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Capitolo Trentuno

Sette giorni dopo...

Aveva avuto paura dell'apnea finché non aveva scoperto che respirare avrebbe ucciso qualcun altro.

Per sette giorni aveva ignorato Lauren, aveva metabolizzato le parole di quella notte, aveva provato a farle uscire dal suo cervello e poi a capirle. Arrivava sempre alla stessa conclusione: doveva andarsene. Ma non aveva la forza di fronteggiarla di nuovo, non dopo che tutte le loro promesse erano risultate un salto nel vuoto. La rabbia talvolta la consumava fino alla mattina, ma conficcare le unghie nel palmo della mano era l'unica strada che intrapendeva, mentre le sue gambe si opponevano alla volontà di dirlo a suo padre per mettere fine a tutto quello nel modo in cui l'aveva impedito, due volte.

Ma per quanto volesse cancellare dalla faccia della terra la persona che aveva conosciuto quella notte, c'era l'ombra della persona con la quale aveva condiviso tutte le notti precedenti a quella che la tormentava. Era ancora innamorata di quella Lauren, ma non poteva nascondere a sé stessa che innamorarsi di quella che aveva infranto tutti i loro progetti era una realtà che non avrebbe mai accettato, perché non se la meritava. E non si meritava di condividere il letto con una donna che la proteggeva quando si addormentava fra le sue braccia, ma tramava contro di lei quando si voltava di schiena.

Per diciassette anni restare rinchiusa in casa era stata la sua maledizione, mentre gli ultimi sette giorni, spesi fra le mura della sua camera, erano stati l'unica via di salvezza. Per tutti. Non si fidava dei suoi istinti, e non si fidava nemmeno del suo cuore: erano troppo rabbiosi e fragili entrambi.

Dopo il suo compleanno, quando avevano "tentato di rapirla", aveva potuto difendersi con qualche tiro al bersaglio e calci volanti. Essere pronta aveva allontanato un po' la paura. Ma ora non sapeva con cosa schemrarsi, quale arma usare per difendersi. La verità era che aveva passato troppo tempo nella villa a fianco di guardie armate per comprendere che saper colpire qualcuno non avrebbe migliorato i lividi propri.

Quello di cui aveva bisogno era riprendere in mano la sua vita e capire cosa farne. Ma non poteva farlo se restava chiusa nella sua stanza. Dovette convincersi più di due volte ad alzarsi dal letto, ma alla fine lo fece e si sorprese di essere ancora capace di stare in piedi, ma questo sì che la fortificò. Fece una doccia ritemprante, riesumò la lucentezza dei capelli e indossò dei vestiti che non puzzassero di disperazione. Quindi qualsiasi capo che non fosse di flanella. Non aveva in mente grandi progetti, solo scendere al piano di sotto a bere un bicchiere di succo e godersela in giardino. Un piccolo passo verso la normalità. Aveva speso diciassette anni a bramare la libertà, non se la sarebbe fatta portare via da nessuno.

Alejandro stava istruendo sulle direttive che Juan, il fratello di Lauren!!!, aveva stipulato. Camila pretese di attraversare i metri che la separavano dalla cucina come se fosse davvero sott'acqua e potesse sentire niente oltre il proprio respiro. Ma non era leggiadra e invisibile come un delfino. La sua andatura era visibile come la pinna di uno squalo.

«Mila, buongiorno. Noi...» Cominciò suo padre, ma lei era già sparita dentro la cucina. Rimasero tutti in silenzio finché non riemerse, ma stavolta con un bicchiere abbondante di succo all'arancia rossa. Non guardava altro che dritto a sé.

«Ti abbiamo svegliato noi?» Era la prima volta che notavo Alejandro in difficoltà.

«Ero sveglia.» Rispose con voce atona, ormai vicina al giardino.

«Ah ok... E come stai? Hai dormito bene?»

«Bene,» aprì la porta finestra e se la richiuse alle spalle, andando a sedersi al tavolo posizionato al centro del giardino.

Alejandro inspirò profondamente. Non poteva credere che avere una figlia adolescente fosse più complicato che tenere insieme un impero illegale. Forse proprio perché era tanto bravo a infrangerle le regole, non era portato per seguire il codice genitoriale. Come sempre nelle situazioni delicate, lanciò un'occhiata a Shawn che avrebbe già dovuto farlo scattare in piedi, ma invece prima, furtivamente, ricercò l'approvazione di Lauren. Lei annuì una sola volta. Il ragazzo si alzò dal tavolo delle trattative per dirigersi verso il tavolo presieduto da Camila.

La ragazza saettò lo sguardo verso di lui come se fosse pronta ad allontanare chiunque, ma riconoscendo gli occhi innocenti del ragazzo gli permise di sedersi al suo fianco. «Pensavo fosse andata bene a Miami. Siete tornate con una settimana di ritardo.» Le voleva troppo bene per non essere lì, ma allo stesso tempo non riusciva a parlarne senza serrare la mascella.

«È andata bene,» ma lo diceva con lo sguardo basso, proprio come il giorno in cui se ne era andata. «Ma non fino in fondo.» Prese un sorso di succo all'arancia sperando che l'acidità potesse supplire la penuria d'alcol.

«Cosa ha combinato questa volta?» Sospirò. Camila sorrise constatando la fiducia di Shawn nella sua rettitudine.

«Mi ha mentito su una cosa importante, molto importante.» Del tipo che voleva rapirmi, umiliare e uccidere mio padre e probabilmente pure te. Ma nulla che non possa farsi perdonare con un anello.

«So che le menzogne sono brutte, ma l'hai fatto anche tu.» L'affermazione del ragazzo catturò immediatamente lo sguardo confuso della cubana. «Con me.» Puntualizzò inclinando labbra e mento.

«È diverso. Non lo avrei mai fatto con lei.» Lo disse senza pensare, lo disse perché era la verità, ma nel momento in cui registrò l'espressione del ragazzo si pentì di non poterselo rimangiare. «Shawn...»

«No, va bene,» annuì stoicamente, come se non ci fosse spazio per pensare di aiutarla se stavano dietro anche al suo dolore. E comunque lui aveva già affrontato diverse rotture e sapeva come farlo ancora. Lei no.

«So che cosa significa sentirsi presi in giro, ma so anche che, proprio come te, l'ha fatto solo per proteggerti.» Quanto ti sbagli. Era difficile fargli capire che proteggendola dalla verità era proprio il modo in cui l'aveva messa a rischio.

«No. No.» Scosse semplicemente la testa. «Ma anche se fosse, non mi sento protetta affatto. Sono stata lontana da tutti per diciassette anni, diciassette. Io.. Io non so come affrontare quello che sto provando ora, non so come farci i conti.» Ammise, guarandolo disperatamente negli occhi come chi stava annegando e supplicava per un salvagente.

«Parlale. Cerca di capire perché l'ha fatto.»

«Lo abbiamo già fatto. E ciò che mi ha detto non è abbastanza per perdonarla.» Confessò anche a sé stessa, chiedendosi che fine avrebbero fatto quelle persone che erano state prima di perdersi.

Shawn sospirò grevemente. Le mise una mano sulla spalla, l'unica porzione che poteva toccare senza essere frainteso. Aveva capito quale sarebbe stato il suo ruolo, ed era lì solo come tale: un amico. «So che ora è troppa fresca per capirci qualcosa, ma io l'ho vista prima di venire da te. Stava tremando, Camila. Non so che bugia ti abbia raccontato, ma questa è la verità.»

La cubana alzò gli occhi su di lui per ringraziarlo, ma invece gli disse: «Mi dispiace.» Lui scosse flebilmente il capo, interdetto. «Mi dispiace di non essermi innamorata di te.»

Shawn dovette prima respirare per convincersi ad incassare il colpo sorridendo. «Funzioniamo meglio come amici.» E lo pensava davvero, solo che ancora doveva smaltire interamente la delusione.

«Grazie, Shawn. Davvero.» Camila protese le braccia verso il suo collo e lo strinse a sé, sperando che le mani di lui si chiudessero sulla sua schiena almeno per un po'. Il ragazzo non la deluse nemmeno stavolta.

«Qualsiasi cosa tu decida, basta che ti renda felice.» Dichiarò, ma non con la voce incrinata di chi aveva appena perso l'amore della sua vita, piuttosto con il tono affettuoso di un fratello che si prendeva cura della sorella.

«Lo farò.» Annuì contro la sua spalla, aggrappandosi ancora qualche secondo alle spalle di chi purtroppo non aveva saputo amare se non per farsi curare.

Solo quando la riunione terminò e tutti se ne furono andati, Camila tornò verso la sua stanza. Parlare con Shawn le aveva fatto capire che stava ancora cercando, consciamente o inconsciamente che fosse, una soluzione ad un problema che non poteva essere risolto. Doveva accettare ciò che era successo per lasciarlo alle spalle, non continuare a riesumare il ricordo di Lauren per comprendere quanto di lei era ancora perdonabile.

Passò prima dalla cucina a depositare il bicchiere, che aveva svuotato molto prima di decidere di tornare in camera, e poi dal bagno, infine si incamminò verso la sua camera. Chiuse la porta alle sue spalle. Avrebbe evitato di tirare un sospiro di sollievo se avesse prima aperto gli occhi e notato Lauren nella stanza.

Camila rimase paralizzata, avvertendo l'istinto ribollirle il sangue e il cuore sintonizzarsi su una frequenza instabile. «Che ci fai tu qui?» Chiese a denti stretti.

«È così adesso? Torni con lui?» Non sapeva con quale faccia tosta, ma Lauren aveva anche l'ardire di suonare risentita.

«Esci dalla mia stanza.» Rincarò la dose, modulando il tono il più possibile.

«No, voglio sapere se è così.» Avanzò nella stanza, solo che stavolta non c'era spazio sufficiente per indietreggiare: era già attaccata alla porta.

«Non ti riguarda, capisci? Non sono affari tuoi.» Disse risoluta la cubana, arrestando il passo successivo della corvina.

«Quindi è vero?» Domandò con un fil di voce. Avrebbe potuto mentirle per farlo capire la metà della sofferenza che aveva patito lei, ma non sarebbe stata migliore di Lauren.

«No, no che non è vero.» Testimoniò, notando subito il petto dell'altra rilassarsi. «Adesso esci.»

«Camila, non ti vedo da una settimana. Non so come stai, cosa pensi...»

La cubana calcolò un sorriso sarcastico. «Come vuoi che stia.» Si sentiva stupida anche solo a dover rispondere a quella domanda.

Ebbe il coraggio di guardarla negli occhi solo perché non era lei a doversi vergognare. Lo vedeva, oltre il velo di distacco con cui la cubana filtrava le sue emozioni: Lauren aveva lo sguardo di chi trascorreva le sue notti a convincersi di non piangere. «Camila, possiamo ancora aggiustare le cose.»

«No, non possiamo.» Rispose rapidamente, ma Lauren stava già muovendo un passo verso di lei.

«Allora perché non hai detto la verità a tuo padre? C'è un solo motivo, e tu sai qual è.» Era rimasta l'unica a fissarla, gli occhi della cubana si erano spostati assieme al diniego del suo capo.

«Solo perché non glielo ho detto, non significa che sia capace di perdonarti. Anzi.» Inchiodò le iridi nelle sue. «Significa solo che non sono come te.»

«Lo so,» annuì energicamente, «è per questo che mi sono innamorata di te.»

«Ma per favore.» Sospirò scettica.

«È così.» Ripeté la corvina, ma con nessuna risolutezza nella sua voce, solo con melliflue malinconia.

«Ti serve qualcosa? Avete cambiato idea e vuoi rapirmi? Non ti serve questo teatrino. Fallo. Forza.» Le porse i polsi, spronandola con tono fervente che bruciava più dei suoi occhi lucidi, ma la corvina invece di stringerle le mani le afferrò le guance.

«Possiamo ancora aggiustare le cose.» Sussurrò contro le sue labbra, faticando a trattanere le lacrime ora che invece del cuscino inspirava il suo profumo.

«Smettila. Non c'è più niente da aggiustare.» Ma per dirlo doveva guardare la punta dei suoi piedi, perché non era ancora pronta a fissarla negli occhi da distanza ravvicinata senza commettere stupidaggini.

«Camila, cosa avresti fatto al posto mio?» Gli occhi della cubana non le diedero risposta, e la corvina lo interpretò come un segnale dubbio. «Non può finire così,»approfittò dell'incertezza momentanea per sussurrare parole che non volevano colpire la sua morale ma il suo battito. «Ti prometto che, quando tutto questo finirà, io e te andremo via. Dove vorrai. Non importa dove.» Adesso le parole che le aveva detto a Miami assumevano tutt'altra sfaccettatura. «Per favore, guardami.» Implorò con voce talmente frantumata che la cubana non riuscì ad appellarsi alla sua forza di volontà.

Alzò lentamente gli occhi su di lei, ma rimase impassibile e irraggiungibile dietro la fortezza delle sue labbra. «Non c'è posto che possa riparare questo.»

«Forse no, ma noi possiamo farlo. Insieme.» Le dita le vellicavano la pelle del collo, costringendola a socchiudere gli occhi sempre più spesso. «Tu mi hai chiesto di fidarmi di te. Adesso fidati tu di me.» Si approssimò lentamente alle sue labbra, inalando più aria del solito. Camila rimase inerte quando le sue labbra si posarono contro le proprie, ma era difficile resistere a qualcosa che ancora voleva.

«Fidati di me, ti prego.» Ribadì e stavolta anche le mani della cubana si posarono sulle sue guance, incerte e tremule, ma lo fecero.

Lauren affondò le mani nei suoi capelli e il gemito che si tramandò sulle labbra della cubana non aveva niente a che fare con il piacere primario: era solo la voce di un singhiozzo che stava scacciando. Camila affondò prima la lingua contro la sua e subito dopo premette i pollici contro le sue guance. Lauren si fece spazio fra la fessura delle sue labbra. Le dita della cubana, però, la rilasciarono improvvisamente per posarsi contro le sue spalle e allontanarla con uno spintone.

«No.» Disse senza fiato. «No.»

«Camila...»

«Non avvicinarti.» Le sue parole la riportarono a quella notte. Aveva il timore che non avrebbero più visto nessuna alba. «Solo perché ho ancora voglia di te, non significa che sia giusto per me stessa.»

«Le sento tutte,» soggiunse la cubana con voce incrinata. «Le sento tutte le tue bugie quando mi baci. Tutte.»

«Ma c'è anche tanta verità.» Obiettò la corvina, ma la speranza fervida di qualche minuto prima si era prosciugata come il sapore di Camila sulle sue labbra.

«Non è abbastanza, però. Non per me.» Aprire l'uscio fu più difficile che chiudere la porta sette giorni prima a Miami: allora aveva ancora l'incendio di rabbia ad aiutarla, adesso le fiamme si erano spente in lacrime.

Lauren sapeva che non poteva dire o fare niente per cambiare la sua idea. Non adesso. Non così. Se ne andò a passo svelto stringendo più caparbiamente le palpebre che i pugni.

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Ciao a tutti.

Sono contenta che il capitolo precedente abbia delucidato le intenzioni e la verità su Lauren, in questi capitolo invece mi sono concentrata sulle loro emozioni, e lo farò anche nel prossimo, MA sarà in quello che leggerete domani che si svelerà un'altra carta importante, perciò vi aspetto.

Grazie a tutti.

A domani.

Sara.

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