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Capitolo 35

Camila's pov

Erano passate due settimane. Due settimane senza Lauren. Non avevo ricevuto nessun messaggio, nessuna chiamata, a scuola era stata molto evasiva, riferendosi a me solo in modo formale. Non sapevo cosa stava succedendo, non sapevo se sua moglie fosse ancora in città, ma dal suo atteggiamento deducevo di si.
Era appena suonata la campanella, quando i ragazzi presero subito posto a sedere, proprio perché quella mattina avevamo un'ora di lezione con la professoressa Jauregui. Val era seduta accanto a me, in fondo alla classe, nascoste dietro le spalle degli alunni. Ogni volta che arrivava la sua ora cercavo di farmi il più piccola possibile e giocavo a nascondermi dietro i compagni. Sapevo che lei mi guardava, o almeno ci provava, come facevo ad esserne sicura? La mia pelle bruciava, la mia gola si seccava e per qualche secondo perdevo il respiro. Questo era l'effetto del suo sguardo su di me, ma io la evitavo. Appoggiavo la testa sulle braccia incrociate sul banco e mantenevo la vista fissa fuori dalla finestra, poi mi tenevo impegnata contando gli alberi fuori nel cortile, perché solo a sentire la sua voce mi veniva voglia di piangere, così mi intrattenevo con altro. 33 alberi. Li avevo contati e ricontati, senza mai stancarmi, ed ero quello che stavo facendo quella mattina. Ero arrivata al sedicesimo, quando Val interruppe i miei pensieri scuotendomi energicamente il braccio. «Io non ce la faccio più a vederti così.» bisbigliò con voce da rimprovero, ma allo stesso tempo esasperata, come qualcuno che ha cercato di tenderti una mano, ma l'hai prontamente scansata. «Sono passati venti giorni Camila, dimenticati di lei e vai avanti!» alzai leggermente la testa, ma restando piegata sul banco, evitando di farmi notare dalla professoressa, poi alzai il dito indice e serrai la mascella, e sempre bisbigliando dissi: «Guarda che sono passati quindici giorni! E poi non voglio andare avanti, sto aspettando che prenda una decisione.» tornai a sdraiarmi sul banco, appoggiando la testa sopra le mani intrecciate stavolta e, invece di guardare fuori, rivolsi l'attenzione verso Val. «Mi sembra che abbia già preso una decisione Camila. Lei si scopa sua moglie!» quell'affermazione mi fece male, perché in effettivi poteva essere vera, ma non avevo il coraggio di affrontare la realtà, ero spaventata che mi ridesse in faccia. Quando Val lasciò uscire tutta la sua esasperazione mormorando quella frase, persi il controllo e alzai di scatto la testa, sbattei con forza il palmo della mano contro il banco e le puntai il dito contro, proprio sotto al collo, dicendo a voce fin troppo alta: «Questo non è vero cazzo!» dopo pochi secondi di ira realizzai di aver usato un tono eccessivo e di essermi resa ridicola di fronte all'intera classe. Mi guardai attorno lentamente. Tutti gli sguardi erano rivolti su di me, compreso quello di Lauren. Erano giorni che non incontravo i suoi occhi e solo allora mi resi conto di quanto mi avesse fatto male sfuggirle. Ritirai il dito, ancora puntato al collo di Val e chiusi la mano in pugno, che poi nascosi sotto al banco. Anche la donna dietro la cattedra era in difficoltà. Sapeva di dover prendere provvedimenti per il comportamento inadeguato che avevo avuto, ma allo stesso tempo stava per sgridare formalmente la ragazza con la quale era andata più volte a letto e non solo per divertimento, quindi era costretta a pretendere davanti a tutti di non provare niente, di non essere niente. Quando tutti gli occhi erano rivolti verso di me, vidi Lauren sospirare affannosamente e socchiudere gli occhi, prima di unire le labbra in una linea dura e richiamare l'attenzione degli studenti su di lei sbattendo la mano sulla cattedra. Si girarono tutti saltellando sul posto. «Signorina Cabello! Questa attitudine non è consentita nella mia aula.» respirai profondamente. La sua voce, era cambiata. Avevo lo stesso tono, ma un'alterazione leggera l'offuscava, così tenue che solo chi la conosceva veramente sarebbe stato in grado di catturarne la differenza. Era un pizzico aspro, se avessi potuto dipingerlo avrei usato il grigio. «Mi dispiace, io non volevo.» non so come uscirono le parole dalla bocca, non ci pensai neanche, spiccarono fuori senza nessun consenso e subito dopo le mie guance si colorarono di un rosso acceso che nascosi dietro la testa di uno dei miei compagni. «Mi guardi in faccia quando parlo!» diede un altro pugno sulla cattedra, provocando un altro sussulto di massa. Val bisbigliò qualcosa che non riuscii a capire e lentamente spostai nuovamente lo sguardo su di lei. In quel momento credo che prese la decisione migliore per entrambe. Con freddezza plateale indicò la porta e disse: «Esci dalla mia classe.» non me lo feci ripetere due volte. Afferrai lo zaino e lo caricai in spalla, dopodiché mi  avvicinai all'uscita, prima di raggiungere la porta venni fermata da Emily, la quale mise nel palmo della mano un bigliettino e con fare amichevole mi fece l'occhiolino. «Ora Cabello!» stavolta le parole della professoressa furono scandite con più ferocia. Continuai a camminare fuori dalla classe, ma prima di uscire mi voltai e con un sorriso malinconico aggiunsi: «Come no, so quando andarmene.» e aprii la porta premendoci contro la schiena, così riuscii a vedere in faccia Lauren fin quando l'anta bianca non si richiuse, dividendoci una volta per tutte. Ripresi a respirare. Mi appoggiai contro gli armadietti e chiusi gli occhi. Sentivo il mio cuore battere forte, portai una mano sopra al petto e inspirai profondamene, trattenni e poi espirai. Quando i battiti si stabilizzarono, mi girai di schiena e mi lasciai cadere contro gli armadietti fino a scivolare giù dal pavimento. Quella situazione era insopportabile. Ogni giorno mi svegliavo con l'ansia, andavo mal volentieri a scuola, non riuscivo più a studiare per la sua materia e se una semplice sgridata mi faceva quell'effetto, cosa sarebbe successo quando avrebbe dovuto interrogarmi e saremmo state costrette a restare abbastanza vicine da perdere la testa? Dovevo cambiare scuola? Questo avrebbe risolto la situazione, o l'avrebbe complicata? Dio! Mi presi la testa fra le mani e solo in quel momento mi ricordai del bigliettino di Emily. Lo tirai fuori dalla tasca dei jeans e lo lessi:

Non hai un bell'aspetto. Ti va di uscire stasera? Nessun impegno.

Forse uscire mi avrebbe fatto bene, ma svagarmi con Emily era il modo migliore per staccare la testa? In quel momento squillò il telefono, vibrando fastidiosamente dentro lo zaino. A fatica raggiunsi la tasca posizionata dietro le mie spalle e afferrai il telefono, portandolo velocemente all'orecchio.
«Lexie! Che succede?»
«Camila, vieni a casa! Subito!» per poco non mi perforò un timpano! Sembrava arrabbiata, delusa, in preda al panico. Cercai di capire meglio cosa stava succedendo, ma l'unica cosa che disse fu: «Se non corri subito a casa credo che commetterò un omicidio!»
e non servì aggiungere altro per farmi scattare verso la via di ritorno.

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