Capitolo 12~ Partenza
«Sei emozionata?» mi chiese Suavius, che aveva una vistosa benda bianca sul braccio. «Un po'» dissi agitata. «Ti farai subito un sacco di amici, ne sono sicuro» mi rassicurò facendomi l'occhiolino. «Dovrò ambientarmi, capire come funziona la scuola... mi sembra tutto così surreale se penso che ho da poco finito la scuola "terrestre"» gli confidai. «Ma questo è normale. Chiunque si sentirebbe spaesato» disse caricando un'altra scatola sulla pila di quelle già impacchettate. Era assurdo. Non avevo mai avuto così tante cose in vita mia da dover portar via. C'erano libri, vestiti, strani oggetti magici, e mi avevano assicurato che sarebbe arrivata altra roba. Non riuscivo nemmeno a ricordare il contenuto di ogni pacchetto. Mi domandai come facesse a sollevare tutto con un braccio solo. Non sarebbe stato più comodo con la magia?
Quattro scatoloni erano ben impilati all'ingresso della mia camera, e Rufus aiutò un ragazzo mingherlino a portarle al piano di sotto. Quel giorno sarei andata in accademia, e il pensiero mi spaventava. «Come funzionano le lezioni?» chiesi.
«Da quel che so la mattina si fanno le materie obbligatorie, tipo magia, storia fantàsica e alchimia, mentre il pomeriggio puoi scegliere tu. Io ti consiglio addestramento». Riflettei: «ma non ho mai impugnato una spada o usato un arco, anche se mi sarebbe piaciuto»
«Rimediamo subito» disse tranquillamente. Mi portò in una stanza che profumava di legno, e che riceveva luce da una piccola finestrella tonda in alto. Vi erano spade di ogni tipo e dimensione, pugnali, archi, faretre più o meno capienti e frecce adornate con piume diverse. Erano tutte appese alle pareti circostanti, e al centro vi era un tavolo con vari utensili per la manutenzione. Da uno scaffale prese un lungo cofanetto e lo posò sul tavolo.
«Da cosa vuoi iniziare?» mi disse indicando tutte quelle armi meravigliose. «Dall'arco» dissi senza esitazione, mentre sfioravo un intaglio raffigurante dei motivi geometrici in stile celtico. Lui guardò la sua collezione, e scartò subito quelli più elaborati e pesanti (adatti più a una mostra che a una battaglia) e ne scelse uno chiaro e maneggevole. Prese una faretra poggiata in terra, più consumata rispetto alle altre e ci dirigemmo in giardino.
Con la bacchetta disegnò un punto rosso su un albero, poi mi spiegò: «Il tuo corpo deve essere perpendicolare al bersaglio, e se dovessi tracciare una linea fra te e l'albero attraverserebbe il tuo piede destro» spostò indietro quello sinistro e mi disse di tenere la schiena dritta. «Quando incocchi la freccia, punta sempre l'arco verso il basso: in questo modo, se dovessi perdere la presa, potresti recuperarla subito e senza sprecarla. Fai attenzione che poggi qui» disse indicando un piccolo solco scavato nel legno. «Poi tendila usando tre dita: indice sopra e medio e anulare sotto. Perfetto, hai dei movimenti davvero fluidi» disse compiaciuto. Avevo teso l'arco senza problemi, e non avvertivo tensione nelle mie braccia. Ero perfettamente a mio agio. Ero nella posizione corretta, e ora non mi restava che prendere la mira. Chiusi l'occhio sinistro e feci varie considerazioni. Quando fui pronta la lasciai andare. Disegnò una linea retta fino a metà percorso, ma poi una raffica improvvisa di vento la spostò e si andò a conficcare sulla radice di un albero vicino. Sbuffai. «Le raffiche sono odiose, lo so. Ma sono sicuro imparerai a gestirle, così come la velocità del vento». In quel preciso istante arrivò Floridiana: «se il tiro con l'arco non fa per te puoi sempre provare lavori manuali. Insegnano discipline davvero gradevoli, come ad esempio ricamo o cucito. Io adoravo quelle ore». La guardai. Lei poteva avere la pazienza e la grazia di mettersi a cucire, ma io no. Sarei impazzita solo perchè non sarei riuscita a mettere il filo dell'ago.
«Riprova» mi disse una volta recuperata la freccia. Mi rivolse un sorriso d'incoraggiamento. Eseguii gli stessi movimenti di poco prima, ma anche quella volta il mio tiro venne spostato. «Non fa per me» dissi sconfortata. «Potremmo regalarti un aerometro» guardai Suavius perplessa, come se mi avesse detto la cosa più strana del mondo. «Un aerocosa?» chiesi caricando la mia voce di tutti i dubbi che quella parola aveva provocato. «Serve per misurare il vento, la sua intensità e direzione» intervenne la regina con fare esperto. «Ne farò realizzare uno per te. Hai del talento ragazza» disse il marito entusiasta. Mi sentii apprezzata davvero, anche se avevo fallito due tiri su due.
Dettagli. Pensai interiormente.
Mi battè una pacca sulla spalla con la mano sana mentre la moglie lo guardava apprensiva. Era palpabile la sua preoccupazione, ma cercava anche di non farlo emergere troppo. In fondo lui sembrava cavarsela benissimo. Restituii l'arco e recuperai la seconda freccia, e quando lui si voltò per tornare indietro si scambiarono un'occhiata carica di parole non dette. Non vedevo gli occhi chiari di Suavius, ma vidi l'oceano che era rinchiuso in quelli di Floridiana: emanavano grande passione ma anche turbamento. Se quegli occhi avessero parlato, avrebbero detto: "stai facendo una cosa davvero stupida ma pur sempre eroica". Ma ovviamente lei non si sarebbe espressa così.
«Clhoe per piacere, seguimi» disse riscuotendosi dai suoi pensieri, e io la seguii nello studio. L'odore di carta e inchiostro mi avvolse come una coperta. Scostò le tende per far entrare altra luce e solo allora ne notai una azzurra coprire qualcosa, forse una porta. La mia attenzione si spostò subito su di lei, che armeggiava con uno strano barattolo. «Cos'è?» chiesi incuriosita. «Questo» rispose indicando un cilindro di vetro, a cui erano avvitate due chiusure in metallo alle estremità ricche di decorazioni, «o meglio questi» proseguì indicandone uno identico, «sono due canali di comunicazione. Metti una lettera nel primo, lo agiti, e quella si materializza nel secondo. È un oggetto prezioso, abbine cura». Non ero molto convinta della mia affidabilità, ma da come ne parlava doveva essere indispensabile per la mia partenza. «Vorrei che mi tenessi aggiornata su quello che accade a scuola, dalle lezioni che frequenti, alle tue nuove conoscenze...» annuii. Non mi sembrava una richiesta improponibile, ed era il minimo che potessi fare per ricambiare tutto quello che facevano per me. «Tra qualche settimana dovremo discutere di una faccenda alquanto spinosa» mi avvertì in tono riluttante, e io temetti volesse ancora parlare di Ignes. «Si tratta del tuo ritorno sulla Terra Clhoe. Non è un fatto da sottovalutare». Rimasi stupita. Non avevo mai considerato seriamente un mio ritorno. Ero concentrata sul mio potere, sulla scuola. Sul fatto che avessero ucciso una ragazza davanti a me. Immaginavo ci fosse qualche strano incantesimo a protezione della "me" terrestre, e se nessuno si era posto il problema prima, perché farlo io?!
«Beh credo che come priorità io abbia la scuola...» azzardai. Non volevo tornare sulla Terra, anche se Viola iniziava a mancarmi. Sapevo tuttavia che non era in pericolo, e questo mi confortava. Per quanto riguardava l'incantesimo non avevo sbagliato di molto: «la farfalla ti dà un lasso di tempo più o meno lungo. Ad esempio, due o tre settimane qui corrisponderanno a 24 oppure 30 ore sul tuo pianeta».
«Credevo che il mio pianeta fosse questo» dissi un po' troppo duramente. Lei se ne accorse, e si spiegò: «questa è certamente casa tua. Ma temo che la Terra sia più sicura di questo regno». Mi sorrise riluttante, come se si sentisse responsabile della presenza delle streghe e delle loro azioni. Avrei voluto dirle che nonostante fosse lei la regina, non poteva avere il controllo sul tutto. Non la biasimavo per quello che era accaduto. Potevo solo ammirarla e imparare da lei, dalla sua saggezza, dall'amore che metteva in ogni cosa che faceva. «Riguardo la scuola, temo davvero che all'inizio dovrai avere un po' di pazienza. Il tuo potere richiede un'adeguata istruzione, per cui credo che dovrai frequentare delle lezioni a livello più alto e altre a livello più basso»
«Non fa niente» risposi, anche se non avevo capito molto cosa significasse.
Bussarono alla porta. «Avanti» rispose con garbo. «È tutto pronto Vostra Altezza» disse con altrettanta cortesia una ragazza bionda avvolta in una divisa da domestica. «Credo sia ora di andare se vogliamo arrivare nel pomeriggio» mi esortò radiosa. Mi sentii fremere, ma allo stesso tempo ebbi paura. Sarei stata lontana da lei e da Suavius, da Antares... se avessi avuto gli incubi chi mi avrebbe aiutata?
Pensai che il mio ultimo pensiero fosse davvero infantile. Purtroppo però non mi era mai capitato di essere così coccolata. Non avevo motivo di vergognarmi.
«Lascia che venga anche io» la supplicò Suavius sulle scale davanti al portone principale. «Non esiste» rimbombò intransigenza nella sua voce. «È solo Corallorosa, non andiamo in terre nemiche» tentò di rassicurarlo. Avrei voluto dire: "tanto ci sono io", ma io chi ero? Non sapevo fare nemmeno un incantesimo. La stessa carrozza che ci aveva portate nel regno dei draghi di fuoco era carica delle mie scatole. Provai compassione per quei poveri cavalli che l'avrebbero trainata. «Andrà tutto bene» gli disse usando quel tono che conoscevo. «Perchè non fate un incantesimo di dislocazione reale?» continuò lui ostinato. «Non serve... e poi il paesaggio è splendido» chiuse la conversazione in tono allegro, e mi disse di salire. Mi dispiacque per Suavius, che mantenne un'espressione da funerale finchè non lo vedemmo sparire in lontananza.
Buona parte del viaggio ebbe come colonna sonora lo sbattere degli zoccoli dei cavalli sul terreno, lo sfogliare delle pagine del libro che stava leggendo, e occasionalmente qualche voce. Era una giornata tranquilla di fine estate, e tutto procedeva per il meglio.
Al confine tra i due regni sobbalzammo. Floridiana smise di leggere e si affacciò in direzione del cocchiere. «Qualcosa non va?» chiese «Abbiamo solo preso un sasso» le rispose lui tranquillo. Io mi ero ritrovata dal sedile destro a quello sinistro, quindi cercai di ricompormi nel minor tempo possibile, assumendo una posizione per lo meno umana. Riprese a leggere senza badare molto a me. Pranzammo velocemente. Per lei era facile, teneva tutto sospeso in aria senza alcuna fatica. Io invece comune mortale soggetta alla gravità dovetti fare i salti mortali per non rovesciare tutto. Quando finii il pranzo fu un sollievo.
Arrivammo in una spiaggia, ed ero convinta saremmo scesi. Il cocchiere però non la pensava allo stesso modo: puntò il mare, e non sembrava intenzionato a cambiare direzione. Vuole ucciderci. Fu il mio primo pensiero. «Maestà non credo sia la strada giusta» dissi titubante. «Clhoe non mi sembra tu abbia esplorato l'intero regno» rispose lei noncurante. «No ma stiamo andando in mare...»
Non mi rispose neppure. La carrozza scivolò tra le onde, e iniziava a riempirsi d'acqua. Ora dovrà darmi ascolto! Pensai terrorizzata.
Continuava a leggere imperterrita mentre il livello di annegamento saliva. Quando l'acqua mi arrivò alla gola presi un bel respiro, imprimendolo nella memoria, perchè sapevo sarebbe stato l'ultimo.
Fummo totalmente sommersi. Lei continuava a leggere. Sentivo i polmoni cedermi e la testa girare, quando mi guardò con aria interrogativa e mi disse: «si può respirare Clhoe, smettila di trattenere il fiato»
«Respirare?» chiesi, poi mi tappai la bocca, per risparmiare aria. Dopo ancora riflettei: la sua voce mi era arrivata forte e chiara, e per niente ovattata come ci si aspetterebbe sotto il mare. Stavo per svenire, così tirai un bel respiro, convinta di riempire i miei polmoni d'acqua. Invece sentii aria pulita e un po' salmastra espandersi nel mio petto. Assurdo.
Ero sicura che non fossi neanche bagnata. Ci fermammo davanti a quella che avrei definito una bolla. La attraversammo senza molti problemi, e l'acqua che avevamo inglobato non riuscì a passare la barriera. Quando scesi ero in un prato verde e rigoglioso, mentre sopra di me splendeva il sole. Era assolutamente assurdo. Floridiana rispose al mio sguardo perso con queste parole: «È un incantesimo che riflette il clima sopra le onde. E tutto questo è protetto da una magia di isolamento. C'è una contea intera qui intorno». La sua voce era l'incarnazione della naturalezza.
Attraversammo delle mura di cinta, e le guardie si inchinarono quando la videro passare. La carrozza procedette per un'altra ora e mezza fra case e piazze. Poi prese una via poco frequentata ed arrivò davanti un palazzo meraviglioso: era interamente rosa e ricordava la forma del corallo. Le sue torri ricordavano le braccia dell'animale. Mentre scendevo osservai lo sportello della carrozza. C'era una grande ammaccatura, e sentii il cocchiere lamentarsi perchè avrebbe dovuto fare un viaggio più lungo per portarla a riparare.
Alla porta vi era una donna dai capelli rossi come le rose, e stringeva una bacchetta rosa pallido. «Floridiana!» salutò correndole incontro. «Da quanto tempo! E tu» disse rivolgendosi a me «devi essere la ragazza di cui mi parlava». Usò un tono cordiale, e le sorridevano anche gli occhi. «Prego, entrate» ci esortò indicando il portone. Il salone d'ingresso era da mozzare il fiato. Il soffitto era in madreperla, e le colonne di marmo erano circondate da piante marine. Sembrava di essere chiusi dentro una gigantesca ostrica. Da una finestra vidi quattro torri.
Osservai Acquaria muoversi tranquilla mentre salutava altre persone, e Floridiana la seguiva, seguita a sua volta da inchini e omaggi. Io trottavo dietro di loro per paura di perderle nel labirinto di corridoi e porte. Entrammo in una porta rossa e ci trovammo in uno studio elegante e professionale.
«Sedetevi» ci esortò ad un tratto più seria. «Acquaria, ci tenevo a ringraziarti per la tua disponibilità e...»
«Non serve» la interruppe mimando di scacciare le sue parole con un gesto della mano. «Per me è un onore aiutare la regina, nonchè mia cara amica» disse sorridendole. Mi accomodai su una soffice poltroncina bordeaux e per un attimo mi parve di venire inghiottita. Sul tavolo c'era una lettera aperta, chiusa con la ceralacca blu che conoscevo benissimo. «Come apprendo dalla tua lettera questa adorabile fanciulla è la fata dell'acqua... e per di più suprema... ma cosa ci aspettavamo da un elemento così raro e potente?» disse in tono ironico. Io speravo intendesse anche "adorabile" in tono ironico, perchè io, adorabile, non lo ero proprio. Ahahah, adorabile... no.
«La torre del gruppo A non è mai stata utilizzata, e le fate affini sono state smistate per lo più nel gruppo T. Ma c'è sempre una prima volta, per cui mentre l'edificio viene sistemato affiderei Clhoe in questa casa»
«Cos'è precisamente la T... la A...?» chiesi prima che Floridiana potesse rispondere.
«Allora Clhoe, esistono vari elementi, che si dividono in puroelementi, ovvero Aria, Terra, Fuoco e Acqua, e subelementi, tipo non so fiori, alberi... i subelementi fanno riferimento al loro puroelemento, e vengono collocati in un gruppo a seconda del loro potere: T se di terra, Æ se d'aria, F se fuoco, e A se di acqua». Annui, non era complicato. «Il tuo per ora è il gruppo T, ma poi verrai spostata in A ovviamente. Discuteremo delle tue responsabilità di puroelemento in seguito». Feci cadere nel dimenticatoio l'ultima affermazione. Non volevo problemi più ti quanti ne avessi avuti già per conto mio.
«Domani inizieranno le lezioni, e i libri ti verranno portati questa sera. La mensa si trova a sinistra della sala d'ingresso, e da questa sera potrai mangiare lì». Registrai le varie informazioni, ma tanto sapevo che mi sarei persa e non avrei cenato. «Bene allora» disse entusiasta Floridiana. «Vi accompagno a fare un giro della scuola» si propose Acquaria. Mi sarebbe tornato utile, quindi accettai volentieri. Mentre le due donne parlavano incontrammo una donna dai lunghi capelli biondi e una ragazzina della mia età della stessa lunghezza ma color platino, quasi bianco. Erano vestite entrambe da principesse, e non sembravano affatto a disagio mentre si davano arie altezzose. Mi avvicinai alla regina perchè quelle due persone mi irritavano, con i loro sguardi perfidi e pettegoli. «Floridiana!» disse la donna abbozzando un inchino. La ragazzina fece lo stesso. «Thalassa» le rispose cordiale. «Ti presento mia nipote Stephany». La vocetta stridula e fastidiosa della mocciosa sibilò: «Vostra Altezza, io sono Stephany Sterk, fata dello scirocco. Conoscerà sicuramente mio padre, suo fedele servitore». Lei annuì, ma a me sembrò più per farla tacere piuttosto che un "sì" sincero. «E lei?» disse indicandomi altezzosamente Thalassa. «Lei è Clhoe Fatillicis, fata dell'acqua e mia protetta» disse con una punta di orgoglio che forse avevo avvertito solo io. Stephany si avvicinò e mi osservò meglio. «Fatillicis? Non mi sembra un nome nobile... vero zia?» ma alla sua stupida domanda rispose pronta la regina: «la nobiltà non risiede nel nome». Proferì la frase in tono saggio e le pettegole ammutolirono, continuando però ad utilizzare uno sguardo scettico. «Con permesso» chiese infine. Mi lasciai Stephany Sterk alle spalle, con il preciso intento di non vederla mai più. Solo allora realizzai che il mio cognome era Fatillicis, e non Regis. Un altro legame in meno con la Terra.
Visitammo i laboratori, l'Aula Magna, la mensa (avevo possibilità in meno di perdermi), le aule e, ma solo da fuori, gli uffici di alcuni insegnanti. Mi dissero che c'era anche una biblioteca e dei campi di allenamento e addestramento, e che il giorno dopo avrei dovuto segnarmi a due corsi pomeridiani: uno da frequentare due volte a settimana, e l'altro tre volte.
Mi portarono a vedere le quattro torri. Quella di terra era formata da mattoni rossi e circondata da piante rampicanti. Si affacciava un un giardino pieno di fiori e vegetali più stravaganti, come un enorme fiore rosso, alto fino al secondo piano. Il portone era intagliato nel legno ed era sormontata da una grande T. Sotto di essa vi era il disegno di una pianta che, tramite ghirigori e decorazioni floreali, incorniciava la lettera con eleganza. La torre dell'aria era su una collina, ed emergeva per il suo biancore. Era circondata da un portico sorretto da colonne in stile ionico, riprese poi anche nelle finestre delle camere. Vi erano vari piedistalli su cui erano appollaiati pappagalli, corvi, falchi e altre specie di volatili. Nel disegno di una nuvola era racchiuso il simbolo Æ.
Più a valle, dietro la torre della terra vi era quella del Fuoco. L'edificio era ben mantenuto, con le colonne in porfido rosso, ma si vedeva che non vi alloggiava nessuno. Alle finestre non c'erano piante, come nel caso della terra, e il giardino, che sembrava immerso nell'autunno, con foglie rosse e gialle, non era attraversato da nessun ragazzo. La F era avvolta dalle fiamme di un disegno inciso nel marmo. Tra le fughe dove era passato lo scalpello, vi era incastonata un pietra preziosa arancione e rossa che ne ricalcava i contorni.
Arrivati alla torre dell'acqua rimasi incantata. Era circondata da un corso d'acqua e dietro vi era un lago cristallino. Il piccolo ruscello alimentava anche le numerose fontane nel giardino che la costeggiava, e la A troneggiava dentro il disegno di una goccia realizzata in zaffiri blu. Le finestre erano decorate con dei fregi che riprendevano il disegno della porta, e ai lati avevano delle colonnine a spirale in cui erano incastonate conchiglie.
Diedi un'occhiata alla torre del fuoco, vuota e solitaria. Immaginai Ignes illuminare la sua stanza con fiammelle e gemme di luce. Avrei voluto fosse stata lì con me.
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