Capitolo quaranta
Lauren non sarebbe neanche uscita di casa, se non fosse stato per quell'imprevisto. Il pacchetto di sigarette era finito, le ultime dieci che le restavano le aveva fumate una dietro l'altra, stravaccata sul divano, con i soliti vestiti indosso da tre giorni.
La verità era che non solo era precipitata nel burrone, non era neanche riuscita ad aprire le ali, a salvarsi prima dello schianto. Si era spiattellata a terra alla notizia che Camila le aveva scaraventato addosso con tanta leggerezza, in completo contrasto alla pesantezza con la quale Lauren la sentiva gravare sul suo petto.
E adesso era lei ad evitare Camila. Non lo faceva di proposito, ma in qualche modo doveva pur salvarsi, no?
Rivederla, guardarla negli occhi, stringerle la mano, erano tutti gesti senza i quali non avrebbe saputo sopravvivere giorni prima; ma adesso erano proprio quelle abitudini che le laceravano il petto. Sentiva come uno strappo quando pensava che non le sarebbe rimasto niente da vedere, alcun sguardo da vezzeggiare, nessuna mano da intrecciare. Ciò che prima la faceva stare bene, adesso la uccideva.
Aveva bisogno di nicotina e solitudine: due pillole che se prese in quantità eccessiva possono ferire più che lenire il dolore. Ma questo non importava a Lauren, lei nemmeno ci pensava. Prima agiva, poi valutava le conseguenze. Ecco perché si trovava sempre in mezzo ai guai.
Aveva comprato le sigarette -senza tradire la marca che prediligeva- e, dopo averne sfilata una e portata alle labbra, si era incamminata sulla strada di ritorno, a capo chino e le mani nascoste nelle tasche del giubbotto.
Era uscita solo per dieci minuti, forse venti, ma non di più. Ecco perché si sorprese nel trovare Camila seduta davanti al portico di casa, con i gomiti poggiati sulle ginocchia, il mento adagiato sui palmi, lo sguardo basso e sconsolato.
Si era fermata un attimo, indecisa se tornare indietro o meno, ma le iridi color cioccolato dell'altra l'avevano già inchiodata al suolo.
Lauren non stava scappando da Camila, ma da ciò che comportava il raffronto. Non voleva che partisse per Cambridge, ma sapeva che era sempre stato il suo sogno e non si sentiva di incenerirle le ali proprio adesso che aveva spiccato il volo, però... però era dannatamente difficile pensare a quanta distanza sarebbe intercorsa fra di loro.
Non avrebbe più potuto proteggerla. Se qualcuno l'avesse presa in giro, se un ragazzo avesse pattuito una stupida scommessa con i suoi amici, se un altro le avesse fatto cadere di proposito i libri o il vassoio in mensa. Lei, per la prima volta, non ci sarebbe stata. E non è che credesse che Camila non poteva cavarsela da sola: era consapevole che la cubana riuscisse sempre a districare i nodi. No. Lauren sentiva la necessità di proteggerla, un istinto pulsante che le scuoteva gli organi e le faceva tamburellare il sangue nelle tempie.
Nessuno. Nessuno poteva ferire Camila senza che Lauren fosse lì a proteggerla.
Non la spaventava tanto il fatto che la sua amica sarebbe stata sola, era terrorizzata all'idea che lei stessa non avrebbe più avuto la possibilità di accudirla.
«Ciao.» Esordì Lauren, avvicinandosi titubante, con le mani ancora nascoste nelle tasche e il peso sbilanciato sui talloni.
Camila si alzò dal gradino dove era seduta, si sforzò di sorridere e reciprocò il saluto con un semplice cenno del capo.
Si era preparata un discorso ad effetto, colmo di aggettivi, forse anche un po' ampolloso, ma ci aveva lavorato tutta la mattina e ora che si trovava lì, non le veniva in mente nemmeno una parola.
Non si ricordava l'effettivo momento in cui aveva deciso di porre fine alle sue notti insonne e ai pasti esigui ai quali si era ridotta; rammentava, però, di aver avvertito una lancinante fitta al petto all'idea di perdere Lauren, così alle cinque del mattino era scivolata fuori dalle coperte, aveva indossato le prime cose arrabattate che aveva trovato ed era uscita di casa.
Non subito si era diretta a casa Jauregui, l'aveva presa larga passando prima dal parco, poi deviando per il sottopassaggio, allungando la strada verso casa di Normani dalla quale aveva ridisceso l'intera via per trovarsi davanti alla corvina.
Quattro ore di camminata, un discorso ben congegnato, nemmeno una parola che riuscisse a ricordare.
«Vuoi entrare?» Domandò Lauren, indicando la porta alle loro spalle.
Camila scosse energicamente la testa «No, preferisco stare qui.»
Sapeva che se avesse messo piede dentro quella casa, le loro mani (labbra, occhi, corpi)si sarebbero ricercate subito, come un gesto arcano originato dall'inafferrabile distanza intercorsa negli ultimi due giorni.
Lauren intese quella sua scelta, e l'accolse con consapevolezza. Pure lei sentiva la mancanza della cubana, pure lei voleva sentirla in quel modo, ma a volte il sesso non proferisce ciò che va detto a mente lucida.
Si sederono sulla gradinata in legno; una con le unghie conficcate nel giubbotto di pelle, l'altra a stritolare il pacchetto di sigarette che si ritrovava in tasca.
«Senti, Laur..» Iniziò Camila spavalda, perdendo l'animo indomita appena voltò la testa per incrociare lo sguardo dell'altra. Le parole spiarono in un sospiro greve.
«Camz, non c'è bisogno che tu dica niente.» La rassicurò la corvina, abbozzando un sorriso rassicurante che alla cubana non piacque affatto: le mise i brividi.
«Cambridge è sempre stato il tuo sogno, io sono davvero felice che tu abbia l'opportunità di studiare lì...» Inspirò profondamente, annuendo, come se si stesse convincendo di fare la cosa giusta «Io sto ancora aspettando ansiosamente una risposta da New York e perciò so quanto valga entrare al collage dei tuoi sogni. Sono contenta per te, davvero.» Ribadì, come per legittimarle una felicità che, in realtà, dentro di lei, l'avvolgeva non di euforia, ma bensì di malanimo.
«E questo te lo dico in carica di migliore amica.» Precisò, poi abbassò lo sguardo, percorse l'intero viale con i suoi occhi e rimirò il punto d'incontro fra le due strade in fondo alla via e sospirò «Ma, se devo parlare come Lauren e solo Lauren, non posso dirti di essere felice. Vorrei che tu venissi con me a New York, ma so che non è il tuo ambiente, che non finalizza il tuo sogno, perciò... Non sto nemmeno a sprecare fiato.»
Camila volse lo sguardo nello stesso punto dove era allocato quello di Lauren. Sì, aveva ragione. Lei odiava New York, i tassisti impazziti, i ritmi frenetici, i clacson strepitanti, la calca di persone, le voci imperiture... Non faceva per lei. Avrebbe soltanto rovinato il viaggio alla corvina se avesse acconsentito a ridurre i suoi sogni, metterli in una valigia e riporli in soffitta. Chissà, poi, quanto sarebbe stata infelice lei stessa! No, non poteva andare a New York, ma non voleva neanche perdere Lauren. Eppure...
«Camz, io ci sarò sempre per te, che tu sia a due passi o lontana chilometri, ma non credo di sopportarlo.» Ammise con un filo di voce, come se le fosse stato portato via tutto l'ossigeno.
«Ci..cioè?» Balbettò Camila, ancora più a corto di fiato.
«Cioè.. Cioè non sopporto la situazione e non credo nei rapporti a distanza.» Emise la sentenza finale, non preoccupandosi di ghiacciare Camila con i suoi smeraldi algidi.
Freddezza. C'era una mastodontica freddezza fra di loro. Un oceano.
«Lauren, ma tu hai detto..» Scosse la testa la cubana, cercando di risolvere la questione.
Il problema era che certe situazioni restano invariate, per quanto qualcuno si sforzi di comprenderle.
«So ciò che ho detto.» L'anticipò la corvina, annuendo.
Ricordava le sue parole, ma ora le sembravano solo parole evanescenti: colme di significato, ma prive di verità.
«Ma non è possibile, Camz.» Annunciò in tono solenne, senza tradire la sua espressione imperscrutabile.
Come poteva, Camila, sciogliere la tensione accumulate nelle folte sopracciglia dell'altra? Come poteva districare le sue labbra -rigorosamente rosse- serrate? Come poteva immergersi nei suoi occhi se quello era un mare senza fondo?
Lauren aveva preso la sua decisione e non c'era niente che lei potesse fare per invertire la situazione. Solo adattarsi, accettare, sottostare a ciò che il cambiamento, e la distanza, comportavano.
«D'accordo.» Annuì la cubana, alzandosi lentamente dagli scalini.
Non aveva intenzione di restare un secondo di più: non sopportava la sensazione di asfissia che si era impadronita di lei, doveva andarsene per eluderla.
Non fece neanche un passo, che la mano di Lauren si strinse attorno al suo polso, richiamandola tacitamente. Camila si voltò, trovando due occhi grandi occhi verdi, colmi di disperazione e arrendevolezza, a guardarla.
«Resteremo comunque ciò che eravamo prima. Due migliori amiche che si aiutano nel loro percorso, no?» Un sorriso mogio circondò le sue labbra rosse, ma svanì appena Camila ritrasse il braccio di scatto, portandolo dietro la schiena e scosse la testa.
«Non possiamo più essere ciò che eravamo prima. Per quanto tu voglia ancora crederci, quelle due persone non esistono più.» La guardò un'ultima volta negli occhi, riconoscendo lo smarrimento dilagare nelle sue pupille dilatate.
Lauren avrebbe voluto confutare la sua teoria, ma forse, per la prima volta, si rendeva conto che ciò che erano prima era solo un'illusione perdurata nel tempo. Ciò che erano adesso, invece, era la versione autentica di loro stesse.
Non potevano più essere migliore amiche, avevano smesso di esserlo quel giovedì sera, quando le mani di Lauren avevano esplorato Camila per la prima volta e le labbra della cubana avevano desiderato quelle dell'altra per tutta la notte.
Camila si allontanò in fretta, come se volesse scappare ciò che la stava aggredendo fosse intriso in quello spazio d'aria, ma sapeva che era una sensazione che nasceva, cresceva, sfociava dentro di lei. Non poteva semplicemente correre via dal mostro, che, questa volta, non era sbucato da sotto il letto, ma direttamente dalle braccia di Lauren.
Le sembrava addirittura di averlo visto. Fino ad ora era stata solo un'idea astratta, un pensiero puerile, un incubo inconscio, ma quando Lauren l'aveva allontanata lasciando che la distanza vincesse la partita a tavolino, Camila aveva visto le fauci, riconosciuto gli artigli, memorizzato gli occhi bianchi che sbucavano da sotto il cappuccio nero. Era il mostro peggiore di tutti, quello che, fino a quel momento, non aveva mai paventato, ma adesso che ne conosceva le fattezze, non riusciva a vedere altra paura. E il suo mostro si chiamava lontananza.
E non erano i chilometri che imponevano questa lontananza. Era Lauren. L'aveva sentita distaccata persino a guardarla negli occhi, come se già ci fosse l'oceano a dividerle.
Questo le metteva paura; stare nella stessa stanza della sua "migliore amica" e avvertirla dall'altra parte del Mondo, o peggio: non sentirla proprio.
Essere lì, ma non esserci. Toccarsi, ma non sentirsi. Guardarsi, ma non vedersi. Esiste malattia peggiore?
Camila rientrò a casa di fretta e furia. Pensava che rintanarsi fra le quattro mura della sua stanza l'avrebbe aiutata, ma non fu così. Si sentì soffocare ancora più di prima, tanto che dovette fermarsi un attimo e mettere una mano sul cuore. Il muscolo batteva impazzito nella sua cassa toracica e lei poteva coglierne l'alterazione racchiusa nel suo palmo.
Lo pregò di rallentare, come impose al suo respiro di placarsi e ai suoi tremori di cedere. Non aveva mai sofferto di attacchi di panico o attacchi d'ansia, ma credette di averne uno in quel preciso istante e non seppe quale dei due stesse prevalendo. Non conosceva i sintomi, non le era mai importato di avvalersi di tali informazioni, sapeva solo che qualcosa si stava scatenando dentro al suo corpo e non aveva i mezzi per fermarla.
Pensare ad altro, distrarsi, formulare un pensiero rassicurante che permettesse al suo cuore di stabilizzarsi. Lauren. No, no, no... Stavolta non era il suo rimedio, ma la causa scatenante. Non poteva pensarci.
Sofia. Suo padre. I viaggi. Cambridge. Sua nonna. L'uncinetto. Il mare...
Cambridge.
Camila, per la prima volta dopo qualche minuto, respirò adeguatamente. Non le sembrava più di avere un macigno sul petto e il nodo alla gola si era sciolto. Ora le sue mani tremavano meno, ma il suo cuore batteva ancora troppo forte.
Si ricordò della chiamata intercorsa fra lei e il direttore dell'istituto. Dopo aver recapitato le lettere, aveva personalmente contattato i migliori della lista e offerto loro un mese di prova. Camila non aveva neanche preso in considerazione l'offerta: voleva passare gli ultimi giorni con Lauren e le altre, ma ora le sembrava la cosa più giusta da fare.
In fondo, anche Lauren era scappata tante volte, cosa non le consentiva di fare lo stesso?
Prese il telefono, compose il numero.
Ora voleva solo pensare ad annullare la lontananza e, a volte, la distanza è la scelta migliore.
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