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Capitolo Tre

Ciao a tutti!

Ho avuto un po' di tempo e ho deciso di pubblicare anche il terzo capitolo.

Vi aspetto domani.

Sara.

Buona lettura!

Sì, doveva ammetterlo, era più nervosa di quando aveva conosciuto Shawn la prima volta.

Forse per le sue coetanee, anzi di sicuro, era abitudinario invitare le amiche a casa, ma non è facile normalizzare il battito quando per diciassette anni hai convissuto solamente con la tua ombra, tua madre, una maestra privata e una governante al tuo servizio. Non aveva idea di come comportarsi per non risultare un'idiota, così adottò il metodo più funzionale che aveva appreso guardando serie tv nel tempo libero.

«Questa è casa mia..» Aprì la porta principale, spalancando un mondo cristallino e dovizioso agli occhi di Ally e Dinah.

La prima fece di tutto per contenersi, anche se la forma delle sue labbra non poteva nascondere lo stupore. Dinah, invece, prima inveì a bocca aperta, poi volteggiò su sé stessa come se fosse finita in un film e non sapesse da che parte guardare.

«Miseria, Mila! Ma che lavoro fa tuo padre?» Chiese spudoratamente, cogliendo Camila in contropiede.

«Ah lui, ecco è a capo di una multinazionale.. Infatti potremmo incontrare qualche suo dipendente a giro per casa. È una cosa normale.» Detto ciò si diresse verso la cucina, facendo cenno di seguirla.

Ally aveva timore perfino a camminare con le suole sporche su quel pavimento lustro, mentre Dinah pareva non curarsi della pulizia quanto dell'opulenza. L'unico oggetto d'oro che aveva avuto per le mani era stata la catenina di sua nonna, tramandata per eredità. In quella stanza c'era uno specchio incastonato in una cornice spumosa e dorata. Quello al collo pesava molto di più, ne era certa.

«Se tuo padre ha così tanti soldi, perché vieni a scuola? Voglio dire, quello che c'è qui basterebbe a sfamare due generazioni.» Asserì senza troppi ambagi Dinah, a cui non venne risparmiata una gomitata da parte di Ally. Anche lei aveva tante domande, ma non le sembrava il caso di imbarazzare Camila. L'altra nemmeno sapeva dove abitasse di casa l'imbarazzo.

«Per me stessa. Mi piace studiare, e poi ho sempre avuto un'istruzione privata, adesso vorrei sperimentare la scuola pubblica, sapere com'è.» Incassò le spalle, alleggerendosi prima dello zaino e poi dei libri. Fece cenno a tutte e due di sedersi, ma aspettarono fosse lei ad accomodarsi per prendere posto a loro volta.

«Te lo dico io com'è. Corrotta, immeretivole e non c'è mai carta igenica.» Nonostante l'affermazione fece ridere Camila, Ally la colpì con una pacca sulla nuca, bisbigliandole di farla finita. Erano nate lo stesso anno, ma pareva che ci corressero almeno due secoli fra l'attitudine di una e l'altra.

«Tu di dove sei?» Ally tentò di deviare l'attenzione, permettendo a Camila di riprendere colore.

«Sono originaria di Cuba.» Annuì sorridente, lasciando che il ricordo della sua isola la riscaldasse.

«Caliente.» Si stampò un'espressione buffa Dinah, che per la seconda volta fece sbellicare la cubana.

Dopo qualche chiacchera inziale, e quando finalmente Dinah si tolse il sassolino nella scarpe e seppe di quanti carati era lo specchio nell'ingresso, si misero a lavorare. Camila aveva manifestato le sue perplessità in quanto a matematica, perciò Ally si offrì di aiutarla mentre l'altra terminava un'esercizio di grammatica che non aveva ancora capito appieno. Le equazioni e i logaritmi erano la parte peggiore della giornata, ma stranamente quel giorno furono la migliore. Ebbe l'occasione di ridere e scherzae, e comprese perché tutti i suoi compagni lavoravano in gruppo. La produttività era ridotta, ma dopo un pomeriggio passato sui libri assieme agli amici ci si sentiva rinvigoriti. O forse per una ragazza che per diciassette anni non aveva potuto socializzare era tutto una scoperta gradevole.

Quasi tutto, le ricordò il suo subconscio quando Lauren si addentrò nella cucina.

Fu come se non le vedesse nemmeno. Tirò dritta al frigorifero e solo allora gli occhi di Dinah si sollevarono dal foglio per scontrarsi prima col fondo schiena della corvina e poi con il suo volto distaccato.

«E questa chi è?» Domandò senza scrupoli, suonando molto interessata. Alla fine della giornata sarebbe tornata a casa con un paio di lividi, se Ally non la smetteva di colpirla ogni volta che apriva bocca.

Camila non si girò nemmeno in direzione di Lauren, anche se stazionava alle sue spalle, sorseggiando un bicchiere d'acqua. «Lasciala perdere, non sa parlare.» Bofonchiò scuotendo la testa.

«Parlo solo con chi mi interessa.» Esordì la corvina, attirando ancor di più l'attenzione di Dinah.

«Beh, piacere! Io sono Dinah.» Le tese la mano civettuola.

«Ed è anche maleducata.» Avvertì Camila sempre a capo basso, ma con la coda dell'occhio intravide i fianchi di Lauren rientrare nel suo campo visivo.

«Sono educata con chi voglio. Io sono Lauren.» Le strinse la mano, salace e sferzante. Dio, la disprezzava ogni giorno di più.

«Che cosa fai nell'azienda del signor Alejandro?» Allungò il dialogo Dinah, ma prima che Lauren rispondesse Camila alzò finalmente gli occhi dal quaderno e imprudentemente disse:

«È la lacchè di mio padre.»

Lauren si voltò di scatto, esausta delle provocazioni di un viziata. Puntellò sordamente le mani contro il tavolo e si approsimò minacciosamente al viso di Camila, che non batté ciglio. «Bada a come parli, ragazzina.» Ringhiò a denti stretti, sfiorandola con il calore emanato dall'indice impettito.

Per qualche istante nessuno disse o fece niente. Rimasero immbolizzate tutte come in una foto. Camila sosteneva spavalda lo sguardo ardente di Lauren, senza mostrare i segni di alcun timore. Dinah, che si sentì leggermente colpevole per l'impasse, smorzò l'atmosfera con il suo solito sarcasmo.

«Ah! Sembri il tipo che girerebbe con una pistola.» Ridacchiò solitaria, ma la battuta riuscì a distanziare le due abbastanza da permettere ad Ally di respirare. «Sai sparare, Lauren?»

Gli occhi di Camila dimenticarono la sfida imminente e si sgranarono, particolare che non passò inosservato all'attenta indagine di Lauren. La cubana prese la parola frettolosamente, come se avesse qualcosa da celare «Al paintball! Sa sparare solo al paintball.» L'eloquente timore sul suo viso increspò le labbra carnose della corvina. Ora aveva trovato una falla, e lei era un'artista con i punti deboli altrui.

«Forte! Dobbiamo andarci una volta, vero Mila? Ci accompagna Lauren.» Forse la cubana non si era resa conto fino ad allora dove mirassero le intenzione dell'amica, ma fu lampante dal modo in cui accavallò le gambe cosa intendesse alludere.

«Non direi proprio! Lauren deve lavorare. A proposito, ti cercava mio padre.» La fissò con insistenza, e per la prima volta la corvina le diede retta. Tanto ormai aveva trovato ciò che voleva, e più tardi avrebbe messo Camila alle strette.

«È stato un piacere. Il dovere mi chiama.» Salutò sbrigativamente, lasciando la stanza in un subbuglio di emozioni contradditorie.

«Quella è tipo.. wow.» Dichiarò Dinah senza peli sulla lingua, e di nuovo il suo stinco venne preso di mira dalla rettitudine di Ally. Ormai non ci faceva nemmeno più caso, era divenuta insensibile a forza di calci.

«Scordatelo, Dinah. È arrogante, antipatica e maleducata.»Non avrebbe permesso ad una delle sue più care amiche di impegolarsi con Lauren, non solo per le sue maniere, ma soprattutto perché collaborava con il crimine. Non voleva -non poteva- che le sue amiche sapessero la verità su di lei.

«Ok, ok.. Però è carina.» Forse non aveva recepito il messaggio.

Camila scosse la testa, sbuffando.

«Ok, ok. Mi arrendo.» Tagliò corto, tornando a discutere con la grammatica invece che le due astanti.

Ally aveva una pazienza infinta. Le spiegò per filo e per segno ogni passaggio, rinfrescandole la memoria. Camila faticava a comprendere alcune formule, soprattutto a memorizzarle, ma lentamente il processo diveniva man mano più automatico, finché riuscì, non senza qualche difficoltà, a completare due esercizi in autonomia, permettendo ad Ally di concentrarsi su i suoi compiti. Attorno alle sette di sera propose ad entrambe di fermarsi a cena, ma tutte e due dovettero declinare per impegni familiari. Dinah la invitò ad una festa il sabato sera, ma Camila inventò una delle tante scuse che avrebbe usato in futuro. Suo padre non le avrebbe mai permesso di andare ad una festa, non così presto almeno. Si salutarono augurandosi un buon weekend.

Camila rimise in ordine la cucina, infine brandì i libri e si diresse al piano di sopra, intenta solamente a dormire o ad ascoltare un po' di musica. Stava muovendo l'ultimo passo, quando qualcuno l'aprionò per il polso, ingabbiandola contro la parete.

«Non so chi tu creda di essere, forse hai vissuto troppo tempo da sola per sapere quando stare zitta.» Ringhiò a denti stretti Lauren, abbastanza vicina da tramandarle il fremito rabbioso delle sue braccia.

«Se vuoi picchiarmi ti conviene farlo dove mio padre non vedrà, altrimenti ti scaverai la tomba da sola.» La fronteggiò inconcussa e sarcastica, aumentando il fremito negli smeraldi di Lauren.

«Non ho intenzione di alzare un solo dito su di te.» Un sorrisetto trionfante sbocciò sulle sue labbra. «E pensa, sono venuta proprio a impedire a te di scavarti la fossa.» Doveva essere abituata a spuntarla, aveva l'arroganza invitta.

«Forse hai dimenticato con chi stai parlando.» E anche Camila era abituata a vincere, solo che lei poteva farlo solo attraverso suo padre, mentre Lauren aveva imparato a difendersi da molto tempo prima.

«Forse tu, invece, ti ricordi solo quando ti fa comodo chi sei.» Era talmente vicina che abbassare di un solo millimetro il mento valeva dire darsi per vinta. Ecco perché la cubana si impose di mantenere un'aria intrepida. «Mi sembra che con le tue amiche non ti vanti tanto della tua posizione, o sbaglio?»

«Brutta stronza, se ti azzardi a...» La spinse per le spalle, ma ebbe un effetto blando sulla muscolatura della corvina che doveva essere abituata a prendere colpi come lo stinco di Dinah.

«Non dirò niente, a patto che tu la smetta di provocarmi. Non sono uno dei fantocci di tuo padre come credi e tantomeno il tuo. Forse sei abituata troppo a Mendes.» Camila avrebbe dato qualunque cosa per toglierle quel ghigno borioso dal viso.

«Stai ricattando la figlia del capo, non so quanto ti convenga.» Riacquistò brio, ma Lauren non aveva paura dell'artiglieria pesante, era proprio allora che dava il meglio di sé.

«Scommettiamo su chi ha più da perdere?» Tese la mano nel breve interstizio intercorso fra i loro petti.

Camila fece spola fra la sua mano e il suoi occhi. Aveva capito che non poteva far altro che accettare, se non voleva perdere le uniche due amiche che aveva. Invece di stringerle il palmo, l'allontanò in un ultimo scatto ribelle. Lauren sapeva di aver avuto la meglio dallo sguardo docile della ragazza. «Bene, allora siamo d'accordo. Tu la smetti di provocarmi, io la smetto di infastidirti.» Quindi girò i tacchi e scese le scale, lasciandole come unica difesa quella di sbattere la porta talmente forte da far tremare il lampadario sopra la sua testa, ma purtroppo non abbastanza da farlo cadere. Lauren rimirò i cristalli oscillare sopra di lei. Era il tintinnio della sua gloria.

Alejandro aveva valutato le proposte. La squadra di Mendes, ovviamente, aveva optato per il piano del loro superiore, mentre quella di Lauren, più assennata anche se orchestrata dall'ego della corvina, aveva votato per l'idea di Normani. Era la più propizia, e facendo un rapido conto dei pro e dei contro, era saltato subito all'occhio la succulenta percentuale di scamparla sani e salvi. Certo, era gente che proveniva dai bassi fondi, persone che fin da bambini giocavano con le pistole vere invece che quelle ad acqua, ma nessuno era un dissennato suicida. Tutti volevano tornare a casa abbastanza integri da godersi il bottino o almeno una birra. E Lauren metteva da parte l'orgoglio se si trattava di affari. Cosa che Mendes non sapeva fare, perché, come la sua ragazza, era un viziato senza senso del dovere. Probabilmente credeva che l'ala di Alejandro potesse schermarlo anche dai proiettili, e avrebbe continuato a pensarlo finché erano gli altri a morire al posto suo.

«Va bene, procediamo con il piano di Kordei. Lo trovo il migliore anche io. Voglio che lavorate assieme, però. È un'operazione troppo importante per mandare solo una squadra.» Pontificò senza ammettere obiezioni. Shawn e Lauren si scambiarono un'occhiata cagnesca di sottechi che verbalizzò afona quanto entrambi ne fossero conenti.

«È tutto.» Voleva rimanere da solo col suo whisky.

Lauren uscì di volata dall'ufficio. Non solo doveva vedersela con i capricci della figlia, ma ora le affibbiava anche il fantoccio. Per diciassette anni Camila Cabello non aveva portato rogne, doveva presentarsi proprio ora?

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