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37.

Giro e rigiro tra le mani la busta bianca con la testa appoggiata all'albero sotto il quale sono seduta da ore. Tornare qui dove io e Henri ci siamo incontrati, o meglio, dove lui mi ha dato appuntamento, per la prima volta, mi ha sempre fatto stare bene. Oggi, però, oltre a sentire maggiormente la sua mancanza, mi sento anche in colpa per la decisione che, in fondo, so di aver preso dal primo istante in cui ho aperto quella busta tre giorni fa anche se non voglio ammetterlo. So che, razionalmente, è sbagliata, ed è per questo che non ho fatto altro che rimuginarci sopra. Mi sono sforzata di trovare delle motivazioni per non cogliere l'occasioneche mi si è presentata ma tutto ciò che ho trovato non è abbastanza valido dafarmi desistere. Nemmeno l'idea di non passare gli esami mi spaventa e non è da me.

Se Henri si fosse limitato a chiedermi di raggiungerlo a parole, probabilmente avrei trovato il coraggio di rifiutare fino alla fine senza rimorsi; ma il biglietto aereo che ora stringo tra le dita non mi permette di trovare altre scuse, né di continuare a nascondermi dietro gli esami imminenti. Perché la verità è che mi dispiace. Mi dispiace per la mia famiglia che lascerò all'oscuro di tutto, per Maddie che si arrabbierà a morte quando scoprirà che sono dall'altra parte del mondo senza averle detto niente, per Vic che rimarrà molto delusa da me e dalle mie alzate di testa. Mi dispiace per tutti tranne che per me. E credo che sia proprio questo a non darmi scampo. Cosa ci faccio ancora qui?

Accarezzo il tronco per qualche istante, immaginandomi stesa qui affianco mentre Henri mi fa il solletico, come due anni fa, così mi ricarico di energia positiva prima di tornare in dormitorio e affrontare la furia della mia coinquilina.

«Che stai facendo?», mi chiede vedendomi posare il mio adorato trolley verde bosco sul letto. Mi ricorda gli occhi di Henri, quelli in cui non vedo l'ora di perdermi di nuovo.

Accidenti, anche una stupida valigia mi rimanda a lui, sono un caso irrecuperabile!

«Preparo la valigia», rispondo seccata senza distogliere l'attenzione dal contenuto del piccolo armadio che abbiamo in comune.

«Ma davvero?!» ribatte sarcastica. «Hai cambiato idea e torni a Manchester per il week end?» mi guarda da sopra il libro che stringe tra le mani.

«No, vado a New York», la informo con nonchalance, come se le avessi detto che vado a fare la spesa anziché oltreoceano.

«New York ne-negli Stati Uniti?» balbetta prima di fissarmi e rimanere a bocca aperta. È visibilmente sconvolta.

«Ne conosci altre?» alzo un sopracciglio, un po' scocciata. Mi metto sulla difensiva perché so già quale sarà la sua reazione.

«Stai scherzando, vero?» sento il suo sguardo accusatore su di me mentre si alza di scatto dal letto e mi raggiunge con due falcate. Ecco, appunto.

«Anni, non torni a casa da settimane per non avere distrazioni e poi parti per gli Stati Uniti a pochi giorni dall'esame più importante del tuo corso? Ti prego, dimmi che non sei così stupida» strilla incredula. Le sue parole mi feriscono ma, in fondo, la capisco. Al suo posto, avrei probabilmente detto di peggio. Di sicuro lo avrei pensato.

«Ho bisogno di vederlo», rispondo semplicemente continuando ad impilare magliette e jeans. O almeno, è quello che tento di fare. Sono talmente agitata che non faccio che piegare vestiti, metterli uno sopra l'altro e poi spiegare tutto e ricominciare da capo, insoddisfatta.

«Non puoi aspettare la fine del tour?» prosegue il suo tentativo di persuasione.

«Hai idea di quanto tempo manchi ancora? È passato un mese da quando è partito, non resisto un altro mese e mezzo», scuoto la testa come una bambina che vuole a tutti i costi un giocattolo. Abbasso lo sguardo, vergognandomi un po' per la reazione. Da fuori devo sembrare davvero infantile, ma non posso farne a meno. Ogni giorno che passa senza che io lo possa vedere o toccare mi sento soffocare un po' di più. E non c'è verso che io riesca a concentrarmi su qualunque altra cosa. A parte la valigia che sto riempendo alla rinfusa. Su quella potrei concentrarmi totalmente - prima finisco prima potrò uscire da qui e tornare a respirare - se solo la mia compagna di stanza smettesse di assillarmi.

«Da quando lui è diventato così indispensabile per te? In passato non vi siete visti per periodi molto più lunghi e non ti è mai venuta l'idea di rischiare di buttare all'aria tutto quello per cui ti sei impegnata tanto», mi si mette davanti, interrompendo il mio andirivieni per la stanza e mi fissa con un'espressione che non riesco a definire. Un misto tra delusione, preoccupazione e rassegnazione che mi trapassa da parte a parte come una lama affilata. Ma non ricambio il suo sguardo per più di qualche secondo, non voglio rischiare di leggervi dentro qualcosa di più negativo.

«Non sto mica lasciando l'università», cerco di ridimensionarla, «starò via solo qualche giorno», la aggiro infilandomi in bagno a prendere spazzolino, dentifricio e i prodotti per la doccia. Dov'è finita la mia spazzola?

«Almeno aspetta di dare questo esame», ci riprova con più calma seguendomi.

«Vic, devo andare», lo dico forse troppo bruscamente ma i miei occhi la supplicano di non insistere e di cercare di capirmi.

Lei spalanca la bocca come se avesse appena fatto la scoperta più sorprendente del mondo.

Io, terrorizzata dalla sua reazione, sgattaiolo via e mi rimetto a prendere cose per tutta la stanza e lanciarle sul letto senza un vero e proprio criterio.

«Ti sei inna...», boccheggia.

«Non lo dire», la interrompo alzando un braccio verso di lei e inchiodandola con lo sguardo. Non è il momento, non ho la giusta lucidità per affrontare questo pensiero, né tantomeno per parlarne apertamente con lei o anche solo con me stessa.

«Non dirlo ad alta voce non lo rende meno vero», obietta con un mezzo sorriso avvicinandosi.

«Lo so», abbasso il braccio sospirando sconfitta, «ma non voglio complicare ulteriormente le cose. Ho bisogno di staccare per un po'». Cerco di trasmetterle tutto ciò che ho dentro senza usare parole, solo con uno sguardo. Interrompo il contatto visivo solo quando lei annuisce appena, addolcendo l'espressione tesa che ha tenuto fino a quel momento e mi lascio cadere sul letto, sfinita neanche mi fossi allenata per ore in palestra. Non che io sappia davvero cosa voglia dire, chi ci è mai entrato in una di quelle gabbie piene di attrezzi infernali.

«È per i tuoi genitori?» mi chiede titubante. La guardo sorpresa. Non capisco come faccia a saperlo, non le ho raccontato nulla della ricorrenza o del sogno.

«Cosa, come lo...?» farfuglio confusa.

«Ho sentito che ne parlavi con Maddie via Skype l'altro giorno. Giuro che non volevo origliare ma il volume era alto e mentre stavo rientrando in stanza... ma saranno stati al massimo venti secondi, non di più», si affanna a giustificarsi gesticolando nervosamente con le mani. «Mi dispiace, non volevo farmi gli affari tuoi», aggiunge quasi disperata.

«Non importa», le sorrido brevemente. Sono io che mi sento in colpa per non averle detto niente, in fondo, ormai, lei fa parte del nostro club esclusivo (talmente esclusivo da essere composto da sole due persone, tre con lei) quindi essermi aperta, se pur solo parzialmente, con Maddie e non con lei, equivale ad averla volontariamente esclusa dal trio. «Se non te ne ho parlato io direttamente è perché speravo di lasciarmelo alle spalle senza strascichi. Non volevo dirlo neanche a Maddie ma sai com'è fatta, è impossibile tenerla buona quando fiuta qualcosa e ovviamente ha capito subito che non era tutto come sempre».

«Beh, era impossibile non accorgersene. Negli ultimi giorni sei stata assente, silenziosa. Immagino che tu non sia riuscita a dimenticare del tutto quel sogno», si siede accanto a me e poggia una mano sul mio braccio, come ad infondermi un po' di forza. Come a dire io sono al tuo fianco, puoi contare su di me. La sua delicatezza nello starmi vicino e nel supportarmi sempre, senza mai pretendere nulla, mi scalda il cuore.

«Diciamo che sto facendo più fatica del solito a scacciare i fantasmi del passato», ammetto passandomi una mano sul viso, come se potessi schiarirmi le idee solo con questo piccolo gesto. Questa volta li ho involontariamente lasciati avvicinare troppo, voltarmi e lasciarli indietro sembra non essere abbastanza efficace.

«È per questo che vai da lui», mormora piano. Non credo sia una domanda ma una semplice constatazione. Comunque, annuisco e non riesco a trattenere un sorriso. Solo al pensiero di poterlo rivedere entro poche ore, il petto mi scoppia di gioia, l'emozione è impossibile da contenere.

«Sa curare le mie ferite in un modo che non credevo possibile e ti assicuro che questa cosa mi turba perché io sono abituata ad affrontare tutto da sola. Rendermi conto che questa volta io non basto mi fa sentire impotente, incapace di avere il controllo della mia stessa vita. Eppure, ho davvero bisogno di allontanarmi da qui, di raggiungerlo».

Lei sospira, come se, esasperata dal suo continuo piagnucolare, avesse appena concesso l'ennesimo capriccio alla bambina di prima.

«Scusa se ti ho aggredita prima. Voglio solo evitare che tu soffra», confessa aiutandomi a chiudere il trolley. Le sono davvero grata per la comprensione, per l'affetto e la pazienza che ha sempre avuto con me. Non deve essere facile starmi vicino in questo periodo, a livello emotivo mi sento costantemente sulle montagne russe e il mio umore non può che risentirne e ricadere sulle persone che mi stanno a stretto contatto.

L'abbraccio forte prendendola alla sprovvista e la ringrazio in un sussurro.

«Facciamo così», continua quando ci stacchiamo, «d'ora in poi mi sforzerò di appoggiare le tue decisioni. Ti dirò quello che penso, se vorrai, ma sarò comunque dalla tua parte. Non che io non lo sia sempre stata, dalla tua parte intendo. Magari ho uno strano modo per dimostrarlo però...» non riesco a reprimere una risata di pancia. Vic dice sempre cose a caso quando si agita e muove le mani come un prestigiatore durante un numero d'illusionismo. Non si è nemmeno accorta di aver cominciato a parlare in italiano, ad una velocità supersonica per di più. Credo di aver capito al massimo cinque parole di tutto ciò che ha blaterato.

«Lo sai che stai parlando a vanvera, vero?» le faccio notare prima di riprendere a ridere.

«Mi sono lasciata un po' andare», ammette con una linguaccia. «Però una cosa deve essere chiara», si fa improvvisamente seria, «l'importante per me è che tu sia felice».

«Lo sono», confermo con un pizzico di emozione e un gran sorriso.

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Ehilàaaaa!
Questo capitolo mi ha fatto dannare, alla fine l'ho pubblicato per smettere di modificarlo continuamente 🤦‍♀️ [mano che sbatte sulla fronte]
Ve l'aspettavate il regalo di Henri? Avevate previsto che avrebbe fatto qualcosa dopo la sua ultima conversazione notturna con Annie? Non credete anche voi che Annie si stia Maddizzando un pò con tutte le rispostine che ha dato a Vic e l'atteggiamento un pò sostenuto... Ahahahaah
Cosa vi aspettate dall'imminente weekend in suolo americano?

Lo scoprirete prestooooo 😘

Z.

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