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Capitolo Sei


Alejandro la scortò sul palco appena la cubana rimise piede in sala. Gli invitati interruppero qualsiasi cosa stessero facendo ed eruppero in fischi e applausi, imporporando le guance di Camila più del suo vestito. Suo padre armonizzò l'atmosfera con una musica più lenta e chiese l'onore a sua figlia di ballare insieme.

Camila non si era mai sentita così osservata in vita sua, e non era perché aveva vissuto diciassette anni separata dalla società. Semplicemente non faceva per lei mettersi in mostra, ma Alejandro ci andava a nozze con l'eccentricità. La cubana si concentrò solo sul volto di suo padre appena le mani di tutti furono finalmente impegnate sui fianchi delle signore o sulle spalle dei signori. Lui la guardava con occhi brillanti, pareva non aver mai conosciuto cosa più bella.

«Papà, sono davvero contenta per la festa e tutto il resto.. Ma, insomma, non sono abituata a tanta attenzione, quindi...» Non sapeva come dirlo senza ferirlo, ma non sopportava un minuto di più di quella festa, e mancava ancora il dolce e i regali e chissà cos'altro si era inventato.

«Tranquilla, lo so. Ma stai andando benissimo. Tutti ti adorano.» Sorrise euforico, pizzicandole la guancia con un bacio affettuoso.

La cubana sbozzò un sorriso e ingoiò  le recriminazioni, che le si ammassarono sulla pancia sotto forma di nausea. Non era certa di poter mangiare e nemmeno di potersi avvicinare al dolce senza dare di matto o di stomaco.

Quando credeva che un'altra giravolta sarebbe stata la sua fine, una mano famigliare le si poggiò sulla sua schiena. Era la sua scialuppa di salvataggio. Alejandro annuì comprensivo e lasciò la figlia nelle mani di Shawn. Il ragazzo la strinse amabilmente nelle sue braccia prestanti, ma non fu sufficiente per migliorare il senso di nausea. Lo avvisò che era meglio evitare piroette o movimento inconsulti, ma lui non sembrava intanto ad allontanarla più di un millimetro da sé.

«È una bella serata, e tu sei ancora più bella.» Ondeggiava più lentamente del ritmo soffuso, forse perché sapeva maneggiare i passi di danza come lei un'arma.

«Grazie per averla organizzata.» Fu un sorriso sincero. Era riconoscente del suo amore, ma non riusciva a far altro che legarselo al polso come un palloncino. Bello da vedere, facile da scoppiare.

«Te lo meritavi. Volevo renderti felice dopo quella giornata un po' triste.» Era grata anche per la sensibilità che Shawn mostrava nei suoi confronti, ma talvolta sentiva che era colpa di quell'eludere la verità che ancora aveva in sospeso i conti con il passato. Forse aveva bisogno di qualcuno che la mettesse alle strette, non che la ammantasse in una sorta di bolla.

Annuì e lo ringraziò di nuovo, ma notò gli occhi del ragazzo incupirsi leggermente, come se la festa fosse già finita. Non ebbe l'ardire di chiederne il perché, così infossò la testa nel suo torace voluminoso e sperò che il suo cuore non bisbigliasse. La canzone stava quasi per finire, quando un boato frantumò la quiete della sala.

Camila si voltò di scatto, senza capire perché correvano tutti in direzioni disparate o perché il lento fosse soverchiato da grida e stridii. Quando ci fu il secondo rombo i suoi occhi colsero la fonte dall'altra parte della sala. Qualcuno aveva sparato contro una fontana, mentre qualcun altro aveva colpito la montagna di regali, seminando il panico. Camila non ebbe la sagacia di intuire cosa stesse succedendo, ma fortunatamente la mano di Shawn fu abbastanza svelta. «Devo portarti via di qui.»

«No! Mio padre!» Urlò trafelata.

«A tuo padre penseranno i miei uomini, la mia priorità sei tu.» Lo disse come se fosse un comando dall'alto.

Camila non ne era contenta, ma non riusciva nemmeno ad opporsi. La fiumana di persone scorrazzava disordinatamente nella sala, spintonando chiunque intralciasse il suo cammino. Una decina di uomini aveva avuto l'autorizzazione di portarsi le pistole dietro, ma tutti gli altri non potevano conrattaccare i proiettili con i coltelli. Shawn la coprì col suo corpo mentre salivano frettolosamente le scale, ma questo non impedì a qualche bossolo vagante di scagliarsi poco sopra le loro teste o ai loro piedi. Camila non riusciva a gridare, non riusciva nemmeno a respirare. Seguiva solamente i passi del ragazzo, senza sapere quanti gradini mancassero per sopraggiungere ad una relativa sicurezza. Shawn la trainò lungo il corridoio, mentre dabbasso il suono di vetri infranti ravvivava il bruciore dell taglio sul dorso della mano.

Quando furono abbastanza lontani da sentire i boati come appartenessero ad un film, Shawn si fermò a riprendere fiato e si accertò che Camila fosse tutta intera. «Stai bene? Ti hanno colpito?» La squadrò con occhi sgranati, passando in rassegna ogni porzione di lei. Forse il vestito rosso non era stata una buona scelta, ma per fortuna di scarlatto vi era solo il tessuto.

«Sto bene, sto bene.» Lo rassicurò, ma ancora la voce non le pareva la sua. «Che succede? Perché sparano?» Ancora non aveva capito, o forse non aveva voluto capire.

«Credo che ci siano degli imbucati alla tua festa. Non so perché, forse hanno scoperto il nostro piano, ma non avrebbe senso...» Se cercava risposte non le avrebbe ottenuto da Shawn.

Improvvisamente una raffica squarciò i loro respiri ansimanti. Il ragazzo si passò una mano nei capelli arruffati, facendo spola fra il corridoio vuoto e Camila. «Ascolta, resta qui, va bene? Io ci metterò poco.»

«Cosa? No, non puoi andartene!» Lo ghermì per le spalle come mai prima di allora aveva fatto. I suoi occhi spaesati sferragliarono sul volto quasi impassibile del ragazzo. Si chiedeva quanti di questi imprevisti avesse affrontato per esserne quasi immune.

«Vado a vedere come sta tuo padre, e gli dico che stai bene, ok?» Le carezzò le spalle nude, fissandola intensamente, sperando bastasse a infonderle fiducia e tranquillità. Non poteva restare mentre i suoi compagni erano di sotto a combattere.

«Ok.. Ma fai veloce.» Assentì di malavoglia, allentando la presa su di lui. Shawn la baciò castamente prima di correre via, lasciandola da sola in mezzo a pareti troppo dispersive per le sue paure.

Rimase inerte per un tempo indefinito senza saper discernere i battiti del suo cuore dalle pallottole. Non sapeva con esattezza da quanto tempo Shawn l'avesse lasciata lì, potevano essere passati pochi minuti come delle ore. La risacca del suo respiro era sempre più sintentica, si chiedeva se i suoi polmoni fossero ancora in grado di distillare l'anidride carbonica o se fosse un compito che avevano dimenticato nel frattempo che apprendevano come svuotarsi dalle tossine del terrore. Ogni sparo le prosciugava le poche energie riacquistate con tanta fatica, costringendola a ricominciare daccapo.

Per un momento più duraturo di un attimo cessò il tumulto, e fu solo grazie a quello che udì indistintamente dei passi. Mentre il conflitto incalzava più prepotente di prima, la cubana scorse un'ombra in fondo al corridoio ingigantirsi ad ogni metro di più. Il suo sibilo era l'unica certezza che aveva in quanto ad ossigeno, ma ben presto avrebbe estinto ogni riserva, e il proiettile pronto nella canna di chiunque ci fosse dietro l'angolo avrebbe bucato solo un palloncino già sgonfio. Fece in tempo a registrare la punta degli scarponi neri e l'occhio nero dell'arma prima che una mano l'afferrasse per il polso e la trascinasse dentro la prima porta disponibile.

Camila strabuzzò gli occhi. Non ricordava a cosa avesse pensato, solo che stava per finire tutto e non aveva ancora spento le candeline. I suoi occhi pietrificati, però, cozzarono sì con uno sguardo temibile, ma non nemico. Lauren portò il dito sulle labbra. Afferrò il manico di scopa sulla sua destra e lo conficcò obliquamente nella maniglia, impedendo che si aprisse dall'esterno. Suo padre aveva pensato a come rifinire persino la tavoletta del wc e non si era premurato di annettere delle maledette chiavi alle serrature. Se fosse uscita viva di lì, gliene avrebbe cantate quattro. Non sapeva da dove provenisse quello zampillo di aggressività, visto che pochi secondi prima si sentiva poco più di un ammasso d'elio, ma ora la nausea era scemata e alla bocca dello stomaco c'era solo revanescenza.

Questo non le impedì di dilatare sia le pupille sia ogni poro del suo corpo quando la maniglia, dall'altra parte, venne lentamente abbassata. Gli smeraldi di Lauren rimasero ancorati ai suoi. Muoveva impercettibilmente il capo, tenendo a freno il respiro della cubana. L'uomo provò a tirare l'uscio, ma la mano di Lauren più la scopa bloccarono il suo tentativo. Non parve insospettito e con passi più svelti si allontanò celere. Solo allora Camila inspirò profondamente e gli occhi della corvina si concessero un battito di ciglia, niente di più. Lei sembrava tranquilla, come se l'eco degli spari non appartenesse alla sua vita.

«Perché Shawn non è con te?» Digrignò i denti, confermando i dubbi di Camila: c'erano delle direttive che lui, soppesando il ghigno della donna, aveva sovvertito.

«È andato a cercare mio padre.» Lo difese stizzita, sostenendo altezzosa la collera della donna.

«Non doveva, cazzo. Ci sono degli schemi da seguire quando succedono queste cose. Lui deve pensare a te, noi al resto.» Potevano solo mormorare, visto che non sapevano se dall'altra parte sarebbe arrivato qualcuno, ma il fremito di Lauren era paragonabile ad un rimprovero roboante. Aborriva chiunque non prendesse seriamente i propri compiti, così arrischiava tutti.

«Probabilmente credeva che fossi già al sicuro.» Non si arrese la cubana, sbuffando.

«In mezzo ad un corridoio?!» Sibilò, ma notando lo sguardo della ragazza immutato, alzò gli occhi al cielo scuotendo la testa.

«Stai tranquilla, almeno ti daranno la mancia.» Bofonchiò sottovoce Camila, incassando un bagliore purpureo dagli occhi della corvina. Già, forse provocarla in uno sgabuzzino non più grande di una doccia non era la migliore delle idee.

«Dovrebbero darmi direttamente il posto di Shawn.» Minacciò superba, titillando la pazienza della cubana.

Camila fece un passo avanti, additandola tenebrosa, e subito vide gli occhi della donna sgranarsi. Un sorrisetto trionfante non fece in tempo ad affiorare sulle sue labbra che Lauren le si avventò addosso, alzando un braccio verso l'alto. Camila venne ingabbiata contro uno scaffale e il corpo di Lauren, incapace di comprendere finché non seguì la traiettoria del suo braccio per notare le dita tese contro un secchio in bilico. Fantastico, infondeva più paura un pezzo di plastica che lei.

Lauren lo sorreggeva con la punta dei polpastrelli. Dentro vi erano degli attrezzi, che se fossero caduti avrebbero attirato non poca attenzione. Una vampa fragrante la investì inebriandola. Il profumo di Lauren fu la prima cosa che si trovò sulla pelle e che non disprezzò di lei. La corvina era abbastanza vicina da poterlo respirare direttamente dal suo collo, ma la cubana inclinò il collo all'indietro, appoggiandosi contro lo scaffale. I suoi occhi si scontrarono con quelli di Lauren, che aveva abbassato lo sguardo solo per constatare di non schiacciarla.

«Ti fermi molto?» Domandò sarcastica, sfiorando le labbra della corvina col suo respiro. Non poteva nemmeno muovere un muscolo, perché rischiava di peggiorare la situazione, e in più il torace della donna era compresso contro il suo, quindi agire era impossibile.

«Vuoi farlo tu?» Serrò la mascella, incenerendola con lo sguardo. Quegli occhi, così vicino poi, le ricordavano il deragliare dei proiettili ormai musica di sottofondo.

Camila inspirò rotenado gli occhi verso un angolo imprecisato della parete. «Odio le armi. E il sangue.» Mormorò fra sé e sé, ma Lauren era talmente vicina che si faticava a capire dove finisse lei e iniziasse l'altra.

«Allora sei venuta proprio nel posto sbagliato.» La fronte iniziava a imperlarsi, un po' per lo sforzo, un po' Pr l'aria rarefatta, ma il suo sarcasmo era più minaccioso del secchio sopra le loro teste.

«Pensavo che avrei preferito una pallottola alla solitudine, ma forse mi sbagliavo.» I ricordi recenti e più remoti lottavano fra di loro, ma né il rumore né il silenzio parevano rinfrancarla.

Lauren occhieggiò il suo volto umbratile. Non era brava con le parole, non aveva parlato nemmeno al funerale di sua sorella, figuriamoci se poteva farlo adesso, con una ragazzina che a malapena conosceva e con una minaccia sia sopra che fuori di lei. Camila non avvertì la spolverata di ciglia che Lauren stava dando alle sue gote, tanto era assorta nei suoi pensieri. Si riscosse solo quando uno sparo rimbombò nel corridoio, troppo vicino per non trasalire.

«Shhh.» Ingiunse la corvina, notando gli occhi della cubana strizzarsi in una falda rugosa.

Al secondo sparo istintivamente morse con forza le labbra, obbligando a non emettere un suono. Lauren aderì maggiormente al suo petto, tenendosi fino alle punte per mantenere l'equilibrio del secchio, che stava scivolando alla sua resistenza. Al terzo sparo Camila afferrò la prima cosa che le capitò sottotiro. Lauren sgranò gli occhi quando le unghie della donna si piantarono nel dorso della sua mano. Al quarto Camila credeva di non poterne tollerare un altro senza scoppiare a piangere. Ogni eco di piombo riesumava memorie ancor più plumbee. I muscoli della corvina si stavano sfibrando. Il suo braccio era un formicolio perpetuo. Ciondolò spossata il capo verso l'orecchio della cubana, respirando grevemente contro di esso. Stranamente solo allora Camila si accorse di star sudando. Poi, finalmente il silenzio.

La cubana spostò gli occhi dentro quelli di Lauren, come per chiederle se era finita davvero. La corvina la guardava come se avesse una risposta diversa da quella richiesta.

«Camila!» Una voce altisonante la richiamò dall'altro lato del corridoio.

La ragazza non mosse un muscolo. Pareva che non sentisse niente oltre le scariche elettriche nella stanza.

«Mila!» Gridò ancora più forte, e allora si riscosse inspirando tutto l'ossigeno perso.

Stava per rispondere quando Shawn aprì la porta e la cubana uscì dalla gabbia incurante, vanificando gli sforzi di Lauren, che fu costretta a lasciar cadere il secchio e scartare verso destra prima di prendere il martello in testa. La cubana si fiondò fra le braccia del ragazzo, lasciandosi andare qualche lacrima silenziosa. Anche Alejandro arrivò di corsa, prendendo la figlia fra le sue braccia. Lauren intanto spiazzò via la polvere sedimentata sul vestito.

«Ma che è successo?» Squittì la cubana, e lo sguardo che Shawn e Alejandro si scambiarono non le piacque affatto.

Suo padre si fece coraggio: «Cercavano te.»

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