CAPITOLO 18
Apollo apparve dall'unica persona che avrebbe potuto rispondere alla sua domanda.
Il comportamento di Percy era stato strano, e Apollo si rifiutava di attribuire tutto alla ragazza bionda.
Qualcos'altro doveva aver interferito con la decisione di Percy.
Sally Jackson aprì la porta con uno sguardo indecifrabile.
"Apollo."
"Signora Jackson. Riguarda Percy."
Senza una parola, Sally lo fece entrare, conducendolo in salotto e costringendolo a sedersi sul divano, dei biscotti blu davanti a lui.
"Cosa succede a mio figlio?"
Apollo, con un sospiro, descrisse quello che era successo con Annabeth e poi la reazione di Percy.
Quando ebbe finito, Sally sembrava incredibilmente triste. "Oh, mio piccolo e coraggioso Percy." La madre scosse la testa. "Non ne sarai mai libero?"
"Signora Jackson, cosa ha spinto Percy a comportarsi così?"
"Hai detto anche tu che è stato un comportamento strano." Sally rispose, guardando poi verso la camera di Percy, lo sguardo triste. "Percy ha affrontato molte difficoltà, Apollo. Non giudicarlo per aver preferito interrompere un qualcosa che per lui era solo e puramente fisico."
Apollo sbattè le palpebre. "Non ho voluto spingere per un qualcosa di più. Percy non era pronto per quello. Non lo è ancora adesso."
Sally annui, prima di sussurrare. "Ho fatto un errore imperdonabile a portare Gabe nella tua vita, Percy."
Apollo sollevò lo sguardo.
La donna non aveva voluto parlare o sfogarsi con Apollo, anzi, stava parlando con se stessa e chiedendo perdono al figlio, anche se non presente lì.
Ma perché Gabe, chiunque egli fosse, avrebbe avuto un ruolo nel facile ascolto che Percy mostrava verso Annabeth?
E perchè il nome era cosi familiare?
Poi, un ricordo riaffiorò.
"Spesso ci serve dare un nome alle nostre difficoltà." Apollo guardò Percy steso sul divano, che sbuffò divertito.
"Adesso stai tirando fuori citazioni a caso, Apollo." Percy gli lanciò contro un pop-corn, prima di chiedere. "E cosa dovrei fare? Dare un nome ai miei demoni?"
"Se non riesci ad affrontarli, Percy, non c'è niente di male a chiamarli in altro modo, per un momento." Apollo sorrise.
Era una delle loro prime sedute e Percy si rifiutava in alcun modo di aver mai subito traumi o dolori.
Il che era così falso che Apollo non aveva nemmeno bisogno di usare i propri poteri per sapere che Percy stava mentendo.
"Va bene. Li chiamerò Gabe."
Apollo sbuffò, divertito. "Di tutti i nomi, Gabe? Mi aspettavo il nome di un dio, o un Titano, invece."
"Nah, fidati, Gabe è il nome giusto." Percy annuì, gli occhi leggermente scuri, più neri che blu. "È assolutamente perfetto."
Dopo aver salutato Sally, Apollo svanì per apparire sull'Olimpo.
Sapeva che avrebbe trovato Ade lì, impegnato in qualche incontro con i suoi fratelli.
Il suo avanzare attirò lo sguardo di Poseidone, incuriosito dalla sua presenza e dell'assoluta serietà del dio del sole.
Apollo guardò lo zio. "Chi era Gabe?"
Ade socchiuse gli occhi. "Gabe chi? Mi servono più informazioni, nipote."
"Non so chi fosse, so solo che è legato a Percy." Apollo rispose e Ade sospirò. "Beh, c'è Gabriel Ugliano. È stato ucciso da Medusa dopo la prima impresa di Percy."
"Chi era?" Apollo chiese, la sua essenza che pregava di sapere di più.
Ade scosse la testa. "La sua anima è stata quasi reclamata dal Tartaro, tanto era malvagio. Per la sua crudeltà verso il figliastro e la moglie."
Poseidone strinse i denti. "Il figliastro e la moglie? Quel verme ha toccato mio figlio e Sally?"
Ade annuì, cautamente. "Non so molto di quello che ha fatto, le sue punizioni sono sempre peggiori. E cambiano ogni volta. Alecto ha deciso di prendersene cura personalmente."
Poseidone esclamò. "Voglio interrogare la sua anima, fratello."
"Aspetta." Apollo parlò, non arretrando quando lo sguardo furioso del dio protettivo si posò su di lui.
"So che deve essere orribile sentire che Percy ha sofferto." Apollo disse, prima di dire. "Ma non lo apprezzerebbe. Farlo sarebbe come un tradimento, per lui."
Poseidone ringhiò, prima di dire. "E cosa dovrei fare, allora?"
"Penso che la cosa migliore sarebbe parlare con lui di questo. Lui... lo apprezzerebbe molto di più, piuttosto che andare alle sue spalle."
Poseidone sospirò, cercando di contenere la propria furia.
Apollo aveva ragione.
****
Poseidone apparve nell'appartamento di Percy, sentendosi cambiare leggermente.
Di solito aveva un controllo migliore sulla sua forma greca.
La sua rabbia lo rendeva meno controllato.
Alzò un sopracciglio alla vista del pretore romano molto vicino a suo figlio.
"Perseo." Il dio parlò, facendo sussultare Reyna, che disse. "Pensaci e basta, Percy."
Fece un inchino verso il dio. "Lord Poseidone." e poi uscì dall'appartamento.
"Di cosa si trattava, figliolo?" Poseidone chiese, guardando Percy con sguardo attento.
"Non era niente, papà. Solo... un'idea... ci devo pensare bene." Percy scrollò le spalle e Poseidone annuì. "Molto bene."
Percy lo guardò incuriosito. "Hai già parlato con Kymopoleia? O hai bisogno di assistenza per parlare con tua figlia?"
Poseidone scosse la testa. "Parlerò con Kymopoleia insieme ad Anfitrite. Questo deve essere affrontato in modo attento."
Percy annuì, dicendo. "Si, in effetti, problemi così vecchi dovrebbero essere affrontati in famiglia. Forse dovresti chiedere anche a Tritone di partecipare? So che a Kym non piace tanto. Per il suo atteggiamento nei confronti di tutti gli altri, penso."
"Vedremo." Poseidone disse. "Ma non sono qui per parlare del mio rapporto con tua sorella, Percy."
"No?" Percy sorrise, inclinando la testa. "Ha di nuovo a che fare con me e Annabeth, papà? Perché siamo amici, non ci credo che devo ancora spiegarti questo."
"Riguarda Gabe."
Era sorprendente come qualcuno potesse cambiare così tanto.
Percy si chiuse, guardando il padre con diffidenza, ferendo il cuore del dio come niente altro avrebbe mai potuto fare.
"Non preoccuparti, figlio." Poseidone allora disse, rendendosi conto di come stesse mettendo a disagio il figlio. "Non c'è fretta. Quando vorrai parlarne, chiamami. Verrò sempre per te."
Con un ultimo sguardo al figlio, Poseidone sparì.
*****
Ogni volta che Percy aveva un problema, di qualsiasi tipo, il ragazzo andava a cercare Annabeth per avere il suo consiglio.
La ragazza aveva sempre ottime idee e avrebbe trovato soluzioni migliori a quelle che Percy avrebbe mai potuto pensare.
"Non ho capito perché ha dovuto fare così!" Percy esclamò, camminando avanti e indietro sotto lo sguardo dell'amica. "Questa si chiama invasione di privacy! Non poteva rispettare che non volevo parlarne? Perché ha dovuto scavare?"
Annabeth sbuffò. "Non so perché ti aspettavi qualcosa di diverso, Percy. Gli dei non hanno il concetto di privacy, quando riguarda qualcun altro." La ragazza scosse la testa. "E tuo padre è un dio, anche molto pericoloso. Invaderà sempre la tua privacy!"
"Ma non volevo parlarne!" Percy esclamò, allargando le braccia.
"E non capisco proprio perché." Annabeth scosse la testa. "Chiaramente non sai come superarlo. Avresti dovuto parlarne con me, così avrei potuto aiutarti."
Percy la guardò confuso e Annabeth rise. "Pensi che tuo padre ti abbia dato il permesso di parlare con me a caso? Ovviamente dovevi essere tu a cominciare il discorso, ma per farlo dovevo attirare la tua attenzione."
Percy la fissò, sentendosi freddo, vuoto, distaccato.
"Annabeth?"
"Oh, non guardarmi così!" Annabeth rise. "Ho solo fatto il necessario per iniziare un discorso con te!"
"In che senso, ho fatto il necessario, Annabeth?" Gli occhi di Percy iniziarono a scurirsi, sempre più somiglianti al colore del mare in tempesta, burrascoso e pericoloso.
"Senti, tuo padre non mi avrebbe mai fatto avvicinare, Percy." La voce di Annabeth aveva una tonalità di te lo avevo detto che, sebbene usuale nella ragazza, in quel momento feriva e sconvolgeva il semidio, "avevo bisogno di un modo sicuro per portarti da me, per farti iniziare una discussione con me. Ovviamente, usare un territorio comune era la soluzione migliore, e evocare i morti era qualcosa che entrambi condividevamo ed era qualcosa che nemmeno tu avresti potuto perdere."
Percy ringhiò, la sua voce che si abbassava ad un sussurro. "E parlarmi era una soluzione troppo assurda, secondo te? Fermarti dove ti avrei visto?"
"Non potevo essere certa che funzionasse," Annabeth sbuffò, "se non fossi stato così sotto il controllo di due dei, forse avrebbe potuto essere una soluzione. Ma eri solo un burattino nelle loro mani, e dovevo assolutamente riportarti nel giusto percorso."
"Il tuo," Percy disse, la voce gelida, "intendi, il tuo percorso."
"Che è il migliore per te!" Annabeth urlò, agitando le mani. "Ovviamente non sei capace di prendere le decisioni in autonomia! Ti ho lasciato scegliere per una volta, e ti sei trovato ad essere il manichino per due dei! Tu! Puoi davvero avercela con me per aver fatto la decisione migliore? Prendermi cura di te, visto che non ne sei capace?"
"Non è il tuo posto!" Percy esclamò, al sua rabbia che raggiungeva picchi mai sfiorati prima. "Non sta a te dirmi cosa fare o come comportarmi, Annabeth!"
La sua rabbia fece rispondere l'aria intorno a lui, forte raffiche di vento che iniziavano ad alzarsi, rispondendo al loro signore.
"Avresti dovuto rispettare la mia privacy!" Percy esclamò di nuovo, gli occhi ormai il colore del blu torbido, il colore dei fondali marini più profondi e pericolosi, il colore delle tempeste che affondavano i marinai ignari, "Avresti dovuto farti gli affari tuoi, confidare che io facessi da solo le mie scelte!"
"Ma non avresti scelto quello che volevo io!" Annabeth rispose, ignorando il vento, prima di dire, la voce che si abbassava, in un mormorio consolatorio. "Lo capisco, Percy. Non hai avuto una guida, e adesso sei allo sbando. Ma sono di nuovo qui, non devi fare più affidamento su di loro."
"Su mio padre?" Percy sorrise, un sorriso crudele sul viso solitamente gioviale del ragazzo, "Pensi davvero che ti sceglierei sopra di lui? Che non ha indagato sul mio passato, ma che ha cercato di farmi aprire, di consolarmi?"
"Non me ne hai parlato!" Annabeth rispose, allargando le braccia, insofferente. "Come avrei anche solo potuto confortarti?"
"Hai visto com'era!" Percy rispose, indicandola. "Hai sentito le sue interviste! Come parlava di me! Della mamma!" Percy aveva il fiato corto, il vento che ormai infuriava intorno a loro due, agitando persino le Naiadi nella Baia. "E quando hai saputo con certezza quello che ha fatto, hai voluto manipolarmi! Hai usato le sue tattiche e le sue parole!"
Annabeth, finalmente, si rese conto della tempesta che infuriava intorno loro. Spaventata, sentendo per la prima volta il vero terrore, fece un passo indietro, allontanandosi dal semidio sconvolto. Per la prima volta, si sentì davvero in trappola, dal momento che la persona che avrebbe potuto salvarla in quel momento era la stessa da cui doveva difendersi.
"Percy, fermati!"
La voce di Rachel fece fermare il semidio, allontanandolo dalla sua ira, e concentrandolo sulla voce dell'amica.
"Percy, non ne vale la pena, fidati di me."
Percy guardò Annabeth, lo sguardo duro, freddo, gelido. Poi, annuì, lasciando che Thalia e Rachel lo portassero lontano dalla ragazza sconvolta.
Seduto nella grotta all'avanguardia di Rachel, godendosi il fresco della cavità, Percy si accorse di tremare, sentendosi caldo e rigido, i denti digrignati. Con un profondo respiro, il ragazzo cercò di controllare le proprie emozioni, di non lasciare ad essere il potere di dominarlo, ma di essere lui colui che era al comando di se stesso.
"Cos'è successo, Perce?" Thalia chiese, la sua voce estremamente preoccupata, lo sguardo che si corrucciava, percorrendo attentamente il viso del cugino.
"Lei sa." Percy sussurrò, abbassando la voce a un sussurro, questa volta la sconfitta evidente nella sua postura. Le spalle abbassate, lo sguardo rivolto al pavimento, le braccia strette intorno al petto, come a proteggersi dall'esterno, e, al contempo, a non attirare l'attenzione.
"Sa cosa?" Rachel chiese, prendendogli una mano tra le proprie.
"Sa di me. Sa di Gabe." Percy rispose e le due ragazze si scambiarono uno sguardo.
"Chi è Gabe?" Thalia chiese, la voce che diventava ansiosa, alla ricerca di eventuali ferite sul corpo del cugino, inconsapevole che le ferite erano più profonde, ed invisibili allo scrutinio esterno.
"Il mio primo patrigno," Percy rispose, spiegando, "mamma lo ha dovuto sposare per proteggermi dai mostri, dal mondo greco. Lui... non gli piacevo molto."
"Ti ha mai ferito?" Rachel chiese, la voce che si faceva di ghiaccio, "Può ancora farlo?"
"No, mamma se n'è presa cura." Percy sorrise, il sollievo nel suo tono evidente, così come il dolore profondo, appena sotto la superficie, "l'ha pietrificato con la testa di Medusa. Se n'è andato. Non può più farci del male."
Thalia si fece avanti, sperando di riuscire a controllare la propria rabbia, e strinse a sè il ragazzo, sentendosi stringere il cuore quando si rese conto che stava piangendo sulla sua spalla, i singhiozzi silenziosi di chi era abituato a nascondere il proprio dolore.
"Perce..." Rachel mormorò, stringendogli più forte la mano.
"Non è giusto. Annabeth non aveva diritto a chiedergli cosa mi aveva fatto, il modo migliore di controllarmi." Percy alzò lo sguardo pieno di lacrime. "Sono stanco di fingere di essere stupido per rassicurare gli altri, non è giusto. Sono così stanco."
Thalia lo lasciò lo stretto necessario per guardarlo negli occhi. "Allora smettila, Perce. Smetti di fingere. Non ne vale la pena."
Percy sbattè le palpebre, i suoi occhi che sembravano il mare estivo, calmo e fresco, estremamente lucidi attraverso le lacrime. "Come faccio?"
Rachel sorrise, rispondendo. "Sii solo te stesso, Percy. Non serve altro."
Angolo autrice
Headcanon: gli occhi di Percy cambiano quando il suo umore cambia.
Spero che il capitolo vi piaccia!
Alla prossima
By rowhiteblack
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