega F-T vennero morsi o sgridati dal secchio parlante. Sulla cattedra erano poste due bocce simili a quelle per i pesci, adagiate su due drappi, uno bianco, azzurro e argento, e l'altro verde, oro e arancione. C'era un semplice stemma a forma di scudo ricamato sopra ciascun tessuto, uno rappresentava a metà i simboli delle torri A e Æ, l'altro quello delle torri F e T.
Dave, dagli spalti in basso, mi vide e mi fece il saluto militare. Feci un gesto della mano come a dire "ma piantala!" e mi accomodai anche io. Non fu Acquaria ad estrarre i quattro nomi, ma la Callaway, che prima fece un preambolo del tipo "è solo un gioco, rispettatevi'' eccetera eccetera. Per il rispetto ci ritrovammo più o meno concordi, ma la questione del gioco non reggeva. Alcuni avevano visto negli uffici dei professori gli stendardi delle torri per cui tifavano, foto scattate nei pub da dove scommettevano sui vincitori. Da quel che sapevo, dopo l'amichevole, le tasche di alcuni scommettitori erano lievitate. Le puntate sulla mia lega erano scese, e ciò mi dispiaceva. La prima coppia estratta fu quella avversaria: Daniel Castle e Henry Torres. Si alzarono e andarono davanti la loro bandiera. «Elementi?» bisbigliai al mio ragazzo. «Mattoni e esplosioni». Pensai a chi potevo sperare uscisse, ma non mi venne in mente nessuno. Finchè la mano della Callaway si inabissò tra i fogliettini, rimescolò la carta e ne tirò fuori un pezzetto. Lo spiegò e scorse i nomi. La sua bocca si aprì, per poi richiudersi subito. Sembrava un pesce fuor d'acqua. Alcuni dalle prime file si sporsero per cercare di leggere, e lo stesso fecero i due sfidanti. La professoressa se ne accorse e appallottolò la risposta, rendendo vano il tentativo della fata degli specchi di posizionarne uno dietro di lei. «Storm e Fatillicis» sentenziò poi. Non sapevo se esultare o imprecare. Che fortuna, eh?! Scendemmo accompagnati da applausi e bisbigli, che cercai di mettere a tacere con occhiatacce sparate randomicamente.
Ci mettemmo davanti all'altro contenitore, mille occhi puntati addosso. Ignes, dall'alto della sua regalità, mi sorrise complice. Sembrava Floridiana, con la sua eleganza e grazia. Stringemmo le mani agli avversari e uscimmo.

«Cosa dovrei scegliere?» sbottai isterica alla trentesima volta che me lo chiedevano. «Sei un capogruppo, puoi fare quello che ti pare» rispose pacatamente Taylor. Scostai la tenda quel tanto che bastava a vedere quello che succedeva. Perla aveva preso il mio posto di rappresentante sulla pedana riservata ai vertici delle torri. Ignes e Lisa sedevano dall'altra parte del campo, dietro di loro sventolavano bandiere verdi e arancioni, nonostante la postazione fosse una sorta di casetta chiusa su tre lati. Le facce dei tifosi erano dipinte e le porte erano state aperte anche a chi non era più uno studente. «Non posso perdere un'altra volta» piagnucolai. «Non perderai» mi rassicurarono. Laura Castle disse che sarebbe stata a favore mio, aggiungendo e marcando l'avverbio "ovviamente". Daniel era lo stesso ragazzo che mi aveva aggredita ad addestramento, quindi potevo avere la mia rivincita. Ma che cavolo, il mio inizio non era stato dei migliori, avrei fatto un disastro anche ora. Chiusi la tenda e mi accasciai affranta sulla sedia. «Se perdo ancora mi dimetto» annunciai. «Bruceremo i moduli» rispose Steven. Abbozzai un sorriso, mentre lui e Taylor si scambiavano un cinque. Quando arrivò Phoebe non ci fu bisogno nemmeno di dirlo: mi alzai e rivolsi ai miei legati una faccia dispiaciuta, ma temo sembrò più che avessi la nausea. Infatti Caroline mi porse un secchio leggermente disgustata. Mi avviai, mentre il sole cominciava a calare, mandando comunque raggi abbastanza prepotenti. In controluce percepivo solo la folla di presenti strepitare e gioire, senza riconoscerne nemmeno uno. Arrivammo tutti e quattro insieme, al centro di un campo enorme di cui serviva solo una porzione minuscola. Non appena ci stringemmo le mani cadde il silenzio, e la voce di Kevin dominò la scena. «Coppia F-T, dichiarate mezzo ed elemento» ordinò. «Daniel Castle, fata dei mattoni. Userò la bacchetta» riecheggiò. Deglutii a fatica, ma cominciai a sentire l'adrenalina in circolo. «Henry Torres, fata delle esplosioni. Userò la bacchetta». Ciò non andava a nostro favore. Entrambi usavano gli oggetti, quindi avrebbero sicuramente iniziato loro. Intuii che tra loro c'era intesa e che avevano studiato la mia tattica, prima fra tutte la scelta di non usare la bacchetta. Kevin ci disse di proseguire. «Matthew Storm, fata dei fulmini, non userò la bacchetta». Lo guardai, i capelli neri scompigliati. Gli occhi di ghiaccio mi dissero che sapeva quel che faceva. Fu il mio turno: «Clhoe Fatillicis, fata dell'acqua, non userò la bacchetta». Fu decretato, come previsto, che iniziassero loro. Henry era un ragazzo alto e dalla pelle color cioccolato, robusto e muscoloso. Sembrava invincibile per la sua imponenza. Puntò un bastoncino scuro come la sua pelle contro di me, e una sfera gialla si formò sulla punta. Non passo molto tempo, e sollevando repentinamente il braccio mollò il colpo, che io prontamente bloccai sotto una cupola di liquido poco prima che toccasse terra, limitando l'esplosione. 1 a 0. Chiusi la mano a pugno e una colonna si sprigionò dal terreno, alta più o meno 2 o 3 metri. Matt unì i palmi e poi li allontanò lentamente, lasciando intravedere tante e veloci scariche. Si diffuse odore di tempesta. Depositò l'incantesimo nel fluido, che venne subito percorso da un lampo. Tesi le braccia in avanti e come un serpente si abbattè sugli avversari, e quando Henry tentò di fermarlo con una bomba io allargai le braccia e la mia colonna si divise in due, circondando il ragazzo e colpendolo. Il suo compagno era già stato preso. 2 a 0. Matt decise di segnare il terzo punto semplicemente evocando un fulmine, ma Daniel fu furbo e, dopo un turbinio di rettangoli d'argilla, costruì una capanna di fortuna ed evitò la folgore. «Dannazione!» esclamò. Ebbi il tempo di prendergli la mano per rassicurarlo. «Quale sarà la prossima mossa della lega F-T? Eccola! Henry fa esplodere il rifugio mandando mattoni ovunque a velocità incredibile! Il tempo per reagire è inesistente ma... OH CHE MOSSA! La suprema attira a sé il compagno... o forse dovrei dire fidanzato, ma non importa! Con un campo di forza a base di acqua riesce a salvarsi la pelle e aggiudicarsi il terzo punto! Cambiate quel segnapunti! 3 a 1 per la lega A-Æ!». Avevo il fiatone mentre la folla esultava. Non me l'aspettavo, ma in qualche modo l'avevo scampata. «Dammi un fulmine» ordinai al ragazzo. Sotto il suo sguardo perplesso presi l'arma, perché di quello si trattava, e la inglobai in una sfera azzurrina. Mi voltai e vidi i due avversari disporsi in modo strategico, spalla contro spalla, pronti a tutto. Per cui non mi rimase che alzarmi in volo: i bordi del cerchio si illuminarono di bianco, arrivando fino a me e disegnando un semicerchio di luce candida e simile a nebbia. Quando il bagliore cessò, con tutta la forza che avevo scagliai la sfera, che si diramò in un braccio acquatico, contro di loro, inondandoli e stordendoli. Il colpo fu talmente potente che si sentì un boato simile a un tuono. Quando tentarono, seppur in modo blando, di difendersi, Matt eresse una barriera lampeggiante ed estremamente elettrica, impedendo qualsiasi prova di contrattacco. 4 a 1. Poi avemmo un'idea simultanea e pericolosa, ma folle abbastanza da meritare di essere provata. Schiena contro schiena, ci circondai di una massa vorticante di liquido salato. Eravamo al centro di un tornado d'acqua, e lui protese le mani e fulmini violacei resero l'incantesimo elettrico e schioppettante. Era enorme: 10 metri di pura distruzione. Ci posizionammo poi di fianco l'uno all'altra e controllammo l'indomabile. Io tenevo le mani sollevate e controllavo tutta la struttura, il ragazzo invece si occupava di nutrire la tempesta dal basso, che lampeggiava e tuonava, conducendo elettricità ovunque, persino nelle gocce che si disperdevano nell'ambiente. Non avevo scelto l'acqua salata a caso. Turbinando e sibilando, il tornado si abbattè su Daniel e Henry, smontando qualsiasi struttura il primo tentasse di costruire, facendo sì che i mattoni stessi diventassero proiettili. E così siglammo la nostra vittoria, tra le urla dei tifosi e quelle di Kevin che si mescolavano alle grida di terrore degli avversari. Quando fui certa di aver ottenuto il quinto e fondamentale punto assorbii ciò che rimaneva della tempesta, limitando i danni. Matt era esausto e si sdraiò di peso sul prato, io invece mi sentivo onnipotente e saltellavo sul posto, pronta a rifarlo, ancora troppo presa per registrare di aver vinto. Fummo travolti da fate trionfanti, sollevati e fatti rotolare da un gruppo all'altro, mentre gli adulti davano il peggio di sé dagli spalti. Alcuni uccelli, sentendo il richiamo delle proprie fate, si riunirono e starnazzarono contenti. La fata degli usignoli fece intonare un canto proprio per l'occasione. Avevamo vinto, finalmente, e chissà quanto avevano guadagnato i più accaniti tifosi. Non fu raro sentire "vi amo!" e "siete stati grandi!", o anche "Il mio portafoglio vi ringrazia!". Fu divertente, ma solo dopo che i miei sensi e riflessi da battaglia si furono spenti, lasciando spazio al sollievo e al senso di leggerezza. Era come se avessi portato a termine il mio compito, e in effetti non si allontanava tanto da quell'idea. Mi sentivo così rallegrata che festeggiai insieme agli altri per tantissimo tempo, fino all'ora di cena. Il laghetto era diventato panorama di caos e ebbrezza, tanto che pensai di aver vinto tutto il torneo. Quando l'atmosfera goliardica si fu calmata un poco, Matt si avvicinò. Avevo qualche ragazzo delle torri intorno, e scemarono non appena lo videro, lasciandoci un po' di privacy. «E così abbiamo vinto» si congratulò attirandomi a sé e baciandomi la tempia. Gli sorrisi: «è stato... wow! Non ho parole, sembrava così importante che ho dato tutta me stessa e... e... non lo so!» ero ancora talmente euforica che non riuscivo a parlare. I suoi occhi parvero illuminarsi nel vedermi così contenta. Poi si infilò la mano in tasca e ne tirò fuori una bustina. Lo osservai incuriosita e lui, divertito, mi confermò che era per me, chiedendomi di aprirla. La carta era rossa fuori e marroncina dentro. Era un oggetto piccolo che tintinnava. Un campanellino, pensai sulle prime. Lo feci scivolare sul palmo della mano e quando lo vidi... beh rimasi ancora più basita. Una folgore dorata incrociata con un tridente argentato era il simbolo che aveva scelto per rappresentarci. Aveva davvero preso sul serio la storia del "figlio di Zeus/ Giove". Ero lì lì per commuovermi, ma mantenni un contegno, per quanto complicato. «È bellissimo...» sussurrai, passando un dito sul dettaglio appuntito del tridente. Con espressione soddisfatta, lo agganciò alla catenina della farfalla. Si avvicinò al mio orecchio e, in un soffio, disse: «ti amo». Sobbalzai leggermente, come per un lieve spavento. Non mi era capitato mai, e non sapevo come comportarmi. Lui si allontanò con delicatezza, per lasciarmi il tempo di elaborare, ma quando fu a 10 metri da me lo seguii, lo fermai per un braccio e dichiarai: «anche io».

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