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Capitolo Tredici

La nuvola l'aveva seguita per qualche giorno. Quella era la prima mattina che vedeva filtrare il sole non solo dalla finestra. Ancora non era certa del perché il malcontento avesse arato i campi della sua quiete, ma sentiva che era la prima volta che spuntavano di nuovo le spighe di calma, e voleva godersi la nascita piuttosto che ripensare alla perdita. La doccia fu lunga e avvolgente, il caffè squisito e gustoso, la giornata scolastica spensierata e divertente, anche grazie a Dinah, che dotata del suo formidabile carattere pareva intrattenere uno show comico dal momento in cui apriva le palpebre a quando le richiudeva. Camila si chiedeva come aveva fatto a non sbellicarsi per le sue battute per così tanti giorni di fila. Fortunatamente non stava più perpetuando l'errore.

Il clima del suo umore era talmente soleggiato e terso che fece fatica a mettere a fuoco l'atmosfera in casa, cupa e minacciosa.

Quando rincasò erano tutti assiepati attorno al tavolo di vetro, ma l'unico riflesso vitreo lo emanavano gli occhi di Alejandro, di Shawn e una manciata dei suoi accoliti. Normani mulinava in cerchio, ma sembrava impossibilitata ad uscire da quell'ellissi come se fosse un orso al centro di una circonferenza. Keana discuteva con la mascella indifferente di un compagno di Shawn, mentre Lucy si era portata al fianco di Alejandro e tentava di ragionarci senza tralignare il limite imposto, che comunque le veniva ricordato dalla mano austera di Shawn. Camila si accigliò. Nessuno notificò la sua presenza finché il mazzo di chiavi tintinnò colpevole.

Gli occhi saettarono nella sua direzione carichi di collera, ma scontrandosi con il viso della cubana tirarono tutti un sospiro, chi di sollievo chi di agitazione.

«Che succede?» Chiese cauta, scrutando i volti di tutte le persone che non avevano ancora abbassato lo sguardo.

«Non ti riguarda, Camila. Vai in camera tua.» Forse Alejandro aveva scordato che non era più una bambina, e se non aveva avuto il diritto di fare la voce grossa quando ancora perdeva i denti, figuriamoci se poteva permetterselo adesso, che i denti li digrignava.

«Non vado da nessuna parte. Mi hai portato tu a vivere con te, e quindi mi spetta di diritto conoscere cosa succede sotto il mio tetto.» Lo zaino cadde come il martelletto di un giudice sul suolo, ma le sue iridi erano in ebollizione come quelli di un pugile al primo round.

Alejandro emise un sospiro greve, scosse leggermente la testa e poi riportò l'attenzione sulla cubana, come se per la prima volta la vedesse per la donna che stava diventando: «Ci sono stati dei problemi logistici. Non è così, Lauren?»

«No, non è così.» Se l'aria prima era carica e pronta ad esplodere, ora la fiammella si era intensificata pericolosamente. «Perché non sono problemi logistici, questi. Sono problemi di fiducia.»

«Come cazzo vuoi chiamarli.» Alejandro avanzò un passo e lo stesse fece Lauren, così anche Shawn non rimase indietro e Lucy neppure.

«Per favore, diamoci una calmata, ragazzi.» Il sorriso di Lucy non era affatto calmo, anzi, eguagliava il tremore delle sue mani, protese come confine dell'inevitabile. «Ma dai, è di Lauren che parliamo! Keana, diglielo anche tu! -ma lei rimase inerme, a ciondolare la testa nel vuoto della sua codardia- Insomma, lei non ci tradirebbe mai, dopo tutti questi anni poi! Non scherziamo.» Sembrava volesse far passare l'incomprensione per una battuta di cabaret, ma nessuno dei presenti rise o retrocesse.

«Qui nessuno scherza, Lucy.» La fulminò con lo sguardo Shawn, nello stesso modo in cui avrebbe incenerito il peggiore degli insulsi. Il cipiglio sulla sua fronte si indurì a tal punto che il taglio vicino alla tempia si mise a sanguinare, ma lui non ammorbidì l'espressione.

«Non capisco.» Scosse la testa Camila, avanzando spericolata all'interno del serraglio umano. Sorpassò qualche scagonozzo messo lì a mo' di manichino, e poi anche Keana e si stagliò dietro Lucy, abbastanza vicina a Lauren per vedere le sue spalle gonfiarsi rabbiosamente.

«I nostri infiltrati, o quelli che rimangono almeno, hanno detto che la sera dell'attacco al conteiner qualcuno ha fatto una soffiata giusto due giorni prima. Eravamo tutti insieme quella sera, tranne Lauren. Allora voglio sapere dove cazzo eri, e spero tu abbia una giustificazione abbastanza valida da non spaccarti la faccia.» Alejandro aveva sempre proseguito a cuor leggero durante quelle vicessitudini, a volte si rendeva conto di aver sparato ancor prima di lasciarli parlare, ma quella volta aveva davanti agli occhi l'unica sospettata che non avrebbe mai voluto interrogare, l'unica per cui valesse la pena guardare faccia a faccia invece che attraverso il mirino.

La corvina non emise un fiato, né per attaccare né per difendersi. Era indignata dalla mancanza di fiducia nell'uomo, l'unica persona che le aveva sempre creduto senza batter ciglio. E ora, invece, un battito di ciglio poteva essere una condanna, ecco perché le sue palpebre rimasero ben spalancate, finestre arieggiate sulla luce sfrontata dei suoi occhi. Ma Alejandro non poteva perdere la faccia, non così, non per lei.

Abbassare lo sguardo sulla mano di Shawn fu il segnale necessario per far scattare le sue dita in una presa marmorea e innestare il braccio del ragazzo in direzione della donna.

Camila non ebbe tempo di riflettere, o di prevedere il suo futuro oltre il pugno a mezz'aria, e con un balzo si intromise fra loro, allontando Shawn. «No, no, no, no! Era con me! Era con me!»

Merda.

Inspirò a fondo, ma l'ossigeno sfuggì ai suoi polmoni come un sacchetto bucato.

Merda.

«Con te? Ma che dici, Camila?» Domandò suo padre, mentre il pugno di Shawn era ancora alzato, per niente intenzionato ad arrendersi prima di aver scaricato un missile.

Tutti gli occhi della stanza, per la prima volta, si erano alzati e la fissavano increduli ed esterrefatti. Non riusciva a immaginare come apparisse la scena dall'esterno. Dall'interno era un gran casino.

«Si, eravamo.. Eravamo in palestra, ecco. Le ho chiesto di aiutarmi con, come si chiamano? I, i tiri mancini, si, e, e abbiamo fatto tardi. Ma era con me.» Come lanciarsi da un aereo e sperare si apra il paracadute, come stendersi sulle rotaie e sperare il treno passi a più di venti centimetri dalla tua faccia.

Gli occhi di Alejandro ebbero un barlume di colpevolezza, il che non passò inosservato a Shawn, che svogliato sciolse il pugno permettendo alla cubana di rattoppare il sacchetto polomanare e respirare di nuovo. Certo, Camila, perché è normale essere più tranquilli nell'aver difeso una possibile traditrice che vederle sanguinare il naso.

Suo padre fece spola fra il viso della figlia e quello di Lauren, senza trovare pace. Non poteva non fidarsi di Camila, sua figlia non gli avrebbe mai mentito.

«Ne sei sicura, Camila?» Il tono di voce cavernoso era solo l'ultima barriera da superare.

Alle sue spalle, però, la mano della corvina, fugace e furtiva, si strinse attorno al suo avambraccio con forza. Sapeva cosa le stava chiedendo, ma malgrado la durezza non avrebbe cambiato idea. «Sono sicura.»

«Ecco, quindi problema risolto!» Esultò Normani, mettendo fine all'indecisione elettrostatica nella stanza.

Alejandro non disse una parola, ma ruppe le righe, avviandosi a passo celere verso il suo studio. Shawn gli si caracollò dietro, insieme alla sua banda di ceffi. L'unica minaccia rimasta addosso alla cubana era lo sguardo serioso di Lucy. In cuor suo sapevano ambedue che sarebbe stata più contenta di vedere il pugno di Shawn abbattersi contro Lauren, piuttosto che assistere al suo salvataggio da parte di Camila. Aveva fatto tutto ciò che non era in suo potere, e lo aveva attuato senza chiedere nulla in cambio. Come poteva competere? Ma soprattutto, perché improvvisamente non era più Keana l'avversaria che temeva?

La mano della corvina era ancora serrata sul braccio di Camila, con impeto la voltò verso di se, ma invece di mostrare gratitudine mostrò i denti. «Che cazzo hai fatto?»

«Beh, prego.» Suonò sarcastica la cubana, ma anche perplessa.

«Io non ti ho chiesto un cazzo, porca puttana.» Ringhiò, e solo allora comprese che non importava se la mano di Shawn si era nascosta nella sua tasca senza provocare danni, lei un pugno l'aveva incassato ugualmente.

I loro occhi si inchiodarono per un tempo infinito, con nessuna esclusione di colpi. Però Camila si sentiva sotto assedio, e non ne afferrava il motivo. Perché non poteva semplicemente esserle grata, o quantomeno rilassarsi? Perché la guardava come se le avesse appena fatto un torto?

«Volevo aiutarti.» La sincerità le costò una resa senza condizioni.

«Io non voglio l'aiuto di nessuno, cazzo.» Tremeva. Camila non poteva identificarlo se non come rabbia, e alla fine anche lei si difese serpeggiando fiamme.

«Vaffanculo, Lauren.» Si divincolò bruscamente, e non si fermò finché la porta di camera non si chiuse alle sue spalle.

Alla sera, Shawn si presentò in camera sua. Lo stillicidio rosso sul sopracciglio non si era ancora fermato. La cubana si attrezzò di kit medico e si inginocchiò sul tappeto accanto a lui, tamponando il taglio.

«Ho finito.»

«Promettimi che non farai mai l'infermiera.»

«Ti curerai da solo.» La linguaccia di Camila fu il primo scambio affettuoso dopo giorni di freddezza.

Anche se soffriva di sporadici emicranie dovute probabilmente al rintrono della botta in testa, c'era qualcosa nel sangue che gli pulsava più del taglio sul sopracciglio. Ritenne fosse il momento più idilliaco nell'arco di un bel po' di settimane, perciò lasciò che la mano si allungasse verso l'orlo succinto della maglietta della cubana. Appena i polpastrelli le sfiorarono la pelle ebbe un brivido, ma uno di quelli paragonabili alla sensazione di avere un ragno sulla mano. E con la medesima rapidità lo scacciò via.

«Che cazzo, Mila.» Non era uno sbuffo frustrato, più che altro scoraggiato. Non gli permetteva di toccarla da settimane, non dormiva con lui quando ne avevano la possibilità, e quando lo baciava lui restava con gli occhi aperti a chiedersi perché le sue palpebre fossero tanto rattarpite. «So che sono state settimane, se non mesi difficili, ma non ti sei mai allontanata da me.» Anche dopo ciò che era successo quello stesso pomeriggio avrebbe voluto avere un abbraccio solo per aver trovato la forza di sottacere l'accaduto, proprio perché sapeva quanto Camila fosse sotto pressione.

«Lo so, lo so, Shawn. Non mi sto allontanando.» Ma mentre glielo diceva le mani non saliva ne scendevano più giù delle sue spalle, come se non potesse sconfinare su porzioni più intime senza contrarre anche i muscoli del viso. «Ho solo bisogno di tempo per me stessa, ma comunque sono qui.» Qui dove? A mezzo miglio da un respiro sincero.

Ci mise un po' a soppesare le parole senza sentirle come bossoli sulla mano. Un fuoco già sparato che faceva male proprio perché non l'aveva ancora colpito, ma ne aveva seminato le prove evidenti. «D'accordo. Ti lascio a fare i compiti.» Le depositò un bacio sulla fronte perché le sue labbra le apparvero come serrate in una cerniera. Camila non se ne accorse nemmeno, le parve totalmente naturale che Shawn la baciasse in mezzo alle sopracciglia e non in mezzo agli angoli della bocca. Solo quando si chiuse la porta si chiese perché tanta quiete derivava proprio da ciò che avrebbe dovuto inquietarla.

Non era mai stata il genere di persona che si rifugiava sotto al letto quando c'era un terremoto, lei preferiva correre fino a non sentirsi più le gambe. A volte, durante i diciassette anni chiusa fra le mura della villa, aveva pregato che la terra si sconquassasse durante i suoi sogni e che le permettesse di sfrecciare fino alla porta di casa e di aprirla finalmente. Adesso un terremoto c'era stato per davvero, ma invece delle articolazioni inferiori stava sfinendo quelle superiori a forza di pugni contro il sacco rosso della palestra.

Ci vedeva tutte le facce, tutte le giustificazioni e le perdite negli sbuffi bianchi che evaporavano dal pesante corpo rosso. Si cristallizzavano le voci a suon di colpi, un ritmo sostenuto non solo dai polsi svelti ma anche dai timpani echeggianti. Si riversava tutto nella successione insostenibile del suo sfarfallare di tendini, ma quando le mani guantate ammaccavano l'ondeggiare del sacco, non erano le nocche a sbiancarsi bensì la porzione delle sue tempie. Si candeggiavano più dell'alone attorno a lei, cosicché non si comprendeva più se la polvere biancastra era un respiro del tessuto o della sua pelle.

«Ehi.» Cazzo. «Camila.» Mentre Lauren si approssimava non calcolava i rischi, o meglio: non quelli che si sarebbero potuti ritorcere contro di lei.

«Camila.» Mise una mano sul suo braccio, e solo per un pelo schivò la parabola del pugno indirizzato verso di lei. «Ma porca..»

L'affanno della cubana la colpiva più violentemente di tutti i pugni che aveva incassato il sacco. «Vattene.» Scandì a denti stretti la pretesa, ma la corvina non inditreggiò.

«Senti, ero molto nervosa prima, ok?» Lo disse come se stesse mangiando il peggior piatto della sua vita. «Lo so che volevi aiutarmi, ma non va comunque bene. Non lo devi fare, è chiaro?» Se era andata a migliorare le cose, o perlomeno quello sembrava l'intento, non stava funzionando.

«Ti voglio fuori di qui.» La sua fronte si era imperlata durante l'allenamento, ma solo ora era diventata madida.

«Non fare la capricciosa. Non sono come il tuo fidanzato del cazzo, quindi vedi...» Il tono altero venne spazzato via tale e quale all'indice puntato contro di lei.

«Ah no? E allora come cazzo sei? Come cazzo sei!» Fu repentina e risoluta nell'avventarsi contro di lei, spingendola con i guantoni all'indietro.

«Camila, non farmi incazzare.» Disse, come se indietreggiare fosse ancora una sua scelta e non un obbligo imposto dalla furia della cubana, che ad ogni parola fomentava la veemenza dei muscoli.

«Io non ti dovevo un cazzo, brutta stronza. L'ho fatto per aiutarti e tu hai il coraggio di arrabbiarti con me!» Con l'ultimo spintone la schiacciò contro la parete. L'unica arma che aveva in quel momento era l'ira del suo sguardo, ma Camila non si era spaventata quando le aveva puntato contro un proiettile di colore, figuriamoci se poteva pentirsi adesso.

«Quindi dimmelo tu come cazzo sei, perché nella mia testa non ci sono belle definizioni per te.» Sputò incollerita, attendendo ansimante.

«Sono abituata a fare da sola, e voglio che continui ad essere così. Ho detto che lo so, so che volevi aiutarmi...» Ci fu un'ondata di morbidezza nei suoi occhi, ma durò il tempo di un battito. «Ma questo non cambia il fatto che io non possa accettare aiuto da te, va bene?»

Camila espirò un ultimo arrendevole sospiro, con i denti slacciò il primo guantone e si tolse anche il secondo. «Va benissimo.» La lasciò a parlare con i guantoni sul pavimento, mentre lei usciva per la seconda volta di scena, ma stavolta consapevole di non avere più niente da spartire con lei.

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