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Preview Jack atto III: Night

(Nota: queste righe non sono editate e possono essere soggette a cambiamenti)


"Gran tribunale di Lithius-Ra in seduta!"

Il portavoce era impettito, col mento tanto alto che quasi perdeva l'equilibrio. Era vestito di bianco, oro e turchese, esattamente come tutti gli altri funzionari nella stanza.

Il pubblico si alzò in piedi, come da rito. Il funzionario continuò: "Sessione straordinaria della stagione di giudizio primaverile. Casi: uno solo. Modalità: decisione a maggioranza. Giuria..."

Il portavoce esitò. Deglutì. Esitò ancora. "Giuria... Gli Astri della Guerra!"

Il pubblico strabuzzò gli occhi. I nobiluomini e le nobildonne di Lithius-Ra iniziarono a guardarsi l'uno con l'altro. Ma come? Gli Astri? Per un caso come quello?

La sala del tribunale era all'interno dell'imponente castello di Lithius-Ra, la capitale del Regno dei Monti Oris. Era a pianta quadrata, con le pareti ricoperte da magnifici affreschi. Le pareti si sollevavano fino a diventare archi e si congiungevano in un unico punto esattamente al centro del soffitto della sala. Nelle arcate erano raffigurate le quattro virtù cardinali del Regno: prudenza, giustizia, fortezza ed eleganza. Al centro del soffitto, vi era la virtù finale formata dall'unione delle quattro: magnificenza, cioè lei, la regina.

Glerian sedeva al centro dell'alto bancone in legno di rovere dove si sarebbero accomodati i giurati. Agiva nel ruolo di giudice e garante della legittimità del processo decisionale. Un altro modo per dire che alla fine decideva solo lei.

La regina incantava funzionari e pubblico con la sua caratteristica bellezza. Era una donna molto alta, con lunghissimi capelli biondi e occhi azzurro cielo. I suoi abiti erano morigerati come sempre, ma con quel pizzico di malizia che accentuava le sue forme naturali e alimentava il desiderio per la sua persona. Qualcosa di casto, proibito, eppure incredibilmente accattivante.

Fece cenno al portavoce di andare avanti e l'uomo, tutto sudato, fece cenno di sì. "Che entrino i giurati! Per primo: Iscior Livi, la Mannaia Nera!"

Gli Astri della Guerra erano i sette generali dell'esercito di Lithius-Ra, nonché i guerrieri più famosi dell'intera isola Faharen e, forse, anche del resto del mondo. Il primo a comparire dalla porta laterale fu proprio Iscior, il gigantesco carnefice del Continente Orientale. Era un omone al limite dell'obesità, ma con braccia che facevano impallidire i tronchi delle querce. Calvo, con occhi piccoli e folte sopracciglia nere, si accomodò su una seggiola costruita apposta per lui a sinistra della regina.

"Johana Sauras, il Fuoco Sempiterno!"

Johana, l'esperta del combattimento corpo a corpo venuta dal Continente del Nord. Con i suoi capelli rosso fuoco tagliati corti, il suo fisico muscoloso eppure ancora femmineo e quel naturale carisma, aveva animato le fantasie di chissà quanti giovani combattenti. Lo stesso pubblico in sala era ipnotizzato dalla sua aura mentre lei prendeva posto. Ma le sorprese non finivano lì!

"Zedro Mory, la Lama Celeste!"

Entrò un uomo alto, sui trent'anni, con capelli neri lunghi fino alle spalle e uno sguardo molto cattivo. Il pubblico capì che, se erano riusciti a far venire anche Zedro, allora ci sarebbero stati proprio tutti per quella seduta.

Zedro si sedette in fretta, seccato, e non mancò di commentare: "Servono davvero tutte queste stupide...?"

"Buono, Zedro!" commentò Johana. "Se ti comporti bene per mezz'ora Glerian ti prende un dolcetto!"

La regina si voltò verso Johana e poi verso Zedro. Entrambi chiusero la bocca e abbassarono la testa.

Il funzionario proseguì con gli annunci. Fu il turno di Oliver Marguez, il ladro acrobata divenuto generale dopo lo sterminio nel castello del Conte d'Orel, e di Sescior Lemani, il biondo e barbuto arciere delle isole Rivalta. Con gli Astri che man mano prendevano posto, le gambe del pubblico si facevano sempre più tremolanti per l'emozione, anche perché il meglio arrivava ora.

Il portavoce, quasi commosso, disse: "E ora la Leggenda, il Nume, Freston il Grande!"

Entrò un omone ben oltre i sessanta con barba grigia e, come sempre, in armatura d'onore. Era alto quasi quanto Iscior ma più magro e decisamente più loquace: "Grazie! Grazie, mia regina! Grazie a voi per essere qui oggi!"

Il pubblico stava per svenire. Quell'uomo non era solo uno dei più grandi eroi della storia di Lithius-Ra, ma anche il più famoso abitante di Faharen in tutti e tre i continenti. Nonostante l'età, il Nume si teneva ben stretti entrambi quei titoli e, a suo dire, se li sarebbe portati dietro anche nella tomba.

"È un piacere!" concluse sedendosi.

Come ultima portata, vi era lo stratega, il consigliere, la seconda persona più potente dei Monti Oris dopo la regina. Il portavoce esitava a chiamare quel nome: "...Garbo! l'Astro!"

Entrò un omino basso con capelli castani e spessi occhiali da vista. Era vestito con un completo nero e bianco, scarpe lucide e due lucenti anelli sugli anulari delle mani. Non sorrideva mai, e sembrava sempre guardare fisso davanti a sé.

Il portavoce attese che si accomodasse a destra della regina, quindi proclamò: "La giuria è completa! Gli Astri sono in seduta!"

Il pubblico cominciò ad applaudire, estasiato. I sette uomini più famosi del Regno erano lì davanti a loro! Lo stesso funzionario pareva non credere a ciò che aveva appena annunciato, ma il sorriso ebete che aveva sulla faccia non durò a lungo.

Notò che la regina lo stava fissando, e non con uno sguardo amichevole. "Seduti!" urlò subito.

I nobiluomini smisero di applaudire, interdetti e un po' offesi. "Intendo... Potete sedervi!"

Il pubblico, riluttante, riprese posto. "Ecco, grazie. Ora, senza ulteriori indugi, che entri l'imputato!"

Attraverso la porta dall'altra parte della sala, a destra della tribuna dei nobili, entrò una figura ammanettata e vestita con abiti scuri. Aveva una cicatrice sul labbro inferiore, folte e arcuate sopracciglia nere, capelli mossi e occhi taglienti come lame. Sappiamo bene di chi si trattava.

Quando il condannato prese posto di fronte alla giuria, il portavoce annunciò: "Jack Lightning! Quindici anni! Accusato dell'omicidio a sangue freddo del capitano Rupert Grivendor della divisione di Adratek, di resistenza all'arresto e di essere una spia per conto del nostro nemico, l'Alleanza del Nord. Come si dichiara l'imputato?"

Jack Lightning sollevò gli occhi. Il suo sguardo era quello di sempre, ma c'era un velo di tristezza dietro tutto la superbia e lo stizzo del giovane spadaccino.

Guardò gli Astri, che conosceva bene dai racconti popolari, e guardò la regina, colei che fino a un mese prima neanche conosceva eppure che era diventata ora una delle persone più importanti della sua vita. Pensò a Night, buttò giù e si sforzò di dire: "Colpevole!"

Insulti sussurrati e occhiate di sdegno partirono dalla platea. Gli Astri si guardarono l'uno con l'altro, la regina lanciò loro un'occhiata di ammonimento e alla fine fu Freston il primo a parlare: "Penso che il ragazzo possa tornarci più utile qui che nella prigione di Sacrofos. Ha dimostrato grandi capacità con la spada sconfiggendo a duello Grivendor. Penso che dovremo arruolarlo nella mia accademia. Un giorno, quando avrà scontato il suo debito, potrebbe anche rivelarsi un degno membro del nostro esercito. Siete a favore?"

Gli Astri risposero a turno.

"Sì!"

"Sì..."

"Sì!"

"Sì."

"Sì..."

"Sì!"

Freston si voltò verso la regina. Glerian annuì con la testa e si rivolse direttamente al pubblico: "Perfetto, decisione unanime. Jack Lightning verrà scortato nelle sue stanze e lì resterà fino a trasferimento all'Accademia della Guerra!"

Le due guardie che avevano accompagnato Jack nella sala lo afferrarono da sotto le braccia e lo portarono via. Il nostro spadaccino lanciò un'ultima occhiata verso la regina, ma Glerian non rispose allo sguardo.

Il pubblico di aristocratici era a dir poco confuso riguardo ciò che era appena accaduto. Non si era mai visto che un assassino, e per di più spia, se la cavasse con così poco, men che mai per una decisione all'unanimità!

La regina liquidò in fretta i testimoni del verdetto: "Concludiamo qui per oggi. Gli Astri resteranno in città per una settimana prima di tornare al fronte e saranno presenti alla serata di gala di domani sera al castello. Vi attenderemo lì. Grazie!"

Il portavoce annuì alla sua signora e proclamò: "La seduta è tolta!"

La notizia rallegrò un poco i nobili del regno. Gli Astri si alzarono in simultanea e sparirono da dove erano arrivati, mentre la regina rimase indietro per colpa di un paio di noiosi cicisbei.

Mentre percorrevano il corridoio dietro la sala, i sette tirarono il fiato, felici di poter lasciar cadere la facciata. Marguez fu il primo a parlare: "Allora... Che diavolo era quella sceneggiata?"

"Che ti frega?" commentò Zedro. "Tu fai sempre troppe domande!"

Sescior prese la parola. "La regina che fa politica. A modo suo. Come sempre..."

"Iscior!" parlò Johana. "Hai ancora la lettera di Lucius Resfield arrivata questa mattina?"

Il gigante non proferì parola, ma si levò dal taschino una lettera con sigillo di ceralacca e la lanciò a Marguez. L'ex ladro la afferrò al volo e la aprì con delicatezza: "Fortuna che c'è ancora qualcuno qui che si ricorda le buone maniere. È qualcosa di grave?"

Freston, alla testa del gruppo, si dimostrò molto meno allegro di quanto era stato in seduta. "Non ne hai idea..."

Marguez lesse la lettera in gran fretta. Arrivato alla fine, si fermò in mezzo al corridoio. "La città di Resfield... Sormon... È quella dove sono nato!"

Gli altri Astri si fermarono. Marguez accartocciò il foglio e sollevò la testa verso di loro: "Un'invasione?! E da parte di chi?!"

Gli Astri avrebbero voluto fornire una risposta al loro compagno d'armi, ma rimasero in silenzio e distolsero lo sguardo. La verità, purtroppo, era che nessuno, nessuno sapeva sul serio cosa stesse accadendo.

JÄCK ATTO III:

NIGHT


Un bel mattino.

I.

Sormon era il nome della più antica città della Colline Nebbiose. Era la seconda provincia più grande della regione, dopo Adratek, e controllava le vaste distese coltivate della zona ovest appena sopra il Bosco Espiatore. Soprattutto, era una città che non esisteva più.

Rovine, rovine, rovine. Il mattino dopo la sentenza degli Astri della Guerra, una figura vestita di pelle nera entrò nella città fantasma con una valigetta sotto braccio. A proposito di braccia, la figura ne possedeva uno solo, indossava occhiali dalle lenti oscurate e un grosso cappello nero a tesa larga. Possedeva un magnifico sorriso, e dava l'impressione di essere anche un gran bell'uomo, ma nessuno l'aveva mai visto in abiti borghesi. Il mercenario e assassino Blackshadow era sempre in servizio e quel giorno era stato convocato proprio nella devastata città del Gran Vetto Lucius Resfield.

Mentre Blackshadow camminava per le vie sporche e desertiche di Sormon, conati e grugniti uscivano dalle abitazioni abbandonate. L'uomo in nero sapeva chi produceva quei suoni disgustosi, ma scelse di ignorarlo perché non voleva assolutamente avere a che fare con quelle creature.

Si sistemò gli occhiali dalle lenti oscurate una volta giunto di fronte al comune della città. Tirò il fiato, più per sfinimento che per effettivo timore.

Spinse la porta e percorse il lungo corridoio. Alla fine di esso, ci trovò proprio la persona che si aspettava.

"Il nostro Blackshadow! Che bello rivederti! Hai fatto presto!"

Era il consigliere dell'Alleanza del Nord: il mago Cortey Van Dersen. A fianco a lui, proprio le creature che l'uomo in nero sperava di non dover incontrare. Due esemplari demoniaci grandi e grossi, come guardie del corpo, a difendere la scrivania dietro cui sedeva il piccolo segretario.

Blackshadow sollevò gli occhiali solo per un istante per massaggiarsi gli occhi. "Cortey... Che hai combinato stavolta?"

Fu la prima volta che l'uomo in nero vide il segretario ridere. Disse ancora: "Te la stai spassando, eh? Che hai fatto a questa gente? Il tuo capo lo sa di questa evocazione?"

Cortey si spostò una lunga ciocca di capelli neri da davanti al viso. Ghignando compiaciuto, iniziò a pizzicarsi la barba. "Per una volta sembri ignaro di tutto, mercenario. Non è un'evocazione. E non è opera mia! È stato Artak e loro..."

Indicò i due giganti dalla pelle nero pece e dagli occhi ancora più neri. "Loro sono quelli veri! Incredibile, no?"

Si alzò in piedi. "Non abbiamo fatto nulla alla gente di questa città. Dopo qualche schermaglia con l'esercito dei monti Oris, la zona è stata evacuata. Ora decine di migliaia di profughi delle colline stanno scalando le montagne sperando che Lithius-Ra o Adratek li accolgano. Speranze futili, se chiedi a me. I monti Oris si sono già attivati per chiudere i confini di tutta la regione!"

"Tipico da parte loro. Sono quasi peggio di voi."

Cortey rise di nuovo. Blackshadow lo punzecchiò un poco, tentando di smorzare la sua baldanza: "Sei davvero sicuro di te, oggi. Immagino che il tuo padrone abbia comandato ai demoni di eseguire ogni tuo ordine!"

"Già, già... Il mio padrone... Artak..."

Cortey tornò a sedersi. "Lui non è qui, mercenario. E sono troppo di buon umore per risentire delle tue insinuazioni..."

"Ma davvero?"

"Sì, davvero. Infatti, la missione per cui ti ho fatto chiamare è solo per me. Un piccolo favore personale, retribuito come al solito."

Blackshadow roteò gli occhi. Si avvicinò alla scrivania e ci si sedette sopra. "Guarda, guarda... Il cagnolino che cerca di mordere la mano del padrone... Sei sicuro di volerlo fare, Magico?"

Cortey sorrise forzato, sforzandosi di guardare negli occhi l'assassino. "Cagnolino... Davvero gentile da parte tua. Levati dalla mia scrivania, prima che ti faccia dare una lezione da queste bestie!"

L'uomo in nero si levò gli occhiali. Guardò Cortey fisso negli occhi: non l'aveva mai fatto prima. "Fai sul serio? Pensi che questi due mostri bastino a spaventarmi?"

"Io..."

"L'ultima volta sono entrato da solo dentro il castello di Artak. Te lo chiedo di nuovo: pensi davvero che questi due mostri bastino a spaventarmi?"

Una delle creature, la meno deforme, quella che aveva ancora delle specie di mani, si gettò addosso all'assassino. Blackshadow afferrò la zampa animalesca del golem nero pece e la strizzò con forza con il suo unico possente braccio. Il demone urlò. Come urla un essere umano.

"No! Calmi, calmi!"

Cortey si alzò di nuovo in piedi e fece cenno all'altra bestia di restare al suo posto. Il secondo demone, quello con la faccia da rettile e privo di mandibola, si sedette a terra. Poco dopo, anche il demone ferito fece lo stesso.

Il segretario commentò: "Tu... Ma chi diavolo sei, tu?"

Blackshadow si rimise gli occhiali, evitando la domanda. "Quella bestia ha urlato. I demoni non urlano. Tu e il tuo capo avete fatto un Arcano..."

"A-Artak l'ha fatto. E dubito sappia persino del significato della parola! In ogni caso, non è per lui che sei qui questa mattina!"

L'uomo in nero tornò a fissarlo. Il segretario tirò il fiato. "Perché deve essere sempre una lotta con te. Eh? Me lo spieghi?"

Il mercenario scese dalla scrivania, fece qualche passo, quindi si girò di nuovo verso Cortey. "Dimmi del mio compito. In fretta!"

Il mago annuì, deluso dal fatto che nemmeno con due demoni alle sue spalle riusciva ad averla vinta con quell'assassino. Estrasse dalla scrivania un foglio di carta con sopra disegnato il ritratto di un ragazzo. Doveva averlo realizzato lui con la magia perché era tanto accurato che pareva il riflesso di uno specchio. Disse: "Questo sarà il tuo obiettivo..."

Il ritratto riuscì a sorprendere persino il mercenario. Conosceva quel volto, diavolo se lo conosceva. "Jack Lightning... Teppista di quindici anni..."

"Oh! Lo conosci!"

"Cosa vuoi da lui, Magico? Non posso ucciderlo, se è questo che mi vuoi chiedere..."

Cortey corrugò la fronte. "Ignoro che rapporto abbia tu con questo ragazzo e onestamente non me ne frega nulla. Non devi ucciderlo se non vuoi: a me interessa solo la sua spada!"

"La spada?"

"Quella che si porta sempre dietro. Elsa dorata, lama bianca come il latte... È incantata e ho ragione di credere che sia un artefatto Antico di grandissimo valore!"

Blackshadow scosse il capo, si guardò intorno e commentò: "Stai cercando la spada di Daniel Lightning, non è vero?"

Un momento di silenzio. Il mago era rimasto a bocca aperta. "Come fai a..."

"Vuoi usarla contro Artak. E poi prendere il controllo di questi demoni..."

"No, io..."

"Stammi bene a sentire, mago. Qualsiasi cosa tu abbia in mente... Non finirà bene. Non avreste dovuto riportare in vita questi esseri e certo non dovete mettervi a giocare con manufatti di origine Antica! Io posso anche recuperare la spada di questo ragazzo, ma poi non dire che non eri stato avvertito. Va bene?"

Quel modo di comportarsi non era affatto caratteristico dell'assassino in nero. Il segretario Cortey non sapeva esattamente cosa rispondere, perciò si limitò a dire: "Sì..."

Blackshadow poggiò la valigetta sulla scrivania, la aprì con la sua unica mano, ci ficcò dentro il disegno e la richiuse. "Sai già dove si trova, ora?"

"Penso nel territorio dei Monti Oris, ma non sono sicur..."

"Ti farò avere notizie non appena saprò qualcosa!"

L'assassino diede le spalle a Cortey e fece per uscire dalla stanza. "Aspetta!" lo chiamò il segretario. "Tu... Tu sai qualcosa! Perché vuoi accettare questo compito anche se sai che ci saranno delle conseguenze?! Come... Come..."

Blackshadow si girò un ultima volta verso il segretario. Con una smorfia di disprezzo, gli disse: "Cortey... Se solo sapessi del potenziale che hai. Anche quando c'erano ancora gli altri maghi, di rado nascevano esseri con i poteri che hai tu. Eppure sei ancora tanto debole! Che razza di spreco... Dovresti smetterla di fare certe sciocchezze."

Cortey era rimasto a bocca aperta. "Ma... Ma..."

Dopo un istante di silenzio, il mercenario concluse: "Mi hai chiesto chi sono, Cortey. Sono uno che fa quello che gli si dice. A patto che ci sia una ricompensa, però! Quello che ti ho detto ora prendilo come un consiglio. Diciamo... Da amico."

Uscì dalla stanza, lasciando il segretario confuso e un poco intimorito.

Mentre si allontanava dal municipio, l'assassino guardò la valigetta e ripensò al ritratto di Jack Lightning al suo interno. Il povero ragazzo non sapeva in che guai sarebbe stato tirato in mezzo. "Piccolo mio..." pensò. "Dove sei, ora?"

II.

Jack Lightning sedeva in una stanza dorata. Tutto era d'oro là dentro, il pavimento, il soffitto, i mobili, eccetto per tre cose che erano bianche: i due letti al centro della stanza, i motivi floreali sulla carta da parati e la spada del giovane guerriero, appoggiata al muro in attesa di essere imbracciata.

Era da tanto che il nostro ragazzo non utilizzava la Whitemirror, la spada donatagli dal padre. Due settimane prima, quando lui e Night erano stati arrestati ad Adratek dai soldati di Lithius-Ra, il ragazzo aveva fatto voto di non usarla più per un po' e di non inimicarsi gli abitanti dei Monti Oris. Dopotutto, era stata proprio la sua attitudine rissosa che li aveva fatti arrestare ed era sempre per colpa sua che l'amico Night, ora, giaceva privo di sensi nel letto accanto al suo.

Jack chinò la testa, contrito. Neanche ce la faceva a guardarlo dopo quello che era successo. Non era stato lui a uccidere il capitano Grivendor, bensì Night: aveva scagliato la sua prima freccia mirata a uccidere per salvare Jack da quel militare delle montagne. Non solo, l'amico era stato ferito nello scontro, aveva perso moltissimo sangue e da due settimane era caduto in quella specie di coma. Doveva ringraziare la regina Glerian, che si era imbattuta in loro e aveva avuto pietà, se l'amico aveva ricevuto le cure necessarie; tuttavia, tutto aveva un costo.

Jack sollevò di nuovo gli occhi verso l'amico. Sempre bello e innocente come un piccolo angioletto. E sempre con quell'espressione idiota in faccia! Gli mancava, ma più di tutto si sentiva in debito con lui. Non perché gli aveva salvato la vita, Night l'aveva già fatto più e più volte, ma per tutto quello che aveva dovuto passare. Prima Adzul, poi Adratek, non aveva avuto un attimo di tregua. Prendersi la colpa per il suo crimine era il minimo che poteva fare, o almeno così pensava Jack.

La porta della stanza si aprì. Lo spadaccino saltò in piedi, sulla difensiva. Ci mise un attimo a rendersi conto che non c'era pericolo sull'uscio della porta: la regina era venuta sola e non sembrava portare cattive notizie.

Glerian richiuse delicatamente la porta e Jack ricadde sul letto come un sacco di patate. Era bellissima, come sempre: gli abiti lunghi e austeri del giorno precedente erano stati sostituiti da una raffinata veste da camera bianca e turchese, i bellissimi capelli di lei erano raccolti in una lunga treccia che scendeva sulle sue spalle, in mezzo al seno, fino a metà ventre, e non era truccata stavolta, il che le conferiva un'apparenza più genuina e meno inquisitoria.

"Jack..." parlò con la voce che usava quando voleva essere dolce. "Come stai?"

Lo spadaccino si sforzò di atteggiarsi un poco. "Come crede che stia? Sono stato condannato per omicidio!"

Glerian rimase al suo posto e non cambiò espressione. Disse solo: "Come avevamo stabilito. E poi non è che tu non abbia mai ucciso nessuno, non è vero, Jack?"

Al ragazzo si gelò il sangue nelle vene. "Non avrei dovuto raccontarle tutte quelle cose..."

"Intendi la sera in cui sei entrato nella mia residenza di Adratek con il tuo amico insanguinato sotto braccio? Ma Jack..."

Si avvicinò al suo letto. Ci si sedette lentamente sopra. "Se non mi avessi raccontato ogni, ogni cosa della tua vita... Non saresti vivo, ora. Dovevo capire qual era la tua situazione per poterti aiutare."

Il cuore di Jack batteva come gli zoccoli di un cavallo in piena corsa. Era troppo vicina a lui. La sentì sussurrare: "Hai scelto di fidarti di me. E questo ti ha salvato la vita."

Jack si sforzò di non voltarsi. Non poteva rischiare di guardarla negli occhi e di sentirsi di nuovo vulnerabile di fronte a lei. Non voleva che, anche in quella conversazione, lui...

Si alzò in piedi. "Ho qualcosa da chiederle!"

Glerian rimase sul letto. Con entrambe le mani sul grembo, i suoi occhi azzurrissimi spalancati verso il ragazzo e un'espressione conciliante, rispose: "Dimmi."

Lo spadaccino corrugò la fronte. Ricominciava a sentirsi come sé stesso, finalmente. "Night. Che ne sarà di lui? Al processo avete parlato solo di me!"

"Sì, è vero..."

"Voglio che venga con me all'Accademia! Non lo lascio da solo qui!"

La regina inarcò un sopracciglio. "Jack... Nelle sue condizioni vuoi davvero..."

"Fate trasferire il letto nella caserma dove starò! È la mia condizione per andarmene di qui senza fare storie!"

La regina abbassò il capo, dubbiosa. Restò in silenzio per qualche istante, quindi si alzò e raggiunse il ragazzo. "Tieni davvero tanto al tuo amico, non è vero?"

Spostò la treccia dietro la schiena e poggiò le mani sulle spalle del ragazzo. La vestaglia si era aperta un poco dopo che si era seduta e ora il collo candido della donna era ben visibile, così come il piccolo ciondolo di oro bianco che le risplendeva in mezzo al petto. Anche senza tacchi era più alta di Jack, formosa ma dalla vita stretta e non mostrava più di trenta, massimo trentacinque, anni di età. Era perfetta.

Così pensava Jack mentre un misto di ormoni, e un'altra sensazione a cui non sapeva dare un nome, si faceva largo nel suo animo. La donna chiese: "Posso chiederti perché?"

Jack riuscì solo a balbettare: "Non è che... Insomma... Senta, la mia vita è sempre stata uno schifo. Però non avevo alcun diritto di rendere uno schifo anche quella di Night."

"Oh, Jack... Come se Reginald, Cabil e tutto il resto fossero stati colpa tua..."

Gli afferrò il viso. Gli diede un bacio sulla guancia. Lo guardò negli occhi. "Night verrà con te all'Accademia della Guerra. Te lo prometto. Per l'altra cosa, invece... Be', ci penseremo quando sarà il momento. Per ora ci concentreremo sulla guarigione del tuo amico e sul fare di te un soldato del nostro esercito. Va bene?"

Jack non fu in grado di rispondere. Glerian gli diede le spalle e fece per uscire. Lo spadaccino si rianimò in tempo per dire: "No, aspetti! Per l'altra cosa... Quella missione che devo compiere per lei... Non voglio che Night venga coinvolto! Ha capito?"

Glerian si girò verso di lui e sorrise. "Non succederà. Puoi stare tranquillo. Resta vicino al tuo amico, Jack. Ho idea che riprenderà i sensi molto presto e che, domani, camminerete assieme fuori dalle porte di questo castello."

La porta della stanza si richiuse dolcemente. Jack non osò richiamare la regina e riuscì solo ad abbassare la testa. Non sapeva cosa avesse di così particolare quella donna, ma l'effetto che gli faceva non l'aveva mai provato in vita sua.

Si portò una mano alla fronte. Ma perché? Era perché era tanto bella? O forse perché gli ricordava qualcuno? C'era qualcosa in lei che ammaliava, come se fosse una...

"Magia."

Jack sgranò gli occhi. Veniva dal letto a fianco al suo.

"Sembra proprio una magia."

Night Weid si sollevò sui gomiti. Tossì un poco e disse, con un filo di voce: "Ero in un sogno da cui non potevo svegliarmi. E ora sono riuscito ad aprire gli occhi. Non è strano, Jack?"

Lo spadaccino era troppo felice per poter rispondere in alcun modo. I grossi occhi verde smeraldo dell'amico lo fissavano, confusi. "Che hai? Ho detto qualcosa che di sbagliato?"

"Night!"

Jack riabbracciò un vecchio amico che non vedeva da tempo. L'arciere stava quasi per soffocare. I dubbi e gli interrogativi potevano aspettare perché, finalmente, Jack e Night erano di nuovo insieme.


III.

Quella sera, il maestoso salone dei ricevimenti di Forte Leidor, così si chiamava il castello, si accese di migliaia e migliaia di bagliori luminescenti. Era al pian terreno, esattamente alla base dell'alta torre bianca in cui Jack e Night erano rinchiusi. Un'enorme sala ovale, con decine di piccoli tavoli lungo il perimetro e una lunghissima tavolata al centro dove sedevano la regina e le altre personalità di rilievo.

Veli bianchi e turchesi pendevano dal soffitto assieme a un gigantesco lampadario di cristallo. Candele e lucerne in ogni dove, tovaglie, centrini e addobbi floreali rigorosamente di gusto e composti per l'occasione. Era una magnificenza che riusciva a evitare il pacchiano e comandava ricchezza ed eleganza: gli ospiti erano tutti d'accordo su questo.

Decine e decine di nobili da ogni angolo dei Monti Oris erano radunati lì quella sera. Per che occasione? Nessuno lo sapeva. Sarebbe stato annunciato a breve, ma c'erano gli Astri, e ciò bastava a lasciar intendere l'importanza dell'evento.

"A tavola, signori!"

Gli aristocratici si accomodarono ai rispettivi tavoli. Sotto i loro nasi sempre in su, meravigliose porcellane e ben quattordici forchette di argento lucidissimo. Il menù prevedeva carne di pavone, anatra all'arancia, una collezione di vellutate e ogni genere di budino.

Anche gli Astri si erano seduti. Stavano al banchetto principale e, che ci si volesse credere o meno, anche loro erano in ghingheri quella sera. Scarpe bianche, completi bianchi e turchesi, o bianchi e lillà, un magnifico vestito rosso per Johana che le lasciava scoperta la schiena e un abito cucito su misura per il gigantesco Iscior. Non sembravano particolarmente a loro agio, così lontani dalle loro armi e dalle comode tenute militari, ma facevano del loro meglio per mantenere faccia, contegno e grazia per il gala.

La regina sedeva a capotavola, perfettamente a suo agio nel ruolo che ricopriva. Indossava un copricapo bianco con due corni laterali, una specie di sostituto serale per la corona. Il resto del vestito, di pizzo, era quanto di meglio i sarti di Lithius-Ra erano riusciti a realizzare in ventiquattr'ore. Era potente in quel l'abito tradizionale di Lithius-Ra, perché potenza era ciò che voleva evocare.

Le sue graziose labbra rosa si schiusero con una voce adatta a quel ruolo. "Signori!"

I nobili coperti di cerone chiusero la bocca e posarono i calici. La regina si alzò e così fecero gli Astri. "E signore..." continuò Glerian. "Siamo qui riuniti per una ragione precisa. I nostri Astri, soprattutto, sono qui per una ragione precisa. Sono lieta di comunicarvi che abbiamo fatto la storia nell'ultimo mese. Dopo le rapide ed efficaci incursioni invernali, Bosco Placeus è nostro, così come l'accesso al mare a nord dell'isola!"

Un "Oh!" si alzò dalla tavolata. La regina andò avanti: "Non solo, da Erbast ci dicono che i tentativi dell'Alleanza del Nord di penetrare le nostre catene montuose sono finalmente giunti al termine. È ora di un contrattacco deciso, e in estate proprio da Erbast partirà la controffensiva! Scenderemo la valle fino alle pianure del nord, nel cuore della potenza nemica, ed entro la fine dell'anno questa guerra sarà conclusa! Tutto grazie ai nostri coraggiosi, leali e forti generali di armata: gli Astri della Guerra!"

Alzò in aria il suo calice di cristallo, più grosso di quello degli altri e intarsiato di gemme preziose. "Brindiamo alla loro salute!"

Le coppe si sollevarono, il vino bianco venne mandato giù e persino la regina bevve un piccolo sorso. I nobili non ci fecero caso, tra gli applausi e i commenti composti ed educati che avevano iniziato a scambiarsi, ma nessuno degli Astri pareva particolarmente eccitato dal brindisi in loro onore. Mandarono giù anche loro, ma controvoglia.

Glerian esitò un istante, poi sentì di dover aggiungere qualcosa. "Loro..."

La tavolata si zittì di nuovo. La regina continuò: "Loro sono il motivo per cui possiamo goderci quest'ottimo cibo e quest'ottimo vino, signori. Li ho richiamati qui proprio per festeggiare, nonostante i loro numerosi impegni e la loro riluttanza alla vita mondana. In effetti, dei guerrieri come loro non appartengono a questa tavola, eppure li ho voluti al mio fianco perché qualche volta... Qualche volta bisogna festeggiare nella vita. Il futuro di questo stato è roseo, per la prima volta dalla sua fondazione. Un impero nato dal niente, che ora sta per diventare padrone di tutta l'isola. Grazie. Godetevi la serata."

Glerian si sedette e distolse lo sguardo. I nobili tacquero per qualche momento, poi uno di loro, un tale di nome Simon, disse: "Un altro brindisi: alla nostra regina!"

"Alla regina!"

E su con i gomiti. Il resto della cena proseguì come al solito, con commenti sprezzanti verso i nobili non presenti e divertenti curiosità per i ricchi annoiati, ma subito dopo arrivò la parte migliore dell'evento, quella che tutti gli ospiti attendevano e che gli Astri aborrivano: il dopocena.

Finito il pasto, l'orda di dame e damerini si fiondò verso le celebrità della serata: era tutta la sera che non aspettavano altro. Johana ruppe subito il naso al duca di Qualcosa che stava allungando troppo le mani, Iscior sparì in fretta nelle sue stanze assieme a due damigelle, Freston fece lo stesso ma con tre dame più anziane mentre Zedro cominciò ad alcolizzarsi come suo solito.

In un angolo, i più sobri della compagnia, Marguez e Sescior, commentavano la serata con liquori alla mano. "Non riesco a credere che riusciate tutti a restare così calmi!" parlò l'ex ladro tracagnotto ma muscoloso.

L'arciere Sescior si portò il bicchiere alla bocca. "Sei tu che sei sempre troppo nervoso..."

"Nervoso? Io sono furibondo!"

Marguez sbatté il suo bicchiere sul tavolino. "Sono tutte balle! Neanche sappiamo che cosa ha attaccato le Colline Nebbiose, altro che vittoria! Non dovremmo stare qui a festeggiare, dovremmo essere là fuori a..."

"Abbassa la voce!"

Due nobili li stavano fissando. Marguez scosse la testa e riprese il bicchiere, mandò giù e distolse lo sguardo. Sescior attese che gli ospiti indesiderati se ne fossero andati e commentò: "Non vorrai metterti a fare come Zedro, spero..."

"A Zedro non frega niente di nessuno. Io sono fin troppo coinvolto per comportarmi come lui!"

"Ecco, bravo che lo riconosci. Mi spiace che la città dove sei nato sia stata invasa, ma non puoi farci niente per ora, perciò sorridi e goditi la serata."

"Sì, come no... Al diavolo..."

Marguez iniziò a stringere il calice che aveva in mano, ma si fermò subito quando notò che il cristallo si stava incrinando. Decise di usare la sua incredibile stretta su qualcosa di diverso: si strappò un bottone dalla giacca, lo piegò in due, poi in quattro, solo con la forza delle dita. Si voltò verso l'amico: "Sescior... Tieni!"

Gli lanciò il bottone di metallo accartocciato su sé stesso, fece un cenno con la testa e disse: "Pensi di riuscirci?"

Sescior capì subito. Sospirò, si scrocchiò le dita e lanciò il bottone dall'altra parte della sala. Entrò perfettamente dentro il bicchiere di un nobiluomo dei monti ovest che subito mandò giù e iniziò a soffocare.

I due Astri scoppiarono a ridere. Marguez commentò: "È sempre divertente! Non stanca mai!"

"Guarda come cercano di farglielo sputare fuori... Sembra che lo stiano menando apposta!"

"Non mi stupirei... Si odiano tutti, qui!"

Altre risate. L'ex ladro tirò un grosso sospiro e disse: "Non è che voglio fare il guastafeste, ma sono davvero preoccupato. Non ci dicono nulla quei due..."

Indicò con gli occhi il capotavola. La regina e Garbo stavano parlando sottovoce fra di loro.

Sescior alzò le spalle e disse: "Be' è sempre stato così. Lascia che se ne occupino loro. Sanno quello che fanno."

"Sanno fin troppo se chiedi a me... E noi non sappiamo nulla!"

"Marguez..."

"No, sul serio! Anche ieri, con quel verdetto! Cos'ha a che fare quel ragazzo con l'Alleanza del Nord e perché dobbiamo...?"

Si ammutolì di colpo. Garbo si era girato verso di lui.

Marguez guardò Sescior in cerca di indicazioni su cosa fare, ma il compagno non incrociò il suo sguardo. Si limitò a dire, sottovoce: "Che aspetti? Vai da loro, no?"

L'ex ladro annuì, un poco intimidito. Si alzò dalla sedia e andò a sedersi vicino all'Astro, con il capo chino. "Sì? C'è qualcosa che posso fare per..."

"Avverti i tuoi compagni. Domani mattina presto nello studio della regina. Dobbiamo discutere di una cosa."

Garbo parlava con il suo solito, superbo, profondo e assertivo tono di voce. Non l'aveva guardato negli occhi, come era solito fare. Marguez si voltò verso la regina, in cerca di conferme, ma Glerian si limitò a dirgli: "Fai in modo che gli altri non si divertano troppo, stasera. D'accordo?"

"S-sì... Sì, mia regina."

Marguez fece un mezzo inchino e si alzò dalla tavola. Glerian lo seguì con gli occhi mentre si allontanava e Garbo tornò a riempirsi il bicchiere con la sua consueta acqua e limone.

L'ex ladro fece ritorno al suo posto vicino all'arciere, come scombussolato. Il barbuto Sescior gli si fece vicino: "Che c'è? Che ti hanno detto?"

Marguez guardava fisso davanti a sé, non tanto per il compito che aveva davanti quanto per cosa significasse in sé quella riunione di prima mattina. "È grave, Sescior. Ciò che sta accadendo nelle Colline Nebbiose... È molto, molto più grave di quanto pensassimo."

L'arciere perse il colore dal viso. La festa, intorno, continuava come se nulla fosse.

IV.

La finestra della stanza dorata era spalancata. I suoni e il vociare del gala al pianterreno giungevano sino alla cima della torre. Jack osservava fuori, verso la città, dove piccoli lumi argentati illuminavano la distesa di mattoni e calcestruzzo della capitale. Più in là, nel cielo, i bagliori ancor più affascinanti di una notte senza nubi. Erano tanto in alto da non poter vedere né i profili delle altre montagne, né l'oceano che circondava l'isola. Il precipizio su cui era costruita la città contemplava solo tre cose: forte Leidor, Lithius-Ra e le immensità astrali tutt'intorno.

Un freddo vento di primavera avanzata spirò dalla finestra facendo ondeggiare le tende. Jack rabbrividì un poco: l'altitudine della città era tale che che la bella stagione pareva non averla ancora raggiunta.

Sfogliò il libro che aveva tra le mani, illuminato un poco dal chiarore lunare e un altro poco dalla candela sopra al comodino lì affianco. Ancora chiasso dai piani inferiori, ma nella stanza si percepiva una certa quiete che forse rifletteva lo stato d'animo del ragazzo. Non aveva mai provato una calma simile, se non, forse, in quella notte con Night nelle Colline Nebbiose. Il cielo era limpido anche quella volta.

Un leggero fiato fece breccia nella quiete. "Puoi chiudere la finestra?"

Jack si voltò verso il letto del suo compagno di stanza. Trovò Night fuori dalle coperte, sollevato sui gomiti. Chiuse il libro e rispose: "Scherzi? L'ho aperta apposta. L'aria fresca ti tempra. Così guarirai prima!"

L'arciere Night Weid rise sommesso e commentò: "Sei sempre il solito! Dai, chiudila, per favore!"

"Va bene, malatino!"

Acconsentì alla richiesta, anche se di malavoglia: a Jack piaceva davvero la sensazione sulla pelle del vento freddo.

Poggiò il libro sulla pila in cima al comodino e si sedette sul letto a fianco a quello di Night. "Come va?" chiese.

L'amico sorrise e rispose con voce flebile: "Meglio. Ma mi sento ancora molto..."

"Confuso, lo so. Dopo traumi del genere si possono avere vuoti di memoria. Me l'ha detto la regina qualche giorno fa..."

Un breve istante di silenzio. Night precisò: "Io stavo per dire "stanco". Però, sì, non mi ricordo quasi niente dopo il falò che abbiamo fatto per Cabil. Adratek com'era?"

"Caotica. Industriale. Un buco di merda."

Night rise più forte e le costole ripresero a fargli male. Si prese un attimo per riprendersi e disse: "E ora siamo finiti qui. A quanto pare gli uomini delle montagne non sono tanto meglio di quelli dell'Alleanza del Nord."

"Be'... Se non altro la regina ti ha guarito. È stata una fortuna incontrare una donna come lei."

L'arciere inarcò le sopracciglia. Il viso di Jack era serio e ciò lo rendeva sospettoso. "Parlami di questa regina" disse. "Com'è? Il Jack che conosco io non si fida tanto facilmente degli sconosciuti..."

Lo spadaccino tirò il fiato e si grattò la testa. "Non è che mi fido ciecamente... È solo che... Ti ha salvato la vita, Night. Se non siamo morti o in galera è solo grazie a lei!"

"In galera?"

"Sì, per via di quel... Aspetta... Non ti ricordi proprio nulla di Adratek?"

Un altro silenzio imbarazzante. L'amico era pallido, emaciato e pareva non essersi ancora svegliato del tutto: meglio non turbarlo con altri pensieri. Jack parlò in fretta: "Be', non è importante. La regina si è comportata bene con noi, per ora, e non abbiamo motivo di dubitare delle sue intenzioni. Domani ti sentirai meglio, e vedrai che ti sarà tutto più chiaro!"

Night si passò una mano nei suoi lunghi capelli neri. "Lo spero, Jack. Qui è tutto così strano... Mi sembra di essermi perso un pezzo..."

Lo spadaccino notò un velo di tristezza in quelle parole. "Ti troverai bene qui, Night. Te lo prometto."

L'arciere lo guardò fisso. Jack continuò: "Tutti i guai che abbiamo passato... Non succederà più nulla del genere. Lo giuro."

Night sbatté le palpebre più volte. "Va bene, ora sì che sono sconvolto. Chi sei tu, e cosa ne hai fatto del vero Jack?"

Risero entrambi: finalmente c'era spazio per un poco di levità.

I ragazzi continuarono a parlare per una mezz'ora buona. La festa, intanto, si era spostata ai giardini reali e ora la melodia di un'orchestra rimbombava per le sale del castello. Un suono dolce, tranquillo, che ben si s'addiceva alla quiete che aveva di nuovo catturato l'animo di Jack.

Dopo qualche istante passato a godersi la musica, Night si tirò su a sedere e indicò la pila di libri sopra al letto. "E quelli? Hai ripreso con le buone abitudini?"

Jack alzò le spalle. "Non c'è molto da fare, qui. Ho provato ad allenarmi, ma poi ho scoperto che al fondo del corridoio c'è una piccola biblioteca, e allora..."

"Incredibile!" disse Night. "Proprio come è successo a... Ad Adzul..."

La melodia s'interruppe. Scrosci di applausi. I ragazzi chinarono il capo.

"Vuoi... Vuoi provare a leggere qualcosa anche tu?" provò a dire Jack.

L'arciere scosse la testa. "No, grazie. Sono stanco, te l'ho detto. Anzi, forse è meglio che io torni a dormire."

"Se posso fare qualcosa per..."

Night sorrise mentre si infilava sotto le coperte. "Certo che sei proprio cambiato, eh? Cerca di non aprire di nuovo quella finestra, se vuoi fare qualcosa!"

Un'altra piccola risata e il piccolo arciere scomparve sotto le coperte. Jack attese qualche istante, quindi tirò il fiato e spense la candela sopra al comodino.

Si alzò in piedi e guardò fuori dalla finestra. Avrebbe preferito che quel momento durasse di più. Ora la quiete era stata sostituita da una sensazione di solitudine e le preoccupazioni per il futuro stavano tornando ad angosciare.

L'orchestra iniziò a suonare un altro brano mentre il ragazzo fissava l'orizzonte con occhi tristi. Non era cambiato, come sosteneva Night, ma si stava sforzando di non commettere gli errori del passato e di vedere, oltre quella notte, il sole di un bel mattino. Un nuovo inizio, per Night, per entrambi.

Il nostro Jack avrebbe fatto di tutto, di tutto per mantenere quell'illusione.

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