Capitolo 17
«Perché non me l'hai detto prima?» mi tirai su i jeans e mi apprestai a raccogliere il reggiseno caduto sotto al tavolo in legno. «Non sono affari tuoi. Abbassa la cresta, chiaro?» mi voltai di scatto verso di lei, si stava rimettendo la maglietta. Appena il tessuto aderì al petto di Lauren scosse i capelli con una mano e li portò su una spalla. Agganciai il reggiseno e mi infilai la maglia, poi mi appoggiai contro il tavolo alle mie spalle, incrociai le gambe e la guardai con gli occhi stretti in due fessure finissime. «Allora perché me lo stai dicendo?» la Jauregui saltellò sul posto per far aderire i pantaloni, si agganciò il bottone e venne verso di me. Il suo sguardo mi spogliava, era come se lei vedesse oltre agli indumenti e al corpo. Arrivava in profondità e scalfiva qualcosa dentro di me. Quando c'era lei nella stanza, mi sentivo sempre sotto costante minaccia. «Perché da domani non mi vedrai per una settimana, perciò mi sembrava lecito dirtelo.» la sua mano andò a toccare i miei capelli, girai la testa dall'altra parte, ma lei non si arrese e continuò ad accarezzarmi, scendendo con tocco delicato fino all'incavo del collo. Mi spostai dal tavolo e lasciai cadere la sua mano nel vuoto, la quale si aggrappò con forza al tavolo di quercia e lo graffiò lentamente, facendo uscire la rabbia provocata dalla mia apparente insolenza.
«Non puoi non andare? Dì loro che hai cambiato idea!» camminai avanti e indietro dalla porta al tavolo, dal tavolo alla porta. Lauren si portò una mano sulla fronte e scosse la testa, stava perdendo la pazienza. «Camila questo è il mio lavoro! Per l'amor di Dio, è solo una cazzo di gita!» mi fermai prima di raggiungere la porta e mi voltai lentamente verso di lei. Aveva ragione. Dovevo ammetterlo: stavo esagerando. Non mi preoccupava stare lontana io da lei, ero intimorita del fatto che Lauren sarebbe stata lontana da me. Forse c'era qualcosa sotto. E se avesse conosciuto un'altra? Basta! E' il suo lavoro, solo il suo lavoro. «Mi dispiace, hai ragione.» restai a capo basso nel punto in cui i miei piedi avevano smesso di muoversi. Fu lei a venire da me. Posò le sue mani sulle mia guance e subito mi sentii sciogliere nei suoi palmi. «Certo che ho ragione.» sussurrò lasciandomi un bacio casto sulle labbra e poi un altro sulla punta del naso. La guardai lasciare elegantemente la stanza.
Il giorno dopo mi alzai alle 5 solo per andare a salutarla. Indossai un giubbotto in pelliccia, delle Nike e un paio di jeans. C'era una leggera foschia che mi impediva di vedere a lunga distanza. Arrivai davanti alla scuola, l'edificio si fece spazio fra la nebbia mattutina e la facciata principale spuntò a chiazze dalla nube biancastra. Due fari mi abbagliarono, diradando il fumo bianco. Portai una mano davanti agli occhi e girai la testa dall'altra parte, la luce si spense subito e raggiunsi Lauren in auto. Venni accolta da un caldo confortante, scrollai le spalle lasciando cadere la rugiada dalla giacca e sfregai freneticamente le mani l'una contro l'altra, poi alitai sui palmi irrigiditi dal freddo. «Cazzo non chiedermi mai più di uscire a quest'ora.» mi lamentai rabbrividendo. Lauren si lasciò sfuggire una debole risata, ma poi tornò nei panni del suo personaggio e duramente rispose: «Non sei tu a decidere.» mi voltai verso di lei, il mio sguardo contrariato non sconfisse la sua prepotenza, anzi l'alimentò. «Se mi lasci dormire fino alle otto, ti permetterò di usare qualsiasi dildo su di me.» non accennò ad un sorriso, le sue labbra rimasero impassibili, proprio come la sua attitudine. Sospirai annoiata e alzai le mani in segno di resa, si faceva come voleva lei. «Allora Camila...» si sganciò lentamente la cintura, fissavo davanti a me, ma con la coda dell'occhio osservavo ogni suo movimento e mi innervosivo ogni volta che la sua mano mi sfiorava involontariamente. «Io me ne vado per una settimana, ma non credere che sarai libera di fare ciò che ti passa per la mente. Io ho occhi dappertutto e non ti conviene farmi arrabbiare, lo sai.» allungò una gamba verso di me, prontamente l'afferrai e Lauren si sedette sopra di me. Prese fra le mani il mio volto, sussultai sottovoce quando i suoi palmi freddi entrarono in contatto con le mie guance. «E tu farai la brava?» chiesi guardandola negli occhi. Le si allargò un sorriso malizioso sul volto, si chinò verso di me schiacciandomi con il suo corpo contro il sedile e spostò i capelli per sussurrarmi all'orecchio: «Quando mai sono cattiva?» non mi lasciò il tempo di reagire e le sue labbra calde furono subito a riscaldare le mie gelide. Si muovevamo in sintonia: non solo le nostre lingue, ma anche i nostri corpi, le nostre mani, i nostri irruenti spiriti. «Te lo ripeto Lauren: sei pessima.» sorrisi gentilmente e questa volta riuscì a strappare una risata anche a lei, la quale si aggrappò al mio collo e si lasciò cadere con la schiena all'indietro. I capelli ondeggiarono creando delle sfumature sul suo volto. Sospirai ammirando la sfacciata bellezza che stringevo fra le mani. Mentre ci lasciavamo andare alle risate arrivarono i primi alunni e dovetti scendere per non destare sospetti. «Ci vediamo presto piccola.» disse aprendomi la portiera e tornando al posto del guidatore. Uscii sorridendo per il nomignolo che mi aveva appena attribuito.
Una settimana.
Che sarà mai!
Poteva farcela, no?
Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro