Capitolo 14~ Sconosciuto
L'indomani mi svegliai, un po' scossa dalla conversazione/oracolo avuta con Brigitte, che aveva assunto un atteggiamento più umano. Era sempre distante, certo, ma non si muoveva più come un automa, e aveva iniziato ad interagire con tutti nel gruppo, me esclusa ovviamente.
A colazione Stephany mi aveva ricoperta di occhiatacce, che non mi fecero nè caldo nè freddo, ma l'essere indicata continuamente cominciava a stancarmi. Mi voltai e, a brutto muso, le chiesi se avesse qualche problema oltre a quelli che già aveva. Assunse una faccia disgustata, e girò quella testa di rapa dall'altra parte.
Stavo mangiando quando arrivò una professoressa dall'aria gentile e mi chiese di seguirla. «Salve Clhoe, io sono la professoressa Callaway, insegno magia elementare, ovvero quegli incantesimi che ogni singolo elemento può eseguire». Appena disse magia elementare pensai subito che si riferiva ad una gamma di incantesimi stupidi e banali, ma poi avrei voluto picchiarmi per essere stata così superficiale. «Come saprai il tuo elemento è abbastanza sopra la media» continuò sorridendo «e allora volevo comunicarti che eseguirai le lezioni di storia della magia e letteratura fantàsica in grado C, ovvero il più basso, mentre magia generale e magia elementare in grado A, il più alto. Per quanto riguarda alchimia e pozioni, due materie strettamente connesse, dovrai seguire delle lezioni prima in grado C, poi B, e infine A». Annuii senza dare troppo peso a quello che mi diceva, non per disinteresse, ma perchè non sapevo nulla di tutte quelle lezioni, e allora preferivo affidarmi a un'altra persona.
Eravamo in uno studio semplice, e notai che anche lei sul tavolo aveva il barattolo. Mi guardai le mani, non sapendo che fare, e notai un certo imbarazzo aleggiare nella stanza. Tutti quei nomi che aveva snocciolato non mi dicevano nulla, e quindi non avevo nessuna domanda per rompere il silenzio, eccetto cosa fosse tutta quella roba. Poi mi porse un foglio scarabocchiato da altri ragazzi che segnavano il loro nome: «Puoi scegliere due corsi per il pomeriggio, leggi pure cosa puoi fare con comodo».
Poggiò la schiena sulla poltroncina, ed estrasse da un cofanetto una bacchetta di agatha blu, iniziando a impilare i fogli con piccoli movimenti. Li scorsi tutti, ma alcuni, come "lettere d'altro mondo", non mi ispiravano molto e non avevo idea dell'argomento trattato. Altri invece, tra cui addestramento, mi allettarono subito. Per il secondo corso ero indecisa tra duello e antiche formule ma scelsi il primo. C'erano altre opzioni fra cui canto, mimesi, previsione, classici del regno e tante altre che non riuscii a memorizzare. Quando fui pronta mi porse una penna di un qualche uccello dal piumaggio marroncino screziato di bianco. Era una bella penna, ma era molto consumata. Una volta firmato osservò con stupore la lista. «Sei l'unica ragazza dei corsi che hai scelto, hai visto?» in realtà non ci avevo fatto molto caso, e anche se lo avessi fatto non mi sarebbe importato molto. «Il re stesso mi ha consigliato addestramento» dissi con una punta di orgoglio nella voce. Il fatto che Suavius mi appoggiasse, mi confortava e spronava a proseguire. Prima di uscire mi consegnò l'orario delle lezioni, con le rispettive A, B o C per i gradi che dovevo seguire.
La mia prima lezione era Magia Elementare. Una A troneggiava impassibile sulla carta e mi trasmise inquietudine. Rimasi a fissarla, e mi voltai per chiedere alla professoressa dove fosse l'aula, visto che l'insegnante era lei. Era sparita, i fogli che aveva riordinato disposte in alte pile che minacciavano di crollare da un momento all'altro. Non ero affatto tranquilla.
«Grado A?» disse Alga come se le avessi portato un unicorno d'oro (cosa che, dato il luogo in cui mi trovavo, poteva essere reale).
«Cosa ti aspettavi? È una suprema» le ricordò Perla, anche se non ce n'era alcun bisogno. Era difficile che passassi inosservata, come era altrettanto improbabile che la gente si scordasse che ero la-fata-più-potente-di-tutte e tanti saluti. Gli studenti si affollavano nei corridoi, e spingevano, schiamazzavano. Un uomo dall'aria gentile e un po' sognatrice stazionava dietro un banchetto sbilenco, tenuto insieme da scotch e pezzi di legno malconcio. Rispondeva indicando corridoi e porte a chiunque si fermasse a parlarci. «C'è Oscar» disse Perla con un tono piatto, che tradiva però un po' di insofferenza. «Persona negativa?» le chiesi, anche se non mi sembrava affatto così. «No... è solo un po' svampito e... strano... non so perchè sia stato riconfermato da Acquaria, ma immagino abbia avuto le sue buone ragioni» rispose facendo spallucce e Alga espresse il suo consenso all'affermazione dell'amica. «Una volta per pulire il pavimento invece di usare il detersivo ha usato lo scioglicatene. Dal piano di sotto si vedeva un buco grosso così» disse mimando con le braccia un foro enorme. Tuttavia, rimasi scettica. Immaginai che la parola "bidello" non fosse contemplata nel vocabolario fantàsico, così la tenni per me, associata al povero Oscar, che, a quanto avevo capito, aveva la testa tra le nuvole un po' troppo spesso. Ma faticavo a vederlo come un cattivo, così mi limitai a provare un po' di pena per quell'uomo così cordiale ma incompreso. Vidi Brigitte sfrecciare con Juditte verso un corridoio affollato, ma erano troppo distanti per vederci, e il caos era tale che non avrebbero sentito le nostre voci.
Mi voltai di scatto. Non capii subito il motivo, fu una reazione istintiva. Mi sentii sotto esame, osservata, a disagio. Vidi solo una massa confusa di persone, nessuno particolarmente interessato a me, se non per indicarmi e dire che ero davvero io. «Qualcosa non va?» mi chiese perplessa Perla. «No, nulla. Solo un'impressione sbagliata». Sorrisi imbarazzata, finchè non arrivò Criusos a salvarmi. Non che ne avessi bisogno. «In cerca delle aule?» disse avvicinandosi. Un po' troppo. Guardai altrove per scacciare il rossore improvviso che era esploso sulla mia faccia. «Dobbiamo andare a magia elementare» rispose Alga.
Mi accodai alla sua frase. «Ma non farmi ridere» disse il ragazzo ridendo. Gli rivolsi uno sguardo duro. «Non mi vorrai dire che sei un grado C?» la sua risata era solare, e quasi venne voglia di scherzare anche a me. Non era quello, tuttavia, il momento, perciò repressi il divertimento, e mi concentrai sulla sfumatura dorata che assumevano i suoi boccoli colpiti da un raggio di sole. «Sì, sono un grado A» ammisi colpevole. Mi sorrise calorosamente. «Non devi mica vergognartene». Poggiò una mano sulla mia spalla, e ammetto che trassi un minimo di beneficio da quel contatto. La campanella suonò, e Criusos indicò la seconda porta a sinistra sul corridoio in fondo alla sala, augurandomi buona fortuna. Lui andò nella direzione opposta, e anche Alga e Perla presero strade diverse. Venni spinta dal fiume di gente che a mano a mano sembrava venir risucchiata dalle porte stesse, inghiottita nelle pareti color rosa. Una ragazza mi diede involontariamente una spinta, ma qualcuno mi afferrò per il fianco, riportandomi nella giusta direzione. Quando la porta si richiuse alla mia destra c'era Meilì. Sorrise timidamente, e io balbettai un grazie. Mi guardò come se non avesse idea di quello di cui stessi parlando, e ne dedussi che non era stata lei. Mi guardai intorno, e tutti avevano già preso posto. Stephany era all'ultimo banco della fila centrale, accanto ad una ragazza dall'aria tonta e molto lenta. Rimanevano solo due banchi vicini, e per di più davanti alla smorfiosa. Respirai a fondo e mi sedetti vicino alla fata dei draghi. «Ma guarda, la reietta e la muta» ridacchiò. Mi voltai, avvertendo la sfumatura viola sul mio viso, sintomi di rabbia impellente. «Come mi hai chiamata?» ringhiai. «Erre e i e ti ti a. Reietta. Tua sorella ti ha schifata» disse in modo sgradevole. Non sopportavo che qualcuno nominasse mia sorella, non tolleravo nemmeno il suo pensiero, figuriamoci la sua voce stridula e insolente nominarla. Sbattei la mano sul suo banco. «Senti razza di idiota, io ti dis...» Meilì picchiettò sulla mia spalla. Mi voltai. La Callaway stava osservando con estremo interesse la scena. «Fatillicis, vedo che dovremo lavorare sull'integrazione... e sulla calma». Stavo per rispondere male anche a lei, ma non mi parve il caso. Mi sedetti, con una voglia disumana di spaccare il muso a quella teppista ingioiellata.
Fece una breve introduzione sulla magia elementare, dicendo che ogni elemento era speciale indipendentemente dal grado magico, dal subelemento a cui apparteneva e soprattutto indipendentemente da ciò che riguardava. «Commettiamo spesso l'errore di basarci sull'elemento di una persona per giudicarla. Come se considerassimo il suo stato sociale, o il colore della sua pelle per decidere se è buono o cattivo. So che la presenza di una certa persona» proseguì guardandomi facendolo apparire come un gesto casuale «vi sta condizionando, suscitando in voi timore, forse ammirazione. Vi invito a riflettere sul vero significato che la potenza magica ha sulle nostre relazioni, quanto essa può influire affinchè si creino nuovi legami, più o meno saldi. Trovo immensamente sciocco avere paura di una persona per ciò che la natura le ha dato».
Seguì qualche minuto di silenzio, in cui si udì soli qualcuno tossire. «Bene, prendete le vostre bacchette adesso». La guardai subito smarrita, e lei aprì un cassetto, estraendo un bastoncino argenteo. Non darmelo ti prego. Iniziai a sudare, e quando la posò sul mio banco mi venne un groppo in gola. Tremavo. Respiravo a fatica. Non avevo mai avuto un attacco di panico, ma sembrava che ne avessi uno proprio in quel momento. «Non posso...» dissi con un filo di voce. «Tutti possono» disse calma. Mi tornò in mente il dolore, la mano che si lacerava, il taglio, il sangue, lo sguardo smarrito di Coraline e quello preoccupato di Wendy, il suo ventre squarciato e le urla impotenti della sorella.
«Fammi vedere come te la cavi Clhoe, solleva il foglio». Raggelai. Solleva il foglio Clhoe. Stria. Echeggiava nella mia testa. I suoi occhi. La sua voce fredda e spenta. Il ghigno di Neridiana.
Guardai Meilì. Non sembrava per niente turbata mentre faceva svolazzare libri e penne, facendo in modo che ricordassero la forma di un drago. Facciamola finita. Mi dissi.
Presi la bacchetta. Era fredda. Ansimavo. La puntai sul foglio. Deglutii a fatica.
La situazione precipitò.
Sentii una scossa fortissima che mi fece tremare fino ai denti. Sentii freddo. Mi sembrò che la mia temperatura corporea si fosse abbassata da 36 gradi a 50 sotto zero. Vidi del ghiaccio sprigionarsi dalla mia mano, avvolgere la bacchetta, e crescere. Mi arrivò al gomito, e, dopo aver ricoperto completamente il banco, proseguì la sua corsa verso il pavimento, e se Meilì non si fosse levata sarebbe diventata una statua di ghiaccio. Le voci che tremavano arrivavano distanti, ovattate. La vista mi si offuscò, e sentii solo l'urlo della Callaway di uscire immediatamente dalla stanza, e le sedie che frusciavano, mentre la mano libera diventava bianca, pallida, simile a quella di un cadavere. «Matthew, esci subito fuori!» ordinò la professoressa.
Un ragazzo alto, slanciato, si mise davanti a me, e afferrò quella mano cadaverica che stentavo a credere fosse mia. «Sono qui» mi disse. Cercai i suoi occhi, ma mi sembrarono due macchie indistinte, incorniciate da capelli corvini e un po' troppo ribelli.
Avvertivo il ghiaccio propagarsi alla mia destra e sinistra. Battevo i denti, sentii il sangue scorrermi a fatica nelle vene. I sensi iniziavano ad abbandonarmi. Poi qualcosa cambiò.
Quando pensai che fosse tutto perduto ed irrimediabile sentii la sua mano scogliere il ghiaccio che avvolgeva la sinistra. Cominciai a respirare di nuovo, ma poi temetti di ricadere di nuovo in quello stato pietoso. Lui se ne accorse, perchè disse: «Non lottare contro te stessa. Lascia il tuo potere manifesti i tuoi sentimenti. E per favore, liberami il dito, sta diventando un ghiacciolo». Non so come, ma risi. E sentii di nuovo il calore diffondersi nel mio corpo, le voci e i rumori farsi più nitidi, proprio come le immagini. Il mio braccio si liberò non appena sentii un suono simile a quello di una finestra rotta. Il ragazzo, prima che potessi accorgermene, mi strappò la bacchetta dalle mani e la gettò lontata. Nella stanza eravamo rimasti solo io e lui.
Ci guardammo: l'azzurro dei miei occhi cozzò irrimediabilmente con quelle iridi grigie con riflessi celeste chiaro. Le sue mani stringevano le mie, e sembrò che fosse lui a donarmi calore, cosa che non era tanto improbabile. Avvertii il suo respiro calmo, e il mio che si stabilizzava. Una ciocca ribelle gli ricadde sulla fronte.
Era come se lo conoscessi da una vita, e avrei voluto perdermi per sempre in quegli occhi così distaccati ma familiari. Avvertivo la sua pelle profumare di vento e libertà, e lentamente, come se il tempo stesso stesse rallentando, avvicinò la sua fronte alla mia. Mi sommerse con il suo sguardo che evocava una tempesta indomabile, un cielo grigio a tratti sereno, un animo tormentato che però riusciva a mantenere la calma, a far in modo che il temporale non uscisse da quel corpo.
Le nostre fronti erano l'una attaccata all'altra, e mi parve di avere davanti il Mare del Nord, una distesa selvaggia d'acqua mista a cielo, una pozione letale che mi inchiodò ma che allo stesso tempo mi fece sentire libera. Emanava freschezza, una brezza che non avevo mai avvertito. La sua voce profonda, sicura, tranquilla, che sembrava provenire da un altro luogo, da un'altra dimensione disse: «Sei al sicuro adesso». Sorrise. Lasciò che studiassi il suo sguardo ancora un po', prima di sbattere le palpebre. Era la prima persona, oltre Ignes, che non mi dispiaceva avere così vicino. Avrei voluto che mi stringesse in un abbraccio forse. Mi sarei spinta oltre solo per capire se era possibile che una come me provasse un tale senso di tranquillità, misto a paura del nuovo, o meglio, dell'ignoto.
La porta si spalancò, e lui si staccò bruscamente, portandomi alla realtà troppo in fretta. Ero caduta nello smarrimento, proprio nel momento in cui mi ero calmata. Fece apparire una coperta dal nulla e mi ci avvolse, ma non teneva caldo tanto quanto le sue mani. Sorrise timidamente, e lo guardai allontanarsi tanto quanto Acquaria si avvicinava. «Per tutte le perle marine, benedetta ragazza! Stai bene? Sei ferita?» annuii sbalordita. Mi fece alzare e mi portò in camera mia, mentre mi lasciavo dietro una scia di sguardi curiosi e, lo ammetto, una parte di me.
Mi mise a letto, come se fossi stata malata, e scrisse una lettera alla regina in fretta e in furia, la mise nel barattolo senza nemmeno imbustarla e la spedì. Si muoveva agitata, farneticando sulla Callaway e borbottando: «Come è potuta accadere una cosa del genere, santo cielo, non va bene... non va affatto bene». Mentre la osservavo incuriosita, mi accorsi di avere stretta la coperta di... Matthew. Mi suonò dolcissimo quel nome, e mi riscossi subito, ricordandomi che dovevo mantenere un decoro personale. Ma chissà se avrei potuto chiamarlo Matt. Alzai gli occhi al cielo, e avrei voluto picchiarmi. La preside disse che sarebbe tornata dopo, garantendomi la massima riservatezza, ma non appena varcò la soglia irruppero nella stanza Alga e Perla. «Abbiamo saputo tutto... stai bene?» la direttrice alzò le braccia al cielo, sprolegando ancora un po' per poi sparire del tutto. «Sto bene, grazie per l'interessamento» dissi abbozzando un sorriso, ma ero davvero grata a quelle due ragazze. «Deve essere stato terribile» disse dispiaciuta Perla. «È stata soccorsa da Matthew Storm, parliamone» disse sognante Alga. Arrossii violentemente, ma non se ne accorsero, perchè Perla diede una gomitata all'amica e lei borbottò: «Che c'è? Chi non vorrebbe essere salvato dal bello e misterioso Storm?»
La guardò male, e lei tacque, massaggiandosi il braccio. «Clhoe, perdonaci per averti disturbata. Ti lasciamo riposare». Perla mi sorrise, e mi poggiò una mano sulla spalla, sfregandola con fare amichevole. Trascinò Alga fuori, mentre la ragazza riccia mi augurava pronta guarigione, chiarendo che non sapeva se fosse la cosa più adatta da dire. Quando rimasi finalmente sola, mi sdraiai sul letto, trovando conforto nella freschezza del cuscino. Troppe emozioni in un giorno. Avevo scoperto che davvero potevo controllare il ghiaccio, e il mio primo giorno di scuola era stato un completo disastro. Bussarono alla porta, e invitai Acquaria ad entrare.
Ma non c'era la preside dietro l'uscio.
«Sei venuto a riprenderti la coperta?» dissi drizzandomi in piedi. Lui sorrise, e io assunsi una delicata sfumatura viola. «Puoi ridarmela con calma, non c'è fretta. Puoi anche tenerla se vuoi. Ma non sono qui per questo... volevo sapere come stavi». Il suo tono era premuroso e accogliente, anche se temetti fosse solo una mia impressione. Ma lui era lì, e non potevo non illudermi anche solo per qualche istante. Quando si avvicinò provai quel piacevole senso di vertigine a cui stavo facendo l'abitudine. «Posso?» mi chiese quando fu in prossimità del letto. Annuii, e lui si sedette, composto. Feci lo stesso, lasciando tra me e lui una decina di centimetri di distanza, tanto per ostentare noncuranza. «Immagino ti sia chiesta cosa è successo». Mi colse alla sprovvista, quindi risposi: «Oh... sì... certo...»
In realtà l'unica cosa a cui avevo pensato era se potevo chiamarlo Matt e a quando l'avrei rivisto. Mi sentii immensamente stupida, e decisi una volta per tutte di darmi una calmata.
«La tua paura ha scatenato una potente reazione magica, ma hai gestito la situazione e ti sei ripresa in minor tempo del previsto».
«Ero terrorizzata» ammisi, senza troppa vergogna nella voce. Ero tornata la Clhoe di sempre, quella che affrontava i suoi problemi dicendo le cose come stavano. Ma di solito ammettevo solo a me stessa di aver provato sentimenti così poco eroici. Mi guardò preoccupato, voltandosi verso di me. «Ho fatto tutto il possibile per tranquillizzarti» disse in tono colpevole, come se avesse voluto fare qualcosa in più. «Sei stato eccezionale Matt, davvero» lo interruppi, senza pensare troppo al nome che usavo per rivlgermi a lui. Abbassai lo sguardo, e, con la cosa dell'occhio, vidi lui fare lo stesso. «Ho provato a darti tutta la calma che avevo. Ma poi, quando ho incontrato il tuo sguardo, ho pensato che nessun oceano potesse essere più profondo, e che nessun blu fosse più intenso. Ho avuto paura di perdere il controllo».
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