I
AU - soulmate universe
Inspired by GOT
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Erano passate tre lune piene da quando Clarke di Arkadia aveva mandato il falco con la convocazione nella Capitale. La risposta non si era fatta attendere e l'Armata Nera in quel momento era in viaggio verso di loro.
Le voci che avevano raggiunto le orecchie della Regina raccontavano che l'Armata non si era risparmiata qualche razzia nel cammino, ma aveva deciso di ignorare quelle voci e di ripagare dalle casse della Corona le perdite che i Floukru avevano subito durante il passaggio dei suoi alleati. O quelli che la Regina sperava diventassero alleati.
Clarke sentì una mano bussare sulla porta e quel suono la distrasse dalle sue riflessioni. Il suo sguardo si era perso al di fuori della finestra delle sue stanze, concentrato sulle ombre che le montagne su cui si trovava il Castello creavano sulla pianura e sulla città che governava.
"Avanti" disse con voce sicura mentre si allontanava dalla finestra per voltarsi verso chiunque avesse bussato.
Ad entrare fu Bellamy, il primo cavaliere della Regina, splendente nella sua armatura argentea, ma col viso segnato dalla preoccupazione che Clarke stava ignorando da settimane.
"Mia Signora" la salutò entrando e chiudendosi la porta alle spalle. La mano sinistra era sulla sua spada dal pomulo recante il simbolo della Corona, la destra teneva una pergamena col sigillo scuro che Clarke aveva visto solo un'altra volta nella sua vita. "È arrivato un corvo da parte dell'Armata Nera. È stato spedito dal Castello Trikru."
Clarke annuì e si avvicinò all'uomo con la mano protratta in avanti. "Non mi stupisce che l'Armata si sia fermata lì" ammise afferrando la pergamena. "Le voci dicono che Lexa sia stata addestrata da Anya in persona."
Le dita affusolate di Clarke accarezzarono il marchio impresso sul sigillo Nero che chiudeva la pergamena, poi lo ruppero per poter leggere il messaggio. L'arrivo dell'Armata era previsto entro cinque albe.
"Mia Signora" Bellamy attirò l'attenzione della donna che sollevò lo sguardo azzurro su di lui. "Continuo a pensare che dovrebbe riflettere meglio su questa scelta."
La Regina arrotolò nuovamente il messaggio e diede le spalle all'uomo per poter posare la pergamena sul tavolo vicino alla finestra.
"La tua alternativa non è valida" afferrò una bottiglia del vino scuro prodotto dalle migliori vigne del Reame e versò il liquido in uno dei calici.
"L'armata reale è forte. Abbiamo sconfitto i Guardiani del Tempo e potremo sconfiggere anche il Popolo del Ghiaccio senza avere bisogno di quei bruti."
"Quei bruti sono gli unici che abbiano mai sconfitto il Popolo del Ghiaccio, Bellamy."
La voce della Regina uscì gelida come il vento invernale ed il cavaliere ebbe un sussulto per la durezza di quel tono.
Bellamy e Clarke erano cresciuti insieme. Loro e la sorella di Bellamy, Octavia, anche se la ragazza aveva preso la decisione di abbandonare la Capitale per scoprire cosa ci fosse fuori dalle mura di cinta.
Erano cresciuti a corte, Bellamy come figlio del Primo cavaliere di Re Jake, il padre di Clarke, e per anni le famiglie dei due giovani avevano sperato che gli dei decidessero di unirli.
A sedici anni Bellamy vide comparire sul suo braccio il simbolo di un'ala di corvo, nera come la paura e possente come un fulmine. Un simbolo che rispecchiava la forza che si aspettava che il ragazzo avesse e che lo legava per sempre alla sua anima gemella, l'unica che aveva sulla sua pelle un simbolo legato al suo in qualche modo.
Clarke ai tempi aveva quattordici anni e sapeva che se gli dei avessero voluto che lei fosse la sposa di Bellamy, l'avrebbe potuto capire soltanto due anni dopo, quando avrebbe ricevuto quel simbolo tanto desiderato dalle loro famiglie e dall'intero Reame.
In cuor suo Clarke desiderava che gli dei prendessero una decisione diversa, ma non lo ammise a nessuno, neppure a Raven, la sua unica sorella bastarda maggiore, cresciuta come fosse una della famiglia reale e riconosciuta come tale soltanto quando Clarke era salita al trono alla morte di suo padre.
Il giorno in cui compì sedici anni i sogni delle due famiglie più potenti della Capitale si infransero e Clarke sentì un peso sollevarsi dalle sue giovani spalle. Il suo braccio era rimasto candido, senza nessun simbolo riguardante ali o volatili. Sulle sue mani nessuna piuma, sulle sue gambe nessun becco.
Clarke era riuscita a vedere il simbolo solo quando si era messa di fronte allo specchio della sua stanza, nuda di ogni abito in modo da poter vedere qualunque simbolo fosse comparso sul suo corpo. Quando lo vide si accorse che nessun vestito avrebbe mai potuto coprire lo strano disegno apparso sotto il suo occhio sinistro.
Azzurro come il cielo primaverile e come i suoi occhi di tempesta, Clarke vide un disegno che partiva dalla sua tempia ed attraversava la sua guancia per fermarsi sotto il suo occhio.
I saggi e le sacerdotesse studiarono e cercarono quel simbolo per venti lune piene, ma non trovarono nessuna similitudine con qualcosa accaduta in passato.
"Gli dei vogliono che tu e la tua anima compagna possiate riconoscervi al primo sguardo" dissero tutti gli esperti da cui il padre di Clarke la portò nel corso della sua giovinezza.
Dieci anni dopo dalla comparsa di quel simbolo la Regina ancora non sapeva chi fosse l'anima che l'avrebbe accompagnata in quell'esistenza, mentre Bellamy aveva trovato un altro corvo nell'avambraccio di una donna del Popolo del Deserto, Gina.
Bellamy e Clarke non furono legati dagli dei per l'eternità, ma l'uomo era l'unica persona di cui Clarke si fosse mai fidata al di fuori della sua famiglia. La Regina aveva sempre ascoltato il suo Primo Cavaliere, ma in quella faccenda i due non riuscivano a trovare un punto d'incontro.
"L'Armata Nera è pericolosa, Clarke."
La Regina dai capelli dorati sorseggiò il suo vino e versò un altro calice per porgerlo al suo Primo Cavaliere.
"L'Armata Nera è pericolosa se non si riesce a governarla."
"Nessuno può comandare l'Armata Nera" rispose con durezza Bellamy afferrando il calice.
Clarke diede di nuovo le spalle a Bellamy e si avvicinò alla finestra. "Lexa lo sta facendo."
"I miei uomini dicono che sia soltanto una voce da taverna. Titus non avrebbe mai dato tutto il potere a quella ragazza."
Clarke si voltò con sguardo di fuoco verso il cavaliere. "Titus è un sacerdote e secondo le acque che i nostri saggi hanno studiato Lexa sembra essere una Prescelta per il popolo dell'Armata."
"La chiamano la Heda, nel linguaggio del nord" disse Bellamy ricordando qualcosa che un suo soldato gli aveva raccontato.
"Esattamente. Non so per cosa sia Prescelta, ma nessun Comandante si tirerebbe indietro davanti ad una guerra, tu lo sai perfettamente." Clarke prese un sorso del suo vino e tornò a posare il calice sul tavolo, dove si versò altro alcol. "Sto offrendo all'Armata Nera la Guerra della Pianura e sono sicura che la loro Heda non rifiuterà mai l'opportunità di dimostrare di nuovo al Popolo del Ghiaccio che sono l'Armata più forte del Continente."
Il viso di Bellamy rifletteva i pensieri ed i dubbi che attraversavano la sua mente. Clarke capiva le sue paure, ma la Regina aveva ogni cosa programmata nei singoli dettagli.
Il Popolo del Ghiaccio aveva perso ogni ricchezza la primavera precedente, quando l'Armata li aveva sconfitti nella Bettaglia della Punta Nord, e l'unico modo che avevano per sopravvivere era attaccare la Corona, consapevoli che l'Armata Argentata non era abbastanza forte da difendere i territori della Corona.
Clarke aveva già perso due alleati per la paura che il Popolo del Ghiaccio infondeva alle altre casate e non aveva intenzione di perdere altro potere.
L'unico modo per fermare il Popolo del Ghiaccio era distruggerlo, e gli unici che potevano farlo erano i Trikru e l'Armata Nera, i due popoli più forti dell'intero Mondo.
"L'Armata arriverà tra cinque albe e Anya sarà con loro." Clarke informò l'uomo con voce neutra, senza nessuna emozione che potesse trapelare da quelle parole. "Mi aspetto che l'Armata Argentata ed il nostro popolo siano pronti ad accogliere in modo caloroso i nostri ospiti."
Bellamy chinò la testa guardando la donna di fronte a sé con sguardo deciso. "Farò in modo che sia così, mia Signora."
****
L'Armata arrivò prima di quanto previsto.
La Regina vide gli uomini avvicinarsi attraverso la pianura come un'ombra scura sulla terra illuminata dal sole che tramontava.
Erano passate soltanto tre albe e un'intera giornata e all'imbrunire le porte della Capitale vennero aperte per far entrare i mille uomini che Heda aveva portato fino a lì.
La Regina aspettò Lexa e Anya nella sala del Trono, seduta sull'argento che costituiva il simbolo del potere della Corona. L'enorme sala era colma del popolo che aveva deciso di prendere parte a quell'importante incontro.
Quando le porte della sala vennero aperte cadde il silenzio. Nessuno osò parlare, come se facendolo una sciagura potesse colpire loro e ogni loro discendente.
Due donne apparvero sulla porta.
La più alta era un viso conosciuto alla Regina. Anya kom Trikru, la Signora dei territori della Foresta Scura. Grandi guerrieri ed abili fabbri, il Popolo della Foresta non aveva mai giurato nessuna fedeltà alla Corona, mantenendosi come Popolo Libero e sempre rispettato per questa scelta. La donna dai capelli biondi camminava in modo fiero lungo il corridoio che il popolo aveva creato per il loro passaggio.
Al fianco di Anya vi era la donna su cui regnavano tante leggende. Un mantello rosso copriva la donna e rendeva impossibile vedere il suo viso, ma Clarke si permise di studiare l'armatura scura in cuoio e pelliccia che indossava. Cinghie di cuoio stringevano il corpo muscoloso della donna e lame di ogni tipo fuoriuscivano dalle tasche dei suoi vestiti.
"Perché non sono state confiscate le sue armi?" Chiese Clarke a Raven, la quale era al suo fianco nella sua armatura argentata.
"Ci hanno provato, sorella. Tre uomini hanno perso le mani nel tentativo e non potevamo permetterci di perdere altri soldati."
Clarke sollevò le sopracciglia in segno di stupore. "Che vengano ripagati per il loro servizio."
Le due donne si fermarono di fronte alla scalinata del trono. Nessun soldato le aveva accompagnate, ma la Regina non si stupì di quel fatto. Nessuno avrebbe mai potuto affrontare quelle due donne e raccontarlo una volta finito.
Clarke indossó il suo migliore sorriso.
"Benvenute mie Signore. Spero che gli dei via abbiano aiutati durante il viaggio."
Non arrivò nessuna risposta dalle due donne e vi fu qualche secondo di silenzio teso nella Sala.
Anya si voltò verso la donna al suo fianco, ma nessuna della due proferì parola.
Clarke rivolse uno sguardo a Bellamy e il Primo Cavaliere portò la mano destra sull'elsa della sua spada pronto ad agire in base a come evolvesse la situazione.
Poi Lexa sollevò entrambe le mani e afferrò il cappuccio che le copriva la testa e lo abbassò rivelando il suo aspetto. I capelli scuri erano raccolti in delle trecce elaborate tradizionali della cultura del Nord a cui appartenevano le due donne, ma lasciavano completamente libero il lato sinistro del viso della Comandante dell'Armata Nera. Il volto era magro e spigoloso, con degli zigomi duri e una mascella affilata come la lama della sua spada, ma i suoi occhi verdi come la foresta sembravano essere accesi da una forza sconosciuta.
Il respiro di chiunque si fermò quando vide che il lato destro del viso della donna era coperto da una maschera. Il cuoio nero copriva interamente il lato destro di quel volto, lasciando liberi soltanto l'occhio verde e parte delle labbra piene.
Clarke si stupì del fatto che nessuno le avesse dato quell'informazione così particolare.
"Mia Signora" la voce della donna mascherata risuonò con forza tra le pareti della Sala del Trono. "Non so se siano stati gli déi a renderlo tale, ma il viaggio è stato redditizio per me e i miei uomini."
Clarke rispose in fretta, dando voce ad un dubbio che le rimbombava nella testa da quando aveva visto l'ombra scura avvicinarsi attraverso la pianura. "I tuoi uomini mi sembrano meno di quanti mi siano stati promessi."
Raven si irrigidì accanto a sua sorella quando quelle parole pugnalarono il silenzio e Bellamy rafforzò la presa sulla sua spada. La Regina era consapevole di star giocando col fuoco, ma doveva capire quanto potesse effettivamente premere la mano con la donna che aveva di fronte.
Un sorriso piegò a metà le labbra della donna dagli occhi verdi. Lo sguardo della foresta si posò sul mare che inondava le iridi della Regina e Heda fece un passo avanti verso il trono. Il suono delle corazze di argento dei soldati della Regina circondò la donna, ma Clarke sollevò una mano per fermare ogni azione i suoi soldati volessero portare avanti.
Lexa si guardò intorno con un sorriso divertito, poi tornò a guardare la Regina dai capelli dorati.
"Dimmi, mia Signora" fece un altro passo in avanti, poi si fermò di fronte alla scalinata che portava al trono d'argento "tu avresti mosso quaranta mila uomini senza sapere il motivo per cui sei stata convocata? Fuori da questa Sala ci sono mille dei soldati più forti che la Capitale abbia mai visto e altri diciannove mila aspettano un mio comando nel castello Trikru. Se fosse necessario, gli altri venti mila partiranno immediatamente e in sette albe arriveranno qui."
Clarke non dimostrò quanto quelle parole la colpirono, continuando a guardare la donna che aveva di fronte senza nessuna emozione. Raven, al suo fianco, emise un suono di stupore che si riflesse nel resto dell'Armata Argentata.
La Regina si mise in piedi e fece dei passi in avanti affiancata da sua sorella.
"Lasciateci sole." La voce della Regina suonò con sicurezza squarciando il silenzio. Bellamy si avvicinò in fretta alla donna, ma lei non gli rivolse uno sguardo. "Che rimangano mia sorella, Anya e Lexa. Non voglio che nessun altro sia presente in questa Sala."
Le porte vennero aperte nuovamente e uno per volta ogni persona uscì dalla Sala, tutti tranne i soldati dell'Armata Argentata che rimase immobile in attesa di un comando del Primo Cavaliere.
Heda non spostò lo sguardo da quello della Regina e lei fece altrettanto.
"Mia Signora" Bellamy tentò di parlare, ma la Regina lo bloccò.
"Devo forse ripetere il mio comando, Ser Blake?"
L'uomo deglutì amaramente guardando la sua Regina, poi si allontanò in fretta seguito dai suoi uomini.
Una volta che le porte si chiusero la Regina scese le scale e si fermò a pochi passi dalle due guerriere.
"Cosa vuoi dimostrare?" chiese Lexa.
La Regina mostrò un sorriso divertito mentre congiungeva le mani per giocare coi proprio anelli preziosi.
"Cosa pensi che stia dimostrando?"
Lexa fece un passo in avanti verso la Regnante. La Regina dai capelli dorati non cedette di un passo, restando immobile nella sua posizione.
"Vuoi dimostrare che non hai bisogno di avere la tua guardia reale intorno per fronteggiarmi" disse facendo un altro passo. "Non capisco se tu sia incosciente o troppo convinta di te, mia Signora."
Clarke sorrise e sollevò un sopracciglio. "Sono la tua Regina, oltre che tua Signora."
"La nostra gente è un Popolo libero. Non abbiamo mai giurato nessuna fedeltà alla Corona" la voce di Anya pugnalò l'aria e il sorriso della Comandante si allargò.
La Regina guardò la donna senza perdere il sorriso. "Chiedo scusa, mi rimangio ciò che ho detto."
Gli occhi azzurri della Regina tornarono su quelli verdi della donna che guidava l'Armata. Clarke osservò quello coperto dalla maschera, nella speranza di vedere qualcosa in più di quel viso, ma abbandonò l'idea quando l'altra sollevò un sopracciglio in attesa di sentire cosa volesse la Regina.
Clarke diede le spalle alla donna e si allontanò di qualche passo da lei, tornando verso il trono. "Abbiamo ricevuto delle minacce da parte del Popolo del Ghiaccio." Quando Clarke si voltò a guardare la donna non trovò nessuna espressione di stupore. "Non ti vedo sorpresa da questa notizia."
Heda si strinse nelle spalle. "Alcune notizie volano. Non mi stupisce che, dopo aver perso tutto, il Popolo del Ghiaccio provi ad attaccare direttamente la base del potere."
"È ciò che faresti tu?" La Regina tornò a sedersi sul trono e Raven riprese il suo posto al suo fianco.
"Perché, tu non lo faresti? Non è forse ciò che fece la tua famiglia quando conquistò il trono alla casata Natblida?"
Clarke sorrise in modo amaro e accarezzò con la mano il bracciolo del trono d'argento. "La mia famiglia si è sempre occupata del commercio dell'argento. Ci siamo presi il luogo in cui sapevamo che era più facile estrarlo, anche se ben difeso."
Lexa strinse gli occhi ad una fessura. "Un obiettivo ambizioso, ma è comunque stato raggiunto. Quale pensi che sia la differenza tra la tua famiglia e il Popolo del Ghiaccio?" Heda salì sul primo gradino della scalinata.
Raven si irrigidì ed impugnò la sua spada estraendola dalla sua fodera e dietro la Comandante Anya fece lo stesso, in un chiaro avviso. Clarke ignorò quello che stava succedendo tra le altre due donne, troppo impegnata ad osservare la castana col viso coperto.
"La tua famiglia non aveva un grande esercito. Le storie narrano che vinceste perché l'esercito dei Natblida era stato decimato da una maledizione legata al loro sangue, e gli effetti di videro proprio pochi giorni prima che voi li attaccaste per salire al trono. Una coincidenza particolare, a mio parere, ma comunque fu uno dei fattori con cui riusciste a vincere. Ho sentito anche che la tua famiglia si prese poi la briga di uccidere ogni erede al trono per evitare che qualcuno tentasse nuovamente la salita al potere che spettava loro di diritto." Lexa raggiunse il trono e si fermò ad un passo da esso, con le mani congiunte dietro la schiena. Se avesse avuto una lama, né Clarke né Raven l'avrebbe vista. "Il Popolo del Ghiaccio ha un grande esercito" disse senza inflessioni nella voce. "Ha uomini leali alla loro Signora e pronti a qualunque cosa, ora che hanno perso tutto. La Corona invece ha soldati lenti e poco abili, che non ascoltano i comandi della loro Regina ma solo quelli del Primo Cavaliere."
Heda fece un altro passo e si chinò sul trono. Posò una mano su ogni bracciolo, sovrastando la Regina che non perse la sua posizione, trovandosi a stare a pochi centimetri dal viso della donna.
Clarke vide divertimento in quegli occhi verdi.
Lexa non vide nessun timore in quelli azzurri.
"Come pensi di vincere la guerra?" La donna dai capelli scuri sussurrò quella frase sul viso di Clarke e lei deglutì con forza osservando gli occhi della foresta in fiamme.
"Dipende dal vostro prezzo."
Lexa sorrise e si raddrizzò, poi si voltò a lanciare uno sguardo ad Anya, che in quel momento si trovava alla base della scalinata con la spada in mano ed un'espressione interrogativa sul viso.
Poi la risata di Lexa riempì il silenzio della sala.
"Vuoi che mettiamo a repentaglio la vita dell'Armata Nera e dei soldati Trikru? Per cosa? Per il nome di una Regina che noi non appoggiamo?"
"I corvi dicono che siete stati gli unici in grado di sconfiggere l'Armata di Ghiaccio."
"È grazie a noi se hanno perso tutto."
"E permettereste ad un Popolo del genere di conquistare la Capitale e Regnare sul continente?"
"Se il Popolo del Ghiaccio vincesse la Guerra potremmo attaccarli e prende a nostra volta il Regno, sfruttando la debolezza che una guerra porta suogni esercito" disse con voce convinta.
Per un secondo il viso di Clarke mostrò il suo stupore nel sentire quelle parole e lo sguardo di Lexa si illuminò per la soddisfazione di aver colpito nel segno.
"Non avevi pensato a quest'ipotesi, vero? Il tuo Primo Cavaliere non ti ha spiegato le strategie di guerra?" chiese divertita alla Regina.
Clarke abbassò lo sguardo sulle lame che attraversavano le gambe della Comandante, contandone quattro in ogni coscia. "Se voi davvero voleste il Trono, l'avreste già preso" la Regina tornò ad osservare il viso della Heda, concentrandosi sul cuoio liscio della sua maschera. "Siete l'esercito più forte del Continente, non c'è nessuno che possa davvero andarvi contro, e potreste conquistare ogni singolo castello" ammise con voce sicura. "Però voi non avete sete di Potere. Non siete il genere di persone che conquisterebbe la Capitale per starci in pianta stabile e regnare sull'intero Continente."
"Pensi di conoscere davvero così bene il mio popolo?" Chiese con voce di scherno la castana ed Anya emise un suono basso che somigliava lievemente ad una risata.
La Regina mostrò un sorriso sghembo. "Abbastanza da sapere che combatterete con me con la promessa di ricevere il vostro peso in pezzi d'argento."
Lexa sollevò un sopracciglio, poi sorrise. "Abbiamo anche dei cavalli. Vogliamo anche il loro peso in argento."
"Allora abbiamo un accordo" Clarke si mise nuovamente in piedi, fronteggiando la donna che tanto la incuriosiva e spaventava allo stesso tempo. "L'Armata Nera combatterà accanto a quella Argentata nella Guerra della Pianura."
"E io cosa ci guadagno?" Chiese con un sorriso che prometteva cose che nessuna di loro voleva dire a voce alta. La tensione tra la Regina dai capelli dorati e la Comandante crebbe e si inspessì, ma nessuna delle due tentò di romperla.
"Vinci la Guerra, poi sono sicura che troveremo un modo per farti sentire soddisfatta della vittoria."
Lexa sembrò apprezzare quella risposta e si passò la lingua sulle labbra piene catturando l'attenzione degli occhi della Regina.
Heda fece un passo indietro e mise distanza tra lei e la Regina prima di parlare nuovamente. "Col tuo permesso, mia Signora, vado a contattare i miei uomini. Entro quattro albe ventimila dei miei uomini saranno a tuo servizio."
"Fino ad allora sentitevi nostri ospiti. Per te e Anya sono state preparate delle Stanze qui al Castello in cui i miei uomini vi accompagneranno. I vostri soldati possono soggiornare dove vogliono, tutti i bordelli della città saranno lieti di accoglierli."
"Sono sicura che sarà una notizia ben accolta."
Così le due donne del Nord uscirono dalla Sala lasciando sole le due Arkadia.
*****
Anya entrò nella stanza di Lexa spalancando la porta, senza preoccuparsi di bussare.
Lexa aveva appena terminato di scrivere i messaggi da affidare ai corvi, così Anya la trovò impegnata a preparare il timbro dell'Armata Nera che avrebbe usato per chiudere col sigillo le piccole pergamene. La Signora delle Foreste chiuse a chiave la porta alle sue spalle e si avvicinò alla donna con l'intenzione di riempire i due calici che vedeva sulla scrivania col vino costoso della Corona.
"Vogliamo continuare ad ignorare l'elefante che c'è in mezzo alla stanza?" Chiese mentre osservava il vino riempire il primo calice.
Lexa sollevò lo sguardo dalla cera nera che aveva appena versato con attenzione sulla pergamena. "Non so a cosa tu ti riferisca."
Anya osservò le dita di Lexa premere il sigillo sulla cera per qualche secondo, finché essa non si indurì chiudendo definitivamente la pergamena. La castana mise da parte tutto ciò che aveva utilizzato e si mise in piedi facendo schioccare le ossa delle sue gambe. Si avvicinò alla porta e, dopo aver controllato che essa fosse effettivamente chiusa, emise un lieve sospiro e prese a spogliarsi di tutte le armi che portava addosso.
"La Regina è una donna interessante" ammise mentre riponeva accanto al letto le otto lame che aveva tolto dai suoi pantaloni. Altre tre erano incastrate nel suo corsetto in cuoio e altre cinque lungo la sua schiena. Le ultime due le tolse dai suoi stivali, poi passò ad occuparsi di slacciare le cinghie che tenevano insieme i suoi bracciali protettivi in cuoio nero.
"Ho notato con piacere quanto fosse il tuo interesse nei suoi confronti" disse Anya divertita mentre sorseggiava il suo vino accomodandosi sul letto della Comandante. La castana rise e lasciò i bracciali in pelle insieme alle lame prima di portare le mani ai piccoli ganci che tenevano la sua maschera fissata ai suoi capelli. Con calma afferrò quell'accessorio e lo rimosse dal suo viso sentendosi finalmente libera, malgrado l'aria gelida che le colpì la metà viso fino ad allora coperta la fece rabbrividire.
"Sono passati mesi dall'ultima volta che ti ho vista senza quella cosa" disse Anya indicando la maschera.
Lexa sospirò e la lasciò insieme al resto delle sue cose per andare verso lo specchio. Osservò il suo viso per qualche secondo, studiando per l'ennesima volta nella sua vita il disegno nero che avvolgeva il suo occhio destro. A differenza da quello che aveva visto sul viso della Regina, il disegno che solcava il volto di Lexa era più grande, prendeva l'intero occhio e parte della sua guancia che era attraversata da tre lunghi segni verticali simili a inchiostro colato dal disegno principale.
"E passeranno di nuovo mesi se fai qualche commento a proposito" disse Lexa prendendo il suo secchio dell'acqua per sciacquarsi il viso dal sudore che le imperlava il viso ogni volta che indossava la spessa maschera in cuoio.
"Ne varrà comunque la pena, visto che finalmente hai trovato la sua keryon mehit."
Lexa fece un'espressione di fastidio. "Non è la mia anima gemella. Il suo disegno è diverso da mio."
"È l'unica persona in tutto il mondo con un segno sul viso."
Heda afferrò un asciugamano e si asciugò il viso con calma prima di voltarsi verso Anya. "Non puoi esserne certa."
"Tutti sanno che la Regina ha quel simbolo. Se qualcuno ne avesse uno anche solamente simile sarebbe già andato a reclamare il suo posto sul Trono d'Argento" replicò Anya. "Tutti tranne te."
"A me il Trono non interessa."
"È proprio per questo che secondo me dovresti dirglielo."
Lexa aggrottò lo sopracciglia guardando la sua unica confidente. "Cosa intendi?"
Anya si mise seduta sul bordo del letto guardandola con un sorriso. "Ti tiene testa come nessuno ha mai fatto e tra voi scorre qualcosa che non riuscite a controllare. A te non interessa il Trono e la Regina lo sa perfettamente, quindi non ti tratterà come una contendente. Non vedo cosa potrebbe andare storto se tu le facessi vedere il tuo simbolo."
Lexa rise. "Queste storie delle anime gemelle mi hanno sempre fatto ridere. Sono ridicole come quelle sugli Dei."
"Sono ridicole, ma è ciò che fa girare questo mondo. Che tu ci creda o no, non è il potere di Heda che fa andare avanti questo pianeta."
La castana scosse la testa divertita. "Vinciamo questa guerra, poi vedremo se varrà la pena di buttare quella maschera" indicò il pezzo di cuoio che riposava insieme alle lame. "Magari morirò in battaglia e la Regina vedrà il simbolo sul mio cadavere."
"O magari ti strapperà la maschera quando ti darà il tuo premio post-vittoria" Anya sollevò un sopracciglio da sopra il calice da cui stava bevendo. "Devo ammettere che è stata una scena piuttosto intensa. Io e Raven ci siamo guardate perché abbiamo avuto paura che vi dimenticaste che ci fossimo anche noi."
Lexa rise e finalmente prese il calice che Anya aveva riempito per lei, poi portò con sé il vino e riempì di nuovo anche quello che teneva in mano la bionda.
*****
Il Popolo del Ghiaccio arrivò nei confini della pianura dopo sei albe, dando al resto dell'Armata Nera il tempo di arrivare alla Capitale.
Fu così che Nia, la Signora dei Popoli del Ghiaccio, trovò di fronte a sé l'esercito della Corona affiancato dai venti mila uomini dell'Armata Nera.
Tra Nia e la Comandante c'era una distesa di venti metri, abbastanza perché ci fosse una risposta da parte di entrambe abbastanza rapida nel caso una delle due decidesse di attaccare.
"Non avrei mai pensato di vivere abbastanza a lungo da vedere l'Armata Nera inginocchiata davanti alla Regina d'Argento."
Le parole di Nia furono portate dal vento fino a Lexa che lasciò che le sue labbra si piegassero in un sorriso che Nia vide solo per metà, dove la maschera permetteva la visione del suo viso.
"Non vivrai abbastanza per vederlo."
*****
Era notte quando la Regina vide i suoi uomini varcare le soglie della città.
Nia era stata uccisa in battaglia da Anya Trikru, mentre Ontari e Roan, i figli combattenti della Signora dei Ghiacci erano morti per mano di Heda. Tra i soldati si diceva che ci fossero dei conti in sospeso tra Ontari, Nia e Lexa e che la castana si era occupata del corpo della donna più anziana in modi che alcuni non vollero raccontare.
I soldati feriti vennero portati dai saggi per essere curati, ma la Regina sapeva in anticipo di aver perso almeno un quarto della sua Armata in quella guerra. Per quanto odiasse ammetterlo, l'unica persona di cui le interessava qualcosa era l'unica di cui non aveva ancora avuto notizie certe.
Le sue mani stringevano una coppa di vino mentre guardava dalla finestra il campo di battaglia in cui alcuni uomini stavano raccogliendo i corpi dei deceduti. Nella notte non poteva riconoscere quanti fossero ad occuparsi di quell'orribile lavoro, ma le luci delle fiaccole illuminava la pianura in modo tetro.
Il suono di una mano che bussava alla porta la distrasse dai suoi pensieri, così diede il permesso di entrare mentre si voltava verso l'ingresso.
Bellamy Blake aveva l'aria stanca nella sua armatura argentata. Un taglio gli attraversava la guancia minacciando di lasciare una cicatrice duratura, ma Clarke non riuscì a vedere nessun altro segno della battaglia appena avvenuta sulla sua corazza nuova di forgia.
"Mi ha fatto chiamare, mia Signora?"
"Non sei venuto da me dopo la battaglia" il tono della voce di Clarke fu accusatorio.
Bellamy non era abituato a sentire quella nota acida nelle parole che la Regina indirizzava a lui. L'aveva sentita rivolgersi a chiunque in quel modo, ma non a lui, e questo gli fece capire che probabilmente c'era qualcosa che lui non sapeva.
"Sono stato occupato. Molti uomini sono stati feriti e dovevo riuscire a far avere a tutti le cure migliori. I soldati dell'Armata non sono molto propensi a farsi curare dai nostri sacerdoti, ma credo abbiano capito che non avevano altra scelta."
Il silenzio cadde sulla stanza per qualche secondo. Le dita affusolate della Regina accarezzavano con calma l'argento della coppa, ma i suoi occhi azzurri non si separavano mai dal viso del cavaliere che aveva di fronte.
"Come sei stato ferito sul volto?"
Il pomo d'Adamo di Bellamy si alzò e abbassò con nervosismo. "Un uomo del Ghiaccio. Sono riuscito a disarmarlo dall'ascia che aveva tra le mani ma non sono stato attento al pugnale che aveva nella cintura."
"Sei stato fortunato che non ti abbia tagliato la gola" commentó la Regina.
Bellamy tentò di abbozzare un sorriso. "Lui non è stato fortunato quanto me."
Clarke non sorrise. Diede le spalle all'uomo ed accarezzò il legno della sua scrivania con fare pensieroso ed assente, ma il cavaliere sapeva che la conversazione non era chiusa.
"Ti chiedo di essere sincero" ordinò, malgrado il fatto che fosse quella una richiesta. "Gli uomini dell'Armata Nera sono stati essenziali per la vittoria di oggi?"
Bellamy prese un respiro profondo. "Abbiamo combattuto fianco a fianco."
"Non è quello che ti ho chiesto."
"Non capisco dove tu voglia arrivare" disse con tono duro il cavaliere ottenendo uno sguardo infuocato dalla Regina col segno azzurro sul viso.
I suoi occhi azzurri bruciavano di rabbia e per la prima volta Bellamy si rese conto che il segno che le addobbava il viso non era sufficiente per ammorbidire il suo sguardo.
"Il tuo orgoglio non ti permette di vedere la realtà in modo oggettivo, visto che non riesci ad ammettere che sei vivo solo grazie al fatto che fossero presente Anya e Lexa con la loro armata."
Bellamy aggrottò le sopracciglia. "Chi ti ha raccontato ciò che è successo?"
"Non deve interessarti" disse tagliente. "L'unica cosa che deve interessarti è come riacquistare la mia fiducia."
Bellamy si irrigidì incredulo. "Cosa significa?"
"Non posso avere un Primo Cavaliere che non è capace di ammettere di avere torto" la Regina fece dei passi avanti verso il castano. "Sei i miei occhi sul campo di battaglia ed il mio primo consigliere e in periodi come questo non posso permettermi di avere al mio fianco una persona che non sa rendersi conto di aver bisogno di alleati per vincere una guerra e si rifiuta di ammettere che il capo di quegli alleati ha tagliato la testa al nemico che stava per ucciderti."
Bellamy rimase in silenzio. La sua migliore amica non aveva mai usato un tono così duro con lui e all'improvviso si rese conto che aveva fatto un errore nel giudicare ogni sua scelta degli ultimi mesi.
"Mia Regin-".
"Vattene, Blake. Dormi e riposati. Domani ne parleremo quando il sole sarà alto" e la Regina tornò a dare le spalle al cavaliere che in silenzio abbandonò la stanza.
Clarke tornò alla finestra, ma sentì la porta aprirsi nuovamente dopo pochi secondi. Non si disturbò a girarsi per dire a Bellamy che non aveva altro da aggiungere, ma la persona che era appena entrata si schiarì la gola ottenendo la sua attenzione.
Davanti alla porta, la Regina trovò Lexa.
Indossava dei vestiti neri con le solite cinghie per bloccare le armi lungo tutto il suo corpo, ma Clarke la trovò completamente disarmata, con le braccia dietro il corpo e la maschera presente a nasconderle metà viso.
Un sorriso accarezzò le labbra della Regina. "Non mi sembra di averti convocata."
"Non sono abituata a queste inutili formalità" ammise avvicinandosi alla scrivania e abbandonando la sua posa rigida. Si servì un bicchiere di vino senza chiedere il permesso, ma riempì quello che Clarke aveva lasciato precedentemente a metà. "Dobbiamo festeggiare una grande vittoria" disse porgendo il calice alla Regina. Clarke afferrò la coppa dalla mano di Lexa e il suo sguardo cadde per un attimo sulla fascia nera che avvolgeva il palmo della mano con cui teneva il suo calice.
"Quella è la tua unica ferita?" Lexa scosse la testa.
"Anya si è occupata di una ferita sul mio fianco" disse sfiorandosi il fianco destro. "Roan Azgeda è riuscito a ferirmi prima di morire."
Lexa chiuse l'argomento sollevando il bicchiere in direzione di Clarke e dopo un breve brindisi silenzioso le due donne bevvero un sorso. Il silenzio cadde nella stanza mentre Lexa affiancava Clarke alla finestra per osservare il campo di battaglia illuminato dalle fiaccole.
"Quanti uomini hai perso?"
Lexa si strinse nelle spalle. "Ancora non lo so. Domani faremo la conta ufficiale."
"Cos'avete intenzione di fare adesso?"
La domanda fece nascere una risata dal petto di Lexa che tremò lievemente.
"Cosa intende, Regina?" Clarke notò la mancanza di "mia" nelle parole di Lexa, ma si limitò a sorridere per quel dettaglio.
"Tu e la tua Armata" Clarke si voltò verso Lexa per fronteggiarla e lei fece altrettanto. La bionda notò lo sguardo confuso di Lexa e le sue sopracciglia si aggrottarono. "Quando avete intenzione di attaccare la Capitale dall'interno?"
Lexa scoppiò a ridere e bevve un sorso di vino mentre si guardava intorno per evitare di guardare la Regina negli occhi.
"Ho già chiarito il mio disinteresse per il trono. Non capisco da dove nascano queste domande dopo che ho portato il mio esercito a combattere col tuo per proteggere un Regno che non mi appartiene" la rabbia bruciò le parole amare di Lexa, ma la Regina non si fece intimidire mentre seguiva con lo sguardo la donna vestita di scuro.
"Io so chi sei, Alexandria."
La donna fermò la sua camminata intorno alla stanza e restò di schiena rispetto alla regnante, ma la bionda si avvicinò a lei di qualche passo per mettere pressione alla combattente.
"Non è stato facile, devo ammetterlo. Ho dovuto mandare corvi in ogni dove per trovare qualche informazione su di te, ma finalmente sono riuscita a capire cosa ci fosse nella donna scelta per comandare l'Armata Nera."
Lexa continuò a darle le spalle, ma Clarke vedeva chiaramente le sue spalle sollevarsi e abbassarsi rapidamente col suo respiro agitato.
"Quasi non potevo crederci quando ho scoperto che Lexa era l'abbreviazione di Alexandria, l'unica bastarda della casata Natblida ancora in vita."
Lexa rise e si voltò verso la donna dai capelli dorati. "Probabilmente i tuoi saggi hanno sbagliato qualche calcolo. I Natblida sono stati sterminati da tuo padre la notte in cui conquistò il loro trono. I bardi cantano ancora le gesta di quella notte."
Clarke abbozzò un sorriso, ma prendendo di sorpresa Lexa afferrò il bicchiere che teneva con la mano fasciata. Quando sollevò la coppa d'argento verso la luce questo mostrò il segno delle dita di Lexa lasciato dal sangue nero che era uscito dalla ferita del suo palmo. "Soltanto un Natblida può avere il sangue nero come la notte."
Clarke vide lo sguardo di Lexa infuocarsi prima che questa colpisse la coppa per farla cadere a terra senza preoccuparsi del vino che stava tingendo il pavimento. Servì un solo passo perché Lexa parlasse direttamente sul viso di Clarke, azzerando la loro distanza. "Gli uomini di tuo padre furono troppo stupidi per controllare a casa dei Trikru, malgrado sapessero che mia madre era una di loro. La uccisero per strada, lasciandola dissanguarsi per le vie della Capitale, ma non pensarono alla figlia di cinque anni che si nascondeva nella casa di sua sorella."
Clarke non mosse un muscolo per mostrare alcuna emozione. "Vuoi uccidermi per riprendere il trono che ti spetta per diritto di nascita?"
Lexa scosse la testa ma non si allontanò, mantenendo quella distanza insignificante tra lei e la donna che aveva davanti. "Come ho già detto: il Trono non mi interessa." Gli occhi della foresta incontrarono quelli del mare. "Sono una guerriera, non una Regina, e non lo sarò mai."
"Tu sarai una Regina invece."
Alexandria rise alle parole della bionda e scosse la testa incredula. "Sei la donna più testarda che abbia mai conosciuto."
"Eppure sono l'unica per cui hai combattuto senza volere niente in cambio."
"Avrò in cambio il peso dei miei uomini e dei miei cavalli in argento. Non mi sembra che sia "niente"."
Clarke abbozzò un sorriso. "Pensi non sappia dei tre castelli che appartengono all'Armata?" Lexa la guardò stupita. "So che hai altri quindici mila uomini in fase di addestramento in due castelli, mentre il terzo è quello del Nord dove l'Armata risiede in pianta stabile. So che quei castelli sono stati donati dal Popolo della Montagna quando avete battuto il Popolo del Deserto, mentre l'altro è stato strappato con la caduta della casata della Luce."
"Non abbiamo bisogno di castelli."
Clarke scosse la testa. "Lo so. Tu non vuoi niente da me." La bionda fece un ultimo passo in avanti, azzerando completamente la distanza tra i loro corpi. I loro petti si sfioravano ad ogni respiro e Lexa poteva sentire il profumo inebriante dei capelli della Regina d'Argento che per un secondo le tolse la sua capacità di mantenere l'autocontrollo. "Togliti la maschera, Lexa."
Clarke osservò la gola di Lexa muoversi mentre deglutiva nervosamente, ma la castana non rispose.
"Togliti la maschera e mostrami che non ho niente da temere da te in quanto Comandante dell'Armata Nera. Mostrami il tuo viso e saprò che posso fidarmi di voi e non dovrò ordinare ai miei uomini di mettere fuoco alle case in cui riposano in questo momento i tuoi soldati."
Alexandria strinse la mandibola con forza rendendo il suo profilo ancora più tagliente. "Nessuno ha mai visto il mio viso."
"Proprio per questo devi toglierti quella maschera."
Fu in quel momento che Alexandria capì che Clarke sapeva.
Non c'era modo che la Regina stesse insistendo in quella maniera senza che sapesse cosa quella maschera nascondesse.
Gli occhi della foresta osservarono quelli del mare. Tutto si fermò. Non c'erano le fiaccole che illuminavano il campo di battaglia. Non c'era Bellamy che stava bevendo vino in una bottega cercando di dimenticare l'odio che aveva visto negli occhi della sua Regina. Non c'era Anya che scivolava all'interno delle stanze di Raven. Non c'era niente. C'erano solo i loro sguardi e le dita di Alexandria che liberavano la maschera dai lacci che la tenevano al suo posto.
La mano di Alexandria abbassò la pelle liscia lentamente, rivelando con tutta la calma del mondo la parte del suo viso che teneva nascosta da una vita intera.
Gli occhi azzurri della Regina studiarono il disegno presente sul viso della Comandante in ogni suo centimetro. Da quando l'aveva incontrato per la prima volta, la Regina non era riuscita a chiudere occhio senza che le venisse in mente il suo viso. Il suo corpo vibrava nel bisogno di qualcosa che non riusciva a riconoscere e sentiva in ogni ora del giorno la mancanza di qualcosa che le opprimeva i polmoni e le toglieva il respiro. La mattina successiva al loro primo incontro Clarke aveva convocato i saggi della Corona per capire cosa stesse succedendo al suo corpo perché avesse quelle strane reazioni, e tutti le avevano confessato che quelli erano chiari segnali del fatto che il suo corpo avesse riconosciuto la sua anima gemella.
Aveva ragionato su chi potesse aver fatto scaturire tutto ciò, pensando fosse stata Anya, ma quando aveva incontrato nuovamente la guerriera vicino alle stanze di Raven prima della battaglia, capì che non era lei la causante del suo cambiamento. Quello che la fece di nuovo provare delle vibrazioni lungo tutto il suo corpo fu incontrare la Comandante davanti alla sua porta, in un chiaro segnale che non aveva pensato di ignorare.
Non fu quindi una sorpresa per la Regina vedere il disegno scuro sul viso di Heda quando la guerriera rimosse la sua maschera.
Lexa osservò la mano di Clarke sollevarsi lentamente fino a raggiungere il suo viso e lasciò che le sue dita curare la accarezzassero e tracciasero i contorni di quel disegno che per anni aveva giudicato come una maledizione.
"Quando avevi intenzione di mostrarmelo?" chiese Clarke senza smettere di sfiorare quel segno.
Alexandria non si mosse. Il suo corpo stava reagendo in un modo completamente nuovo al tocco della donna dai capelli dorati. Sentiva il sangue scorrerle nelle vene come se fosse lava ardente e la sua pelle rabbrividiva lasciandole una sensazione di piacere che la scombussolava e la faceva sentire come se stesse perdendo il controllo.
Per la prima volta nella sua vita Alexandria pensò che perdere il controllo non fosse qualcosa di negativo.
Fu un movimento impercettibile, ma il capo della ragazza si piegò lievemente verso la mano della bionda in modo che il contatto fosse maggiore e un sorriso sfiorò le labbra della Regina.
"Non avevo intenzione di farlo" confessò sussurrando mentre il suo cuore accelerava.
"Di cosa hai paura?" Chiese in un sussurro mentre poggiava il palmo della mano contro la pelle calda del profilo della Comandante. "Io mi sento destabilizzata da tutto ciò che sento. È come se fino ad oggi il mio corpo avesse vissuto in uno stato di letargo e all'improvviso si fosse risvegliato reclamando di averti soltanto con lui."
Clarke passò le dita tra le trecce che raccoglievano i capelli scuri di Lexa, godendo della morbidezza della sua chioma. "Ho passato la giornata a tremare per la paura che ti succedesse qualcosa. Non chiedermi come sia possibile, ma finalmente tutto ha un senso."
Lexa sospiró, poi fece un passo indietro mettendo distanza tra di loro. "Sono una guerriera. Non posso sposarti e diventare Regina."
"Non sei costretta a regnare" disse rapidamente e tornó ad azzerare la distanza tra di loro per soffocare il dolore sordo che i loro cuori avevano sentito quando si erano allontanate.
"Cosa intendi?"
"Stai con me, Lexa" la voce della Regina suonò come una preghiera. "Stai al mio fianco come soldato, come Comandante, come qualunque figura tu voglia, ma stai con me."
"Il mio Popolo non accetterà che io mi ritiri dal campo di battaglia per inginocchiarmi alla Regina."
Clarke di Arkadia fece ciò che nessun sovrano prima di lei fece.
La donna col segno azzurro flesse le ginocchia e scese a terra, di fronte ad Alexandria Natblida, inginocchiata sul pavimento freddo del Castello Reale. La Regina del Regno guardò Heda dal basso, senza nessuna difesa e l'amore che illuminava il suo sguardo.
"Io, Clarke di Arkadia, Prima del mio nome, Signora del Regno e Protettrice di Polis, mi inginocchio a te, Alexandria di Natblida, giurando lealtà a tutto il tuo popolo e amore a te che sei la segnata sul viso che gli Dei hanno scelto come mia unica compagna" le parole della donna risuonarono con forza tra le mura di quella stanza.
Alexandria sentì il suo cuore saltare un battito prima di inginocchiarsi di fronte alla Regina dai capelli dorati. La sua testa si riempì di dubbi e di voci che le ripetevano quali fossero i suoi doveri in quanto Heda. Il suo cuore urlò parole che lei non aveva mai nemmeno pensato.
La sua bocca decise di parlare prima ancora che il suo viso si avvicinasse a quello della Regina dai capelli dorati.
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